Atlante anatomico
(a cura di Paolo Ricci)
Negli atlanti anatomici tradizionali la rappresentazione del corpo umano è comunemente affidata alle tavole anatomiche, che costituiscono uno strumento iconografico di tipo statico, essenzialmente derivato dallo studio del cadavere. Ricorrendo alle immagini ottenute con la comune strumentazione di uso diagnostico e derivanti dalle varie metodiche di imaging, includendo in questo termine oltre alla diagnostica per immagini propriamente detta anche la medicina nucleare e l'endoscopia, è invece possibile allestire un atlante del corpo in vivo, in grado di presentare le strutture interne del corpo umano nel loro essere, nella realtà dei rapporti anatomofunzionali dei vari apparati e organi. Caratteristica delle immagini in vivo è la capacità di offrire una rappresentazione dinamica, particolarmente evidente nel caso dell'ecocardiografia e dell'angiologia, che permettono di presentare rispettivamente il cuore in movimento e il flusso ematico nei vari distretti. In questa sezione le immagini più significative derivate dalle varie tecniche di imaging sono appunto raccolte a costituire un atlante in vivo, seguendo una suddivisione del corpo in apparati e organi, disposti secondo un andamento craniocaudale parallelo a quello seguito nella descrizione topografica del corpo (v. II: Anatomia e fisiologia). Una breve nota introduttiva descrive per ciascun paragrafo le modalità di selezione e il significato anatomofunzionale delle immagini. La maggior parte di queste sono riferibili a quadri di normalità, ma sono stati inclusi anche alcuni dei quadri patologici più salienti. Scheletro La rappresentazione diagnostica per immagini dello scheletro è ancor oggi basata in larga misura sull'indagine radiologica tradizionale. L'elevato contenuto in sali di calcio conferisce infatti all'osso una spiccata radioopacità rispetto agli altri tessuti dell'organismo, rendendolo ampiamente esplorabile con metodiche quali la radiografia diretta e la stratigrafia. L'esame radiografico diretto è pertanto in grado di assolvere praticamente a tutte le esigenze cliniche e costituisce la prima tappa di un corretto iter diagnostico. L'esame viene effettuato in due proiezioni ortogonali di base (sagittale e latero-laterale) e, laddove questo non sia possibile (scapola, sterno), in proiezioni specifiche per i diversi distretti ossei. L'esame radiografico diretto non consente tuttavia di ottenere una corretta rappresentazione per immagini di tutte le componenti scheletriche: è questo il caso, per es., delle strutture articolari, quali cartilagine, sinovia, dischi, capsule e legamenti, che non vengono rappresentate direttamente in un esame standard, per quanto da un punto di vista prettamente diagnostico si possano ottenere comunque informazioni importanti sulle componenti ossee dell'articolazione. L'introduzione nell'articolazione di mezzi di contrasto opachi o gassosi, secondo la tecnica denominata artrografia, può consentire una valutazione delle strutture endoarticolari. Il suo impiego clinico, importante in passato, quando non era disponibile la tomografia computerizzata (TC), è attualmente limitato allo studio della spalla, per la ricerca di alterazioni delle strutture muscolotendinee che circondano l'articolazione e costituiscono la cosiddetta cuffia dei rotatori. Inoltre, sempre più spesso l'artrografia viene eseguita in corso di esame TC, il quale consente una visione tridimensionale, non ottenibile con gli esami radiologici tradizionali. Metodiche più sofisticate, quali ecografia, tomografia computerizzata e risonanza magnetica (RM), rendono possibile un'accurata rappresentazione morfofunzionale delle diverse componenti dell'articolazione, ossee e capsulolegamentose. In generale l'iter diagnostico per lo studio di una articolazione prevede un esame radiografico diretto, per la valutazione della rima articolare e dei capi ossei articolari, seguito da una valutazione ecografica, da una TC e, infine, da una RM. Soprattutto quest'ultima consente una rappresentazione iconografica sovrapponibile a quella di una sezione anatomica. L'ecografia non permette di valutare l'osso, in quanto, a causa della sua bassissima differenza di impedenza acustica rispetto a quella del tessuto circostante, esso non riflette praticamente gli ultrasuoni, non essendo così discriminabile. Nel complesso sono anche scarse le informazioni ottenibili a livello delle strutture articolari. Tale tecnica si applica quindi prevalentemente allo studio delle strutture muscolotendinee e, in genere, dei tessuti molli perischeletrici e periarticolari, per la cui valutazione rappresenta la prima tappa diagnostica. Lo studio dello scheletro mediante le tecniche radiografiche trova applicazioni particolari nel bambino, in quanto, al di là della ricerca di eventuali alterazioni patologiche, fornisce un'indicazione sull'andamento della crescita, consentendo la determinazione dell'età scheletrica. Questa valutazione si basa sia sulla ricerca dei nuclei di ossificazione secondari, che compaiono progressivamente nelle diverse fasi evolutive, sia sullo studio, assai complesso, di particolari indici di maturazione (attribuzione di un punteggio standard all'età scheletrica di specifici segmenti ossei, da cui si deriva la definizione della fase di evoluzione verso la morfologia definitiva). Per quanto concerne la determinazione dell'età scheletrica, di solito si esegue un esame radiografico della mano in unica proiezione e, mediante il confronto con standard di riferimento, si verifica la corrispondenza tra età anagrafica ed età media di comparsa dei nuclei di ossificazione secondari. Sistema nervoso centrale La valutazione diagnostica per immagini del sistema nervoso centrale è compresa in una branca che si definisce neuroradiologia, oggi sostanzialmente basata su tre metodiche fondamentali: tomografia computerizzata, risonanza magnetica e, per quanto riguarda la componente vascolare, angiografia diagnostica e terapeutica. La radiologia tradizionale, infatti, non consente valutazioni dirette delle strutture encefaliche, anche se può rivelare in maniera indiretta l'esistenza di patologia encefalica in atto o pregressa, attraverso l'individuazione di alterazioni della forma e della struttura delle ossa della volta e della base cranica o di calcificazioni endocraniche. Appartengono ormai alla storia della radiologia alcune procedure diagnostiche invasive basate sull'introduzione di mezzo di contrasto gassoso nei ventricoli (pneumoencefalografia) e nel sacco durale (mielografia gassosa), che hanno comunque rivestito, prima dell'avvento della TC, un ruolo fondamentale nella diagnostica per immagini. La tomografia computerizzata è tecnica di prima istanza nello studio dell'encefalo, in quanto semplifica l'iter diagnostico, consentendo di evitare il ricorso a metodiche invasive. La TC fornisce una rappresentazione diretta dell'encefalo per piani trasversi (scansioni assiali) soddisfacente in senso anatomico. Nello studio del massiccio facciale, utilizzando scansioni a strato sottile (1-2 mm) e particolari algoritmi di ricostruzione, è possibile ottenere immagini tridimensionali sia delle sole strutture ossee sia dell'intero volto. Questo tipo di ricostruzione tridimensionale riveste un ruolo particolarmente importante nella valutazione delle malformazioni craniofacciali e prima di interventi ricostruttivi di chirurgia plastica. Anche nelle scansioni assiali standard la TC consente un'accurata valutazione delle strutture ossee, per es. delle rocche petrose e dell'orecchio interno, oppure delle cavità orbitarie. A livello encefalico, la TC permette di differenziare la sostanza grigia, la sostanza bianca e gli spazi liquorali, fornendone una rappresentazione diretta. Ciò riveste notevole importanza, poiché molte patologie sono individuabili in quanto conferiscono caratteristiche di densità differenziabili rispetto alle strutture normali, o poiché alterano la normale morfologia e topografia del sistema ventricolare e delle cisterne. In linea generale, l'aumento del contenuto acquoso nell'interstizio (edema) o nelle cellule (necrosi) e la diminuzione dell'irrorazione ematica inducono la comparsa di aree ipodense. L'aumento dell'irrorazione, la presenza di sangue al di fuori dei vasi e la precipitazione di sali di calcio inducono la comparsa di aree iperdense. L'uso di mezzi di contrasto iodati è comunque fondamentale in una valutazione TC-mediata, in quanto il mezzo di contrasto aumenta il valore di attenuazione di tutti quei distretti nei quali, per motivi patologici, la permeabilizzazione della barriera ematoencefalica rende possibile una facile diffusione interstiziale. La risonanza magnetica fornisce immagini dell'encefalo sorprendentemente vicine a quelle anatomiche. L'elevata risoluzione spaziale e di contrasto, l'assenza di artefatti ossei, la capacità di individuare le differenti alterazioni elementari dell'encefalo e le strutture abnormi, e di fornire immagini 'dirette' secondo i tre piani fondamentali (assiale, sagittale, coronale), configurano questa tecnica diagnostica come insostituibile per lo studio dell'encefalo. Nella RM le differenze di contrasto tra i vari tessuti sono motivate soprattutto dal diverso contenuto di acqua e dallo stato biofisico. Nei tessuti biologici sono presenti due tipi di molecole di acqua in equilibrio dinamico tra loro: acqua libera e acqua legata (cioè disposta sulla superficie delle molecole proteiche). I due tipi di acqua danno segnali RM particolari: T₁ e T₂ lunghi per l'acqua libera e T₁ e T₂ molto corti per l'acqua legata. Molte delle alterazioni elementari dell'encefalo (edema, emorragia, accumulo o perdita di lipidi, calcificazione, fibrosi, necrosi) comportano una variazione del contenuto totale di acqua e una sua diversa distribuzione nei due stati biofisici. Queste caratteristi che di base consentono una corretta differenziazione delle diverse strutture anatomiche e una definizione ottimale delle patologie a livello tessutale. L'ecografia ha ridotte applicazioni nello studio delle strutture encefaliche. Nei lattanti, tuttavia, soprattutto per ridurre l'esposizione alle radiazioni ionizzanti, è possibile studiare le strutture encefaliche con sonde ad alta frequenza posizionate a livello della fossetta bregmatica (ecografia transfontanellare). Le tecniche ecografiche trovano indicazione precisa nello studio dell'orbita e del suo contenuto. La rappresentazione migliore si ottiene con l'esame transbulbare, posizionando cioè la sonda ecografica sull'occhio, a palpebra chiusa, e spostandola lungo i vari meridiani del bulbo oculare. Si ottiene così una buona visualizzazione delle strutture endorbitarie (cornea, cristallino, retina, sclera, umor acqueo, corpo vitreo, muscoli estrinseci oculari, ghiandola lacrimale), alla ricerca di strutture patologiche di tipo espansivo, infiltrativo ed emorragico, o di corpi estranei. Vasi sanguigni Lo studio diagnostico per immagini delle strutture vascolari è affidato prevalentemente all'ecografia, nelle sue diverse varianti tecniche, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti dinamico-funzionali, e alle indagini angiografiche, per l'informazione anatomica di dettaglio dei diversi distretti. L'ecografia è, anche nella forma tradizionale (definita appunto real time), un esame estremamente dinamico, in quanto consente una valida rappresentazione del lume vasale e delle sue pareti, e la valutazione delle sue pulsazioni e delle variazioni di calibro legate ai movimenti respiratori. La metodica che trasforma l'esame ecografico in esame realmente funzionale è la flussimetria doppler, nelle varianti eco-doppler ed eco-color-doppler. Questa tecnica trova applicazioni nei vasi superficiali e profondi dei distretti arterioso e venoso (tronchi epiaortici, circolo cerebrale con doppler transcranico, arterie dell'arto superiore, arterie e vene dell'arto inferiore, aorta addominale, vena cava inferiore, vena porta, arteria renale, circolo intrarenale ecc.) e consente specifiche informazioni di flusso, quali presenza, direzione, velocità e volume. Rispetto alle metodiche doppler, l'angiografia ha lo svantaggio della invasività, ma la rappresentazione morfologica è senz'altro superiore, essendo basata sull'acquisizione di radiogrammi dopo somministrazione diretta di mezzo di contrasto nelle strutture vascolari di interesse, che vengono rappresentate 'a calco'. L'utilizzo di nuovi cateteri e il miglioramento delle attrezzature diagnostiche consente la valutazione iconografica anche di distretti vascolari di piccolo calibro, quali il circolo intrarenale o intracerebrale. Altre metodiche utilizzate nell'indagine diagnostica di vasi sanguigni sono la TC spirale, che consente una rappresentazione tridimensionale anch'essa basata sull'iniezione di mezzo di contrasto endovenoso, e l'angiografia a risonanza magnetica (angio-RM), che fornisce un'immagine tridimensionale attraverso sequenze particolari di esame, senza somministrazione