ATLANTE ("Ατλας, Atlas)
In Omero A. porta direttamente, cioè sul suo corpo, le colonne che reggono il cielo poggiando sulla terra, abita nel lontano mare occidentale, dove ha pure dimora la figliuola sua Calipso, conosce tutte le profondità marine, ed è ricco, oltre che di forza e di sapere, anche di malizia, in conformità della natura del mare, di cui è un'emanazione, in quanto personifica in particolar modo la formidabile forza di portare che le onde marine posseggono. Una immagine poco dissimile ci porge di lui la Teogonia esiodea: Atlante abita l'estremo occidente al limite della terra, presso le Esperidi e davanti alla casa della Notte dove la notte e il giorno s'incontrano; colà egli porta il cielo col capo e con le instancabili mani. Sono soltanto scomparse le colonne. Contaminazione tra la versione omerica e l'esiodea troviamo nei lirici e nei tragici. Presso i poeti più tardi A. porta la sfera celeste o ne volge l'asse. L'arte figurata contemporanea a questi più tardi poeti lo rappresenta con espressione non più serena come l'antica, ma con espressione di dolorosa fatica. Evidentemente l'imposizione di quel peso la si concepisce da quegli autori come una pena inflitta ad A., concezione, del resto, che non sembra estranea già ad Eschilo stesso, il quale lo ricorda per bocca di Prometeo insieme con Tifone. Egli pertanto, che abitualmente è fatto figlio di Giapeto e di Climene, è uno dei Titani, e come tale deve aver preso parte alla lotta contro Zeus, da cui dev'essere stato condannato a quell'espiazione. I poeti classici concepiscono sempre A. come persona, né è in loro appiglio alcuno a farlo intendere come derivazione da un alto monte che sembrasse sostener la vòlta del cielo. Questa concezione appare per la prima volta in Erodoto, il quale parla di un monte nel nord-ovest dell'Africa che gli abitanti del luogo chiamano A. e dicono colonna del cielo. Si fissa da allora nell'Africa nord-ovest il sito ove si trova A., e da lui si dà il nome di Atlantico al mare che lo bagna e all'ipotetica isola Atlantide. Col diffondersi poi dell'interpretazione evemeristica, dapprima si favoleggia che A. fosse un re o un pastore mutato da Perseo mediante la testa di Medusa in monte, e poi si giunge addirittura a fare di lui un astronomo e un matematico, inventore della sfera. Molte furono le antiche rappresentazioni figurate concernenti il mito di A.: con una certa speciale predilezione venne riprodotto l'incontro di Eracle con A., allorché quegli andò alla conquista dei pomi delle Esperidi, come ad esempio in una delle metope del tempio di Zeus ad Olimpia. Bella assai è una statua marmorea ellenistica a Napoli, dove il volto esprime assai vivamente la dolorosa fatica che A. sopporta.
Bibl.: Cfr. Stoll-Furtwängler, in Roscher, Lexikon, I, i, colonne 704-711; Wernicke, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., II, 2, coll. 2119-2133; Vinet, in Daremberg e Saglio, Dictionnaire des antiq. grecques et romaines, I, i, pp. 526-28.