Atletica - Le specialità: gli ostacoli
Le gare con ostacoli sono un'invenzione dell'atletica moderna. Le prime si sarebbero svolte nel famoso collegio inglese di Eton tra il 1830 e il 1840. F.A.M. Webster nel suo libro Athletics of today (1929) scriveva: "Vi furono gare a ostacoli nel collegio di Eton al più tardi nel 1837, e questa è la più antica notizia di questo tipo di sport che ho potuto trovare, ma in Bell's of Life del 1853 è fatta menzione di un incontro fra due dilettanti, in cui era compresa una corsa con 50 ostacoli alti ciascuno 106,7 centimetri (3 piedi e 6 pollici)…". Il primo autentico record sulle corse a ostacoli fu stabilito da A.W.T. Daniel che vinse la gara delle 120 yards (109,72 cm) a ostacoli alti nell'incontro Oxford-Cambridge del 1864, in 17″3/4. Nei primi tempi gli ostacoli erano vere e proprie barriere fissate nel terreno e quindi per superarle senza rischio di cadere gli atleti erano costretti a compiere autentici balzi.
Attualmente nelle grandi manifestazioni internazionali si corrono due tipi di gare sugli ostacoli: i 110 m (cosiddetti ostacoli alti), che per le donne sono ridotti a 100 m, e i 400 m. Ormai assai di rado viene corsa la gara dei 200 m ostacoli (barriere da 76 cm), il cui record la IAAF non riconosce più dal 1976. Queste gare, anche a prescindere dalla distanza, hanno caratteristiche diverse tra di loro.
Nei 110 m ostacoli maschili ci sono dieci barriere, alte 1,067 m. La distanza tra la partenza e la prima barriera è di 13,72 m (l'equivalente di 15 yards), tra una barriera e l'altra è di 9,14 m (10 yards), tra l'ultima barriera e l'arrivo è di 14,02 m. Queste misure sono le stesse con le quali la gara vide la luce nel già citato incontro tra Oxford e Cambridge del 1864. L'unica differenza è rappresentata dal fatto che nel 1864 la lunghezza complessiva era di 120 yards. Fu la Federazione francese nel 1888 ad aggiungere i quasi 28 cm tra l'ultimo ostacolo e l'arrivo portando la lunghezza della gara a 110 m.
Nei 100 m ostacoli femminili le barriere sono ugualmente dieci e sono alte 84 cm. Tra la partenza e il primo ostacolo ci sono 13 m, tra un ostacolo e l'altro 8,50 m, tra l'ultimo ostacolo e l'arrivo 10,50 m. Quando nel 1926 fu istituita la prima gara a ostacoli per le donne fu scelta una distanza di 80 m con otto barriere alte 76 cm e distanti 8 m l'una dall'altra. La IAAF ha sostituito questa gara con gli attuali 100 m a partire dal 1969.
Nei 400 m ostacoli gli uomini affrontano dieci barriere alte ciascuna 91,4 cm (i cosiddetti ostacoli intermedi). Tra una barriera e l'altra c'è una distanza di 35 m. Tra la partenza e il primo ostacolo bisogna percorrere 45 m, mentre tra l'ultimo ostacolo e l'arrivo ci sono 40 m. La gara femminile presenta le stesse misure, ma le barriere sono alte 76,2 cm. Per quanto riguarda la competizione maschile, la gara ha mantenuto le stesse caratteristiche (natura delle barriere a parte) con cui esordì ai Giochi Olimpici del 1900. A una prima gara sulle 440 yards, ma con dodici ostacoli di altezze variabili (106 e 76 cm), si fa riferimento durante una riunione del 1860 a Oxford.
I 200 m ostacoli furono presenti, come terza gara con i 110 e i 400 m, anche in due edizioni dei Giochi Olimpici (1900 e 1904) e furono molto popolari soprattutto negli Stati Uniti, dove spesso si correva in rettilineo. Gli ostacoli erano sempre dieci ma alti appena 76,2 cm (ostacoli bassi) e posti a una distanza l'uno dall'altro di 18,29 m. Una prova dunque che esaltava soprattutto le qualità dei velocisti. Non per nulla tra i primatisti di questa specialità figurano nomi di grandi sprinter come Jesse Owens e Dave Sime, gli unici due atleti che abbiano detenuto i primati mondiali dei 200 m piani e degli ostacoli, Owens con 20,3″ e 22,6″, Sime con 20,0″ e 22,2″.
Oggi le barriere sono costituite da una struttura in metallo a forma di 'L' con una sbarra superiore in legno (o in materiale idoneo) larga 70 cm, di spessore compreso tra 1 e 2,5 cm, con il bordo superiore arrotondato e pitturata a strisce bianche e nere o in altri colori ben contrastanti. L'ostacolo deve essere costruito in modo tale che per abbatterlo serva una forza di almeno 3,6 kg e non superiore a 4 kg.
Questi ostacoli moderni furono 'inventati' nel 1935 da Harry Hillman, un americano di Brooklyn che nel 1904, ai Giochi di St. Louis, aveva vinto tre medaglie d'oro (200 e 400 m ostacoli e 400 m piani) ed era divenuto poi un famoso allenatore. Prima del 1935, per circa un trentennio, gli ostacoli consistevano in strutture mobili e individuali a forma di 'T' rovesciata e quando erano colpiti potevano causare danni evidenti, ma certo meno gravi di quelli che provocavano le prime barriere che, come già ricordato, erano fissate nel terreno, spesso su un'apposita pista in erba. All'utilizzo degli ostacoli costruiti su progetto di Hillman seguì la decisione della IAAF di cancellare una regola che fino ad allora aveva condizionato tutti gli ostacolisti: si era squalificati se venivano abbattute più di tre barriere. Bastava invece abbattere anche un solo ostacolo perché un eventuale record non venisse omologato.
Se ai primordi della specialità si poteva parlare di vero e proprio 'salto dell'ostacolo', per la mancanza di un gesto tecnico evoluto ma anche, soprattutto, per quella che era la rozza struttura delle barriere, oggi si parla solo di 'passaggio dell'ostacolo'. L'azione tecnica, sia sulle barriere alte sia sulle quelle intermedie, consiste in un gesto che consente la minor perdita possibile di velocità durante il superamento: non viene più considerato un salto ma soltanto uno speciale passo di corsa espresso con dinamismi elevati e accorgimenti tali da rendere meno 'fastidioso' possibile l'ostacolo che ci si trova davanti.
Nei 110 m (e in parte nei 100 m femminili) l'azione tecnica assume un significato fondamentale, mentre nei 400 m la distanza stessa e le barriere più basse possono consentire a un quattrocentista di valore, pur senza preparazione specifica, di affrontare la prova con esiti discreti. Le gare a ostacoli richiedono comunque, accanto a una velocità di base, adeguate capacità tecniche e di ritmo. Nei 110 e nei 100 m si compiono tre passi tra una barriera e l'altra; nei 400 m uomini il numero dei passi varia da 13 a 15 e nel finale si può arrivare anche a 16. Ovviamente un numero di passi pari implica la capacità di superare l'ostacolo variando la cosiddetta gamba di attacco. Fu il grande Edwin Moses il primo a riuscire a coprire tutti e nove gli intervalli tra un ostacolo e l'altro con 13 passi.
Il passaggio dell'ostacolo può essere quindi considerato uno speciale ed esasperato passo di corsa, un passo che per le barriere dei 110 m è lungo circa 3,20 m. A 2,10 m dall'ostacolo l'atleta lo attacca (non è importante specializzarsi con la sinistra o con la destra come gamba di attacco) con l'arto teso. Il punto più alto della parabola, che deve essere il più radente possibile, si raggiunge prima dell'ostacolo che deve essere superato in fase di discesa. La gamba di attacco va rapidamente a cercare il terreno a circa 1,10 m dopo l'ostacolo, mentre l'altra gamba (seconda gamba o di richiamo) viene lanciata verso l'avanti-alto e, per far salire le anche il minimo indispensabile al superamento della barriera, inizia a piegarsi all'altezza del ginocchio e ad abdursi a livello dell'anca in modo tale che la coscia viene a trovarsi parallela alla barriera. Così mentre la prima gamba sta discendendo rapidamente, la seconda continuerà ad avanzare per fuori e in avanti per poi rimettersi in linea di corsa il prima possibile. Durante tutta quest'azione sia il busto sia le braccia svolgono un ruolo di equilibrio: il busto nella fase di attacco dell'ostacolo sarà sul prolungamento dell'arto di pista con una leggera flessione in avanti e con le spalle lievemente in diagonale per consentire la torsione delle anche. Il braccio opposto alla gamba di attacco si distende in avanti mentre l'altro braccio si porta con il gomito in fuori per equilibrare l'azione dell'arto inferiore opposto.
Questa azione tecnica, che negli anni gli atleti sono riusciti a rendere sempre più raffinata, si accompagna a elevate capacità di dinamismo e velocità (sui 400 m ostacoli è necessaria anche una eccellente resistenza anaerobica) e a una struttura slanciata con mobilità articolare ottimale. Insomma gli ostacolisti debbono essere dei 'superatleti'. In questa disciplina, di norma, non c'è spazio per strutture fisiche modeste anche se, ovviamente, le eccezioni non mancano.
Si è già citato il nome di Arthur Daniel di Oxford come primo vincitore di una gara sulle 120 yards. Dopo il 1870 a uno studente di Cambridge venne attribuito il merito di una prima importante evoluzione tecnica: piuttosto che fare un balzo sull'ostacolo ricadendo su entrambi i piedi era meglio 'staccare' con un solo piede e toccare terra con l'altro in modo da riprendere più velocemente la corsa. Intanto nel 1865 a un inglese nato in India, Clement Jackson, fu attribuito un risultato di 16″, tutt'altro che disprezzabile. Nel 1891, a New York, l'americano Henry L. Williams corse le 120 yards in 15″4/5.
