Atletica - Le specialità: i lanci
Al pari delle altre prove di lancio con attrezzi pesanti, il lancio del peso (più propriamente 'getto del peso', in inglese short put) trae le sue origini dalle feste popolari scozzesi e irlandesi. Ma fu solo verso la metà del 19° secolo che questo esercizio cominciò ad assumere le forme che ha conservato fino a oggi. Già allora la palla di ferro pesava 16 libbre inglesi (7,257 kg) e veniva lanciata, o meglio 'gettata', dalla spalla; nel momento immediatamente precedente al lancio l'attrezzo doveva infatti toccare o essere molto vicino al collo o al mento. Nei primi tempi la pedana era un quadrato di 7 piedi (2,134 m) di lato, delimitato da strisce tracciate sul terreno. L'attuale pedana circolare, del diametro di 7 piedi, fu introdotta verso la fine dello stesso 19° secolo, con l'aggiunta di un fermapiedi.
La prima figura di sicuro rilievo nella storia del peso fu George Gray, un canadese che nella sua lunga carriera vinse il titolo AAU (Amateur athletic union) di campione americano per dieci volte e migliorò a più riprese il record mondiale, allora 'ufficioso', portandolo da 13,38 m (nel 1888) a 14,75 m (nel 1898), sempre da pedana circolare. In seguito riuscì a superarlo Denis Horgan, un irlandese di notevole statura per l'epoca (1,78 m; il suo peso salì da 75 kg nel 1893 fino a 108 kg nel 1908), che fra il 1893 e il 1912 vinse 13 volte il titolo AAA (Amateur athletic association) di campione d'Inghilterra. Nel 1897 il suo 'personale' era di 14,68 m.
Gray e Horgan non furono presenti all'edizione inaugurale dei Giochi Olimpici (Atene 1896), dove i concorrenti lanciarono da un quadrato di 2 m di lato. Vincitore di quella gara fu il 'non specialista' americano Robert Garrett con la modesta misura di 11,22 m. Quattro anni dopo, ai Giochi Olimpici di Parigi, si lanciò da un quadrato di 7 piedi (2,134 m) di lato e Garrett raggiunse i 12,35 m, ma dovette accontentarsi del terzo posto; la vittoria andò a un suo connazionale, Richard Sheldon, con 14,10 m. Una settimana prima, ai campionati inglesi, Sheldon aveva battuto Horgan, che poi non poté esser presente a Parigi. Ovvio che l'irlandese fosse ansioso di rivalersi, al punto da lasciare il suo lavoro e recarsi in America per mezzo di un piroscafo usato per il trasporto di bestiame. Due mesi dopo, a New York, seppe rendersi giustizia, battendo il campione olimpico ai campionati americani: 14,06 m contro 13,61 m di Sheldon, solo terzo.
A quei tempi in Italia la specialità del peso moderno non era ancora iniziata e allo scadere del secolo si lanciava per lo più una pietra da una linea tracciata sul terreno, con la licenza di "prendere quanta rincorsa si vuole".
Ai Giochi Olimpici di St. Louis nel 1904 il peso venne finalmente lanciato da una pedana circolare di 7 piedi. Ancora assente Horgan, la lotta per la vittoria ebbe come protagonisti due americani, Ralph Rose, primo pesista di gran taglia (al culmine della carriera pesava 127 kg per 1,97 m di altezza) che con 14,81 m conquistò il nuovo mondiale, e Wesley Coe, con 14,40 m. Una pronta risposta venne poco dopo da Horgan che lanciò a 14,88 m, miglior risultato della sua carriera. Coe ricondusse il record in America l'anno seguente con 15,09 m. Ma in breve la leadership passò incontestabilmente a Rose, che portò il mondiale a 15,54 m nel 1909, un anno dopo aver vinto un secondo titolo olimpico a Londra con 14,21 m, davanti a Horgan (13,62 m), per la prima volta ai Giochi all'età di 37 anni. Rose, ai campionati americani del 1909, vinse peso, disco e giavellotto e arrivò secondo nel lancio del martello. Ma il suo connazionale, Pat McDonald, ai Giochi del 1912 a Stoccolma riuscì a batterlo dopo un'avvincente lotta: 15,34 m contro 15,25 m.
In Italia, Giuseppe Tugnoli, emiliano, e Aurelio Lenzi, toscano, furono i primi lanciatori di un certo rilievo. Il primo nel 1910 raggiunse i 13,85 m, che era ancora primato nazionale dieci anni dopo. Nella stessa occasione ottenne anche 14,50 m in un lancio fuori gara, peraltro da pedana irregolare.
Il primo a differire sensibilmente dai primi lanciatori, potenti ma un po' statici, fu l'americano Clarence Houser, che mise l'accento sulla velocità di esecuzione e ai Giochi Olimpici del 1924 a Parigi riuscì a vincere lancio del peso (14,99 m) e del disco (46,15 m), prodezza rimasta da allora ineguagliata. A incidere sul progresso delle misure pensò il suo connazionale John Kuck, che ai Giochi Olimpici del 1928 vinse con un mondiale di 15,87 m. Ma toccò al tedesco Emil Hirschfeld superare per primo i 16 m in una gara post-olimpica a Bochum con 16,04 m.
Nei successivi dieci anni Stati Uniti ed Europa lottarono con alterne vicende per la supremazia in campo mondiale. A dare un nuovo impulso pensò Jack Torrance, un americano del Sud, chiamato 'Elephant Baby' per le sue dimensioni imponenti (altezza 1,90, peso 138 kg), che ebbe il suo anno migliore nel 1934. Dopo aver portato il record mondiale a 16,89 m durante i campionati americani, venne in Europa e a Oslo fece sensazione lanciando a 17,40 m, misura record rimasta a lungo irraggiungibile. Torrance nei due anni successivi ebbe un calo impressionante, forse perché si dedicava anche al pugilato, tanto che ai Giochi Olimpici del 1936 a Berlino dovette accontentarsi del quinto posto con un modesto 15,38 m. Vinse, con 16,20 m, un ufficiale di polizia tedesco, Hans Woellke, che in una gara post-olimpica lanciò a 16,60 m, primato europeo. Per un nuovo lancio al di là dei 17 m si dovette attendere fino al 1939, quando l'americano Elmer Hackney arrivò a 17,04 m.
In Italia il primo a superare i 14 m fu Lenzi con 14,09 m nel 1923, ma fu solo verso la fine degli anni Venti che emerse un lanciatore capace di avvicinarsi a un buon livello internazionale, il fiorentino Angiolo Profeti, che giunse a 15,37 m nel 1939.
Il primo ad accostarsi al mondiale di Torrance fu un altro americano, Al Blozis, pesista e discobolo, che nel 1942 fu il numero uno mondiale in ambedue le specialità con 17,15 e 53 m. All'aperto il suo miglior risultato nel peso fu 17,22 m (1941), ma al coperto raggiunse i 17,61 m (1942) in un lancio fuori gara. Studente alla Georgetown University di Washington, morì durante la Seconda guerra mondiale all'età di 26 anni. A Torrance seguì Charles Fonville, un atleta di colore dell'Alabama, che nel 1948 lanciò a 17,68 m ma cadde vittima della 'dura legge' dei Trials pre-olimpici americani poiché, giunto quarto, non poté andare ai Giochi di Londra, dove vinse il suo connazionale Wilbur Thompson con 17,12 m.
Si dovette all'americano Parry O'Brien (colosso di 1,90 m per 111 kg) un'innovazione tecnica essenziale consistente nel partire con le spalle rivolte alla linea di lancio e il piede destro arretrato in funzione di perno per compiere un giro di 180°, proiettando la sfera dall'estremo opposto della pedana in corrispondenza del fermapiedi. In questo modo si allungava al massimo il canale sul quale convogliare forza all'attrezzo. O'Brien coltivava molto la velocità: capace di 10,8″ nei 100 m, fu visto correre frazioni di staffetta durante le tournée europee degli americani. Inoltre fu tra i primi lanciatori a usare il sollevamento pesi per incrementare la sua forza. Conquistò per la prima volta il mondiale nel 1953 con 18 m, distanza che portò a 19,30 m nel 1959. Nessuno come lui ha saputo incidere altrettanto nella storia di questa specialità. Vinse il lancio del peso ai Giochi Olimpici del 1952 e del 1956 e arrivò secondo a quelli del 1960, ai Giochi del 1964 ottenne con 19,20 m la sua miglior misura di sempre nell'arengo olimpico ma dovette accontentarsi del quarto posto. Raggiunse del resto il massimo risultato della sua carriera a 34 anni, nel 1966, con 19,69 m, quando il record mondiale era 21,52 m. O'Brien riuscì a rimanere imbattuto nell'arco di quattro anni (dal 1952 al 1956), con una serie di 116 vittorie consecutive. Nel suo ranking 'ragionato' dei dieci migliori dell'anno in ogni specialità, la rivista Track and Field News lo classificò al primo posto per sette anni (1952-56 e 1958-59). Fu anche un ottimo discobolo (60 m nel 1965).
Successore di O'Brien come detentore del mondiale fu l'americano Dallas Long, con 19,30 m nel 1960. Ma prima della fine di quell'anno un altro statunitense, Bill Nieder, portò il record a 20,06 m e vinse poco dopo il titolo olimpico a Roma.
Il primo successo di rilievo da parte di un italiano fu ottenuto dal fiorentino 'Angiolone' Profeti, che conquistò una medaglia d'argento ai Campionati Europei del 1950, quando aveva 32 anni. A questo atleta che giunse a un massimo di 15,42 m (1952), succedette Silvano Meconi, potenzialmente molto forte, che fece progredire il primato nazionale di 3 m esatti, da 15,82 m (1955) a 18,82 m (1960). Detenne, sia pure per breve tempo, il primato europeo (18,48 m nel 1959). Purtroppo non eccelse nelle grandi occasioni: quinto ai Campionati Europei del 1958, decimo ai Giochi Olimpici del 1956 e tredicesimo a quelli del 1960. Meconi ebbe la sua annata migliore nel 1961, quando vinse nel Match delle Sei Nazioni allo stadio di Colombes (Parigi) con 18,62 m. Ma tornò purtroppo a deludere nei grandi impegni: eliminato nelle qualificazioni ai Campionati Europei del 1962 e ai Giochi Olimpici del 1964. Nella sua scia e dallo stesso alveo fiorentino sarebbe emerso il suo successore, Marco Montelatici, primo 'ventimetrista' italiano con 20 m al coperto e 20,13 all'aperto nel 1978.
Long elevò il mondiale a 20,68 m nel 1964 e vinse nella stessa stagione anche il titolo olimpico. Dietro di lui arrivò secondo il suo connazionale Randy Matson, un atleta texano di diciannove anni che doveva presto diventare il nuovo re della specialità: superò per primo i 21 m, giungendo nel 1967 a 21,78 m, e un anno dopo vinse il titolo olimpico in Messico. Nei momenti migliori della sua carriera ebbe fino a 2 m di vantaggio sul secondo migliore del mondo. Come e più di O'Brien, era bravo anche nel disco e non era certo meno alacre nell'allenarsi con i pesi. Nella primavera del 1967, a College Station, mise a segno nella stessa giornata una doppietta che è rimasta storica: 21,47 m nel peso e 65,16 m nel disco, a soli 6 cm dal record mondiale di allora.
Nei primi anni Settanta alcuni atleti europei seppero avvicinarsi ai loro colleghi d'oltreoceano. Uno di essi, il polacco Wladyslaw Komar, colse nel 1972 a Monaco un'inaspettata vittoria nell'arengo olimpico, precedendo di un solo centimetro, 21,18 contro 21,17 m, l'americano George Woods. Il sesto di quella gara, l'americano Brian Oldfield, lasciò successivamente la 'famiglia ufficiale' dell'atletica per passare al professionismo nel gruppo formato da Mike O'Hara. Oldfield, che da dilettante aveva usato la tecnica di O'Brien, adottò a quel punto lo spin o tecnica rotatoria, nella quale il movimento degli arti inferiori è assai simile a quello usato nel lancio del disco, pur nel rispetto della regola che non permette che il peso venga posto dietro la linea delle spalle o che la mano sia abbassata durante l'azione di lancio. Già allora vi erano tecnici che attribuivano a questo stile la possibilità di generare una velocità superiore, pur ammettendo la presenza anche di fasi e aspetti non facili da controllare. Oldfield impiegò tre anni a perfezionarsi, ma nel 1975 raggiunse 22,11 m al coperto e 22,86 m all'aperto. Questo accadeva quando il mondiale ufficiale IAAF, realizzato dall'americano Al Feuerbach nel 1973, era di 21,82 m. Dal mondo dei dilettanti qualcuno sollevò dubbi sulla regolarità delle misure di Oldfield, ma nel 1980 l'atleta fu riammesso fra gli amateurs e ottenne risultati eloquenti: 21,82 m in quello stesso anno, vincendo i campionati americani; 22,02 m nel 1981 e 22,19 m nel 1984, quando aveva ormai 39 anni.