di alcun mezzo di contrasto. Collo La valutazione diagnostica per immagini del collo richiede un approccio multidisciplinare a causa delle numerose e diverse strutture anatomiche presenti in questa regione. A livello del collo si trovano infatti organi parenchimatosi, quali ghiandole salivari, tiroide e paratiroidi, linfonodi; strutture muscolari (in primis il muscolo sternocleidomastoideo); fasci neurovascolari, come l'asse carotidovertebrale, l'asse venoso giugulare, il nervo vago; visceri cavi, quali trachea ed esofago; e infine strutture ossee, come la colonna cervicale e l'osso ioide. L'ecografia riveste un ruolo fondamentale nella rappresentazione iconografica degli organi parenchimatosi superficiali. Le ghiandole salivari, sia parotide sia sottomandibolare, sono facilmente studiabili, con possibilità di identificazione anatomica corretta dei rapporti spaziali e dell'eventuale patologia presente (processi espansivi, litiasi). Analogamente la valutazione della tiroide e delle paratiroidi è assai agevole a causa della posizione estremamente superficiale di questi organi. Con l'ecografia di essi è possibile identificare la morfologia globale, le caratteristiche ecostrutturali, i rapporti anatomici. Le tecniche di radiologia tradizionale hanno scarso rilievo nel distretto anatomico del collo, con la sola eccezione della scialografia, cioè dell'esame radiografico delle ghiandole salivari. La rappresentazione dei dotti delle ghiandole salivari è, infatti, realmente ottenibile soltanto incannulando l'orifizio di sbocco del dotto di Stenone e iniettando mezzo di contrasto iodato. La tomografia computerizzata e la risonanza magnetica permettono una valutazione spaziale più ampia. La rappresentazione iconografica dell'asse vascolare del collo, sia arterioso sia venoso, è consentita con dovizia di particolari dall'ecografia, che fornisce una valutazione bidimensionale, identificandone sia le pareti sia il lume. La possibilità di visualizzare i flussi, con l'ausilio di eco-doppler ed eco-color-doppler, ha ampliato le potenzialità diagnostiche e iconografiche, associando al dato morfologico anche il parametro funzionale, rappresentato appunto dal flusso. In questo senso l'immagine da statica è divenuta dinamica. La migliore rappresentazione morfologica dei vasi sanguigni è comunque, anche storicamente, di competenza della metodica angiografica, basata sull'iniezione di mezzo di contrasto direttamente nei vasi. Essa può essere eseguita in forma selettiva (vasi di calibro maggiore), o addirittura superselettiva (vasi di calibro minore), mediante un sottile catetere, introdotto in un distretto periferico (arteria femorale o ascellare). Tale rappresentazione, iconograficamente perfetta, ha però l'inconveniente di comportare un grado di invasività piuttosto elevato. Metodiche di più recente introduzione sono la TC spirale e l'angio-RM (v. sopra: Vasi sanguigni). Cuore Dal punto di vista funzionale, lo studio del cuore è tradizionalmente affidato in prima istanza all'elettrocardiografia. Per quanto riguarda l'esame della morfologia cardiaca, per anni essa è stata studiata con le tecniche della radiologia tradizionale, mediante il telecuore. Questa metodica consiste in un esame radiografico del torace, eseguito nella proiezione posteroanteriore, con il paziente posto in piedi e il tubo radiogeno situato a 1,5 m. Il telecuore consente la rappresentazione del profilo cardiaco, la misurazione dei diametri principali e l'identificazione di eventuali calcificazioni (possibile espressione di patologia pericardica). Le immagini così ottenute sono estremamente statiche, ma possono svelare eventuali alterazioni patologiche che vanno poi approfondite con altre metodiche. In maniera analoga devono essere considerate le tecniche angiografiche, oggi sostanzialmente limitate alla valutazione delle arterie coronarie, che ricercano stenosi od ostruzioni, possibili cause di alterazioni della vascolarizzazione cardiaca e quindi di manifestazioni ischemiche (angina, infarto). Per comprenderne le caratteristiche morfologiche e di funzionamento, il cuore però deve essere studiato in movimento. Dall'applicazione delle tecniche ecografiche allo studio anatomofunzionale del cuore è nata l'ecocardiografia, completata, analogamente a quanto succede per il distretto vasale propriamente detto, dal color-doppler per la valutazione di flussi. L'esame ecografico avviene in tempo reale, consentendo quindi una valutazione dinamica del cuore durante la sua normale funzione. È così possibile studiare il volume delle camere cardiache e lo spessore delle pareti, e al tempo stesso identificare i lembi valvolari, analizzarne i movimenti di apertura e chiusura e valutare i flussi ematici transvalvolari. L'avvento dell'ecocardiografia transesofagea ha aperto anche nuove possibilità iconografiche e diagnostiche nello studio dell'aorta ascendente toracica. Si tratta di una metodica invasiva, perché prevede l'uso di una sonda da inserire attraverso l'esofago per raggiungere il cuore da dietro, ma i cui risultati, in termini morfodinamici, sono ottimi. La risonanza magnetica sta iniziando ad assumere un ruolo significativo nello studio del cuore, anche se i dati di base sono di tipo morfologico e non dinamico. Anche in questo caso, la rappresentazione anatomica è assai dettagliata, grazie alla possibilità di eseguire valutazioni tridimensionali e al campo di vista ovviamente più ampio, che consente una definizione topografica particolareggiata. La cine-RM, cioè la rappresentazione dinamica del funzionamento cardiaco derivata da scansioni di tomografia a RM, è ormai una realtà acquisita, anche se i costi elevati non ne consentono un'applicazione routinaria. Apparato respiratorio Lo studio radiologico del torace ha subito un significativo lavoro di revisione, nel tentativo di fornire una rappresentazione morfologica ed emodinamica di alcuni aspetti anatomici, fisiologici e fisiopatologici dell'apparato respiratorio. Tale apparato, da un punto di vista radiologico, ha una situazione di privilegio: il prevalente contenuto di aria determina un contrasto naturale, che consente al semplice esame radiologico diretto di evidenziare molti particolari strutturali. I raggi X, infatti, sono assorbiti maggiormente nei tessuti più densi, che si presentano come aree di maggiore opacità, mentre passano con facilità attraverso gli spazi aerei, che vengono proiettati sulla pellicola radiografica come zone di maggior annerimento. Il concetto