Ai primi Giochi Olimpici i 110 m ostacoli trovarono posto nel programma e fu un americano di Boston, Thomas Curtis, più velocista che ostacolista, a scrivere il suo nome in cima alla lista degli olimpionici. Curtis vinse in 17,6″ battendo di pochi centimetri l'inglese Grantley Goulding. Ma il primo vero ostacolista moderno fu certamente Alvin Christian Kraenzlein, uno dei fenomeni dell'atletica a cavallo dei due secoli. Ai Giochi di Parigi nel 1900 Kraenzlein (n. a Milwaukee nel 1876 e studente in odontoiatria alla Pennsylvania University), si aggiudicò quattro medaglie d'oro: oltre che nei 60 m e nel salto in lungo, vinse le due corse a ostacoli, i 110 m in 15,4″ e i 200 m in 25,4″. Nel 1898 aveva già stabilito grandi record sulle due distanze in yards: 15,2″ e 23,6″, primato, quest'ultimo, che durò per ben 25 anni. Atleta polivalente e fisicamente dotato (era alto 1,83 m), Kraenzlein fu il primo ad adottare la tecnica della gamba tesa all'attacco dell'ostacolo (lo stile straight leg). Gli inglesi tuttavia attribuirono questa importante innovazione a uno studente di Oxford, Arthur Crome, che l'avrebbe utilizzata, almeno in allenamento, già dal 1886.
Dopo Kraenzlein emersero altri atleti americani, capaci di dare nuovo impulso al perfezionamento dell'azione tecnica e quindi anche ai risultati. Il primo fu Forrest Smithson, nato nel 1881 a Portland in Oregon, che perfezionò l'azione di Kraenzlein ritardando la gamba di stacco o seconda gamba, così da ritrovarsi, alla discesa dagli ostacoli, in condizioni di maggiore equilibrio per riprendere la corsa. Ai Giochi Olimpici del 1908 vinse la gara stabilendo in 15,0″ quello che poi la IAAF (sorta nel 1912) accettò come primo record ufficiale della specialità. Smithson, fervente praticante (divenne poi un pastore battista), gareggiò con una Bibbia in mano per protestare contro la decisione di far disputare le gare anche la domenica, giorno dedicato a Dio.
Il primato di Smithson durò 12 anni. Nel 1916 scesero sotto i 15″ sulle yards il canadese Earl Thomson (14,8″) e poi l'americano Robert Simpson (14,6″). Entrambi superavano l'ostacolo con le due braccia protese in avanti, metodo che però non ebbe fortuna. Thomson, che era cresciuto dall'età di otto anni in California, dovette aspettare i Giochi Olimpici di Anversa nel 1920 per battere sulla distanza metrica, con 14,8″, il record di Smithson. Ma il canadese, atleta alto, potente e tecnicamente molto evoluto, aveva già corso, prima di Anversa (nel 1920 a Filadelfia), le 120 yards in uno straordinario 14,4″, tempo che fu record mondiale della distanza inglese per 11 anni e che lui stesso ripeté nel 1921.
Ai Giochi di Parigi del 1924 toccò all'americano di St. Louis Daniel Kinsey (che fu anche un eccellente lunghista) respingere l'avanzata di specialisti di altri paesi: sconfisse il sudafricano Sydney Atkinson e una coppia di svedesi, Sten Petterson e Carl-Axel Christiernsson. Petterson, detto 'Sten-Pelle', nel 1927 a Stoccolma corse i 110 m in 14,8″ eguagliando così il record di Thomson; nel 1925 a Parigi aveva già conquistato il record dei 400 m ostacoli correndo in 53,8″. Fino a oggi è stato l'unico atleta ad aver detenuto il primato mondiale su entrambe le distanze nelle corse a ostacoli. Nel 1930 migliorò il suo tempo in 14,6″ ma intanto il primato mondiale era passato nelle mani di un altro svedese, Eric Wennstrom, che il 25 agosto 1929, appena ventenne, aveva corso a Stoccolma in 14,4″. Il risultato suscitò molte perplessità ma venne comunque omologato. Wennstrom migliorò il tempo di 14,6″ che il sudafricano George Weightman-Smith aveva realizzato nelle semifinali dei Giochi di Amsterdam nel 1928. In finale arrivò solo quinto e la medaglia d'oro andò ad Atkinson, che si rifece della sconfitta subita quattro anni prima. Poi bisognerà aspettare il 1976 per vedere uno specialista non americano vincere l'oro olimpico.
A Los Angeles nel 1932 George Saling superò con il tempo di 14,6″ il più quotato e dotato (1,93 m per 77 kg) Percy Beard, che gli lasciò via libera dopo aver abbattuto il sesto ostacolo. Beard nel 1931 aveva corso le 120 yards in 14,2″, un tempo che seppe ripetere anche sulla distanza metrica nel 1934 a Oslo, dopo essere già diventato primatista dei 110 m con 14,3″ alcuni giorni prima a Stoccolma. Nel 1932, prima di vincere a Los Angeles, Saling aveva corso sulle 120 yards in 14,1″, risultato che venne omologato come primato universitario americano. Saling, che morì nel 1933 a soli 24 anni in un incidente d'auto, fu capace anche di correre in 22,8″ le 220 yards e in 52,1″ i 400 m ostacoli, quando il record era di 52,0″.
Alla metà degli anni Trenta sulla scena mondiale apparve un atleta che avrebbe scritto pagine importanti nella storia della specialità, Forrest 'Spec' Towns. Nato in Georgia, a Fitzgerald, nel 1914, Towns, dopo aver praticato il football e il salto in alto, a 20 anni cominciò a dedicarsi agli ostacoli. Dotato di buona velocità, acquisì presto una tecnica eccellente. Nel 1935, dopo un anno di attività, era già in grado di correre in 14,4″. La stagione seguente vinse i campionati universitari stabilendo con 14,1″ il nuovo record del mondo, risultato che ripeté, sulla distanza metrica, nelle semifinali olimpiche di Berlino, mentre vinse l'oro con un eccellente 14,2″, battendo per due decimi la stella europea dell'epoca, il britannico Donald Finlay. Ma la vera impresa non era ancora arrivata: tre settimane dopo i Giochi, a Oslo, Towns stupì tutti correndo in 13,7″, quattro decimi in meno del suo record precedente. Egli stesso apparve scettico sulla regolarità del risultato, anche se tutto sembrò a posto: cinque cronometristi avevano fermato il tempo tra i 13,6″ e i 13,8″; il vento era assente e la distanza percorsa esatta. Ma la IAAF omologò il risultato solo due anni più tardi. Il tempo di Towns venne eguagliato dal texano Fred Wolcott, un autentico velocista, sprinter da 9,5″ sulle 100 yards nel 1941 a Filadelfia, durante i campionati americani. Wolcott, che fu anche primatista mondiale delle 220 yards con ostacoli in rettilineo (con 22,5″ tolse il primato addirittura a Jesse Owens) nel 1940 era già sceso a 13,7″ ma sulle 120 yards.
La guerra fermò i progressi della specialità, ma già nel 1945 un soldato americano di colore cominciò a farsi notare sulle piste europee. Si chiamava Harrison Dillard, soprannominato 'Bones' ("ossa", a causa del suo fisico asciutto), era assai veloce ma possedeva una tecnica non eccezionale anche a causa di una statura non eccelsa (1,78 m). Si era appassionato all'atletica a 13 anni quando aveva assistito a Cleveland, sua città natale, alla trionfale parata in onore di Owens che gli regalò, per incoraggiarlo, un paio di scarpe chiodate. In Europa, nel 1946, Dillard corse i 110 m in 14,0″, ma tornato in patria fu tutto un progredire, arrivando a 13,6″ sulle yards nel 1948. Tra gare indoor e all'aperto riuscì a rimanere imbattuto per 82 volte. La sua serie positiva finì ai campionati AAU (Amateur athletic union) in luglio, quando fu sconfitto da Bill Porter, dopo aver voluto correre troppo: quattro gare (batterie e finali) tra 100 m e 110 m. Si presentò sulle due distanze anche ai Trials olimpici che si disputarono a Evanston e nella prima giornata, sui 110 m ostacoli, dopo avere abbattuto tre barriere, si ritirò. Il sogno della medaglia d'oro da vincere a Londra era svanito, ma non del tutto. Dillard, che era capace di correre in 10,3″ i 100 m, riuscì a qualificarsi come terzo nella prova di sprint. A Londra Porter vinse la gara a ostacoli e Dillard i 100 m e la staffetta 4x100. L'oro negli ostacoli arrivò quattro anni più tardi, a Helsinki, dove batté con 13,7″ il connazionale Jack Davis, e vinse anche la 4x100. Non partecipò alle gare a Helsinki, bloccato da un infortunio, colui che era stato l'uomo emergente della specialità, Richard Dick Attlesey. Alto 1,93 m, non troppo veloce, aveva però una tecnica eccellente. Nel 1950 a Fresno corse le 120 yards in 13,5″ ripetendosi sulla distanza metrica con 13,6″ ai campionati americani, risultato che venne omologato come nuovo primato del mondo e che Attlesey portò poi a 13,5″ sempre in quell'anno a Helsinki.
Passarono ben sei anni prima che il risultato venisse migliorato. L'onore toccò a Jack Davis, corridore texano come Wolcott (n. ad Amarillo l'11 settembre 1931). Dotato di un'ottima velocità di base, si allenava con un impegno inconsueto per quegli anni. Nel 1956, nelle batterie dei campionati americani, fece fermare i cronometri sul tempo di 13,4″, nuovo record del mondo. In finale però arrivò ex aequo con un atleta di colore del Mississippi in grande crescita, Lee Calhoun che ai Giochi di Melbourne gli soffiò la medaglia d'oro: 13,5″ il tempo per entrambi (13,70″ contro 13,73″ al cronometraggio elettronico), il tutto con un vento contrario di 1,9 m/s. In quella gara arrivò quarto, dopo Joel Shankle, il terzo atleta americano, un tedesco di Colonia di 19 anni, Martin Lauer, che in settembre era diventato il primo europeo a rompere con 13,9″ la barriera dei 14″, vent'anni dopo l'impresa di Towns.
Lauer sapeva coniugare alla perfezione velocità (sui 100 m arrivò a 10,4″ e a 10,2″ in condizioni di vento favorevole) e tecnica. Tra il 1957 e il 1958 corse sei volte in 13,7″. Il 16 maggio 1959, a Zurigo, portò il suo tempo a 13,5″, il 7 luglio scese addirittura a 13,2″, togliendo così a Davis il record del mondo. Fu un risultato che non convinse, tanto più che cinque atleti su sette migliorarono o eguagliarono i loro primati. Il tempo elettronico di 13,56″ faceva ritenere probabile, piuttosto, un cronometraggio manuale vicino ai 13,4″. Di certo fu di aiuto il vento che spirava a 1,9 m/s, ai limiti consentiti per l'omologazione dei record. Il giorno della verità arrivò nel 1960, con la finale olimpica di Roma. Calhoun, che aveva già corso anche lui, il 21 agosto a Berna, in 13,2″, vinse in 13,8″ come il connazionale Willie May (13,98″ contro 13,99″ i riscontri automatici), terzo arrivò un altro americano, Hayes Jones, e solo quarto, proprio come a Melbourne, Lauer. Calhoun era il primo atleta a vincere due volte l'oro sui 110 m ostacoli.