Sembra che Oldfield non sia stato il primo a usare la tecnica rotatoria. La Yessis Review of Soviet Sports attribuisce a Viktor Alekseyev, un ex giavellottista russo divenuto più tardi allenatore, il merito di avere insegnato la rotazione a giovani pesisti fin dagli anni Cinquanta. Circa venti anni dopo ebbe fra i suoi allievi Aleksandr Barishnikov, che usò la rotazione ai Giochi del 1972 ma fu eliminato nelle qualificazioni. Ma nel 1976 questo atleta possente (1,99 m per 122 kg) eseguì un lancio a 22 m esatti e divenne così il primo esponente dello spin a fregiarsi ufficialmente di un titolo mondiale. Da allora l'Europa Orientale soppiantò gli Stati Uniti ai vertici delle classifiche. Il titolo olimpico del 1976 andò a un tedesco della RDT, Udo Beyer, con 21,05 m, e Barishnikov si classificò terzo. Nel 1978 Beyer succedette al russo come primatista mondiale con 22,15 m. Ai Giochi Olimpici del 1980 a Mosca non furono presenti gli americani, ma Beyer non andò oltre il terzo posto dietro a due russi, l'inatteso Vladimir Kiselyov, primo con 21,35 m, e Barishnikov.
La tecnica rotatoria non divenne subito imperante come qualcuno aveva previsto. Trovò adepti più negli Stati Uniti che in Europa. Tre dei quattro lanciatori che migliorarono il mondiale fra il 1981 e il 1990 praticavano in realtà lo stile convenzionale, cioè quello usato da O'Brien. Due tedeschi della RDT si alternarono nel possesso del primato: Beyer salì a 22,22 m nel 1983, Ulf Timmermann rispose con 22,62 m nel 1985, per essere sorpassato nuovamente da Beyer l'anno seguente con 22,64 m. Nel frattempo però era entrato in gioco anche un italiano, Alessandro Andrei, di provenienza fiorentina come Profeti, Meconi e Montelatici. Fece suo il primato italiano con 20,35 m nel 1982 e lo portò, dopo 21 miglioramenti, a 22,91 m nell'estate del 1987 a Viareggio. Quest'ultima misura era anche primato del mondo. In quell'occasione questo 'atleta gigante' (1,91 m per 118 kg) realizzò su sei lanci una media straordinaria, 22,62 m, largamente superiore a quello che era (ed è rimasto) il secondo miglior risultato della sua carriera, 22,17 m. Da alcune parti, specialmente all'estero, furono avanzati dubbi sulla regolarità della pedana, ma la FIDAL (Federazione italiana di atletica leggera) fu in grado di fugare questi timori e il risultato ebbe il riconoscimento della IAAF. Andrei aveva già nel suo carnet una vittoria olimpica, conquistata nel 1984 a Los Angeles con 21,26 m, battendo i migliori americani anche se mancavano a quell'appuntamento tedeschi dell'Est e russi.
Occorre dire che in quegli anni si parlava non tanto di differenze stilistiche quanto e soprattutto di uso e abuso di sostanze dopanti e in particolare di steroidi anabolizzanti, usati per incrementare la massa muscolare. I casi realmente provati dai controlli della IAAF erano relativamente pochi ‒ il cecoslovacco Remigius Machura, il russo Yervgeni Mironov e l'americano Augie Wolf ‒ ma era opinione corrente che diversi altri atleti fossero sfuggiti solo perché avevano abbandonato l'uso dei farmaci in prossimità delle grandi manifestazioni nelle quali erano previsti i controlli. A questo riguardo, un caso che fece riflettere fu quello di Beyer. Nel 1986, otto giorni dopo il suo già ricordato mondiale di 22,64 m, non riuscì ad andare oltre i 20,74 ai Campionati Europei, finendo solo terzo. Una perdita di quasi 2 m in così breve tempo lasciava sicuramente perplessi.
Che il mondo dell'atletica fosse in parte corroso da 'vizi di Stato' (nei paesi a regime totalitario) o da 'vizi privati' (nei paesi democratici) era convinzione assai diffusa tra quanti si interessavano al fenomeno doping. Nel caso della RDT, il velo fu sollevato dopo la caduta del Muro di Berlino da Brigitte Berendonk, che nel suo libro Doping ha ampiamente documentato, attraverso ricerche condotte all'Istituto di medicina sportiva di Kreischa presso Dresda, le dosi di anabolizzanti e di altri farmaci somministrate a suo tempo a tutti i campioni di quel paese, ivi compresi i pesisti Beyer e Timmermann. Limitare i controlli alle manifestazioni più importanti era un grave errore: la IAAF finalmente lo capì e a partire dal 1989 istituì i controlli a sorpresa, che potevano essere effettuati in qualsiasi luogo o momento, anche presso i campi di allenamento. Di fatto in seguito il livello delle prestazioni nel peso (e in altre specialità di lancio) si abbassò notevolmente. Nel 1984 si era giunti alla cifra record di 66 pesisti oltre i 20 m e si toccò il fondo nel 1995, quando solo 21 atleti lanciarono oltre quel limite. In seguito però ci fu un'inversione di tendenza e nel 2000 50 atleti superarono i 20 m.
Negli anni in cui imperava maggiormente questo clima di incertezze e polemiche, accadde per es. che sul podio olimpico del 1992 a Barcellona salissero tre atleti, gli americani Mike Stulce e John Doehring e il russo Vladimir Lykho, che in un recente passato avevano avuto tutti delle squalifiche per doping. Così fu confinato al quarto posto lo svizzero Werner Günthör, che collezionò tre vittorie ai Campionati Mondiali nel 1987 battendo Andrei a Roma, 22,23 contro 21,88, nel 1991 e nel 1993.
Nel 1988 Timmermann detronizzò Andrei come primatista mondiale, lanciando a 23,06 m a Khania, nell'isola di Creta. Ma nel 1990, a Los Angeles, fece ancor meglio l'americano Randy Barnes, un adepto della tecnica rotatoria, con 23,12 m (misura rimasta ineguagliata per 13 anni). Nell'estate di quello stesso anno, in un meeting a Malmö, Svezia, Barnes risultò positivo a uno steroide anabolizzante e si vide infliggere una squalifica di due anni. Ciò non gli impedì di tornare nel giro e di vincere con 21,62 m ai Giochi Olimpici di Atlanta del 1996. Ironicamente, otto anni prima era arrivato solo secondo ai Giochi di Seul, pur lanciando a 22,39 m, battuto da Timmermann a 22,47 m.
Il migliore negli anni di fine secolo è stato l'americano John Godina, campione del mondo nel 1995 e nel 1997, anche se non è andato mai oltre 22,02 m (1999). In Italia, oltre ad Andrei, hanno raggiunto buoni livelli Montelatici (20,90 m nel 1985) e Paolo Dal Soglio, il migliore di tutti negli anni di fine Novecento. Quest'ultimo, veneto, ha avuto la sua stagione più splendente nel 1996: campione europeo indoor con 20,50, quarto ai Giochi Olimpici di Atlanta con 20,74 (a un solo centimetro dal terzo) e terzo nella finale del Grand Prix con 21,13. È di quell'anno anche il suo primato personale: 21,23 m.
Anche nei primi tre anni del nuovo secolo il peso a livello mondiale è rimasto in fase di stallo. Le linea dei 20 m è stata superata da 37 uomini nel 2001 e da 40 nel 2002. L'americano Adam Nelson ha lanciato a 22,51 m nel 2002, una misura che non veniva raggiunta da ben tredici anni. Ai Campionati Mondiali del 2001 a Edmonton era stato agevolmente battuto da Godina, che con 21,87 m aveva centrato il suo terzo titolo mondiale. Nel 2003 c'è stata dapprima l''esplosione' dell'americano Kevin Toth, che in primavera ha lanciato a 22,67 m, sesta miglior misura di sempre. Ma le grandi gare estive sono state disastrose per questo gigante, soltanto quarto ai Campionati Mondiali di Parigi e caduto successivamente sotto la mannaia del doping. Il titolo mondiale è andato a un outsider, il bielorusso Andrey Mikhnyevich: appena scontata a sua volta una squalifica di due anni per doping, era rientrato in lizza poche settimane prima e a Parigi ha vinto con un nuovo primato personale di 21,69 m.
Se l'atletica femminile moderna ebbe inizio con notevole ritardo rispetto a quella maschile, questo ritardo fu ancora maggiore per i lanci, a causa di pregiudizi radicati anche fra le donne stesse. In quello che è generalmente considerato il primo meeting femminile dei tempi moderni, il Field Day al Vassar College di Poughkeepsie (New York) nel 1895, voluto e organizzato da donne, non c'era nessuna gara di lancio. Il peso, sotto forma di una palla di ferro di 8 libbre (3,63 kg), apparve per la prima volta nel programma tre anni più tardi e l'atleta Ella V. Jones vinse con 7,14 m. Nell'edizione inaugurale dei Giochi Mondiali femminili, tenuti per iniziativa della Fédération sportive féminine internationale a Parigi nel 1922, era prevista una gara di peso a due braccia, sempre con un attrezzo di 8 libbre. Vinse l'americana Lucille Godbold con un aggregato di 20,22 m (destro 11,27 m, sinistro 8,95 m).
Il primo mondiale con l'attuale attrezzo di 4 kg omologato dalla FSFI è legato al nome della francese Violette Gouraud-Morris che nel 1924 lanciò alla distanza di 10,15 m. La Germania fu il primo paese ad avere atlete tecnicamente preparate nel lancio e tra queste Grete Heublein fece avanzare il record a più riprese, fino a raggiungere i 13,70 m nel 1931. Negli anni Trenta dominò la scena mondiale nel peso, nel disco e nel pentathlon, la bavarese Gisela Mauermayer, che detenne il primo record mondiale IAAF con 14,38 m (1934), ma ai Campionati Europei del 1938 fu battuta di stretta misura (13,27 m contro 13,29) dalla sua connazionale Hermine Schröder.
Il peso apparve per la prima volta nel programma dei Giochi Olimpici nel 1948. La medaglia d'oro fu vinta da Micheline Ostermeyer, con 13,75 m. Ostermeyer ha costituito un esempio assai raro, essendo stata capace di primeggiare sia nelle pedane dei lanci (a Londra vinse anche il disco) sia nella musica, come pianista laureata a pieni voti al Conservatoire de Paris e poi come concertista di rango.
In Italia si era iniziato il lancio del peso di 4 kg solo nei tardi anni Venti e la specialista più importante sul piano internazionale fu Amelia Piccinini, torinese, terza ai Campionati Europei del 1946 e seconda con 13,09 m ai Giochi di Londra, sia pure a notevole distanza da Ostermeyer. Arrivò a 13,39 m nel 1949.