fondamentale dell'esame della radiologia tradizionale è quindi che dove c'è aria c'è trasparenza e, viceversa, dove non c'è aria c'è opacità: questa situazione determina un intreccio di immagini variamente combinate che riproducono l'anatomia macroscopica dell'apparato respiratorio con un dettaglio non raggiungibile negli altri apparati, fatta eccezione, seppure per motivi diversi, per quello scheletrico. Le immagini del presente paragrafo documentano ampiamente i concetti sopra esposti, dimostrando anche l'importanza iconografica di una tecnica di complemento quale la stratigrafia (o tomografia radiologica di Vallebona). Quest'ultima tecnica, solo in parte soppiantata dalla tomografia computerizzata, consente di effettuare valutazioni anatomiche dettagliate, attraverso lo studio radiologico di uno o più strati corporei del distretto in esame. In tal modo, l'immagine radiologica standard, che è un'immagine sintetica (che reca cioè traccia di tutte le strutture anatomiche del distretto corporeo in esame incontrate dal fascio di radiazioni nel suo percorso), si trasforma in immagine analitica, rappresentativa quasi esclusivamente delle strutture presenti in strati preselezionati. La stratigrafia risulta soprattutto significativa in caso di reperti patologici. La broncografia opaca riveste attualmente un significato storico, per quanto la definizione anatomica ottenibile sia elevatissima. Tale tecnica è basata sulla inoculazione di mezzo di contrasto opaco nelle vie respiratorie, attraverso un sottile catetere introdotto per via orofaringea, con conseguente fedele riproduzione 'a calco' dell'albero bronchiale. Con l'avvento della broncoscopia il ruolo della broncografia si è vieppiù ridotto. La tomografia computerizzata trova ampie applicazioni a livello toracico, in relazione al fatto che la natura delle strutture endotoraciche (parenchima polmonare aereato, parti molli dello scheletro costovertebrale) è tale da determinare differenze di densità assai significative. Viene utilizzata come completamento di un esame radiografico standard, in quanto permette di studiare con dovizia di particolari anatomici il mediastino, di discriminare anche piccole lesioni a livello sia parenchimale sia pleurico, di fornire informazioni sulla densità delle diverse strutture, consentendo giudizi importanti sulla natura di alcune formazioni. L'angiografia polmonare, infine, consente valutazioni iconografiche assai valide del distretto vascolare polmonare nelle sue componenti arteriosa e venosa. Le più importanti applicazioni sono lo studio delle malformazioni del circolo polmonare e della malattia tromboembolica, che viene effettuata in condizioni di urgenza. L'ecografia non riveste attualmente un ruolo iconografico significativo, se non nello studio di lesioni superficiali. Analogamente, la RM polmonare, che risente dei numerosi artefatti da respirazione, non permette valutazioni diagnostiche di rilievo. Mammella La diagnostica per immagini della mammella riveste un ruolo fondamentale nella pratica clinica a fini preventivi, in quanto le neoplasie mammarie costituiscono oggi la più frequente causa di morte nel sesso femminile. Un accurato studio radiosenologico costituisce uno strumento diagnostico di insostituibile importanza ed è quindi auspicabile in tutte le donne al di sopra dei 35 anni. La metodica cardine è la mammografia, indicata quale procedura di prima istanza per tutti i tipi di struttura mammaria, a eccezione dei seni densi giovanili a scarso contrasto radiologico, per i quali trova più utile applicazione l'ecografia. La xeromammografia, basata sull'utilizzo di un supporto speciale caricato elettrostaticamente in luogo della pellicola radiografica, ha solo una rilevanza storica, essendo stata completamente sostituita dall'associazione mammografia-ecografia. L'evoluzione degli strumenti, grazie anche all'impiego di particolari schermi di rinforzo alle terre rare, ha permesso di ridurre sensibilmente la dose di radiazioni, senza significativa alterazione del contrasto e della nitidezza dell'immagine ottenuta. L'aspetto mammografico normale varia notevolmente in relazione all'età della paziente. Nella donna giovane domina un addensamento diffuso del tessuto ghiandolare; nella donna adulta i rapporti tra tessuto ghiandolare e adiposo sono generalmente più equilibrati; nella donna anziana è comune la pressoché completa sostituzione del tessuto ghiandolare con tessuto adiposo e fibroso. Mediante la mammografia si evidenziano il capezzolo, il piano cutaneo, lo spazio sottocutaneo, il tessuto ghiandolare, i piani muscolari, il cavo ascellare e gli eventuali linfonodi. Tale tecnica consente una diagnosi differenziale della natura benigna o maligna di un'opacità nodulare, sulla base di reperti quali i caratteri dei margini, la presenza di microcalcificazioni (elemento semeiologico fondamentale nella diagnosi di neoplasia maligna), le alterazioni del piano cutaneo. Comunque, non è sempre possibile la diagnosi differenziale riguardo alla struttura del nodulo (solida o liquida), per la quale riveste un ruolo fondamentale l'ecografia. Quest'ultima può senz'altro essere considerata una tecnica di screening di base; nelle donne giovani, soprattutto se con seno denso, è, come si è detto, comunemente l'esame di prima istanza (scarso contrasto mammografico, ma buona risoluzione ecografica tessutale); in caso di mammografia dubbia può costituire un ottimo completamento iconografico. Con la sola ecografia non sempre è possibile porre con sicurezza assoluta diagnosi di natura delle lesioni solide mammarie: in questi casi è necessaria un'analisi correlata dei rilievi clinici, mammografici ed ecografici. Esiste comunque una semeiotica ecografica oramai standardizzata, che consente di porre diagnosi certa di lesioni a contenuto fluido (cisti) e di definire caratteristiche di benignità per alcune lesioni solide (fibroadenomi). La risonanza magnetica sembra offrire grandi prospettive iconografiche, in relazione alla sua elevatissima risoluzione di contrasto nello studio dei tessuti molli. La corrispondenza con i rilievi mammografici è buona. L'utilizzo di particolari bobine di superficie consente l'acquisizione di immagini a elevata risoluzione spaziale, quindi altamente rappresentative delle caratteristiche strutturali della mammella. Grazie all'ampio campo di vista che si può utilizzare la RM fornisce immagini che comprendono la regione mammaria nella sua interezza, il cavo ascellare, la parete toracica e le