A Tokyo nel 1964 gli Stati Uniti persero, per un infortunio in semifinale, Willie Davenport, il sorprendente vincitore dei Trials. Ma bastarono Hayes Jones (un atleta di colore imbattibile nelle prove indoor) e Blaine Lindgren per contrastare gli europei, tra i quali erano presenti ben tre italiani, tutti classificatisi per la finale. Il più bravo fu Eddy Ottoz, un giovane di 20 anni dell'Alta Savoia, che arrivò quarto in 13,8″ dietro al sovietico Anatoly Mikhailov. Il pescarese Giovanni Cornacchia fu settimo e ottavo il veneziano Giorgio Mazza. Fu una giornata storica per l'ostacolismo azzurro che aveva nel bresciano Alessandro Calvesi un maestro destinato a diventare famoso in tutto il mondo.
Nel passato l'Italia aveva avuto buoni specialisti degli 'alti', ma nessuno aveva mai raggiunto una finale olimpica, anche se ci aveva provato, nel 1912 a Stoccolma e nel 1920 ad Anversa, il padovano Daciano Colbacchini, che nel 1920 ottenne addirittura un risultato di 15″1/5, tempo peraltro mai omologato come record italiano. L'unica medaglia internazionale era stata l'argento europeo conquistato da Cornacchia nel 1962. Ottoz divenne il miglior specialista europeo (fu campione continentale nel 1966 e poi nel 1969), in grado anche di impegnare gli specialisti americani a casa loro, sulle piste indoor (nel 1967 effettuò una tournée e vinse tre volte in sette gare).
Ai Giochi del 1968 a Città del Messico l'oro non sfuggì al miglior americano degli ultimi anni, Davenport, mentre non fu presente Earl McCullogh che nel 1967 aveva eguagliato il record di Lauer e Calhoun. Davenport vinse in 13,33″ davanti al connazionale Ervin Hall e a Ottoz, che realizzò un tempo di 13,46″, che sarebbe rimasto il primato italiano per 26 anni (lo superò nel 1994 il figlio di Ottoz, Laurent, con 13,42″). Davenport, che l'anno successivo eguagliò il record mondiale, fu presente in altre due Olimpiadi: a Monaco arrivò quarto e a Montreal terzo. Nel 1980 fece un'altra apparizione olimpica, ma stavolta ai Giochi invernali, con la squadra statunitense di bob a quattro.
A Monaco nel 1972 tutti dovettero fare i conti con Rod Milburn, nato in Louisiana nel 1950, che aveva, nel superamento dell'ostacolo, una rapidità mai vista prima. Nel 1971 corse le 120 yards in 13,0″, ma ai Trials rischiò di rimanere fuori dalla squadra olimpica e conquistò il terzo posto solo per un soffio. Ai Giochi vinse in 13,24″, risultato che formalmente eguagliava il mondiale ma che la IAAF riconobbe come primo record con cronometraggio elettronico, quando, dal 1° gennaio 1977, decise di non omologare più, per la velocità e gli ostacoli, tempi cronometrati manualmente. Intanto nel 1973, sempre a Zurigo, Milburn si portò a 13,1″, cancellando il 13,2″ di Lauer, Calhoun, McCullogh, Davenport e che aveva precedentemente ottenuto lui stesso. Milburn ripetè il 13,1″ alcuni giorni dopo a Siena, poi passò al professionismo con la troupe di Mike O'Hara.
A Monaco, alle spalle di Milburn, era giunto un francese di neppure 22 anni, Guy Drut, che seguiva anche i consigli tecnici di Calvesi. Dopo aver vinto gli Europei del 1974, nel 1975 ottenne prima il tempo di 13,28″ (primato europeo automatico) a Saint-Étienne, poi a luglio a Saint-Maur corse in 13,1″, e infine in agosto a Berlino in 13,0″, nuovo record del mondo, l'ultimo con cronometraggio manuale. Ai Giochi di Montreal 1976 Drut non fallì le aspettative e vinse l'oro olimpico, primo europeo della storia, in 13,30″. Secondo arrivò il cubano Alejandro Casanas, solo terzo il primo degli americani, Davenport, ormai trentatreenne.
Gli americani furono assenti dal podio nei Giochi di Mosca del 1980 per colpa del boicottaggio voluto dal presidente Carter. In quell'occasione l'oro andò al tedesco dell'Est Thomas Munkelt, mentre Casanas, che nel 1977 aveva ottenuto il record del mondo con 13,21″, fu ancora secondo. Rimase privo della possibilità di concorrere al titolo olimpico il nuovo atleta prodigio degli ostacoli, Renaldo 'Skeet' Nehemiah (n. nel 1959 a Newark, nel New Jersey). All'high school, a 18 anni, Nehemiah aveva corso i 110 m ostacoli, con barriere da 99 cm in 12,9″. Nel 1978 era già il numero uno, con un tempo di 13,23″ ottenuto a Zurigo. Nel 1979, a San José, divenne primatista del mondo con 13,16″, tempo che il 6 maggio, a Los Angeles, portò addirittura a 13,0″. Si consolò del mancato successo olimpico raggiungendo nel 1981 a Zurigo il suo sogno di rompere la barriera dei 13″. Corse una gara perfetta che concluse in 12,93″, lasciando a 13,03″ un altro nuovo campione, Greg Foster (n. nell'Illinois nel 1958) che per quindici anni poi fu ai vertici della specialità. Ma né Nehemiah, né Foster riuscirono mai a conquistare l'oro olimpico. Nehemiah, dopo il record, decise di passare al professionismo nel football americano con la squadra dei San Francisco 49ers; cercò poi di essere reintegrato dalla IAAF come 'amateur' e ottenne il via libera nel 1986, ma ormai i tempi d'oro erano passati e non riuscì a qualificarsi per i Giochi di Seul del 1988. Foster invece fu medaglia d'argento a Los Angeles, battuto per tre centesimi di secondo da Roger Kingdom.
Nato in Georgia, Kingdom fu il dominatore della seconda metà degli anni Ottanta: vinse a Los Angeles nel 1984 contro il favorito Foster e nuovamente (secondo atleta dopo Calhoun a collezionare due medaglie d'oro olimpiche) nel 1988 a Seul, correndo in 12,98″ (in agosto, sui 2000 m di altitudine del Sestriere, era già sceso a 12,97″), nonostante una serie di gravi infortuni gli avesse impedito di essere competitivo nel 1986 e nel 1987. Ai Mondiali del 1987 era stato costretto a lasciare via libera a Foster che aveva vinto già nell'edizione di apertura del 1983 e che conquistò l'oro anche nel 1991 a Tokyo, dove Kingdom, operato due volte al ginocchio destro, fu ancora assente. Ma nel frattempo Kingdom era riuscito, dopo la doppietta olimpica, a raggiungere un altro traguardo: diventare primatista del mondo. L'impresa fu compiuta, sempre a Zurigo sulla pista dei record, il 16 agosto del 1989 con 12,92″, tempo inferiore di un centesimo a quello ottenuto otto anni prima da Nehemiah. Kingdom, perseguitato dagli infortuni, fallì la qualificazione per Barcellona 1992, ma non si arrese. Tornò su buoni livelli nel 1995, a 33 anni, e poté partecipare ai Mondiali di Göteborg, dove arrivò terzo. L'anno successivo tentò di qualificarsi anche per i Giochi di Atlanta, ma ai Trials fu solo quinto.
Intanto in Europa emergeva il gallese di colore Colin Jackson, nato a Cardiff nel 1967, atleta non alto ma veloce e soprattutto rapidissimo sugli ostacoli. Generoso ed estroverso, fu ai vertici per circa 15 anni, ottenendo 111 prestazioni al di sotto dei 13,30″. Fu terzo ai Mondiali nel 1987, secondo ai Giochi di Seul dietro a Kingdom. Partecipò alla finale di Barcellona 1992, dove fu relegato da un infortunio al settimo posto (vinse il canadese Mark McKoy, suo amico), a quella di Atlanta 1996 (dove giunse quarto) e infine a quella di Sydney 2000 (quinto). Vinse però i Mondiali nel 1993 e nel 1999 e arrivò secondo nel 1997. A Stoccarda nel 1993 non solo conquistò la medaglia d'oro ma in finale corse in 12,91″, migliorando di un centesimo il primato mondiale di Kingdom.
Gli americani che si erano difesi con buoni atleti come Anthony Dees e soprattutto Jack Pierce, trovarono finalmente, a cavallo dei due secoli, un nuovo leader in Allen Johnson. Nato a Washington nel 1971 ma cresciuto nel Vermont, era capace di sfruttare dinamismo e capacità tecniche. Abile in diverse specialità, era avviato a diventare un decatleta, ma allenandosi con l'ex campione Charles Foster si specializzò negli ostacoli. Esplose nel 1995 vincendo prima il titolo mondiale indoor e poi quello all'aperto. Ad Atlanta 1996 fu puntuale al traguardo che tagliò in 12,95″ (record olimpico) nonostante avesse buttato giù otto dei dieci ostacoli. Sempre ad Atlanta, in giugno, aveva corso in 12,92″ sfiorando il record mondiale, tempo poi ripetuto a Bruxelles in agosto. Johnson fu meno fortunato a Sydney nel 2000, quando in finale fece cadere tutti e dieci gli ostacoli e giunse quarto nella gara vinta dal giovane e sorprendente cubano Anier García con il tempo di 13,0″. Ai Mondiali, all'oro del 1995 aggiunse anche quelli del 1997, 2001 e 2003.
La necessità di far coesistere la fatica nata dallo sforzo tipico della distanza (l'impegno fisiologico nei 400 m è fondamentalmente di tipo anaerobico con produzione di acido lattico nei muscoli) con il mantenimento di un preciso ritmo e di un'azione più fluida possibile nel superamento degli ostacoli fa sì che questa sia una gara durissima, tanto che gli americani la chiamarono addirittura la 'gara killer'.