L'interesse dell'Unione Sovietica per l'atletica femminile in generale e per i lanci in particolare era noto fin dagli anni Trenta, anche se questo Stato non faceva ancora parte del CIO e della IAAF. Nel dopoguerra la situazione venne risolta, ma il debutto sovietico nell'arengo olimpico venne rimandato al 1952. A soffrire le conseguenze di questa decisione fu tra le altre la lanciatrice Tatyana Sevryukova, che proprio nel 1948 succedette ufficialmente a Mauermayer come primatista mondiale con 14,59 m. Un'altra russa, Anna Andreyeva, superò per prima i 15 m raggiungendo i 15,02 m nel 1950, ma nell'Unione Sovietica fecero storia soprattutto tre atlete: Galina Zibina, Tamara Press e Nadyezhda Chizhova. Zibina fu la prima russa a fregiarsi dell'oro olimpico nel 1952 a Helsinki, con un mondiale di 15,28 m e fu la prima a superare i 16 m arrivando fino a 16,76 nel 1956. Tamara Press, un'ucraina dal fisico possente (1,80 m per 94 kg), fu una forza dominante nel peso e nel disco e costituì con la sorella minore Irina, primatista mondiale del pentathlon, una coppia famosa. Portò il mondiale del peso a 17,25 m nel 1959 e a 18,59 m nel 1965. Vinse due titoli olimpici (1960 e 1964), realizzando nel secondo caso la doppietta peso-disco. Anche Chizhova contribuì all'evoluzione di questa disciplina, e nel 1969 deteneva il mondiale con 20,43 m anche se l'anno precedente era stata sconfitta da Margitta Gummel (RDT) ai Giochi Olimpici di Città del Messico. Complessivamente Chizhova vinse tre medaglie olimpiche (l'oro nel 1972) e ben quattro titoli europei. Scrisse dieci volte il suo nome nell'Albo dei mondiali, l'ultima volta con 21,45 m (1973).
Atleta meno brillante ma incisiva nella caccia al record fu la cecoslovacca Helena Fibingerová, che arrivò ai 22,32 m nel 1977 e fece ancor meglio al coperto (22,50 m nello stesso anno). La sua più forte rivale fu Ilona Slupianek della Repubblica Democratica Tedesca, che però proprio nel 1977, in occasione della Coppa Europa, fu trovata positiva a uno steroide anabolizzante e fu sospesa dalla IAAF. Riammessa l'anno dopo, sorprese non pochi osservatori ottenendo risultati addirittura migliori dei precedenti, raggiungendo nel 1980 i 22,45 m.
Ai primi Campionati Mondiali (Helsinki 1983) ebbe finalmente quel successo che andava cercando da tempo Fibingerová: dopo il penultimo turno di lanci era solo quarta, ma all'ultimo raggiunse i 21,05 m e vinse, superando, tra le altre, Slupianek, giunta solo terza. Poi l'Unione Sovietica riprese la leadership con Natalya Lisovskaya, che nel 1984 conquistò il mondiale con 22,53 m e tre anni dopo, a Mosca, fissò il record a 22,63 m, misura rimasta a tutt'oggi insuperata; inoltre vinse sia ai Campionati Mondiali del 1987 sia ai Giochi Olimpici del 1988. La sua abilità parve perdere vigore nel 1989, in curiosa coincidenza con l'inasprimento della campagna antidoping da parte della IAAF, tra l'altro con l'introduzione dei controlli a sorpresa. Sotto questo aspetto, anche per le donne il peso è tra le specialità più vulnerabili, basti dire che ben 9 delle 50 migliori atlete di tutti i tempi alla fine del 2002 avevano avuto almeno un 'incidente di percorso' con relativa sospensione.
La migliori misure di fine Novecento furono i 21,69 m ottenuti dall'ucraina Vita Pavlish nel 1998 e i 21,66 m della cinese Sui Xinmei nel 1990. Entrambe furono squalificate per doping. La prima fu trovata positiva dopo aver vinto ai Campionati Mondiali Indoor del 1999 e la squalifica le fece perdere i 50.000 dollari del premio stabilito per la vittoria. Qualche settimana dopo fu annunciato che la russa Irina Korzhanenko, giunta seconda nella stessa gara e poi dichiarata prima, era risultata anche lei positiva.
Le lanciatrici più incisive dell'ultimo decennio nelle grandi competizioni sono state la cinese Huang Zhihong e la tedesca Astrid Kumbernuss. La prima ha vinto due titoli mondiali (1991 e 1993), e la tedesca tre (1995, 1997 e 1999) nonché uno olimpico (1996). Pur rimanendo lontane dalle misure degli anni Ottanta, hanno ottenuto 'personali' di 21,52 m Huang e di 21,22 m Kumbernuss.
All'inizio del nuovo secolo sono tornate a brillare le atlete russe: Larisa Peleshenko, leader del 2001 con 20,79 m, e Korzhanenko, che nel 2002 ha ottenuto la miglior misura dell'anno, 20,64 m, vincendo il titolo europeo a Monaco. Nel 2003 il ruolo di numero uno è passato alla trentaquattrenne russa Svyetlana Krivelyova, che ha vinto il titolo mondiale a Parigi con 20,63 m.
In Italia gli ultimi decenni del Novecento sono stati dominati dalla romana Cinzia Petrucci con 18,74 m nel 1980, e dall'attuale primatista Mara Rosolen, trevigiana, con 18,81 m nel 2000. Poi si è messa in luce la napoletana Assunta Legnante, che nel 2002 ha raggiunto i 18,23 m all'aperto dopo aver fatto intravedere potenzialità notevoli con 19,20 m al coperto. Nel 2003 questa atleta ha elevato a 18,43 m il suo primato personale all'aperto e si è classificata ottava ai Campionati Mondiali con 18,28 m.
Il lancio del disco è ampiamente illustrato nell'arte e nella letteratura dell'antichità: basti solo pensare al Discobolo di Mirone, celebre opera del 5° secolo a.C. (l'originale in bronzo fu replicato più volte in marmo in epoca romana; la versione più famosa è quella Lancelotti, conservata a Roma al Museo nazionale romano di Palazzo Massimo). In origine i greci usavano dischi di pietra, con diametro fra i 17 e i 32 cm e un peso fra 1,3 e 6,6 kg. Più tardi vennero usati dischi di ferro, piombo o bronzo. Di solito l'attrezzo veniva lanciato da una piattaforma rettangolare.
Il disco moderno ha regole ispirate alla tradizione continentale europea anziché a quella anglosassone, come avviene invece per peso e martello. L'attrezzo pesa 2 kg e viene lanciato da una pedana circolare con diametro di 2,50 m. Queste norme divennero universali solo dopo la nascita della IAAF nel 1913.
Una competizione di lancio del disco figurò nel programma di un festival tenuto ad Atene nel 1870. Ai primi Giochi Olimpici l'attrezzo, di legno e del peso di 2 kg, veniva lanciato da una pedana quadrata di 2,50 m di lato: l'americano Robert Garrett, che in patria si era allenato con un disco di acciaio di 20 libbre (9,08 kg) si trovò a suo agio con l'oggetto proposto dai greci e vinse con 29,15 m, davanti al favorito locale, Panagiotis Paraskevopoulos (28,95 m).
Alla fine del 19° secolo il miglior risultato era quello ottenuto dall'americano Charles Henneman con 36,19 m ai campionati AAU del 1897, con un disco lanciato da una pedana circolare del diametro di 7 piedi (2,13 m). Nella stessa epoca in Italia si lanciava un disco di bronzo di 1,923 kg e con un attrezzo del genere Orio Pizio raggiunse 31,85 m nel 1900.
Ai Giochi Olimpici 'ufficiosi' del 1906 ad Atene i greci, oltre alla gara standard, ne tennero anche una di 'stile greco', ispirata ai canoni dell'antichità classica, con regole quanto mai complesse. Questa figurò nel programma anche ai Giochi del 1908 a Londra ma fu successivamente abbandonata.
Martin Sheridan fu il primo grande protagonista della specialità. Oriundo irlandese, nato nella contea di Mayo, emigrò presto negli Stati Uniti, al pari di molti suoi connazionali di quel tempo. Per i colori americani vinse la gara del disco 'normale' ai Giochi Olimpici del 1904 a St. Louis e del 1908 a Londra, nonché in quelli 'ufficiosi' del 1906. Migliorò a più riprese il record mondiale portandolo fino a 43,54 m nel 1909 (a parte un 43,69 m del 1905, considerato 'assai dubbio'). Il finlandese Verner Järvinen giunse a 44,84 m nel 1909, ma da una pedana del diametro di 2,70 m. Più che per la sua vittoria con 35,17 m nel disco 'stile greco' ai Giochi 'ufficiosi' ad Atene, Järvinen è ricordato in Finlandia come il padre di una delle più celebri famiglie di atleti: tre suoi figli, Kalle, Akilles e Matti giunsero a notorietà in campo internazionale e soprattutto gli ultimi due arrivarono alle più alte vette delle loro specialità, rispettivamente nel decathlon e nel giavellotto.
Il primo titolo mondiale ufficialmente riconosciuto dalla IAAF è legato al nome di James Duncan (USA): 47,58 m nel 1912, ottenuto con il braccio destro in una gara di disco a due braccia mentre con il sinistro giunse a 29,45 m, per un totale di 77,03 m. Gare del genere erano frequenti e una volta apparvero anche in sede olimpica. Sempre nel 1912 il finlandese Armas Taipale vinse a Stoccolma con 82,86 m (destro 44,68, sinistro 38,18), battendo tra gli altri Duncan, giunto solo quinto. Taipale lanciò a 48,27 m nel 1913, con il destro, ma questa misura non fu omologata dalla IAAF. In un'epoca in cui la maggior parte degli atleti faceva attenzione soprattutto al movimento delle braccia, Taipale fu fra i primi a dare importanza all'azione delle gambe e delle anche. Vinse con 45,21 m ai Giochi di Stoccolma del 1912, ma otto anni dopo, a quelli di Anversa, dovette inchinarsi al suo connazionale Elmer Niklander, 44,19 contro 44,68 m. Il primato italiano era di Aurelio Lenzi con 43,65 m (1913).
I quattro titoli olimpici messi in palio nel ventennio 1921-1940 andarono a lanciatori americani, ma nella caccia al primato mondiale non mancarono le interferenze europee. Clarence Houser, americano del Missouri, veloce in pedana (un giro e mezzo) come forse nessun altro fino ad allora, mise a segno la doppietta peso-disco ai Giochi Olimpici del 1924 a Colombes (14,99 e 46,15 m), impresa rimasta a tutt'oggi ineguagliata. Il disco era la sua migliore specialità: detenne il mondiale con 48,20 m (1926) e rivinse due anni dopo ai Giochi Olimpici con 47,32 m. Il primo atleta a superare i 50 m fu un altro americano, Eric Krenz, con 51,03 m nel 1930 che nello stesso anno fu peraltro superato dal connazionale Paul Jessup con 51,73 m. Krenz non ebbe tempo per rivalersi perché nel 1931 affogò nelle acque del lago Tahoe nel tentativo di salvare la vita a un ragazzo.
Il primo europeo ad andare oltre i 50 m fu l'ungherese József Remecz con 50,73 m nel 1932, ma il titolo olimpico di quell'anno andò all'americano John Anderson con 49,49 m. A quel punto l'Europa aveva comunque la sua parte di buoni discoboli e toccò a uno svedese, sia pure nato nel Michigan, Harald Andersson, l'onore di interrompere la serie vincente degli americani nella corsa al primato. Nel 1934 a Oslo lanciò a 52,42 m e nello stesso anno vinse nell'edizione inaugurale dei Campionati Europei a Torino con 50,38 m.
Nella primavera del 1935 un tedesco fino ad allora poco noto, Willi Schröder, destò sorpresa con un lancio record di 53,10 m al quale Andersson rispose nella stessa stagione con una misura quasi equivalente, 53,02. Ma ai Giochi Olimpici del 1936 a Berlino i due europei non seppero rendersi giustizia, anche perché lo svedese giunse all'appuntamento senza aver smaltito del tutto gli effetti di un infortunio. Gli Stati Uniti vinsero nell'ordine con Kenneth Carpenter e Gordon Dunn. Terzo e primo fra gli europei un italiano, Giorgio Oberweger. Prima della fine dell'anno Carpenter sfiorò il mondiale con 53,08 m.