stazioni linfonodali della ghiandola mammaria interna, non esplorabili con nessun'altra tecnica di diagnostica per immagini. Apparato digerente La valutazione per immagini del tubo digerente è storicamente di competenza della radiologia tradizionale, soprattutto mediante esami contrastografici basati sulla somministrazione per via orale, sia diretta sia attraverso sottili sondini, o per via retrograda (rettale) di sospensioni opache di mezzo di contrasto. Il mezzo di contrasto più comunemente usato è il solfato di bario, preparato non miscibile con acqua, utilizzato in diverse sospensioni a seconda del tipo di indagine richiesta. È anche comune l'associazione di mezzi di contrasto opachi e gassosi (ottenuti con somministrazione per bocca di polveri effervescenti a base di bicarbonato di sodio e di acido citrico o con insufflazione gassosa retrograda). La presenza di aria nel tubo digerente può consentire valutazioni contrastografiche già all'esame diretto, in relazione alla ricerca di un'insolita disposizione anatomica. La valutazione iconografica del tubo digerente in un esame per bocca è nel complesso piuttosto semplice, essendo costituita dalle immagini 'a calco' delle strutture anatomiche. Al dato propriamente morfologico l'esame radiologico aggiunge anche il dato funzionale, permettendo così di studiare, oltre a forma, dimensioni, sede e caratteristiche della parete, anche il tono e i movimenti di questa. Le diverse fasi del percorso lungo il canale alimentare possono essere seguite nel loro svolgersi fisiologico. Analoghe considerazioni vanno fatte per gli esami più complessi, quali clisma del tenue (valutazione del piccolo intestino basata sulla somministrazione di mezzo di contrasto opaco e aria attraverso un sottile catetere posizionato a livello della prima ansa digiunale) e clisma opaco a doppio contrasto (valutazione del grosso intestino basata sulla somministrazione retrograda di mezzo di contrasto baritato, misto ad aria). La modificazione della configurazione anatomica tradizionale permette di evidenziare i principali quadri patologici. Così, per es., in caso di ulcera gastrica si rileverà la caratteristica immagine di nicchia, cosiddetta 'immagine di plus', mentre in caso di polipo del colon si avranno 'immagini di minus'. Le altre metodiche hanno un ruolo secondario nell'iconografia del tubo digerente. La RM, per es., consente interessanti immagini dell'esofago su piani di scansione sagittale e coronale, mentre scarse risultano nel complesso le applicazioni a livello strettamente addominale. La TC rende possibili significative valutazioni dello stomaco e dell'intestino soltanto in caso di masse neoplastiche, anche di piccole dimensioni, delle quali consente di identificare limiti, rapporti con strutture adiacenti e con il lume del canale alimentare, e presenza di localizzazioni secondarie. Fegato e vie biliari Il fegato, insieme al pancreas e ai surreni, è l'organo la cui analisi maggiormente si è giovata dell'avvento delle nuove tecniche di formazione dell'immagine. Quanto in passato richiedeva d'obbligo il ricorso all'angiografia oggi trova spesso soluzione, incruenta e non invasiva, con ecografia, TC e RM. Anche se su un piano decisamente inferiore, appaiono notevoli anche le possibilità offerte dalla medicina nucleare. La radiologia tradizionale ha un ruolo secondario nella diagnostica per immagini del sistema epatobiliare, anche se la semplicità di esecuzione e il basso costo ne giustificano l'uso ancor oggi frequente. Essa può consentire di evidenziare alterazioni di volume del fegato, nonché calcificazioni e trasparenze patologiche nel suo contesto o a livello dell'albero biliare. Anche le metodiche contrastografiche per lo studio dell'albero biliare (colecistografia orale, colangiografia endovenosa) cominciano ad avere un ruolo secondario. La colecistografia orale (opacizzazione della colecisti a opera di un mezzo di contrasto iodato che, assunto per via orale, segue il cosiddetto circolo enteroepatico della bile e si concentra nella colecisti) consente lo studio morfologico e dinamico (valutazione del grado di contrazione del viscere dopo pasto grasso). Le sue indicazioni sono limitate allo studio della funzionalità della colecisti, per quanto concerne sia le capacità di concentrazione sia quelle di contrazione. Entrambi questi parametri, infatti, possono influenzare il successivo trattamento terapeutico (per es., la possibilità di effettuare un trattamento litolitico per via orale o con litotrissia extracorporea). La colangiografia endovenosa (iniezione endovenosa di mezzo di contrasto iodato per una migliore visualizzazione della via biliare principale) è sostanzialmente una metodica di indagine preoperatoria, in progressivo disuso a causa dei frequenti effetti collaterali. Lo studio del parenchima epatico e dell'albero biliare è di prima competenza dell'ecografia, metodica non invasiva, di basso costo e di rapida esecuzione, che fornisce una rappresentazione iconografica del fegato assai completa. Consente di studiare il parenchima, evidenziando le strutture vascolari e l'albero biliare, di identificare modificazioni della struttura epatica, come per es. nelle steatosi (fegato grasso) e nelle epatopatie in genere, e di rilevare la presenza di lesioni focali sia benigne (cisti, angiomi) sia maligne (tumori primitivi e secondari). L'associazione con eco-doppler ed eco-color-doppler garantisce la possibilità di unire allo studio morfologico delle strutture vasali anche l'informazione dinamica e funzionale. Rende possibile, per es., una corretta valutazione dell'asse splenoportale, in forma assolutamente non invasiva e con dovizia di particolari iconografici e funzionali, fornendo ulteriori informazioni per la tipizzazione di una epatopatia ad andamento cronico (cirrosi epatica). L'ecografia permette, inoltre, di studiare la morfologia e il contenuto della colecisti, nonché il calibro della via biliare principale: la sua affidabilità nell'identificazione dei calcoli biliari è elevatissima, per cui può essere considerata la metodica di prima istanza nel paziente con colica biliare. La TC ha un ruolo codificato nella valutazione iconografica del fegato, mentre ridotte, almeno in condizioni di normalità, sono le informazioni conseguibili sull'albero biliare. L'informazione apportata dalla TC è spesso complementare a quella acquisita per via ecografica. Se, infatti, la diagnosi differenziale tra lesione solida e liquida è propria dell'ecografia, la TC