Il primo tempo sotto il minuto fu fatto registrare dall'inglese Samuel Morris nel 1886 con 59″4/5, ma nel 1891 un altro inglese, Godfrey Shaw, era già capace di 57″1/5, un risultato che tuttavia non fu mai riconosciuto come record britannico. La gara fece il suo debutto olimpico nel 1900 e fu vinta in 57,6″ dall'americano Walter Tewksbury davanti al favorito francese Henri Tauzin (in Francia la prova era stata inclusa nei campionati nazionali già nel 1893). A Parigi gli ostacoli erano costituiti da pali simili a quelli del telefono messi attraverso la pista; l'ultimo fu sostituito con un fossato riempito di acqua. A St. Louis nel 1904 vinse ancora un americano, Harry Hillman (il futuro inventore degli ostacoli a 'L'), che corse nel notevole tempo di 53,0″: in realtà le barriere erano alte solo 76 cm e comunque lo statunitense ne abbatté una escludendo così la possibilità di omologare il record. Il primo primato mondiale della specialità è invece da attribuire al vincitore dei Giochi del 1908, l'americano Charles Bacon che con 55,0″ batté Hillman. Bacon, che nel 1904 aveva gareggiato sui 1500 m finendo nono, a Londra incappò in un errore che gli sarebbe potuto costare caro: si spostò sulla corsia alla sua destra superando addirittura un ostacolo. Ma dopo una lunga analisi i giudici decisero di non tenerne conto ritenendo che l'atleta non si fosse avvantaggiato, anzi avesse subito un danno.
Il record di Bacon durò fino al 1920 quando a Pasadena John Norton corse sulla distanza in yards in 54,2″. La IAAF accettò il tempo come primato sulle 440 yards, ma non sui 400 m (il giro di pista sulle 440 yards corrisponde a 402,34 m e quindi i record sulla distanza inglese potevano essere accettati come primati sulla distanza metrica anche se, per convenzione, erano ritenuti più 'pesanti' di 0,3″). Era andata ancora peggio nel 1915 a un altro atleta degli Stati Uniti, William Meanix, che aveva coperto le 440 yards in 54,6″, un tempo riconosciuto solo come record americano. Meanix corse addirittura in 52,8″ in una gara disputata a San Francisco, ma su un percorso rettilineo e con vento alle spalle. Ai Giochi di Anversa Norton fu battuto dal connazionale Frank Loomis che gli tolse, con 54,0″, anche il mondiale. Al quarto postò finì il francese Georges 'Géo' André che aveva vinto l'argento ai Giochi del 1908 nel salto in alto. André, che fu anche nazionale di rugby, è stato una figura mitica dello sport francese.
Nel 1925 il record finì con 53,8″, nelle mani dello svedese Sten Pettersson, che nel 1927 divenne anche primatista dei 110 m ostacoli. Una brusca accelerazione fu data il 2 luglio 1927 a Lincoln, dove si disputarono i campionati AAU, dall'americano John Gibson: vinse in 52,6″ migliorando di 1,2″ il tempo di Pettersson e battendo di un decimo Morgan Taylor, il primo grande personaggio della specialità, che fu anche lunghista di valore (7,67 m). Taylor aveva già corso in 52,6″ vincendo l'oro ai Giochi di Parigi del 1924, ma aveva abbattuto un ostacolo e il primato non era stato ufficializzato. Ai Trials olimpici del 1928 si qualificò con 52,0″, ma non fu lui a vincere ad Amsterdam: l'oro andò a David Burghley, futuro marchese di Exeter. Taylor fu terzo.
Ad Amsterdam finì al sesto posto in 55,8″ l'italiano Luigi Facelli, un ostacolista che eccelleva anche negli 'alti' (li corse in 14,8″). Nato ad Acqui Terme, in provincia di Alessandria, il 10 maggio 1898, Facelli da giovane faceva il soffiatore di vetro; cominciò a praticare l'atletica nel periodo in cui era soldato durante la guerra mondiale e iniziò a gareggiare nel 1922 (avrebbe smesso nel 1939 a 41 anni). Nel 1924 partecipò ai Giochi di Parigi nei 400 m ostacoli ma fu eliminato in semifinale. Vinse numerose gare internazionali ed ebbe il suo periodo d'oro a cavallo degli anni Trenta: nel 1929 fu capace di un 52,4″ (record europeo eguagliato e per 21 anni record italiano) che lo collocò in testa alle liste mondiali stagionali. Divennero proverbiali le sue sfide con lord Burghley (alla fine l'italiano ebbe la meglio 5 volte su 4), ma anche la loro amicizia, da romanzo di fine Ottocento: il soffiatore di vetro, figlio di operai, e il nobile inglese.
A Los Angeles 1932 gli specialisti americani subirono una nuova sconfitta, questa volta a opera di uno studente di Cambridge, irlandese ma nativo di Ceylon, Robert Tisdall, che aveva corso per la prima volta i 400 m ostacoli nel marzo dello stesso anno. In finale sorprese tutti, anche sé stesso, chiudendo in 51,67″ (poi arrotondato a 51,7″) ‒ nuovo record del mondo non omologabile ‒ nonostante avesse colpito in pieno l'ultima barriera rischiando di cadere. La medaglia d'argento andò all'americano ventiduenne Glenn Hardin con un tempo di 51,85″, che venne arrotondato a 52,0″. Terzo il primatista mondiale Taylor, che vide il suo 52,0″ tramutato in 52,2″, e quarto, in 52,3″, il campione uscente lord Burghley. Facelli fu quinto in 53,0″. Fu in assoluto una delle più grandi gare di sempre, per i tempi e per i personaggi che vi presero parte. Per Tisdall quello fu il giorno del massimo exploit, mentre ben altri successi attendevano Hardin. Nel 1934, a Milwaukee, vinse i campionati AAU con il nuovo primato di 51,8″ e il 26 luglio dello stesso anno, a Stoccolma, fece fermare i cronometri sull'eccezionale tempo di 50,6″, con un progresso di 1,2″. Toccò un ostacolo ma senza abbatterlo e la IAAF omologò il tempo, che rimase record del mondo per 19 anni. Hardin, che dal secondo posto di Los Angeles non era stato più sconfitto sugli ostacoli, prima di ritirarsi vinse a Berlino 1936 quell'oro olimpico che ancora gli mancava. Tagliò il traguardo in 52,4″. Facelli, già trentottenne, non superò le batterie.
Nelle prime Olimpiadi postbelliche, quelle di Londra 1948, vinse con un buon 51,1″ (record olimpico) l'americano Leroy Cochran, che era già il numero uno nel 1939 e aveva poi partecipato alla guerra combattendo nel Pacifico. A Londra vinse anche un secondo oro, con la 4x400 m. Al sesto posto negli ostacoli finì l'azzurro Ottavio Missoni (divenuto poi uno stilista di fama mondiale), che nel 1941, a 20 anni, era stato già capace di correre in 53,1″.
La tradizione italiana aperta da Facelli continuò anche con il goriziano Armando Filiput (n. a Ronchi il 19 dicembre 1923), che nel 1950, agli Europei di Bruxelles, vinse il titolo in 51,9″ dopo che già in semifinale con 52,0″ aveva migliorato il record nazionale di Facelli. L'8 ottobre a Milano, sulla distanza delle 440 yards ma con rilevamento cronometrico anche ai 400 m, ottenne con 51,9″ il primato mondiale (quello sulla distanza inglese era rimasto nettamente indietro rispetto al corrispettivo su distanza metrica); il passaggio ai 400 m fu cronometrato in 51,6″, tempo che eguagliava il primato europeo. Il goriziano poi fu finalista (sesto) ai Giochi di Helsinki del 1952. I 400 m ostacoli furono appannaggio, con il primato olimpico di 50,8″, dell'americano Charles Moore (che conquistò anche l'argento con la staffetta); secondo si classificò il russo Yuri Lituyev, che era finito alle spalle di Filiput agli Europei del 1950. Lituyev, che sfruttava ritmo e tecnica di ostacolo, dopo aver vinto i Campionati dell'URSS in 50,7″ il 29 settembre 1953, in un match contro l'Ungheria a Budapest, andò all'assalto dell'ormai quasi ventennale primato di Hardin e lo portò a 50,4″; corse in 13 passi tra un ostacolo e l'altro passando a 15 soltanto per le ultime due barriere. Tuttavia fallì agli Europei del 1954, battuto dal connazionale Anatoly Yulin, e poi a Melbourne nel 1956, dove finì quarto dietro un trio di americani formato da Glenn Davis, Silas 'Eddie' Southern e Joshua Culbreath. Lituyev tuttavia non si diede per vinto e finalmente, nel 1958, agli Europei, già trentatreenne riuscì a conquistare la medaglia d'oro.
I due atleti che si affermarono sugli ostacoli a Melbourne sfruttarono soprattutto le loro doti di quattrocentisti puri: Davis fu capace di 45,7″ sulle 440 yards e Southern di 45,8″ sempre sulla distanza inglese. Il 29 giugno 1956 ai Trials di Los Angeles ci fu un'anticipazione di quella che sarebbe stata la sfida olimpica. I due atleti frantumarono contemporaneamente la barriera dei 50″: Davis, con maggiori energie, nel finale di gara superò il rivale, 49,5″ a 49,7″, dopo aver corso in 13 passi fino al settimo ostacolo ed essere poi passato addirittura a 17. A Melbourne Southern conquistò il record olimpico di 50,1″ in semifinale, Davis lo eguagliò in finale mentre il rivale si fermò a 50,8″.