Prima di Oberweger l'Italia aveva avuto un buon discobolo nel veronese Albino Pighi, che nel 1927 trovò posto fra i venti migliori del mondo con 44,44 m. Oberweger, triestino, era così alto ed esile negli anni dell'adolescenza che gli venne consigliato di praticare lo sport per irrobustire il fisico. Ubbidì così bene da classificarsi sesto nel lancio del disco ai Campionati Europei del 1934, nella gara vinta da Andersson. Fu il primo italiano a superare i 50 m (50,31 m nel 1936) ed ebbe la sua miglior stagione nel 1938, quando con 51,49 m figurò al primo posto nella lista mondiale dell'anno. Finì secondo dietro a Schröder ai Campionati Europei del 1938, 49,48 contro 49,70 m. Oberweger era così eclettico da figurare fra i migliori d'Europa anche nei 110 m ostacoli, 14,7″ nel 1938, primato italiano. Trovò un degnissimo successore in Adolfo Consolini, atleta di notevole potenza fisica che già nel 1940, a 23 anni, seppe inserirsi fra i migliori del mondo (50,46 m).
La storia del lancio del disco ricorda finora un solo atleta di colore che sia riuscito a conquistare il primato mondiale, l'americano Archie Harris, uno studente della Indiana University che nel 1941 lanciò a 53,25 m, a coronamento di una stagione straordinaria nella quale superò i 52 m in cinque diverse manifestazioni. Mantenne però il record solo per breve tempo, perché il 26 ottobre dello stesso anno, al campo Giurati di Milano, Adolfo Consolini lanciò a 53,34 m. Nato a Costermano (Verona) nel 1917, Consolini è stato certamente uno dei più grandi atleti, se non il più grande, che l'Italia abbia avuto. Fu un vero esempio di serietà e applicazione, e raccolse nell'arco di più di un ventennio onori e gloria come nessun altro nella storia dell'atletica italiana. Migliorò a tre riprese il primato mondiale, sempre a Milano; dopo il record già riferito, ottenne 54,23 m ancora al Giurati nel 1946 e infine 55,33 m nel 1948, stavolta all'Arena. Prese parte a quattro edizioni dei Giochi Olimpici: fu primo nel 1948 a Londra con 52,78 m, secondo nel 1952 a Helsinki con 53,78 m, sesto nel 1956 a Melbourne con 52,21 m e diciassettesimo nel 1960 a Roma con 52,44 m. Fu tre volte campione d'Europa con 53,23 m nel 1946, 53,75 m nel 1950 e 53,44 m nel 1954. Arrivò al culmine della sua lunga carriera a 38 anni, con un lancio di 56,98 m a Bellinzona nel 1955, e questo fu l'ultimo dei suoi primati europei. Dotato di un buon fisico (1,80 m per 105 kg), faceva leva su una forza non comune nella parte superiore del busto, anche se nelle gambe mancava di un adeguato dinamismo. Il piemontese Giuseppe Tosi, dal fisico ancora più imponente (1,93 m per 119 kg), fu il suo 'eterno secondo' nelle competizioni più importanti: ai Giochi Olimpici del 1948 e in ben tre edizioni dei Campionati Europei (1946, 1950, 1954). Più estroso ma meno costante del suo grande rivale, nel 1948 Tosi detenne per alcuni mesi il primato europeo, grazie a lanci come 54,78 m e 54,80, messi a segno rispettivamente a Perugia e a Milano.
I più temibili concorrenti della coppia italiana furono ancora una volta gli americani. Nel 1946 Bob Fitch tolse il mondiale a Consolini con 54,93 m, prima di abbandonare l'attività a 28 anni, alla vigilia dei Giochi di Londra. Gli fu degno successore Fortune Gordien, forse il più dinamico dei discoboli visti fino ad allora. Nel frattempo Consolini aveva riconquistato il mondiale (55,33 m nel 1948) ma Gordien seppe far meglio nel 1949, proprio durante una tournée europea, prima con 56,46, poi con 56,97 m.
Nel 1953 fu il turno di un altro americano, Simeon ('Sim') Iness, con 57,93 m, ma prima della fine di quell'anno Gordien salì a 58,10 m e infine a 59,28 m. In tre edizioni dei Giochi Olimpici si dovette peraltro accontentare di un terzo posto nel 1948, di un quarto nel 1952 e di un secondo nel 1956, giungendo due volte su tre dietro a Consolini. Nelle ultime due occasioni vinsero comunque altri americani: Sim Iness nel 1952 (55,03 m) e Alfred (Al) Oerter nel 1956 (56,36 m). Nell'ambiente dell'atletica americana Oerter (nato ad Astoria, New York, nel 1936 e 'scoperto' quando aveva solo 18 anni, alla high school, per un lancio di 56,15 m con un attrezzo di 1,61 kg) è ricordato come esempio di comethrough performer, il tipo di atleta che riesce a rendere al meglio nelle occasioni più importanti: tra il 1956 e il 1968 conquistò quattro volte il titolo olimpico, partendo sempre da una posizione di outsider e mai da quella di favorito. Nel 1960 a Roma vinse con 59,18 m. In quel periodo il primato mondiale era di 59,91 m e apparteneva a due atleti: il polacco Edmund Piatkowski e l'americano Rink Babka.
La più sorprendente delle vittorie olimpiche di Oerter fu forse quella di Tokyo nel 1964. Era in precarie condizioni fisiche a causa di una vertebra cervicale dislocata, tanto da essere costretto a portare intorno al collo un apparecchio di sostegno e a ricorrere a impacchi ghiacciati sulla parte malata durante la gara; si trovò di fronte quattro atleti, Edmund Piatkowski (Polonia), Jay Silvester (USA), Vladimir Trusenyov (URSS) e Ludvik Danek (Cecoslovacchia) che in tempi diversi erano stati detentori del mondiale (nei primi anni Sessanta il record del mondo era stato migliorato a più riprese dai suddetti atleti e quattro volte dallo stesso Oerter; poco prima dei Giochi di Tokyo il cecoslovacco Danek era arrivato a 64,55 m). Nonostante tutto, al quinto tentativo Oerter ottenne la misura vincente, 61 m, precedendo Danek (60,52 m) e gli altri.
Nei quattro anni successivi Danek e Silvester si alternarono nel possesso del mondiale, che alla vigilia dei Giochi Olimpici del Messico apparteneva al secondo con 68,40 m (1968). Silvester era dunque il favorito per la gara olimpica, visto anche che nel corso di quella stagione aveva battuto Oerter sei volte su un totale di sette incontri diretti. Ma a Città del Messico Oerter vinse con un nuovo 'personale' di 64,78 m, mentre Silvester fu solo quinto. Nel 1969 Oerter si ritirò e rimase fuori dalla scena per parecchi anni (dopo il rientro, nel 1980, lanciò a 69,46 m, migliore misura della sua carriera, ma ormai al di sotto dei livelli degli atleti migliori).
Silvester fu il primo a superare i 70 m nel 1971 (70,38), ma in una gara non ufficiale. Per il primo lancio 'legale' oltre quel limite si dovette attendere fino al 1976 quando l'americano Mac Wilkins raggiunse i 70,86 m a San José (California). Lanciatore eclettico come pochi, Wilkins ottenne nel corso della sua carriera queste misure: 21,06 m nel peso, 70,98 m nel disco, 63,66 m nel martello e 78,44 m nel giavellotto.
Nel frattempo anche l'Europa e perfino il Sudafrica avevano avuto la loro parte, la prima con lo svedese Ricky Bruch (68,40 m nel 1972), il secondo con John Van Reenen (68,48 m nel 1975). Nel 1978 il mondiale fu conquistato, con 71,16 m, da Wolfgang Schmidt, tedesco della RDT, passato successivamente alla Germania dell'Ovest.
Per Danek la gloria olimpica giunse tardi ma non per questo meno gradita: vinse ai Giochi del 1972 a Monaco con 64,40 m, quando aveva 35 anni. Wilkins prevalse nel 1976 a Montreal (67,50 m, dopo aver raggiunto 68,28 m nelle qualificazioni) e un russo del tutto inatteso, Viktor Rashchupkin, fu primo nel 1980 a Mosca (66,64 m). In quest'ultima occasione vari osservatori ebbero la quasi certezza che un lancio dell'atleta di colore cubano Luis Mariano Delis fosse stato misurato per difetto, così da valergli solo il terzo posto (66,32 m).
In Italia il primato nazionale di Consolini fu superato nel 1967 da Silvano Simeon in una riunione di primavera a Milano con 59,96 m. Questo friulano si alternò successivamente con l'ascolano Armando De Vincentiis nel possesso del record. Sul piano internazionale Simeon ottenne il successo più rilevante giungendo secondo dietro Ludvik Danek nel match America-Europa del 1967 a Montreal. In un bel duello con De Vincentiis a Roma nel 1976, Simeon raggiunse i 65,10 m, contro i 64,48 del rivale e questi dovevano rimanere i loro migliori risultati.
Anche nel lancio del disco ha avuto drammatica incidenza il problema del doping. Tra i discoboli che in anni recenti sono stati trovati positivi ai test della IAAF sui farmaci proibiti si annoverano uomini di alta quotazione come Knut Hjeltnes (Norvegia), Velko Velev (Bulgaria), Hein-Direck Neu (Germania Federale), Markku Tuokko (Finlandia), Romas Ubartas (Lituania), Juan Martínez e Luis Mariano Delis (Cuba) e Ben Plucknett (USA). Quest'ultimo superò il record mondiale due volte nel 1981 con 71,20 e 72,34 m, misure accettate come primati nazionali dalla Federazione americana ma respinti dalla IAAF, in seguito alla tardiva rivelazione che al principio di quell'anno Plucknett era risultato positivo a un test condotto durante i Pan Pacific Games a Christchurch (Nuova Zelanda). Scontata la squalifica, nel 1983 Plucknett lanciò a 71,32 m, ma pochi giorni prima il mondiale ufficiale era salito a 71,86 m per opera del russo Yuri Dumchev.
Caratteristica del lancio del disco è l'imperscrutabilità dei risultati, anche prescindendo da come possa alterare le prestazioni l'uso di sostanze dopanti. Poche altre specialità evidenziano un calo di rendimento altrettanto forte nel passaggio da gare 'fredde' a gare 'calde', intendendo con le prime quelle nelle quali la pressione psicologica è minore. Non è poi da trascurare il fattore vento che può influenzare un lancio in misura a volte impensabile, fattore ben risaputo anche se non contemplato dalle regole della IAAF. A fronte del miglior risultato fin qui ottenuto in una competizione globale, i 69,72 m del tedesco Lars Riedel ai Campionati Mondiali del 2001, il lancio più lungo registrato finora è di 74,08 m, eseguito da Jürgen Schult (RDT) nel 1986 a Neubrandenburg. Diversi anni dopo, Schult in un'intervista al giornale Leichtathletik confessò che in quell'occasione il disco fu preso da una raffica di vento e dopo aver volato a lungo alla fine atterrò in verticale, cosa che normalmente non avviene. Per Schult fu l'unico lancio giusto della giornata, ben superiore al secondo miglior risultato della sua lunga carriera (70,46 m). Bisogna tuttavia aggiungere che Schult è stato un grande discobolo, per tecnica e regolarità di rendimento. Lo testimoniano le sei medaglie da lui vinte in competizioni globali nell'arco di dodici anni: ai Giochi Olimpici una medaglia d'oro (1988) e una d'argento (1992); ai Campionati Mondiali un oro (1987), un argento (1999) e due bronzi (1993 e 1997). La sua migliore misura in questa serie è stata di 68,82 m a Seul nel 1988.
Tuttavia il più grande discobolo degli ultimi anni del Novecento non è stato Schult, bensì un altro tedesco, Lars Riedel. Nato anche lui nella RDT ma emerso a livello internazionale dopo l'unificazione della Germania, ha fatto leva sulla sua mole imponente (1,99 m per 110 kg) e sul suo dinamismo per mettere a segno cinque vittorie ai Campionati Mondiali (1991, 1993, 1995, 1997 e 2001). Nell'edizione del 1999 non era in condizioni ideali a causa di un infortunio all'anca e dovette accontentarsi del terzo posto. Ai Giochi Olimpici vinse l'oro nel 1996 e l'argento nel 2000. Ottenne il suo primato personale, 71,50 m, in una riunione a Wiesbaden nel 1997. Fra gli altri grandi lanciatori di quel periodo ci fu l'americano Anthony Washington, il primo discobolo di colore che sia riuscito a vincere un titolo mondiale: 69,08 m a Siviglia nel 1999.