consente la corretta definizione delle caratteristiche di una lesione solida in ragione degli aspetti densitometrici di base e dopo somministrazione di mezzo di contrasto iodato per via endovenosa. Così, per es., risulta possibile la differenziazione tra epatocarcinoma (maligno) e angioma (benigno). La RM ha un ruolo diagnostico sovrapponibile a quello della TC, anche se, grazie alla multiplanarità dell'esame, la rappresentazione iconografica derivabile è particolarmente dettagliata. La possibilità di differenziare lesioni focali epatiche può inoltre essere attuata con l'ausilio di differenti sequenze di indagine, senza iniezione di mezzo di contrasto. La colangiografia a risonanza magnetica consente uno studio morfologico tridimensionale assai particolareggiato dell'albero biliare, estremamente superiore a quello ottenibile con le procedure diagnostiche di uso comune (colangiografia endovenosa, ecografia). L'angiografia, un tempo metodica principe nello studio del fegato, conserva un ruolo diagnostico prezioso per la diagnosi di natura delle lesioni focali, per la valutazione emodinamica del circolo portale e per un accurato bilancio preoperatorio. Pertanto, non vi si ricorre quasi mai come metodica di prima istanza, ma solo secondariamente, sulla base delle indicazioni emerse dall'impiego delle metodiche di indagine più semplici. L'approccio angiografico apre però notevoli possibilità terapeutiche grazie alle procedure di radiologia interventistica. Tra queste, meritano di essere citate la chemioembolizzazione dei tumori epatici primitivi e secondari, il trattamento di aneurismi e pseudoaneurismi dell'arteria epatica, l'attuazione di derivazioni portosistemiche non chirurgiche per la decompressione del sistema portale. La radiologia interventistica ha anche applicazioni non vascolari: drenaggio percutaneo di raccolte ascessuali, biopsie di lesioni focali, aspirazione di formazioni cistiche di cospicue dimensioni. In quest'ambito va considerato anche il grande capitolo dell'interventistica biliare, che consente di effettuare valutazioni iconografiche dell'albero biliare in condizioni ostruttive (ittero) attraverso la colangiografia percutanea transepatica, di trattare stenosi biliari maligne e benigne con l'ausilio di cateteri di drenaggio e di endoprotesi plastiche o metalliche, di rimuovere calcoli situati nelle vie biliari intraepatiche e pertanto non aggredibili chirurgicamente, se non con procedure particolarmente demolitive. L'acme della rappresentazione iconografica biliare è senz'altro rappresentata dalla colangioscopia percutanea transepatica, metodica marcatamente invasiva, ma che consente una definizione perfetta dell'albero biliare, visto dall'interno. Pancreas La rappresentazione diagnostica per immagini del pancreas è soprattutto affidata a ecografia, TC e RM, mentre angiografia e colangiopancreatografia per via retrograda endoscopica (CPRE) hanno un ruolo complementare. La radiologia tradizionale non dà risultati significativi: le informazioni rilevabili da un esame diretto, analogamente a quanto accade per il fegato e la milza, sono assai scarse e si limitano soprattutto al riscontro di radioopacità da calcificazioni o di un'insolita distribuzione del contenuto gassoso intestinale. L'ecografia è da considerarsi metodica diagnostica di prima istanza, anche se non sempre il pancreas è visualizzabile per intero, in relazione alla sua posizione retrogastrica, che rende meno agevole la sua identificazione. TC e RM consentono invece una valutazione spaziale ottimale e una corretta definizione sia degli aspetti patologici sia dei rapporti con le strutture anatomiche adiacenti. La RM, grazie alla multiplanarità e, soprattutto, all'uso di sequenze diagnostiche particolari, è dotata di una sensibilità diagnostica elevatissima nella valutazione delle piccole lesioni focali pancreatiche. Lo studio angiografico del pancreas, che ha avuto notevole diffusione prima della diffusione dell'ecografia e della TC, è indicato in tre fondamentali condizioni: necessità di dirimere un dubbio diagnostico che persista dopo l'esecuzione degli esami più tradizionali; creazione di una mappa vascolare preoperatoria; studio della funzione secernente in presenza di particolari neoplasie del pancreas endocrino. La CPRE rende possibile la dimostrazione diretta del dotto pancreatico principale di Wirsung e quello accessorio di Santorini, attraverso l'iniezione diretta di mezzo di contrasto. La procedura è discretamente invasiva, in quanto basata sull'esecuzione di una gastroduodenoscopia, sull'incannulamento della papilla di Water e, attraverso questa, del dotto di Wirsung, sulla somministrazione di mezzo di contrasto iodato e sull'acquisizione di una serie di radiogrammi. Il suo significato iconografico è interessante nella definizione dell'impegno e dell'estensione di patologie pancreatiche infiammatorie e neoplastiche, ma il suo uso è generalmente limitato e complementare alle altre metodiche di indagine. Milza e linfonodi La rappresentazione iconografica della milza è tipicamente di competenza dell'ecografia, che ne consente un'accurata valutazione morfologica, volumetrica e strutturale e permette di rilevare le rare patologie propriamente spleniche, quali lesioni a focolaio o esiti traumatici. Soprattutto nel traumatizzato la valutazione ecografica è da considerarsi procedura di prima istanza. La radiologia tradizionale non fornisce valutazioni significative sulla milza: gli unici reperti iconografici, nel complesso secondari, sono legati alla presenza di immagini a densità calcifica (cisti, pseudocisti, esiti calcifici di infarto splenico). TC e RM sono metodiche diagnostiche complementari all'ecografia nella definizione iconografica della milza: a esse si ricorre in caso di dubbi diagnostici, soprattutto quando sia necessario definire la presenza di lesioni traumatiche. L'angiografia splenica ha un ruolo diagnostico relativamente scarso. Ne va tuttavia segnalata l'importanza, in quanto essa apre la porta alla radiologia interventistica, attraverso la quale è possibile, per es., trattare con procedure di embolizzazione condizioni di splenomegalia. La diagnostica per immagini dell'apparato linfatico riconosce ancora come metodica principe la linfografia diretta: questa consente, attraverso l'iniezione diretta di un opportuno mezzo di contrasto iodato (Lipiodol), di opacizzare le vie linfatiche a valle e i linfonodi cui queste fanno capo. Il mezzo di contrasto liposolubile, non miscibile