Il 6 agosto 1958, a Budapest, Davis tolse altri due decimi al record portandolo, con 15 passi tra un ostacolo e l'altro, a 49,2″. A Roma 1960 si presentò dopo aver superato una serie di problemi fisici: in finale dovette lottare duramente per battere i compagni di squadra Clifton Cushman e Richard Howard. Vinse in 49,3″, nuovo record olimpico. Il secondo e il terzo chiusero rispettivamente in 49,6″ e 49,7″. Scese sotto i 50″ anche il tedesco Helmut Janz che con 49,9″ tolse il primato europeo a Lituyev. Mancò la finale per poco un padovano di 22 anni, Salvatore Morale (1,86 m per 72 kg) che prima dei Giochi aveva portato il record italiano a 50,9″ togliendolo a Moreno Martini, un toscano di Lucca che aveva ridato per primo vigore alla specialità. Morale, non velocissimo sul piano, aveva tecnica pregevole ed eccellente capacità di ritmo tra gli ostacoli: l'anno successivo, a Roma, divenne primatista europeo dei 400 m ostacoli (49,7″) e delle 440 yards (50,1″). Ma il suo anno migliore fu il 1962: agli Europei di Belgrado vinse il titolo in 49,2″, eguagliando il primato mondiale. Due anni più tardi andò alle Olimpiadi di Tokyo con giustificate ambizioni anche se aveva già perso il primato del mondo: Warren Cawley, un americano di Detroit, capace di 45,7″ sui 400 m piani, aveva vinto i Trials olimpici a Los Angeles con 49,1″, precedendo Billy Hardin, figlio del grande Glenn. A Tokyo, con Morale, arrivò un altro italiano che aveva ormai raggiunto livelli eccellenti, il romano Roberto Frinolli. Nato nel 1940, Frinolli non era né alto (almeno per i canoni della specialità) né potente, ma sfruttava un'ottima tecnica e un'azione assai agile tra gli ostacoli. Prima dei Giochi ottenne il suo 'personale' di 49,6″ battendo Morale (50,1″), che cercava di ritrovare una buona condizione. A Tokyo Frinolli si ritrovò in settima corsia e Morale in ottava. I due azzurri partirono a gran ritmo trovandosi in vantaggio a metà gara, ma Cawley si rifece sotto. Morale tentò di salvare il salvabile, invece Frinolli non volle mollare e 'saltò' al nono ostacolo. L'oro andò a Cawley (49,6″), l'argento al britannico John Cooper (50,1″) con Morale a ridosso (50,1″), Frinolli fu sesto (50,7″) su otto concorrenti (a partire da quella edizione tanti erano diventati i finalisti nelle gare di velocità).
Frinolli continuò il suo cammino e nel 1966 vinse il titolo europeo a Budapest. Ma ormai si guardava ai Giochi di Città del Messico del 1968, i primi in altura e i primi su una pista sintetica (il tartan), tutte condizioni che avvantaggiavano molte discipline, ma soprattutto gli specialisti dei 400 m ostacoli. Ai Trials americani disputati anch'essi in altura, a Echo Summit, ci fu un'anticipazione di quello che poteva accadere in Messico: Geoffrey Vanderstock, un ventiduenne senza importanti credenziali, stabilì il record del mondo con 48,8″ (48,94″ il tempo automatico). La gara olimpica si presentò come una vera lotteria: oltre agli americani concorrevano una quotata coppia inglese formata da John Sherwood e David Hemery (quest'ultimo, vissuto dall'età di 12 anni negli Stati Uniti, aveva iniziato l'attività atletica partendo dagli ostacoli 'alti'; prima dei Giochi aveva corso in 49,6″), due forti atleti tedeschi, Gerhard Hennige e Rainer Schubert, e l'azzurro Frinolli. Il romano, che in semifinale aveva impressionato arrivando primo in 49,2″ (un tempo che successivamente sarà letto come 49,14″ e resisterà come primato italiano per 21 anni), si presentò alla finale con il proposito di vincere o scoppiare. Partì, in quarta corsia, come una furia, ma dopo metà gara dovette lasciar passare Hemery e poi, senza più energie, 'saltò' letteralmente al nono ostacolo, finendo ultimo in 50,13″. Hemery, che corse con 13 passi fino al sesto ostacolo per passare poi a 15, chiuse in 48,12″, nuovo record del mondo. Tra il secondo e il settimo, rispettivamente Hennige e Schubert, ci furono solo 28 centesimi di differenza.
Hemery decise di non correre più i 400 m ostacoli e di tornare ai 110. Si ripresentò sulla distanza che gli aveva dato la gloria solo nel 1972 per preparare l'assalto all'oro di Monaco. Ma intanto era emerso un americano veloce e potente, Ralph Mann, che aveva portato, nel 1970, il mondiale delle 440 yards a un significativo 48,8″. Atleta interessante, ma non degno di troppa attenzione, veniva considerato l'ugandese John Akii-Bua, che aveva cominciato a praticare l'atletica a 18 anni e nel 1971 era balzato alla notorietà internazionale vincendo, a Durham, l'incontro Africa-USA con il tempo di 49,0″. Nella finale di Monaco (Frinolli era stato eliminato in batteria) Hemery partì con grande decisione ma a 100 m dal traguardo accanto a lui c'era ancora Akii-Bua, partito in prima corsia. L'ugandese ebbe poi un finale strepitoso e vinse in 47,82″, frantumando il record di Hemery che si dovette accontentare del terzo posto (48,52″), un centesimo dietro a Mann. In seguito Akii-Bua, che era un istruttore di polizia, fu travolto dal caos dell'Uganda, a quel tempo sotto la dittatura di Idi Amin Dada. Dopo aver visto svanire per il boicottaggio la speranza di partecipare ai Giochi di Montreal 1976, fu arrestato e dovette scappare con la famiglia in Germania dove si preparò, a 31 anni, per le Olimpiadi di Mosca. Lì la sua avventura finì con un settimo posto in semifinale.
A Montreal, invece, iniziò la leggenda di uno dei più grandi atleti di sempre e non solo dei 400 m ostacoli, Edwin Moses. Moses provò per la prima volta gli ostacoli intermedi a 20 anni, nel 1975, ottenendo un 52,0″ sulle 440 yards. Cominciò allora a dedicarsi con scrupolo alla specialità: nel 1976 in poche gare arrivò a 48,30″, tempo con cui vinse i Trials. Alto 1,86 m, con le gambe lunghissime, era in grado di correre senza troppi problemi tutti gli intervalli con 13 passi. A Montreal travolse tutti (tra cui il diciottenne Danny Harris, che ebbe l'argento) e chiuse in 47,75″, nuovo record del mondo, che l'anno dopo a Los Angeles portò a 47,45″. Il 26 agosto 1977, a Berlino, fu battuto dal fortissimo tedesco Harald Schmid (terzo a Montreal), ma poi non venne più sconfitto per 122 gare (107 finali) e 10 stagioni (fu però costretto a saltare il 1982 e il 1985 per infortunio). Arrivò di nuovo secondo, questa volta alle spalle di Harris, solo il 4 giugno 1987 a Madrid. In questo arco di tempo migliorò altre due volte il record del mondo (47,13″ a Milano il 3 luglio 1980 e 47,02″ a Coblenza il 31 agosto 1983), vinse l'oro olimpico a Los Angeles 1984 dopo che il boicottaggio gli aveva negato quello di Mosca 1980, si aggiudicò i Mondiali del 1983 e del 1987, e la Coppa del Mondo del 1977, 1979 e 1981. A 33 anni si presentò a Seul per conquistare il terzo titolo olimpico. Le speranze c'erano tutte: aveva vinto i Trials in 47,37″ battendo Andre Phillips, un atleta che da alcune stagioni cercava di marcarlo stretto, ma senza essere mai riuscito a batterlo. Invece a Seul Phillips, ventinovenne di Milwaukee che era stato quinto ai Mondiali del 1983 e aveva ottenuto il solo importante successo nella Coppa del Mondo, attaccò deciso Moses sui primi ostacoli. Il campione dell'Ohio reagì ma poi pagò tra il settimo e il nono ostacolo. Phillips volò verso la vittoria e chiuse in 47,19″. Moses fu terzo in 47,56″ battuto anche dal senegalese Amadou Ba (47,23″). Il sogno di Moses era svanito ma la sconfitta subita a 33 anni non tolse nulla al suo mito, anzi lo rafforzò.
Uscito di scena Moses, fu presto individuato il suo successore nell'atleta che a Seul era finito quarto in 47,94″, Kevin Young, uno studente della UCLA (n. a Los Angeles il 16 settembre 1966), dotato di un fisico eccezionale: era alto 1,94 m e aveva gambe lunghissime. Allenato da John Smith, poteva correre tutta la gara con 13 passi e anzi sperimentò, primo al mondo, anche i 12 passi, almeno per i primi 4-5 ostacoli. In una frazione di 4x400 m fu cronometrato in 44,4″ (il suo personale sui 400 m piani fu di 45,11″). L'anno dopo Seul fu considerato il numero uno, anche se non fece progressi cronometrici rispetto al 47,72″ che aveva ottenuto nel 1988. Ai Mondiali di Tokyo del 1991 fallì il podio, finendo nuovamente quarto. Poi si preparò per Barcellona sempre sotto la guida di Smith e in un'intervista prima dei Giochi disse che avrebbe vinto correndo in meno di 47″. A Barcellona, dove arrivò senza aver perso una gara, tappezzò la sua stanza al villaggio olimpico con fogli di carta dove aveva scritto il tempo di 46,89″. In semifinale portò il suo 'personale' a 47,63″, ma venne preceduto di un centesimo dal giamaicano Winthrop Graham. In finale ci fu solo lui, anche se prese in pieno l'ultimo ostacolo e rischiò di cadere: terminò in 46,78″, nuovo record del mondo. Graham finì secondo a 8-9 m. Young fu il primo uomo a scendere sotto i 47″, primato che resistette per 11 anni. Si confermò anche nel 1993 vincendo ai Mondiali di Stoccarda ma in quella stagione fu battuto per ben tre volte da Samuel Matete. Non era certo imbattibile come Moses, né soprattutto fu longevo come lui: diede il meglio di sé in due stagioni e poi la sua stella si spense. Nel 1994 praticamente non gareggiò, sconvolto dal terremoto di Los Angeles che gli aveva danneggiato la casa. Comprò una fattoria a Alpharetta, in Georgia, dove andò a vivere. Tentò poi di qualificarsi per i Giochi di Atlanta ma finì appena quinto in una semifinale dei Trials.