Notevole anche il contributo della Lituania, con Romas Ubartas e soprattutto con Virgilijus Alekna, un atleta imponente (2 m per 130 kg) che nella vita di ogni giorno è guardia del corpo del presidente della Lituania. Alekna è stato campione olimpico nel 2000, anno in cui ha messo a segno il secondo miglior risultato di tutti i tempi, 73,88 m, ed è arrivato secondo dietro a Riedel ai Campionati Mondiali del 2001. Ai Campionati Europei di Monaco del 2002 si è messo in luce l'ungherese Róbert Fazekas, vincitore con 68,83 m su Alekna (66,62 m). Per tutta la stagione 2003 Fazekas e Alekna sono stati in concorrenza per la posizione di vertice. Il primo ha prevalso nella maggior parte dei confronti diretti, ma Alekna ha avuto la meglio sull'ungherese ai Campionati Mondiali di Parigi, 69,69 m contro 69,01 m. Qui il veterano Riedel ha dovuto accontentarsi del quarto posto.
In Italia il primato nazionale è stato migliorato a più riprese dal ferrarese Marco Bucci che è giunto fino a 66,96 m nel 1984, e dal romano Marco Martino, attuale detentore con 67,62 m nel 1989, progressi che tuttavia non hanno tenuto il passo con l'evolversi della situazione mondiale. Sul finire del secolo il miglior discobolo è stato, con il risultato di 64,69 m ottenuto nel 2000, Diego Fortuna, allenato da Silvano Simeon. Suo rivale è Cristiano Andrei (nipote di Alessandro, campione olimpico del peso nel 1984), che nel 2002 ha lanciato a 64,11 m e nel 2003 a 64,49.
Dischi di vario peso, per lo più tra 1,5 e 1,25 kg, furono usati fin dai primi decenni del 20° secolo in vari paesi tra i quali Stati Uniti, Austria e Germania. L'attrezzo di 1 kg, attualmente in uso, entrò in circolazione negli anni Venti e apparve nel programma dei Giochi mondiali femminili della FSFI nella seconda edizione di questa rassegna nel 1926 a Göteborg. La gara fu vinta dalla polacca Halina Konopacka, un'atleta ventiseienne, con 37,71 m. Seconda si classificò la giapponese Kinue Hitomi (33,62 m), forse il più grande talento femminile dell'epoca, che a Göteborg riuscì ad arrivare in ben sei finali. Konopacka si confermò indiscussa pioniera del disco ai Giochi Olimpici del 1928 ad Amsterdam e di nuovo ai Giochi Mondiali del 1930 a Praga. Nella prova di Amsterdam ottenne la miglior misura, 39,62 m, omologata come record mondiale dalla FSFI.
L'americana Lilian Copeland, vincitrice ai Giochi Olimpici del 1932 a Los Angeles (40,58 m), e un'altra polacca, Jadwiga Wajs, prima ai Giochi Mondiali del 1934 a Londra (43,79 m), fecero anch'esse la loro parte di storia. Ma per un rilevante passo avanti si dovette attendere la seconda metà degli anni Trenta con la tedesca Gisela Mauermayer, primo grande esempio di pesista-discobola. Ai campionati tedeschi del 1936 a Berlino questa agile e potente atleta portò il mondiale a 48,31 m, prima misura omologata dalla IAAF, e nello stesso anno vinse il titolo olimpico, sempre a Berlino, con 47,63 m.
In Italia la prima lanciatrice di valore internazionale fu Ljubica Gabric, un'atleta dalmata (in seguito avrebbe sposato l'ostacolista Sandro Calvesi, divenuto poi ottimo allenatore), che nel 1939 detenne il primato nazionale con 43,35 m dopo essere giunta sesta ai Campionati Europei del 1938.
Nel 1939, quando l'Unione Sovietica era ancora fuori dal movimento sportivo internazionale, la georgiana Nina Dumbadze, appena ventenne, superò le misure di Mauermayer con 49,11 m a Mosca e poi con 49,54 m nella sua Tbilisi. Atleta dal fisico imponente (1,78 m per 82 kg), Dumbadze fece la sua prima apparizione nel circuito internazionale ai Campionati Europei del 1946 a Oslo dove vinse con 44,52 m. Pochi giorni dopo, a Sarpsborg, sempre in Norvegia, superò per la prima volta i 50 m con 50,50 m. Ma l'Unione Sovietica non partecipò ai primi Giochi Olimpici del dopoguerra (Londra 1948), e anche in questa disciplina, come nel lancio del peso, a trarne il maggior beneficio fu la francese Micheline Ostermeyer, che vinse con 41,92 m; seconda fu l'italiana Edera Cordiale Gentile con 41,17 m.
Nello stesso 1948, a Mosca, Dumbadze lanciò a 53,25 m e questo fu il suo primo mondiale omologato dalla IAAF. Alle Olimpiadi di Helsinki 1952 dovette accontentarsi del terzo posto, dietro a due connazionali (la gara fu vinta da Nina Romashkova Ponomaryeva con 51,42 m), ma nello stesso anno portò il mondiale a 57,04 m, ancora a Tbilisi.
Toccò alla cecoslovacca Olga Fikotová interrompere la supremazia delle sovietiche vincendo il titolo olimpico nel 1956 a Melbourne con 53,69 m. Terza giunse Romashkova, che seppe tornare alla vittoria nel 1960 a Roma (55,10 m); esempio raro di un'atleta capace di risalire sul più alto gradino olimpico a otto anni di distanza dalla prima volta. A Dumbadze succedette come primatista mondiale la sovietica Tamara Press, che raggiunse i 59,70 m nel 1965, un anno dopo aver vinto l'oro olimpico a Tokyo. Poi fu il turno della tedesca Liesel Westermann, prima a oltrepassare i 60 m nel 1967 (61,26 m), giungendo in seguito a 63,96 m nel 1969. Ai Giochi Olimpici di Città del Messico nel 1968 Westermann fu però sconfitta dalla romena Lia Manoliu (58,28 m).
In Italia, dopo la già ricordata Cordiale Gentile, giunta terza ai Campionati Europei del 1950, vi furono eccellenti lanciatrici come Paola Paternoster ed Elivia Ricci-Ballotta, che nel 1965 detenne il primato nazionale con 52,99 m.
La prima a lanciare l'attrezzo di 1 kg oltre i 70 m fu Faina Myelnik, una russa che conquistò il record mondiale nel 1971 con 64,22 m e attraverso varie tappe approdò ai 70,20 m nel 1975 a Zurigo e ai 70,50 un anno dopo. Vinse un titolo olimpico nel 1972 e due titoli europei, nel 1971 e nel 1974.
Negli anni Ottanta la Repubblica Democratica Tedesca prese le redini della specialità grazie a lanciatrici come Evelin Jahl, Martina Hellmann e Gabriele Reinsch, che si avvicendarono nel possesso del titolo mondiale. Reinsch nel 1988 a Neubrandeburg lanciò a 76,80 m, un record tuttora inarrivato: bisogna dire però che lo stadio, il Friedrich-Ludwig-Jahn Sportpark, è situato in una zona aperta ai venti per cui i discoboli si trovano in molte occasioni a loro agio. Ben sette delle trenta migliori prestazioni femminili di sempre sono state ottenute a Neubrandenburg e anche il record mondiale maschile attuale, 74,08 m, che appartiene a Jürgen Schmid dal 1986, è stato ottenuto, come si è detto, in questo stadio.
Negli anni Novanta i risultati furono inferiori a quelli del decennio precedente. Il lancio migliore, 71,68 m, fu eseguito nel 1992 dalla cinese Xiao Yanling, che poco dopo fu trovata positiva a un controllo antidoping e squalificata per quattro anni (alla fine del 2002 risultava che sei delle migliori cinquanta atlete di tutti i tempi avevano avuto problemi sotto questo profilo almeno una volta).
Tra le migliori specialiste dell'ultimo decennio del secolo meritano di essere ricordate la tedesca Ilke Wyludda, medaglia d'oro olimpica nel 1996 e imbattuta in 41 riunioni consecutive tra il 1989 e il 1991, e la neozelandese Beatrice Faumuina, figlia di una coppia delle Samoa occidentali, prima polinesiana a vincere un titolo mondiale, nel 1997 ad Atene. La carenza di prestazioni di rilievo è proseguita nel nuovo secolo. Mancano risultati al di là dei 70 m. La russa Natalya Sadova ha vinto il titolo mondiale del 2001 a Edmonton con 68,57 m, mentre l'americana Suzy Powell nel 2002 ha lanciato a 69,44 m, nel ventoso stadio di La Jolla (California). Il titolo mondiale del 2003 è andato alla bielorussa Irina Yatchenko, una veterana di 38 anni, con 67,32 m. Questo alla sua sesta presenza in tale rassegna: nelle precedenti occasioni aveva avuto come miglior piazzamento un quinto posto nel 1997. Yatchenko è moglie del martellista Igor Astapkovich, messosi in luce nei primi anni Novanta.
In Italia la migliore lanciatrice del periodo è stata Agnese Maffeis, bergamasca e moglie di Alessandro Andrei, olimpionico del peso nel 1984, che ha portato il primato nazionale fino a 63,66 m (1996), praticando per un ventennio disco e peso.
Il nome di questa disciplina, che ha lontane origini celtiche, nasce dal fatto che in origine l'attrezzo utilizzato era un comune martello da fabbro. All'inizio l'esercizio era praticato dalla nobiltà e dal popolo e le regole prevalenti erano assai diverse da quelle oggi vigenti. Solo nel 1887 gli americani fissarono in 4 piedi (1,22 m) la lunghezza massima dell'attrezzo, stabilendo che dovesse essere composto da una sfera di ferro collegata tramite una catena d'acciaio di 3 mm di diametro a una maniglia di forma triangolare, con peso complessivo non inferiore a 16 libbre (7,257 kg). Il lancio si effettuava da una pedana circolare di 7 piedi (2,134 m) di diametro. Queste regole divennero norma internazionale solo a partire dal 1908. Ancora un paio di anni prima un annuario irlandese riportava nella tabella dei primati nazionali dieci diverse categorie di lancio del martello, con varianti che riguardavano l'attrezzo, la catena e anche i movimenti consentiti prima del lancio.
I veri pionieri dell'esercizio in chiave moderna furono appunto gli irlandesi e in particolare alcuni fra loro che emigrarono verso gli Stati Uniti, dove conobbero la fama gareggiando sotto bandiera americana. James Mitchel fu il primo della serie e dominò la scena per circa dieci anni, portando il primato fino a 44,21 m (1892). Seguì John Flanagan, un atleta di taglia robusta (1,78 m per 100 kg), eclettico quanto bastava per vincere la gara del martello e arrivare secondo nel peso ai campionati inglesi del 1896 e capace di raggiungere 6,70 m nel salto in lungo e 14,04 nel triplo. Suo fu il record nel lancio del martello di fine secolo: 51,61 m nel 1900, anno in cui vinse con 51,01 m, a Parigi, il primo titolo olimpico messo in palio in questa specialità. Quanto fosse 'ridotta' la competizione in campo europeo ce lo dice il fatto che in quella gara lo svedese Eric Lemming, che era soprattutto un giavellottista, finì quarto.
Flanagan rimase la figura dominante anche nel primo decennio del nuovo secolo. Alla vittoria olimpica del 1900 ne aggiunse altre due nel 1904 (51,23 m) e nel 1908 (51,92 m), stabilendo così un record che solo il discobolo Al Oerter, molti anni dopo, riuscì a superare. Raggiunse il suo 'tetto' nel 1909 con un lancio di 56,18 m quando aveva ormai 41 anni. Fu il primo campione della sua disciplina a usare tre giri in pedana. Intanto in America era cresciuto un gruppo di irlandesi, per lo più poliziotti, che nelle ore di libertà si svagavano, preferibilmente nel campo di Celtic Park a Long Island (New York), lanciando il martello; per la loro mole venivano chiamati Irish whales ("balene irlandesi"). Uno di loro, Matthew McGrath, ebbe una lunghissima carriera e rappresentò gli Stati Uniti in quattro edizioni dei Giochi Olimpici giungendo secondo nel 1908, primo nel 1912 con 54,74 m, quinto nel 1920 e di nuovo secondo nel 1924; tentò di arrivare a cinque edizioni nel 1928, quando aveva ormai 53 anni, ma ai Trials olimpici non andò oltre il quinto posto e dovette rinunciare. Ebbe a lungo come rivale Patrick Ryan, un'altra 'balena irlandese' che nella corsa al primato mondiale ebbe l'ultima parola: nel 1911 McGrath lanciò a 57,10 m, nel 1913 Ryan a 57,77 m, un limite che rimase insuperato per quasi un quarto di secolo. Ryan, che era arrivato negli Stati Uniti nel 1910, non poté essere incluso nella squadra americana per i Giochi Olimpici del 1912, ma ebbe la pazienza di aspettare otto anni e ai Giochi di Anversa vinse con 52,87 m. Molti anni dopo, McGrath disse che lui e i suoi amici-rivali erano soliti "lanciare il martello con gambe, corpo e braccia" mentre i loro successori usavano solo le braccia.