con la linfa, espelle quest'ultima dai collettori, così da creare un vero e proprio calco del loro lume. L'aspetto che ne deriva è quello di sottili cordoni omogeneamente radioopachi e di calibro piuttosto uniforme, che in prossimità delle stazioni linfonodali assumono un aspetto moniliforme per la presenza di formazioni valvolari. In fase di riempimento completo, i linfonodi si presentano comunemente come formazioni tondeggianti od ovalari, radioopache, con aspetto microgranulare. La rappresentazione iconografica è effettuabile con esame radiografico diretto, mediante il quale è possibile rilevare la mappa delle stazioni linfonodali del distretto di interesse. Alcune stazioni linfonodali, per es. quelle addominali retroperitoneali o del collo, ma non i relativi dotti collettori, possono essere studiate con l'ecografia, ma solo quando i linfonodi sono aumentati di volume. L'aspetto morfologico dei linfonodi e le loro dimensioni forniscono informazioni diagnostiche importanti. La possibilità di effettuare valutazioni eco-color-doppler consente di identificare modelli iconografici caratteristici, permettendo per es. la diagnosi differenziale tra semplice iperplasia e un aumento di volume determinato da una neoplasia. TC e RM forniscono un'accurata valutazione topografica delle stazioni linfonodali dei diversi distretti corporei. È soprattutto importante la possibilità di valutare le stazioni linfonodali addominali profonde e retroperitoneali e quelle mediastiniche, non studiabili con altre metodiche. Apparato urinario La radiologia ha offerto grandi possibilità di studio morfologico, e talora anche funzionale, dell'apparato urinario ai suoi diversi livelli. L'avvento dell'ecografia e della tomografia computerizzata, di conseguenza, non ha avuto per questo apparato ripercussioni rivoluzionarie, come è invece accaduto per fegato e pancreas. L'approccio diagnostico per immagini della radiologia tradizionale, basato sull'esame diretto e sull'urografia endovenosa, mantiene ampia validità nella quasi totalità delle situazioni cliniche; alcune metodiche di seconda istanza sono diventate invece obsolete (retropneumoperitoneo) o di uso più mirato (angiografia). L'esame radiologico diretto costituisce il primo atto, del tutto imprescindibile, nello studio diagnostico per immagini dell'apparato urinario. Esso consente infatti di apprezzare le ombre renali, meglio evidenziabili in presenza di abbondante tessuto adiposo perirenale, identificandone morfologia, volume e profili, di studiare il presumibile decorso ureterale alla ricerca di calcificazioni patologiche, di identificare il margine esterno dei muscoli psoas, la cui assenza può essere espressione di infiltrazione flogistica o neoplastica, di valutare la regione vescicale e le parti scheletriche circostanti. La rappresentazione iconografica relativa, anche se sfumata per l'occhio profano, consente comunque valutazioni diagnostiche significative. Lo studio morfologico assume connotazioni di tipo funzionale nell'urografia endovenosa, che consente l'analisi morfologica della via escretrice nella sua totalità (dal rene alla vescica, anche in fase minzionale), grazie all'escrezione, attraverso l'emuntorio renale, di mezzi di contrasto triiodati idrosolubili iniettati per via endovenosa. In corso di urografia si riconoscono due fasi funzionali fondamentali: la fase nefrografica, espressione della perfusione parenchimale, che consiste in un aumento omogeneo e fugace del tono d'ombra del parenchima renale, e la fase calicopielografica, espressione della filtrazione glomerulare e del riassorbimento idrico tubulare, che, attraverso la formazione di urina iodata, determina la progressiva visualizzazione di calici, ampolla, ureteri e vescica. I reperti patologici sono definiti dalla ridotta o assente opacizzazione del parenchima renale e della cavità calicopielica, dalla presenza di aree vascolarizzate non funzionanti in senso escretore, di aree avascolari che determinano un aspetto disomogeneo o lacunare del nefrogramma, e di difetti di riempimento ('immagini di minus') a livello del sistema escretore. L'urografia endovenosa è impropriamente definita pielografia discendente, per distinguerla dalla pielografia ascendente, procedura ormai obsoleta, che consiste nell'opacizzazione retrograda del sistema ureteropielocaliceale, attraverso l'iniezione di mezzo di contrasto iodato, previa cateterizzazione del meato ureterale interno per via cistoscopica. Le applicazioni della pielografia sono molto ridotte, limitandosi allo studio delle vie escretrici di un rene funzionalmente escluso o a esami di dettaglio del sistema calicopielico. La fase terminale di un esame urografico è costituita dalla cosiddetta cistografia discendente, che consente un valido studio radiologico 'a calco' della vescica. Questa può comunque essere direttamente riempita di mezzo di contrasto, mediante cateterismo transuretrale con mezzo di contrasto opaco o gassoso. Tale procedura consente un'importante valutazione funzionale: lo studio della minzione (uretrocistografia retrograda e minzionale). In tal modo, è possibile eseguire una sequenza radiografica che documenta gli aspetti dinamici dello svuotamento vescicale e del riempimento uretrale. L'ecografia, che pure ha un ruolo fondamentale nello studio delle strutture parenchimali, non ha del tutto soppiantato le metodiche della radiologia tradizionale nella valutazione dell'apparato urinario. Il ricorso all'ecografia è comunque irrinunciabile nello studio del rene in cui urograficamente non si sia rilevato nulla, nella definizione delle nefropatie mediche, nella valutazione delle masse renali e nello studio del rene trapiantato. Il color-doppler ha aperto nuovi orizzonti all'ecografia, consentendo di studiare l'arteria renale (di particolare importanza nel sospetto di ipertensione nefrovascolare) e le sue ramificazioni intraparenchimali. La diagnosi di rigetto di un trapianto renale si basa, per es., sulla valutazione ecografica e color-velocimetrica del rene trapiantato stesso. La valutazione ecografica della vescica (da eseguirsi a viscere repleto di liquido) consente un'analisi della morfologia del viscere, dello spessore delle sue pareti, della presenza di neoplasie, nonché una valutazione del residuo postminzionale. L'utilizzo delle sonde endorettali permette anche lo studio dinamico dell'atto minzionale, con valutazione dell'influenza di un'eventuale ipertrofia prostatica sulla minzione. TC e RM sono metodiche complementari