Gli anni Novanta, Young a parte, espressero una serie di ottimi specialisti, nessuno però in grado di impossessarsi di un'autentica leadership. Il migliore fu probabilmente l'americano Derrick Adkins che, dopo essere stato sesto ai Mondiali di Tokyo, fallì la qualificazione per Barcellona finendo quarto ai Trials, anche a causa di un infortunio. Adkins (n. a New York il 2 luglio 1970) fu ancora finalista (settimo) ai Mondiali del 1993 ma poi fece il salto di qualità scendendo con buona regolarità sotto i 48″: vinse l'oro ai Mondiali di Göteborg e l'anno dopo trionfò alle Olimpiadi di Atlanta, la città dove viveva. Ad Atlanta superò con 47,54″ il suo rivale più accanito di quegli anni, lo zambiano Matete, un atleta potente e veloce (capace di correre in piano in 44,88″) ma dalla tecnica un po' rozza. Aveva studiato negli Stati Uniti e visse a lungo anche a Siena. Matete vinse nel 1991 il titolo mondiale a Tokyo, dove si era presentato forte di un 47,10″ ottenuto in agosto a Zurigo, record africano superiore di solo 8 centesimi al mondiale di Moses. Matete non vinse più nulla d'importante ma fu secondo ai Mondiali del 1993 e del 1995 nonché, come detto, ai Giochi di Atlanta. A Barcellona era stato squalificato in semifinale, dopo aver abbattuto per sbaglio un ostacolo di un altro concorrente. Altri atleti di spicco furono Graham (secondo a Barcellona, dietro Young, e ai Mondiali di Tokyo, e terzo a quelli di Stoccarda 1993), il soldato britannico Kriss Akabusi (terzo a Barcellona e terzo a Tokyo 1991) e l'elegante francese di origine senegalese Stéphane Diagana che, dopo il quarto posto di Barcellona, dovette disertare per problemi fisici i Giochi del 1996 e del 2000 ma fu protagonista dei Mondiali: quarto nel 1993, terzo nel 1995, primo nel 1997, secondo nel 1999. Nel 1995 con 47,37″ stabilì il record europeo togliendolo a Schmid.
Tra i protagonisti della seconda metà degli anni Novanta trovò spazio anche un italiano, il livornese Fabrizio Mori. Di stazza modesta (1,75 m l'altezza), Mori (n. nel 1969) seppe sfruttare al meglio la sua buona tecnica, le capacità di ritmo e soprattutto un'intelligente distribuzione dello sforzo. Nelle semifinali dei Mondiali di Tokyo cancellò con 48,92″, dopo 23 anni, il primato nazionale di Frinolli. Poi per alcune stagioni non riuscì più a progredire, frenato anche da una serie di infortuni. Ma nel 1996 fu sesto nella finale olimpica e si portò a 48,33″, nel 1997 fu quarto ai Mondiali e progredì fino a rompere, a metà agosto a Montecarlo, la barriera dei 48″: 47,79″. Nel 1999 a Siviglia vinse, un po' a sorpresa, il titolo mondiale con il tempo di 47,72″. Solo settimo a Sydney, ai Mondiali di Edmonton 2001 si batté con determinazione ma, pur con un tempo record di 47,54″, dovette accontentarsi dell'argento e lasciare l'oro a Félix Sánchez, il nuovo specialista che dal 1999 gareggiava, pur essendo nato a New York (30 agosto 1977) e avendo studiato in California, per la Repubblica Dominicana, la patria dei suoi genitori, dopo essere arrivato solo sesto ai Trials americani per i Mondiali di Siviglia. Veloce sul piano (44,80″ il suo primato a tutto il 2003) e resistente, Sánchez ha anche eccellenti capacità di ritmo. Tra il 2000 e il 2001 progredì di quasi un secondo (da 48,33″ a 47,38″). Nel 2002 si portò a 47,35″ e nel 2003 a 47,25″, vincendo nettamente i Mondiali di Parigi.
All'inizio del 20° secolo, nel difficile tentativo di dare ufficialità e continuità alla loro atletica, le donne iniziarono a cimentarsi anche sugli ostacoli. Lo facevano sulle distanze più diverse e con ostacoli che variavano anche nell'altezza (solitamente 61 o 75 cm): ai primi Giochi Mondiali femminili (Parigi, 20 agosto 1922) si disputò una gara sulle 100 yards a ostacoli (otto barriere alte 75 cm) che fu vinta dall'americana Camille Sabie in 14″2/5. Nel 1923 la britannica Mary Lines corse le 120 yards con ostacoli alti 75 cm in 18″4/5, tempo migliorato di un secondo dalla francese Geneviève Laloz l'anno dopo. Dal 1926 gli 80 m ostacoli con barriere di 76 cm divennero la prova standard dell'ostacolismo donne. In quello stesso anno si registrò il 13,0″ della cecoslovacca Ludmila Sychrova (Berlino, 7 agosto). Ma i progressi furono rapidi: nel 1927 la tedesca Eva von Bredow corse in 12,8″ e il 1° luglio 1929 Sychrova si portò, a Praga, a 12,2″. Il primo risultato sotto i 12″ fu realizzato dalla sudafricana Marjorie Clark, che era una saltatrice in alto di assoluto valore: nel 1931 corse in 11,8″.
Si decise di inserire gli 80 m ostacoli nel programma olimpico a partire da Los Angeles 1932. A quel tempo nessuna sembrava più degna di diventare prima campionessa olimpica degli ostacoli di Mildred 'Babe' Didrikson (il suo cognome originario era però Didriksen), uno dei fenomeni dello sport femminile di ogni tempo. Nata in Texas, a Port Arthur, il 26 giugno 1911, da immigrati norvegesi, Didrikson è stata l'unica atleta nella storia dei Giochi ad aver vinto medaglie nelle gare di sprint, di ostacoli, di salti e di lanci. Fu anche valente giocatrice di basket e famosa golfista, nonché abile nel baseball tanto da meritarsi l'appellativo di 'Babe' in onore del grande Babe Ruth. Ai Trials per i Giochi di Los Angeles Didrikson partecipò a otto gare in un pomeriggio vincendone cinque: gli ostacoli, il peso, il giavellotto, il lancio della palla da baseball ed ex aequo il salto in alto. Ai Giochi le fu permesso di partecipare solo a tre gare: scelse gli ostacoli, il giavellotto e l'alto. Vinse le prime due e arrivò seconda nell'alto. Negli ostacoli realizzò con 11,7″ il nuovo primato del mondo, pur finendo sulla stessa linea della connazionale Evelyne Hall.
Nel 1936, quando la IAAF decise di assorbire la FSFI (Fédération sportive féminine internationale), come primo record del mondo sugli 80 m ostacoli fu registrato l'11,6″ che la tedesca Ruth Engelhard aveva ottenuto a Londra l'11 agosto 1934 (il primo 11,6″ fu in realtà realizzato il 14 agosto 1932 a San Francisco dall'americana Simone Schaller).
Ai Giochi di Berlino si presentarono anche due atlete italiane (nel 1923 a Milano si erano svolti i primi campionati femminili), entrambe bolognesi: Trebisonda 'Ondina' Valla (n. il 25 maggio 1916) e Claudia Testoni (n. il 20 maggio 1915). Tutte e due gareggiavano anche nella velocità e nei salti, ed erano animate da un'accesa rivalità. A Berlino cinque atlete si gettarono quasi contemporaneamente sul filo di lana: il photofinish assegnò la vittoria a Ondina Valla in 11,7″ (in semifinale aveva già eguagliato il record del mondo di 11,6″). Stesso tempo per la tedesca Anni Steuer, la canadese Elizabeth Taylor e Claudia Testoni. Nel 1938 Testoni si rifece vincendo il titolo europeo e ottenendo quattro primati del mondo, fino al tempo di 11,3″, realizzato due volte nel 1939.
Il periodo bellico portò al vertice un nome che sarebbe diventato leggenda, quello dell'olandese Francina 'Fanny' Blankers-Koen: nel 1942 eguagliò il primato di Testoni e nel 1946 vinse il titolo europeo. Ai Giochi di Londra del 1948, già trentenne e madre di due figli, conquistò quattro medaglie d'oro: 100 m, 200 m, 4x100 m e 80 m ostacoli, gara che vinse in 11,2″ superando di pochissimo la diciannovenne britannica Maureen Gardner. Il 20 giugno di quello stesso anno, ad Amsterdam, aveva fatto fare un bel passo avanti al record portandolo a 11,0″. Blankers-Koen a 34 anni tentò di ripetere il successo olimpico a Helsinki: raggiunse la finale ma nella corsa decisiva colpì i primi due ostacoli e si fermò. L'oro fu vinto dall'australiana ventisettenne Shirley Strickland de la Hunty con 10,9″, record del mondo. Nata il 18 luglio 1925 a Guilford, nell'Australia dell'Ovest, e figlia di un sprinter professionista, era anche una grande velocista (detenne il primato mondiale con 11,3″); sugli ostacoli era stata già terza a Londra. Vinse nuovamente nel 1956 a Melbourne dove si aggiudicò l'oro anche con la staffetta.
In seguito emerse soprattutto una serie di atlete sovietiche che contribuirono a portare il record a 10,6″. Questo tempo fu ottenuto per l'ultima volta nello stesso giorno, il 16 luglio 1960, a Berlino dalla tedesca Gisela Birkemeger e a Mosca dalla sovietica Irina Press. Quest'ultima era la più giovane di due sorelle: la maggiore Tamara dominò peso e disco, mentre Irina si impose negli ostacoli e nel pentathlon. Quando nel 1966 furono introdotti i controlli per il sesso, le due sorelle lasciarono, non senza sospetti, le scene atletiche. Irina comunque a Roma vinse l'oro, ma quattro anni dopo a Tokyo 1964 si dovette accontentare del quarto posto, consolandosi con la vittoria nel pentathlon. In Giappone la vittoria andò alla tedesca dell'Est Karin Balzer, che nel 1964 e nel 1965 realizzò quattro record: corse due volte in 10,5″ poi si portò a 10,4″ e infine, il 24 ottobre a Tbilisi, fissò il primato a 10,3″. Ma ormai gli 80 m ostacoli avevano i giorni contati: si corsero per l'ultima volta in un'importante competizione mondiale ai Giochi di Città del Messico. Questi furono preceduti, in giugno, dall'impresa della sovietica Vera Korsakova, che a Riga nel giro di 55 minuti corse prima in 10,3″ e poi in 10,2″, ma poi alle Olimpiadi non riuscì a qualificarsi per la finale. Trionfò una diciassettenne australiana, Maureen Caird, superando la favorita, la ventinovenne connazionale Pamela Kilborn, che non era stata più sconfitta dopo il terzo posto di Tokyo, ma a Città del Messico fu sorpresa dalla partenza lampo della giovane rivale. Terza la cinese di Taiwan Chi Cheng, prima donna asiatica a vincere una medaglia olimpica nell'atletica.
Gli 80 m ostacoli andarono definitivamente in archivio senza che un'atleta statunitense avesse mai detenuto un primato del mondo. Nel 1969, come detto, si ripartì dai 100 m ostacoli con barriere alte 84 cm, dopo aver sperimentato nei primi anni Sessanta una gara di 100 m ma con le classiche barriere di 76 cm (alla fine il miglior tempo fu un 13,0″ ottenuto da due sovietiche, Valentina Bolshova e Galina Kuznetsova). Comunque la nuova gara, prima dell'introduzione ufficiale, veniva corsa con una certa frequenza, soprattutto in Australia e in Inghilterra.