In Italia il martello 'codificato' si usò per la prima volta nel 1920. Alla fine di quell'anno il primo della lista era Luigi Zambelli con 27,23 m.
La catena delle vittorie irlandesi etichettate USA ai Giochi Olimpici fu interrotta nel 1924, quando Fred Tootell, un americano di nascita, vinse con 53,29 m davanti a McGrath. Poi fu un irlandese nato e residente nella 'verde isola', Patrick O'Callaghan, a vincere ai Giochi Olimpici del 1928 ad Amsterdam, stupendo non pochi esperti con un lancio di 51,39 m. La sorpresa derivava dal fatto che O'Callaghan era solo al secondo anno di pratica nel martello. Nel 1932 a Los Angeles si ripeté con 53,92 m, misura ottenuta nell'ultima prova. Agonista formidabile, preferiva le gare 'calde' ai tentativi di record 'a freddo'. Riuscì a impadronirsi del primato europeo con 56,06 m (1931), portandolo poi a 56,94 m (1933), poi si dedicò alla professione medica.
Nel frattempo qualcosa stava muovendosi in Germania, per merito di un allenatore, Sepp Christmann, che aveva studiato a fondo i problemi tecnici di questa specialità, forse la più complessa del settore lanci. Di solito i suoi allievi erano di taglia meno imponente rispetto agli irlandesi, ma curavano al massimo la coordinazione dei movimenti, applicando il principio dell'accelerazione progressiva. Il piede sinistro, usato come perno, ruotava alternativamente sul tallone di 180°, poi sulla punta per altri 180°. I due più bravi erano Karl Hein ed Erwin Blask, che nel giro di breve tempo raggiunsero la vetta nelle gare europee e mondiali. Ai Giochi Olimpici del 1936 a Berlino arrivarono ai primi due posti, rispettivamente con 56,49 e 55,04 m. O'Callaghan non poté partecipare a quei Giochi, essendo socio, all'epoca, di una federazione irlandese non affiliata alla IAAF. Probabilmente le notizie dalla Germania lo indussero a ritentare e in un giorno d'agosto del 1937, durante i Cork county championships a Fermoy, lanciò a 59,56 m, ben al di là del vecchio record mondiale di Ryan. Ma la misura, riconosciuta dalla sua federazione, non poté esser sottoposta alla IAAF.
Nel 1938 i tedeschi riuscirono a succedere a Ryan, prima con Blask (58,13 m), poi con Hein (58,24 m) e infine ancora con Blask (59 m) a Stoccolma. Hein ebbe tuttavia la meglio sul rivale ai Campionati Europei: 58,77 contro 57,34 m. Alla vigilia del Secondo conflitto mondiale la Germania aveva circa un terzo dei 'cinquantametristi' del mondo.
Il primo grande specialista italiano fu il modenese Armando Poggioli, un atleta polivalente che debuttò nell'arengo olimpico come discobolo nel 1924, all'età di 36 anni, senza superare le qualificazioni. Concentratosi sul martello, fece avanzare a più riprese il primato nazionale, fino a giungere a 49,43 m nel 1928. Nello stesso anno arrivò quarto nella finale olimpica ad Amsterdam con 48,37 m. In seguito ebbe un forte rivale nel concittadino Armando Vandelli, che avvicinò il suo record nel 1932 con 49,28 m. Ai Giochi Olimpici di Los Angeles il quarantaquattrenne Poggioli finì ottavo, proprio davanti a Vandelli. Ai Campionati Europei del 1934 a Torino arrivarono secondo Vandelli (48,69) e sesto Poggioli (46,57), nella gara vinta dal trentasettenne finlandese Ville Pörhölä (50,34), un veterano che nel suo carnet vantava un oro olimpico nel peso (1920) e un argento nel martello (1932). Nel 1939 il primato nazionale fu conquistato dal milanese Michele Venanzetti con 51,66 m, ma nel frattempo l'Italia aveva perso terreno in campo internazionale.
Nel 1943 il record della specialità fu avvicinato da due specialisti, il tedesco Karl Storch con 58,94 m e l'irlandese Bertie Healion con 58,80. Il secondo, atleta dotatissimo, passò poco dopo a uno sport professionistico (la lotta) e dovette abbandonare l'attività atletica. Sembra però che di tanto in tanto si concedesse qualche ritorno in pedana, addirittura con lanci al di là dei 200 piedi (60,96 m).
A guerra finita il testimone passò all'ungherese Imre Németh, un autodidatta che aveva però studiato attentamente i filmati degli atleti della 'scuola Christmann'. Arrivò alla vetta proprio nell'anno dei Giochi Olimpici del 1948, quando superò di un'inezia il mondiale con 59,02 m e vinse l'oro olimpico a Londra, dove era assente la Germania e quindi anche Storch, con 56,07 m. Németh migliorò il record altre due volte, fino a raggiungere i 59,88 m nel 1950. Toccò tuttavia a un suo più giovane connazionale, József Csermák, l'occasione di superare per primo i 60 m (60,34 m) nella finale olimpica di Helsinki nel 1952. Ai posti d'onore finirono Storch, 39 anni (58,86 m) e Németh (57,74 m).
L'Italia ebbe un atleta di classe internazionale nell'emiliano Teseo Taddia, che migliorò più volte il primato nazionale e raggiunse il massimo risultato in una riunione internazionale a Milano nel 1950, quando con 59,17 m lasciò dietro di sé Storch (58,40 m) e si classificò al terzo posto tra i migliori lanciatori di sempre nel mondo. Taddia conseguì buoni risultati anche nelle più prestigiose rassegne, in particolare giunse settimo ai Giochi Olimpici del 1948 e secondo ai Campionati Europei del 1950 dietro Strandli. Suo successore come primatista nazionale sarebbe stato l'emiliano Silvano Giovanetti, che superò per primo in Italia i 60 m con 60,86 nel 1958.
In quel periodo stava emergendo una nuova potenza, l'Unione Sovietica, che doveva presto oscurare tutte le altre nazioni. Il suo primo lanciatore di rilievo internazionale fu Aleksandr Kanaki, che era anche un buon decathleta e raggiunse i 58,59 m nel 1949. Gli fece seguito Mikhail Krivonosov che passò dai 42,91 m del 1950 ai 60,51 m nell'ottobre 1952. Sul finire di quest'ultima stagione si segnalò anche il norvegese Sverre Strandli, succeduto a Csermák come primatista mondiale con 61,25 m, mentre Storch aveva toccato con 60,77 m il 'tetto' della sua lunga carriera. Strandli salì a 62,36 m nel 1953 ma Krivonosov lo batté sonoramente ai Campionati Europei del 1954 a Berna: 63,34 m contro 61,07 m.
Verso la fine del 1954 venne da Baku, nell'Azerbaigian, la notizia che un lanciatore ventenne, Stanislav Nyenashev, aveva raggiunto i 64,05 m. Fra i primi a usare quattro giri in pedana, una tecnica che doveva prendere piede solo parecchi anni dopo, Nyenashev non seppe rendersi giustizia nelle grandi gare. Krivonosov nel 1955 riconquistò il record con 64,33 m e attraverso varie tappe lo portò a 67,32 m poco prima dei Giochi Olimpici del 1956. A quel punto però si facevano notare nuovamente gli Stati Uniti, nella persona di Harold Connolly, che quasi alla vigilia dell'appuntamento olimpico superò il fresco mondiale di Krivonosov con 68,54 m. A Melbourne il suo duello con il russo fu davvero combattuto: 63,19 m contro 63,03. Krivonosov, che era anche un buon discobolo (51,22 m), perse il ritmo negli anni che seguirono, mentre Connolly superò per primo la barriera dei 70 m nel 1960 con 70,33 m. Ma ai Giochi Olimpici di Roma l'americano arrivò solo ottavo e la vittoria andò a Vasili Rudenkov, un lanciatore mancino dell'Unione Sovietica, con 67,10 m.
Connolly migliorò in più occasioni il record mondiale, fino a portarlo a 71,26 m nel 1965. Ma l'anno precedente, ai Giochi Olimpici di Tokyo, aveva subito una severa sconfitta, finendo non meglio che sesto nella gara vinta dal russo Romuald Klim con 69,74. Successore di Connolly nell'albo dei record fu l'ungherese Gyula Zsivótzky che raggiunse i 73,74 m nel 1965 e i 73,76 m alla vigilia dei Giochi Olimpici del 1968 a Città del Messico. Il suo duello con il russo Romuald Klim nella città messicana fu tra i più avvincenti nella storia di questa specialità: vinse con 73,36 m contro i 73,28.
L'URSS disponeva di una folta schiera di specialisti, che di solito si allenavano insieme anche d'inverno, nel clima temperato di Sochi, sul Mar Nero. Per un lungo periodo quella sovietica fu la scuola dominante e gli atleti tedeschi furono gli unici interlocutori degni di rilievo. Nel 1969 Klim riportò in patria il mondiale con 74,52, ma nello stesso anno fu superato da un suo connazionale, Anatolij Bondarčuk, che arrivò a 75,48 m. Dopo l'interferenza di Walter Schmidt (Germania Federale), che nel 1971 toccò i 76,40 m, senza dare tuttavia riscontri di rilievo nelle grandi gare, ai Giochi Olimpici del 1972 a Monaco vinse con 75,50 m Bondarčuk, che era un attento studioso dei vari aspetti tecnici della specialità, tanto che in seguito ebbe altrettanto successo come allenatore. Già da praticante, del resto, era solito impartire utili consigli ai suoi più giovani avversari.
Nella seconda parte degli anni Settanta i tedeschi riuscirono a reinserirsi nella lotta al primato. Il loro uomo di punta fu Karl-Hans Riehm della Germania Federale il quale ebbe la sua giornata migliore nella primavera del 1975, a Rehlingen, quando migliorò tre volte il mondiale nel corso della stessa gara, evento assai raro, fino a giungere ai 78,50 m. Ma ai Giochi Olimpici del 1976 a Montreal, Riehm dovette accontentarsi del quarto posto dietro tre rappresentanti dell'Unione Sovietica, Yuri Syedikh (77,52 m), Aleksey Spiridonov e Bondarčuk. Il vincitore, appena ventunenne, era l'uomo che più di ogni altro aveva fatto tesoro dei consigli di Bondarčuk.
Il primo a oltrepassare gli 80 m fu ancora un russo, Boris Zaichuk, con 80,14 m nel 1978. Riehm rispose per le rime già un mese dopo, con 80,32 m. Purtroppo la Germania Federale fu tra le nazioni che boicottarono i Giochi Olimpici del 1980 a Mosca e così Riehm, nel momento della sua forma migliore, non ebbe la possibilità di affrontare i russi. Nell'URSS intanto erano emersi Yuri Syedikh e Sergey Litvinov. Nelle settimane precedenti i Giochi si alternarono nel migliorare il record mondiale, raggiungendo rispettivamente gli 80,64 m e gli 81,66 m. Nell'arengo olimpico Syedikh mise in evidenza per la prima volta le sue straordinarie qualità agonistiche e vinse, portando il mondiale a 81,80 m; secondo Litvinov con 80,64 m. In riunioni post-olimpiche, a Roma e a Tokyo, Riehm ebbe la parziale consolazione di spuntarla sul campione olimpico, sia pure di stretta misura. Bondarčuk era divenuto nel frattempo l'allenatore di Syedikh. Pur essendo in linea di principio fautore dei tradizionali tre giri in pedana ‒ e Syedikh si atteneva di regola a questa norma ‒ era incline a credere che si potesse migliorare con quattro giri, purché si riuscisse a controllare nella fase finale il maggior accumulo di forza centrifuga senza incorrere in 'nulli'. Litvinov, avversario principale di Syedikh, ne usava appunto quattro.