a quelle già descritte, che consentono di ottenere informazioni aggiuntive sul sistema urinario e sulle strutture circostanti. L'indicazione principale è rappresentata dallo studio delle masse renali o dalla stadiazione di lesioni renali, vescicali o prostatiche già note. Due interessanti prospettive iconografiche e diagnostiche sono offerte dalla risonanza magnetica: angiografia a RM, nello studio delle arterie renali, e pielografia a RM. Quest'ultima fornisce un'informazione tridimensionale sul sistema escretore calicopieloureterale non conseguibile con altre metodiche, se non forse con la pielografia ascendente. Il ruolo dell'angiografia è stato ridimensionato dall'introduzione delle nuove tecniche di immagine. Essa conserva comunque due indicazioni precipue: tumori renali e ipertensione nefrovascolare. La stenosi di un'arteria renale può infatti essere definita con un esame eco-color-doppler, ma la conferma definitiva viene proprio dall'esame angiografico. Le metodiche angiografiche consentono anche l'attuazione di procedure terapeutiche, quali la dilatazione di una stenosi dell'arteria renale (angioplastica) e l'eventuale posizionamento di uno stent metallico, con risoluzione del quadro ipertensivo. Nell'ambito della radiologia interventistica devono essere ricordate anche la flebografia renale selettiva, effettuata ai fini del dosaggio diretto di renina, creatinina e catecolamine plasmatiche, e il drenaggio delle cisti renali sintomatiche. Apparato genitale maschile La rappresentazione iconografica dell'apparato genitale maschile è sostanzialmente affidata all'ecografia, che consente un'accurata valutazione morfologica e, talora, con l'ausilio del color-doppler (per es. in presenza di un varicocele), anche funzionale, dello scroto (testicoli ed epididimi), della prostata, delle vescicole seminali e del pene. Le indicazioni sono molteplici. Per lo scroto sono rappresentate dallo studio della sede e della volumetria dei testicoli (soprattutto nei bambini e in caso di testicolo ritenuto) e delle alterazioni flogistiche (epididimiti, orchiti, tubercolosi), vascolari (varicocele) e neoplastiche (seminoma). L'esame della prostata, effettuabile sia con approccio esterno sia con sonde endorettali, fornisce informazioni sul volume e sulla presenza di alterazioni flogistiche (ascessi, calcificazioni), di ipertrofia adenomatosa o di tumori della porzione periferica. Lo screening per il cancro della prostata, spesso basato su esplorazione rettale e dosaggio degli ormoni prostatospecifici, non può in realtà prescindere da un'accurata valutazione ecografica, eventualmente corredata da biopsia. Lo studio del pene è limitato alla valutazione di placche nei corpi cavernosi, possibile espressione di induratio penis plastica (malattia di Laperonie), e può essere utilmente integrato da un'accurata valutazione color-doppler nello studio delle diverse condizioni di impotenza. Hanno un significato oramai quasi storico l'esame radiografico diretto, alla ricerca di calcificazioni, e la vescicolo-deferentografia, che permette di valutare la via seminale attraverso l'iniezione diretta di mezzo di contrasto iodato nei dotti deferenti. TC e RM consentono un buon esame della prostata, ma la loro indicazione iconografica fondamentale è costituita dalla stadiazione della patologia neoplastica, cioè dalla definizione della presenza di estensione locale e a distanza del tumore. Interessanti prospettive sembra avere l'uso in RM di bobine endorettali, che consentono una valutazione delle morfologia, con corretta identificazione del tumore e del suo grado di estensione locale. Apparato genitale femminile Poiché la pneumopelvigrafia, cioè lo studio dell'apparato genitale femminile con radiografia standard, dopo insufflazione peritoneale di circa 1500 ml di anidride carbonica o di protossido d'azoto, è una metodica di interesse puramente storico, la radiologia tradizionale trova la sua principale rappresentazione iconografica nella isterosalpingografia, che conserva un ruolo diagnostico irrinunciabile, soprattutto nello studio dell'infertilità. L'esame, basato sull'inoculazione attraverso il canale cervicale di mezzo di contrasto endouterino, fornisce l'immagine 'a calco' della cavità uterina e rende possibile una valutazione accurata della pervietà tubarica; ha talvolta, per quanto riguarda i problemi di fertilità, anche un effetto terapeutico, in quanto consente il miglioramento della transitabilità delle tube nel 30-50% dei casi. La metodica principe nella valutazione morfologica dell'apparato genitale femminile è senza dubbio l'ecografia, che permette lo studio dell'utero (compresi endometrio e regione cervicale), delle regioni annessiali, dello scavo di Douglas e, naturalmente, della vescica. L'esame ecografico, tradizionalmente eseguito dall'esterno (cosiddetto 'approccio sovrapubico'), può giovarsi anche, in condizioni particolari, di speciali sonde endocavitarie, endovaginali ed endorettali. L'esame ecografico endovaginale (definito anche, impropriamente, 'ecografia transvaginale') consente, con il semplice ausilio di una sottile sonda vaginale, inseribile senza speculum, una più accurata valutazione della struttura miometriale, dell'endometrio e delle regioni annessiali, soprattutto quando si debbano valutare le caratteristiche di processi occupanti spazio. La documentazione iconografica di una formazione cistica si giova pienamente di questa tecnica diagnostica, nella differenziazione tra cisti semplice, cisti dermoide e cisti complessa. L'esame ecografico con sonda endorettale, senz'altro di uso meno comune, consente lo studio della regione cervicale (in presenza di tumori è fondamentale per la valutazione della operabilità) ed eventualmente del distretto annessiale, evitando l'accesso dalla vagina. TC e RM forniscono una corretta ricostruzione spaziale dell'entità e delle modalità di diffusione pelvica di tumefazioni maligne a carico degli annessi, oltre a definire la presenza di localizzazioni secondarie, sia a livello linfonodale sia in sedi distanti (per es., fegato, polmone ecc.). Soprattutto la RM, per la ben nota multiplanarità, permette una valutazione tridimensionale dell'apparato genitale. L'utilizzo di sequenze particolari e la somministrazione di mezzo di contrasto paramagnetico (gadolinio) rendono possibile una precisa valutazione strutturale dell'endometrio e della cervice. Quest'ultima può essere ampiamente studiata anche con le bobine endorettali, di recentissima introduzione.