Le caratteristiche della nuova prova, gli 8,50 m tra un ostacolo e l'altro e la maggiore altezza delle barriere favorirono le atlete più dotate, sia fisicamente sia tecnicamente, le quali non riuscivano a esprimere il loro potenziale sulla vecchia distanza. Tra queste ci fu soprattutto Karin Balzer. La tedesca orientale vinse subito il titolo europeo del 1969 (replicherà poi nel 1971) e infilò, tra il 1969 e il 1971, una serie di primati mondiali partendo dal 13,3″ con cui la IAAF inaugurò la nuova lista: 13,0″, 12,9″, 12,7″ (due volte) e infine 12,6″ il 31 luglio 1971 a Berlino. In questa rapida scalata verso l'eccellenza si inserirono anche la cinese Chi Cheng (12,8″) e la polacca Teresa Sukniewicz (12,8″ e poi 12,7″).
Balzer, ormai trentaquattrenne, a Monaco 1972 vinse solo la medaglia di bronzo. Quarta si classificò Pamela Kilborn, diventata signora Ryan. Si aggiudicò l'oro la ventiduenne atleta della Germania Est Annelie Ehrhardt, dotata di una tecnica raffinata, che in giugno aveva portato il mondiale a 12,5″, tempo eguagliato dopo pochi giorni da Kilborn Ryan. A Monaco la tedesca vinse in 12,59″, tempo che la IAAF riconoscerà nel 1977 come primo record con cronometraggio elettronico. Negli anni seguenti emerse la polacca Grazyna Rabsztyn, che portò il record mondiale prima a 12,48″ (1978) e poi a 12,36″ (1980), ma non riuscì mai a vincere in una grande manifestazione (a parte due Coppe del Mondo): già finalista a Monaco 1972 (ottava), fu quinta a Montreal 1976 (vinse la tedesca dell'Est Johanna Schaller) e ancora quinta a Mosca 1980 (dove l'oro a sorpresa andò alla sovietica Vera Komisova).
Negli anni seguenti mancò una vera leader della specialità. Ai Mondiali del 1983 vinse la tedesca orientale Bettine Jahn davanti alla connazionale Kerstin Knabe. A Los Angeles 1984, dove non parteciparono le atlete dell'Europa dell'Est, trovò spazio l'americana Benita Fitzgerald-Brown. Poi si misero in luce le bulgare: nel 1986 portò in tre riprese il mondiale a 12,26″ Yordanka Donkova (n. il 28 settembre 1961 a Gozni Bogorov, vicino Sofia), che a cinque anni aveva perso tre dita della mano destra. Nel 1987 la sua connazionale Ginka Zagorcheva (n. il 12 aprile 1958) migliorò il primato di un centesimo prima di vincere i Mondiali di Roma. Donkova, quarta a Roma, si rifece nel 1988: il 20 agosto si riprese il mondiale a Stara Gora, in Iugoslavia, con 12,21″ (un tempo che a tutto il 2003 non era stato ancora mai superato) e poi trionfò a Seul 1988 dove Zagorcheva, infortunata, non riuscì a completare la batteria. A Seul si fermò alle semifinali un'americana di piccola statura ma rapida come poche altre, Gail Devers-Roberts, futura protagonista degli anni Novanta e non solo, anche se cercò sempre di privilegiare più la velocità che la tecnica.
Devers (n. a Seattle il 19 novembre 1966) nel 1989 e 1990 combatté contro una seria malattia alla tiroide, il morbo di Graves, che non le fu diagnosticata subito e per la quale rischiò anche l'amputazione di un piede. Poi, a poco a poco, riuscì a uscire dal tunnel e ai Mondiali di Tokyo del 1991 giunse seconda in 12,63″ dietro alla russa Lyudmila Narozhilenko. Alle Olimpiadi di Barcellona 1992, dopo aver vinto i 100 m, puntò alla medaglia anche nei 100 m ostacoli. Con Narozhilenko ritiratasi in semifinale per un infortunio, non sembravano esserci difficoltà; invece Devers, ormai sicura della vittoria, colpì in pieno l'ultimo ostacolo sbilanciandosi e fu superata dalla sorprendente greca Paraskevi Patoulidou, dall'americana Lavonna Martin, da Donkova (tornata alle gare dopo la maternità) e dall'altra connazionale Lynda Tolbert. Devers fallì anche quattro anni dopo, ad Atlanta 1996, dove finì quarta, nonché a Sydney 2000, quando si ritirò in semifinale per un problema muscolare. In Australia la medaglia d'oro fu vinta dalla trentenne atleta del Kazakistan Olga Shishigina che aveva alle spalle una squalifica per doping (1996-97). Per Devers i mancati successi olimpici negli ostacoli furono bilanciati da quelli ottenuti ai Mondiali: dopo l'argento di Tokyo 1991, tre ori consecutivi a Stoccarda 1993 (insieme a un altro oro nei 100 m e a un argento nella staffetta), a Göteborg 1995 e a Siviglia 1999 (nel 1997 corse solo la staffetta vincendola), mentre a Edmonton 2001, già trentacinquenne, dopo aver colpito duramente l'ottavo ostacolo, ebbe solo l'argento nella gara vinta dalla connazionale Anjanette Kirkland. Peggio le andò ai Mondiali di Parigi 2003 dove, sempre a causa dell'urto contro un ostacolo, non riuscì a entrare nella finale che fu poi vinta da un'outsider, la canadese Perdita Felicien.
La rivale più significativa di Devers fu Lyudmila Narozhilenko (n. con il cognome di Leonova il 21 aprile 1964). Già mamma a 18 anni, Narozhilenko partecipò senza fortuna ai Giochi Olimpici del 1988 (cadde in semifinale) e a quelli del 1992 (ritirata, sempre in semifinale, per infortunio dopo che in giugno, a Siviglia, aveva corso in 12,26″). Nel 1991 aveva però vinto, davanti a Devers, il titolo mondiale. Atleta rapida, eccelleva anche nelle gare indoor. Il 13 febbraio 1993 risultò positiva agli steroidi in un test antidoping a Lievin, in Francia, e fu squalificata per quattro anni. Si appellò alla Corte russa e suo marito Nikolai si autoaccusò di aver messo le sostanze proibite nelle vitamine della moglie per punirla perché aveva chiesto il divorzio. Riabilitata dalla giustizia russa, nel dicembre 1995 Narozhilenko, che intanto si era risposata con il suo manager, lo svedese Johan Engquist, e si era trasferita in Svezia, fu graziata dalla IAAF. Il 20 giugno del 1996 prese la cittadinanza svedese e sotto la bandiera della Svezia, ottenuto il via libera del Comitato olimpico russo, partecipò ai Giochi di Atlanta, dove vinse in 12,58″. L'anno dopo trionfò anche ai Mondiali di Atene. Nel marzo del 1999 le fu diagnosticato un cancro al seno, subì un intervento di mastectomia e iniziò la chemioterapia. Riuscì a partecipare, in agosto, ai Mondiali di Siviglia e arrivò sorprendentemente al terzo posto dietro Devers e la nigeriana Glory Alozie, che sarà seconda anche a Sydney 2000, dove invece non riuscì a essere presente la svedese che, a causa di un'operazione ai polpacci, decise di chiudere con l'atletica. Nel 2001 si convertì al bob; mentre si allenava per partecipare ai Giochi Olimpici invernali di Salt Lake City subì un controllo a sorpresa e dovette ammettere di avere assunto steroidi anabolizzanti. La Federazione svedese la squalificò per due anni.
L'Italia, che negli anni Trenta aveva avuto sugli 80 m ostacoli due straordinarie campionesse come Testoni e Valla, ebbe poi due atlete di discreto livello nella coppia milanese formata da Milena Greppi e Letizia Beroni. La prima migliorò nel 1955, con 11,2″, il primato di Testoni che durava da 16 anni; la seconda ottenne numerosi record italiani fino a un tempo di 11,0″. La fiorentina Carla Panerai, nel 1968, ruppe il 'muro' degli 11,0″ correndo prima in 10,8″ e poi in 10,7″. Sui 100 m ostacoli mancò una vera leader, fino a quando non si impose Ileana Ongar, nata ad Alessandria d'Egitto, che tra il 1971 e il 1978 dominò la specialità portando il record a un 13,24″ automatico e a un 13,1″ manuale, e corse la finale dei Giochi Olimpici di Montreal 1976. Successivamente ci fu l'era di Carla Tuzzi, una ragazza dei Castelli Romani che portò il record a 12,94″ (1994) e vinse nove titoli italiani, anche se non trovò mai spazio in campo internazionale.
La gara dei 400 m ostacoli riservata alle donne fu riconosciuta dalla IAAF nel 1974 e il primo record omologato fu il 56,51″ realizzato ad Augusta in Germania, il 13 luglio 1974, dalla polacca Kristyna Kacperczyk. Le prime gare si erano svolte a partire dal 1971 e fra le prime atlete a mettersi in luce vi fu l'austriaca Maria Sykora che nel 1973 corse in 57,3″. La prova trovò spazio nel programma degli Europei dal 1978, in quello dei Mondiali dalla prima edizione del 1983 e in quello olimpico dal 1984.
Come già ricordato, la gara delle donne ha caratteristiche regolamentari simili a quella degli uomini con la sola variante dell'altezza dell'ostacolo: 76 cm invece di 91. L'ostacolo così basso è stato forse la causa principale dello sviluppo piuttosto lento di questa disciplina. Infatti vi si cominciarono a dedicare specialiste non eccelse sulla distanza piana, spesso non più giovanissime, le quali trovarono nuovi spazi senza doversi applicare tecnicamente in modo esasperato. C'era poi il problema dei passi: per talune atlete realizzarne 15 nei 35 m d'intervallo era difficoltoso e molte si abituarono, cambiando gamba, a effettuarne 16 ma di lunghezza inferiore (tale scelta diviene quasi obbligata in vista degli ultimi ostacoli quando, diminuendo la lunghezza dei passi a causa della fatica accumulata, non è raro che si arrivi a compierne 17).