In Italia i migliori atleti degli anni Sessanta e Settanta furono il padovano Giampaolo Urlando e l'udinese Mario Vecchiato. Il primo contribuì a fare avanzare il primato nazionale portandolo fino a 64,82 m nel 1968 e di nuovo sul finire degli anni Settanta, fino ad approdare a 77,84 m nel 1980, quando giunse settimo ai Giochi di Mosca con 73,90 m. Durante questo periodo era stato in auge Vecchiato, che nel 1972 giunse a 74,36 m, oltre a classificarsi nono ai Giochi di Monaco.
Il dominio dell'Unione Sovietica nel martello toccò l'apice negli anni Ottanta, con misure rimaste fino a oggi inarrivate. Syedikh e Litvinov furono le figure più forti di questo periodo, alternandosi sia nel possesso del record mondiale, sia nella conquista dei principali onori. Nel maggio 1981 entrò in vigore una modifica, in base alla quale la lunghezza minima e massima per il diametro della testa dell'attrezzo passava da 102-120 mm a 110-130 mm, misura intesa a contenere la lunghezza dei lanci, divenuta pericolosa specialmente negli stadi di media ampiezza. In principio si riteneva che questa variante avrebbe accorciato le misure di un metro e forse più, ma ad attenuare questo pessimismo intervennero Litvinov e Syedikh. Il 1983 fu a favore di Litvinov, che portò il record a 84,14 m e prevalse sul rivale nell'edizione inaugurale dei Campionati Mondiali a Helsinki: 82,68 m contro 80,94 m. I Giochi Olimpici del 1984 a Los Angeles videro questa specialità in fase calante solo perché i sovietici, causa il boicottaggio, non erano presenti. Vinse il finlandese Juha Tiainen davanti a Riehm, 78,08 m contro 77,98. Poco tempo prima, a Cork (Irlanda), davanti a una platea di amanti della specialità, Syedikh e Litvinov avevano battuto di nuovo il mondiale, arrivando nell'ordine con 86,34 m e 85,20 m. Il 1986 fu l'anno d'oro dei due russi e Syedikh ebbe l'ultima parola: in giugno a Tallinn portò il mondiale a 86,66 m e alcune settimane dopo ebbe ragione del rivale in un avvincente confronto durante i Campionati Europei di Stoccarda. Litvinov, che si diceva fosse arrivato pochi giorni prima, in allenamento, a 87,30 m, confermò il suo stato di grazia, andando in testa al primo turno di lanci con 85,74 m. Ma Syedikh rispose da quel grande agonista che era: 86,74 m al quarto turno e poi ancora 86,68 m e 86,62 m. Litvinov, più incline ai 'nulli', non seppe reagire adeguatamente. Syedikh ebbe quel giorno sei lanci validi con una media di 85,78 m, leggermente superiore all'unico lancio riuscito del rivale.
Litvinov seppe prendersi una parziale rivincita ai Giochi Olimpici del 1988 a Seul, 84,80 m contro 83,76. Syedikh vinse il suo ultimo titolo importante ai Campionati Mondiali del 1991 a Tokyo con 81,70 m. Aveva già 36 anni e da qualche tempo si era trasferito in Francia, dove allenava giovani atleti, pur continuando a gareggiare. I suoi immediati successori furono Andrej Abduvaliyev, che vinse due titoli mondiali (1993 e 1995) e un titolo olimpico (1992), e Igor Astapkovich, longevo ma poco fortunato nelle grandi gare, tanto da collezionare secondi posti in serie: tre ai Campionati Mondiali e uno ai Giochi Olimpici. Nessuno dei due riuscì ad avvicinare le misure dell'era Syedikh-Litvinov.
Negli anni di fine secolo si alternarono nella conquista dei maggiori titoli l'ungherese Balázs Kiss, campione olimpico del 1996, e i tedeschi Heinz Weis e Karsten Kobs, campioni del mondo rispettivamente nel 1997 e nel 1999. Ai Giochi Olimpici del 2000 a Sydney vinse il polacco Szymon Ziólkowski. Nella rassegna olimpica di Sydney si è registrato il più significativo successo sin qui ottenuto da un atleta italiano in questa specialità, il secondo posto di Nicola Vizzoni con 79,64 m, a 38 cm dal vincitore, Ziólkowski; il ventisettenne toscano è giunto a questo risultato grazie a un nuovo primato personale, exploit piuttosto raro in gare del genere. Prima di lui c'era stato il quarto posto di Gianpaolo Urlando nella finale olimpica del 1984 a Los Angeles (nello stesso anno Urlando aveva portato il primato nazionale a 78,16 m). Il primo a superare gli 80 m era stato il romano Enrico Sgrulletti con 80,14 m e poi 81,64 m nel 1997. Sgrulletti, che all'epoca aveva già 32 anni, non riuscì a imporsi nelle maggiori competizioni. Il secondo italiano oltre gli 80 m è stato Loris Paoluzzi con 80,98 m nel 1999. Nel 2001 Vizzoni ha superato quattro volte gli 80 m, con una punta di 80,50. Ai Campionati Mondiali di Edmonton ha lanciato a 80,13 m, piazzandosi al quarto posto.
Ziólkowski ha aggiunto al titolo olimpico anche quello mondiale, vincendo nella rassegna iridata di Edmonton nel 2001 con 83,38 m. Una novità degna di rilievo in questi primi anni del nuovo secolo è stata l'emergere del giapponese Koji Murofushi, un vero figlio d'arte. Prima di lui, infatti, il record giapponese della specialità era di suo padre Shigenobu con 75,96 m nel 1984. Koji lo ha migliorato a più riprese fino a portarlo nel 2001 a 83,47 m. Nello stesso anno si è classificato secondo dietro Ziólkowski ai Campionati Mondiali.
Dopo l'anno culmine dell'era Syedkh-Litvinov, il 1986, nessuno è riuscito ad avvicinare le misure raggiunte da questi due campioni. Alla fine del 2003 le migliori 14 prestazioni di tutti i tempi appartengono ancora a loro (nove a Syedikh, cinque a Litvinov). La quindicesima è quella di Koji Murofushi, che nel 2003 ha lanciato a 84,86 m. In prosieguo di stagione il giapponese ha avuto però un infortunio, dal quale non si era ancora del tutto ripreso quando è finito terzo ai Campionati Mondiali di Parigi, dove si è imposto il bielorusso Ivan Tikhon con 83,05 m.
Il martello è stata l'ultima specialità di lancio a essere inclusa nel programma femminile. La IAAF lo codificò all'inizio del 1995 seguendo naturalmente anche qui il principio di adottare un attrezzo più leggero rispetto a quello maschile, 4 kg anziché 7,257 kg. Inferiori anche la lunghezza del martello e il diametro della testa.
Era quasi scontato che il primo paese a imporsi seriamente nella specialità fosse l'Unione Sovietica sulla scia della grande tradizione che aveva in campo maschile. Ad Adler, lungo le spiagge del Caucaso, luogo di allenamento dei martellisti russi, si tennero già nel febbraio 1991 i primi campionati invernali femminili. Vinse Ana Fyodorova, lanciando l'attrezzo di 4 kg a 64,44 m. La prima atleta a emergere in campo internazionale fu Olga Kuzenkova, un'insegnante di educazione fisica di Smolensk alla quale appartiene il primo record mondiale omologato dalla IAAF, 66,84 m nel 1994. Kuzenkova fu anche la prima a superare i 70 m, nel 1997, con 70,78 m e poi con 73,10 m. Trovò però presto una seria rivale in Mihaela Melinte, una studentessa romena che conquistò il mondiale nel 1999, prima con 75,97 m, poi con 76,07 m. Andarono alla romena i primi titoli importanti messi in palio in questa specialità: l'europeo nel 1998 (71,17 m) e il mondiale nel 1999 (75,20 m), con Kuzenkova sempre seconda. Poi Melinte, nell'estate del 2000, si vide preclusa la strada dei Giochi Olimpici di Sydney, essendo risultata positiva a un prodotto proibito (il nandrolone) e squalificata per due anni. Ma anche a Sydney Kuzenkova fu relegata al secondo posto, stavolta superata dalla polacca Kamila Skolimowska (71,16 m), una diciottenne che si era messa in luce fin da adolescente.
Medaglia d'argento anche ai Mondiali di Edmonton 2001, dove per soli 4 cm è stata sconfitta dalla ventunenne cubana Yipsi Moreno (70,65 m), Kuzenkova è riuscita finalmente a raggiungere l'oro in una grande competizione internazionale ai Campionati Europei del 2002 a Monaco, vincendo con 70,94 m davanti a Skolimowska. Moreno si è confermata numero uno ai Campionati Mondiali del 2003 a Parigi, vincendo con un ottimo lancio di 73,33 m.
In Italia le prime prove con il martello di 4 kg si ebbero negli anni Ottanta e fino alla fine del secolo molte lanciatrici si sono succedute come detentrici del primato nazionale. La migliore è stata Ester Balassini, bolognese, che nel 2000 ha lanciato a 66,17 m e nel 2002 ha portato a 68,54 m il primato italiano. Agli Europei del 2002 Balassini è arrivata sesta, mentre all'ottavo posto si è piazzata la sua più seria rivale Clarissa Claretti (che ha un 'personale' di 68,23 m). Nel 2003 Balassini ha superato per prima fra le italiane il 'muro' dei 70 con 70,30 m.
Come strumento di guerra e di caccia il giavellotto ha una storia che si perde nella notte dei tempi. Come esercizio sportivo figurò nel programma sia dei Giochi celtici di Tailteann sia di quelli dell'antica Grecia, che lo avevano incluso nel pentathlon. Di queste gare parlano, tra gli altri, Omero e Tacito. La principale differenza rispetto al giavellotto moderno consisteva in un piccolo cappio di cuoio (amentum), legato all'altezza del centro di gravità dell'attrezzo; inserendo l'indice e il medio in questo cappio era possibile far ruotare il giavellotto, aumentando la forza di propulsione e quindi anche la lunghezza del lancio. In epoca recente (1956) si è avuto, per iniziativa degli spagnoli, un tentativo di reintrodurre la rotazione, ma la IAAF ha respinto la proposta, soprattutto per ragioni di sicurezza. Nel Medio Evo si lanciava un attrezzo del genere sia in lunghezza sia contro bersagli fissi.
Nella seconda metà del 19° secolo il lancio del giavellotto fu ripristinato da tedeschi e ungheresi e poi divulgato dagli scandinavi, ai quali dobbiamo la regolamentazione tuttora vigente. Il giavellotto pesa 800 g e ha una lunghezza che può variare da 2,60 m a 2,70 m. Il diametro nel punto di maggior spessore è compreso tra i 25 e i 30 mm, mentre la distanza tra il centro di gravità e la punta metallica varia da 0,90 m a 1,06 m. Una corda avvolta intorno al centro di gravità serve come opportuna impugnatura.
Fino al 1908 poterono coesistere due versioni o stili di lancio, uno con impugnatura nel punto medio, l'altro con impugnatura libera, per lo più all'estremità posteriore. La maggior praticità del primo stile non tardò a manifestarsi. Nei primi decenni del 20° secolo era in auge anche il lancio a due braccia, nel quale valeva la somma delle misure raggiunte con i due arti. L'ultimo mondiale ufficiale fu stabilito dallo svedese Yngve Häckner nel 1917 con 114,28 m: 61,81 m con il destro e 52,47 m con il sinistro. Una misura migliore fu però registrata dopo che tale esercizio era stato radiato dall'albo della IAAF: 117,21 m (66,86 m con il destro e 50,35 con il sinistro) del norvegese Olav Sunde nel 1930.