Il primo tempo di un certo spessore fu il 54,89″ che la sovietica Tatyana Zelentsova, ormai trentenne, realizzò a Praga, nel 1978, vincendo il titolo europeo. Passarono sei anni per veder abbattuto anche il muro dei 54″: vi riuscì Margarita Ponomaryeva del Kazakistan, che il 22 giugno 1984, a Kiev, corse in 53,58″. Ma saranno necessari solo due anni per scendere sotto ai 53″: Marina Stepanova, una russa di 36 anni che nel 1979 era stata già primatista con 54,78″ (allora correva con il nome da nubile, Makeyeva) e aveva interrotto l'attività nel 1981 per diventare madre, nel 1986 corse prima in 53,32″, vincendo il titolo europeo, e poi, il 17 settembre, a Taškent, in 52,94″.
Il titolo mondiale del 1983 era stato appannaggio di un'altra sovietica, Anastassia Fesenko, mentre il primo titolo olimpico, quello di Los Angeles 1984, assenti le forti specialiste dell'Europa dell'Est (le sovietiche con Ponomaryeva in testa e poi le tedesche orientali), andò a un'atleta marocchina, Nawal El Moutawakel (n. a Casablanca il 15 aprile 1962), alta appena 1,60 m, che dall'ottobre 1983 studiava alla Iowa University grazie a una borsa di studio di 10.000 dollari elargita da re Hassan. Nella finale fu in testa dall'inizio alla fine e chiuse in 54,61″. Era la prima medaglia d'oro mai vinta dal Marocco e la prima medaglia mai vinta da una donna islamica in una Olimpiade. Nel 1998 El Moutawakel divenne anche la prima islamica a far parte del Comitato internazionale olimpico.
Il primato di Stepanova, che peraltro aveva suscitato dubbi sulla sua effettiva regolarità, rimase imbattuto per sette anni. Resistette agli assalti di Sabine Busch, una tedesca dell'Est che era una quattrocentista di valore mondiale (49,24″ nel 1984) e che ebbe quasi sempre il posto fisso nella staffetta del miglio della Repubblica Democratica Tedesca. Busch, che aveva conquistato con 53,55″ il record mondiale prima di Stepanova, vinse il titolo ai Mondiali di Roma 1987 con 53,62″. Non riuscì a battere il primato neanche l'australiana Debra Flintoff-King che a Seul 1988 conquistò il titolo olimpico con 53,17″, con un centesimo di vantaggio sulla bielorussa Tatyana Ledovskaya.
Per battere il record di Stepanova ci vollero la classe e il temperamento della britannica Sally Gunnell. Nata nel 1966, aveva iniziato con i 100 m ostacoli prima di dedicarsi alla prova più lunga: quinta a Seul, seconda ai Mondiali di Tokyo vinti da Ledovskaya, trionfò a Barcellona 1992 e l'anno dopo ai Mondiali di Stoccarda dove chiuse in 52,74″, impegnata allo spasimo dall'americana Sandra Farmer-Patrick (anche lei sotto il vecchio record con 52,79″) che già le era finita alle spalle a Barcellona l'anno precedente. Farmer era di nascita giamaicana e aveva preso la nazionalità statunitense dopo il matrimonio con David Patrick, specialista dei 400 m ostacoli, ultimo in finale a Barcellona.
Dopo le incertezze iniziali erano ormai cresciute in USA specialiste di assoluto valore, come Farmer-Patrick e Janeene Vickers (terza a Tokyo 1991 e a Barcellona 1992). Ai Mondiali di Göteborg 1995, assenti Gunnell per infortunio e Farmer-Patrick che aveva fallito la qualificazione, fu prima con il nuovo record del mondo di 52,61″ Kim Batten, un'americana di colore (n. in Georgia il 29 marzo 1969), che era stata già quinta a Tokyo 1991 e quarta a Stoccarda 1993. Batté per un solo centesimo la connazionale Tonja Buford e la giamaicana Deon Hemmings, che era cresciuta atleticamente alla Central State University in Ohio. Ad Atlanta le posizioni delle tre si invertirono: prima Hemmings (52,82″), seconda Batten (53,08″), terza Buford (53,22″). Hemmings restò ai vertici in tutte le altre manifestazioni senza però più vincere: seconda ai Mondiali del 1997, terza ai Mondiali del 1999, seconda ai Giochi Olimpici di Sydney, settima ai Mondiali del 2001, a 33 anni.
Nel 1997, 13 anni dopo il successo olimpico di El Moutawakel, un'altra marocchina, Nehza Bidouane (n. a Rabat il 18 settembre 1969), vinse ad Atene il titolo mondiale scendendo sotto i 53″ (52,97″). Bidouane fu protagonista anche dell'edizione mondiale del 1999 (seconda dietro la cubana Daimì Pernia) e ai Giochi Olimpici di Sydney 2000, terza dietro l'ex sprinter russa Irina Privalova, che era stata addirittura primatista mondiale dei 60 m indoor, e a Hemmings. L'anno successivo la nordafricana tornò sul gradino più alto del podio ai Mondiali di Edmonton: con il tempo di 53,34″ precedette la russa Yuliya Nosova.
L'atleta russa (n. a Krasnoyarsk, Siberia, il 21 aprile 1978), che dopo il matrimonio ha assunto il nome di Pechonkina, diede una nuova scossa al primato: alla vigilia dei Mondiali di Parigi del 2003, l'8 agosto a Tula, migliorò il record di Batten, vecchio ormai di otto anni, portandolo a 52,34″, tenendo i 15 passi fino alla settima barriera per passare poi a 17. A Parigi, però, volle troppo: cercava il titolo e il nuovo primato del mondo che le avrebbe regalato un bonus di 100.00 dollari. Partì troppo forte e nel finale, a causa anche di un problema muscolare, venne ripresa dalla potente ma tecnicamente acerba australiana Jana Pittman, una ventunenne di Sydney che nel 2000 aveva vinto il titolo mondiale juniores. Pittman chiuse in 53,22″ mentre anche la trentacinquenne americana Sandra Glover superò la primatista mondiale.
Nei 400 m ostacoli l'Italia ha avuto buone specialiste anche se nessuna è riuscita ad avere un ruolo di primo piano in campo internazionale. Raggiunse una semifinale olimpica solo la romana Giuseppina Cirulli a Los Angeles 1984, mentre le altoatesine Imgard Trojer e poi Monika Niederstatter arrivarono più volte alle semifinali ai Mondiali. In assoluto il miglior piazzamento internazionale può considerarsi il quarto posto che la Niederstatter, a tutto il 2003 primatista italiana con 55,10″, ottenne agli Europei del 2002. Il primo record è legato al nome della genovese Carla Lunghi, una specialista degli ostacoli bassi, che il 20 aprile 1974 corse in 63,2″; il primato avanzò grazie a un'altra genovese di origini campane, l'eclettica Rita Bottiglieri. Ci furono poi il dominio di Cirulli che vinse ben 10 titoli italiani tra il 1977 e il 1986, per passare il testimone prima a Trojer (sei titoli) e infine a Niederstatter.
B. Berendonk, Doping, von der Forschung zum Betrug, Reinbek bei Hamburg, Rowohlt Sport, 1992.
R. Clarke, The unforgiving minute, London, Pelham Books, 1966.
J. Cumming, Runners & walkers. A nineteenth century sports chronicle, Chicago, Regnery Gateway, 1981.
K. Doherty, Track & field omnibook, Los Altos (California), Tafnews Press, 1980.
S. Greenberg, The Guinness book of Olympics. Facts and feats, Enfield, Guinness Superlatives Limited, 1983.
M. Hannus, Yleisurheilu. Tuhat tähteä, Helsinki, WSOY, 1983.
R. Hartmann, Schwarzes Gold. Auf den Spuren der afrikanischen Läufer, Hilden, Spiridon, 1979.
P. Heidenstrom, Athletes of the century. 100 years of New Zealand track and field, Wellington, G.P. Publications Ltd., 1992.
J. Hendershott, Track's greatest women, Los Altos (California), Tafnews Press, 1987.
P. Karikko, M. Koski, Paavo Nurmi, Helsinki, Weilin+Göös, 1965.
L.L. Khinchuk, G.I. Mikhailova, Lyogkaya Atletika v SSSR, Moskva, Fizkultura i Sport, 1951.
N. Kök, R. Magnusson, D.H. Potts, R.L. Quercetani, Track & field performances through the years, Firenze/Copenaghen, ATFS, 1986, 1989, 1992, 1997.
P. Lovesey, The official centenary history of the AAA, Enfield, Guinness Superlatives Limited, 1979.
B. Mallon, I. Buchanan, Quest for gold. The encyclopedia of American Olympians, New York, Leisure Press, 1984.
M. Martini, Da Bargossi a Mennea, Roma, FIDAL, 1988.
P. Matthews, The Guinness book of athletics. Facts and feats, Enfield, Guinness Superlatives Limited, 1982.
O. Misángyi, Az Ujkori Atletika Története, Budapest, Országos Testnevelési Tanács, 1932.
C. Nelson, Track's greatest champions, Los Altos (California), Tafnews Press, 1986.
C. Nelson, R.L. Quercetani, The Milers, Los Altos (California), Tafnews Press, 1985.
Nordisk Familjeboks Sportlexikon, 7 voll., Stockholm, A. Sohlman & Co., 1938-46.
R. Parienté, La fabuleuse histoire de l'athlétisme, Paris, ODIL, 1978.
B. Phillips, Honour of empire, glory of sport. The history of athletics at the Commonwealth games, Manchester, The Parrs Wood Press, 2000.
R.L. Quercetani, A world history of track and field athletics 1864-1964, London, Oxford University Press, 1964.
H.A. Richardson, Archie's Little Black Book, Los Angeles (California), Rich-Burn Company, 1953.
M. Shearman, Athletics and football, London, Longmans, Green and Co., 1888.
A.A. Shrubb, Running and cross-country running, London, Health and Strength, 1908.
T. Tanser, Train hard, win easy. The Kenyan way, Mountain View (California), Tafnews Press, 1997.
W. Thom, Pedestrianism, Aberdeen, Brown and Frost, 1813.
M. Watman, History of British athletics, London, Robert Hale, 1968.
F.A.M. Webster, Great moments in athletics, London, Country Life Ltd., 1947.
F. Wilt, How they train, Los Altos (California), Track & Field News, 1959.
E. zur Megede, R. Hymans, Progression of world best performances and official IAAF world records, Principauté de Monaco, International Athletic Foundation, 1995.