Il primo grande nome nella storia del giavellotto fu quello di un altro svedese, Eric Lemming, un atleta di buona taglia (1,91 m per 94 kg), che dominò la scena scandinava, che era come dire mondiale, per oltre un decennio. Attento studioso della specialità ed egualmente bravo nello stile libero come nel moderno ‒ lo stile giunto fino a noi ‒ fu preso a modello dai suoi contemporanei. Alla fine del 19° secolo deteneva nel moderno la miglior prestazione mondiale con 49,32 m (1899), poi continuò a fare da battistrada, progredendo attraverso varie tappe, da 53,79 m nel 1903 a 58,27 m nel 1911. In campo internazionale impartì la sua prima lezione ai Giochi Olimpici 'ufficiosi' del 1906 ad Atene, dove la gara del giavellotto fece la sua prima comparsa. Nella versione stile libero vinse con 53,90 m, staccando il secondo, anch'egli svedese, di quasi 9 m. Due anni dopo, ai Giochi di Londra, vinse sia nel moderno (54,82 m) sia nel libero (54,44 m).
Il primo lancio oltre i 60 m nello stile libero fu dell'ungherese Mór Kóczan-Kovács con 60,64 m nel 1911, ma nel moderno tale 'primogenitura' spetta al finlandese Julius (Juho) Saaristo con 61,45 m nella primavera del 1912, misura raggiunta con il destro in una competizione di lancio a due braccia. Quel giorno spirava però un forte vento a favore, per cui i dirigenti federali decisero di non omologare il risultato. Poco dopo i due atleti affrontarono Lemming ai Giochi Olimpici di Stoccolma e qui dovettero inchinarsi al maestro, che vinse con 60,64 m davanti a Saaristo (58,66 m) e a Kóczan (55,50 m). Tre giorni dopo Saaristo vinse la gara a due braccia, raggiungendo con il destro 61 m esatti. Quella stagione, davvero storica per il giavellotto moderno, si chiuse però con l'ultima performance di Lemming: in settembre, ancora a Stoccolma, 62,32 m. Fu questa la prima misura omologata come mondiale dalla neonata IAAF.
Lemming, che nella seconda parte della sua lunga carriera, gareggiava sotto lo pseudonimo di 'Erik Otto', restò in lizza ancora per diversi anni. Eclettico come molti campioni dell'epoca dei pionieri, vinse il suo ultimo titolo svedese nel peso a due braccia nel 1917 quando aveva 37 anni. Nel frattempo però si era imposta sulla scena internazionale la Finlandia, i cui sportivi avevano preso a cuore il giavellotto (keihäs) al punto da eleggerlo a specialità nazionale, una preferenza alla quale sono rimasti sempre fedeli. Furono fra l'altro introdotti attrezzi più leggeri per la varie categorie di giovani che desideravano prendere confidenza con l'esercizio. Il primo dei grandi finlandesi fu Jonni Myyrä, che veniva da Savitaipale, località della Finlandia sud-orientale. Superò per la prima volta il mondiale di Lemming nel 1914, proprio in Svezia, con 63,29 m, ma i giudici parlarono di vento favorevole. Più tardi, nella stessa stagione, lanciò a 62,58 m in condizioni di vento normali. Negli anni che seguirono migliorò ancora, a più riprese, fino a raggiungere i 66,10 m nel 1919, a Stoccolma. Fu questo il suo primo mondiale omologato dalla IAAF. Ai Giochi Olimpici del 1920 ad Anversa ai primi quattro posti arrivarono altrettanti finlandesi, con Myyrä facile vincitore (65,78 m). Alle loro spalle si classificarono un estone e uno svedese. Il giavellotto era ancora poco conosciuto nel resto del mondo e il limite di tre uomini-gara per nazione entrerà in vigore solo nel 1932.
In Italia il lancio del giavellotto esisteva nell'ultima decade del 19° secolo solo come esercizio di precisione, per centrare un bersaglio che era per lo più un disco di metallo. Nei primi due decenni del Novecento convissero lo stile libero e il moderno (impugnato). Nel 1920 il record del secondo apparteneva al lombardo Oprando Bottura con 47,43 m, mentre il migliore con il 'libero' era stato il bolognese Giuseppe Tugnoli, con 56,24 m nel 1915.
Myyrä rivinse il titolo olimpico nel 1924 a Parigi, con 62,96 m, battendo lo svedese Gunnar Lundström, che tre mesi dopo seppe rivalersi conquistando il primato mondiale con 66,62 m. Subito dopo Myyrä si trasferì negli Stati Uniti. Nel 1925 a Richmond (California) fu accreditato di un sorprendente 68,55 in una riunione non ufficiale e un anno dopo, in circostanze analoghe, lanciò il disco a 46,77 m quando il mondiale di questa specialità era 48,20 m. Fu certamente uno dei più grandi talenti atletici del suo tempo. Fra il 1911 e il 1928 gareggiò su un vastissimo arco di specialità, dai 60 ai 1500 m piani e ai 110 m ostacoli. Nel suo paese natio è da tempo una leggenda, sia pure controversa: ancora nel 2001 gli è stato dedicato un libro intitolato Sankari vai konna ("eroe o fellone"), allusione al fatto che sembra sia emigrato in America quando aveva un contenzioso con la giustizia del suo paese.
La sequenza dei grandi finlandesi continuò in crescendo, sia pure con qualche importante interferenza da parte degli svedesi. Nel 1927 Eino Penttilä riportò il mondiale in Finlandia con 69,88 m, ma ai Giochi Olimpici del 1928 ad Amsterdam prevalse lo svedese Erik Lundqvist con 66,60 m, mentre Penttilä, menomato da un infortunio a un piede, non poté andare oltre il sesto posto. Poco dopo, nel corso di una gara post-olimpica a Stoccolma, Lundqvist onorò il suo titolo superando per primo al mondo i 70 m, con 71,01 m. Costretto ad abbandonare poco dopo per il sopravvenire di una malattia mentale, tornerà all'attività nel 1936, riuscendo comunque a migliorare il suo 'personale' con 71,16 m.
Nel frattempo l'evoluzione del giavellotto aveva fatto grandi passi in avanti grazie a un finlandese, Matti Järvinen, figlio di quel Verner che dopo aver fatto storia ai primordi del disco moderno diede vita a una delle più grandi famiglie di atleti negli annali di questo sport. Matti era il più giovane: dotato di una buona corporatura (1,86 m per 84 kg), giunse ai 54,26 m nel giavellotto quando aveva solo 17 anni. Subito dopo si dovette fermare a causa di un infortunio al gomito, ma riprese con nuovo vigore nel 1929 e concluse quella stagione con 66,75 m, risultato che gli valse il primo posto nella lista mondiale dell'anno. In seguito Järvinen 'riscrisse' la sua specialità, migliorando il primato mondiale ben dieci volte, dai 72,38 m nel 1930 fino a 77,23 m nel 1936. Vinse il titolo olimpico nel 1932 a Los Angeles (72,71 m) e solo un fastidioso infortunio alla schiena gli impedì di replicare quattro anni dopo a Berlino (fu quinto con 69,18 m). Si aggiudicò il titolo europeo due volte, nel 1934 a Torino con 76,66 m, primato mondiale, e nel 1938 a Colombes, Parigi, con 76,87 m. Järvinen, che a 40 anni era ancora capace di lanciare a 67 m, aveva doti atletiche che gli permisero fra l'altro di saltare 7,26 in lungo e di correre i 100 m in 11,1″.
Sul piano tecnico Järvinen riuscì meglio dei suoi predecessori a rendere continua l'azione del lancio, facendo sì che le varie fasi apparissero come fuse in un unico movimento. Il primo che seppe avvicinarsi al suo livello non fu tanto il tedesco Gerhard Stöck, vincitore ai Giochi Olimpici del 1936 con 71,84 m, bensì un altro finlandese, Yrjö Nikkanen, che sapeva generare una 'spinta' eccezionale, pur essendo meno forte del rivale sotto diversi altri aspetti. Nel 1938 lanciò prima a 77,87 m e poi a 78,70 m, una misura, quest'ultima, che doveva rimanere insuperata per quindici anni.
In Italia il primo a lanciare oltre i 60 m fu l'udinese Alberto Dominiutti, che fece coincidere questa impresa, 61,59 m, con una vittoria ai campionati inglesi del 1930. La FIDAL omologò il primato come 61,64, probabilmente per un errore di conversione della misura inglese (202 piedi e 1 pollice). Un altro udinese, Mario Agosti, arrivò settimo nell'edizione inaugurale dei Campionati Europei (1934) e un anno dopo portò il primato italiano a 65,23 m.
La guerra russo-finlandese e il coinvolgimento nel conflitto mondiale costarono molto alla Finlandia. Fu comunque un finlandese a vincere ai Giochi Olimpici del 1948 a Londra: Tapio Rautavaara, che nel 1945 aveva raggiunto i 75,47 m e in seguito diventerà non meno famoso nel suo paese come cantante folk e attore del cinema. Anche ai Campionati Europei del 1950 a Bruxelles prevalse su tutti un atleta della Finlandia, Toivo Hyytiäinen, che nel 1954 succedette pure a Nikkanen come primatista finlandese. Nel frattempo la leadership era passata però in altre mani.
Gli Stati Uniti, da sempre prima potenza dell'atletica mondiale, avevano mostrato scarso interesse per l'arte del giavellotto. Rivelatore, a tale riguardo, il giudizio espresso a suo tempo da un celebre allenatore, Dean Cromwell: "L'unica cosa che mi sento di dire sullo stile dei nostri lanciatori di giavellotto è questa: farete bene a non usarlo". Dopo la guerra, tuttavia, cominciò a emergere una scuola americana anche in questa specialità. Steve Seymour, con un 'personale' di 75,84 m (1947), arrivò secondo dietro Rautavaara ai Giochi di Londra. L'atleta però che più di ogni altro dette nuovo impeto alla specialità fu il californiano Franklin (Bud) Held. Nel 1951 impressionò gli scandinavi lanciando a 76,11 m proprio in uno dei loro luoghi sacri, Stoccolma. Ai Giochi Olimpici del 1952 a Helsinki risentì dei postumi di un infortunio a una spalla e non andò oltre il nono posto ma ai primi due arrivarono altri due americani, Cyrus Young (73,78 m) e Bill Miller (72,46 m), che relegarono il migliore dei finlandesi, Hyytiäinen, al terzo posto. Held studiava ogni dettaglio del giavellotto, ivi compresa la fattura, e in collaborazione con suo padre e suo fratello concepì un nuovo tipo di attrezzo che, pur nel pieno rispetto delle regole e dei limiti posti dalla IAAF, attraverso una diversa distribuzione dei pesi aveva la facoltà di planare, restando più a lungo in aria. Poiché la superficie anteriore più ampia faceva sì che il giavellotto non di rado atterrasse piatto, Held rimediò, almeno in parte, accorciando la punta metallica. L'attrezzo così concepito, subito battezzato 'giavellotto Held', permetteva lanci più lunghi, anche se l'atterraggio toglieva qualcosa alla spettacolarità dell'esercizio. Presa visione dei dettagli, la IAAF non trovò niente da eccepire e così il nuovo tipo di giavellotto fu gradualmente adottato ovunque. Il primo che riuscì a trarne vantaggio fu Held stesso. Nel 1953 a Pasadena (California) superò per primo gli 80 m con un lancio di 80,41 m.
In Europa, intanto, cominciavano a emergere atleti anche non finlandesi. Il primo europeo a superare gli 80 m fu un polacco assai forte e duttile, Janusz Sidlo, che nell'autunno del 1953 avvicinò il mondiale di Held con 80,15 m con un dettaglio importante: lanciò da una pedana erbosa e con un attrezzo metallico del vecchio tipo. Nel 1955 Held portò il mondiale a 81,75 m ma un anno dopo il finlandese Soini Nikkinen, utilizzando un attrezzo di betulla ‒ legno finlandese per eccellenza ‒ lo innalzò a 83,56. Nikkinen non riuscì a rendersi giustizia nelle occasioni importanti, a differenza di Sidlo, che a pochi giorni di distanza rispose, in una riunione svoltasi a Milano, con 83,66 m. Nel 1956 ai Giochi Olimpici di Melbourne, i primi della storia moderna a svolgersi in novembre (estate australe), Sidlo, pur con 79,98 m, dovette inchinarsi al norvegese Egil Danielsen, che lanciò a 85,71 m. Non fu tuttavia una sorpresa in assoluto, poiché in quella stagione il ventitreenne nordico aveva raggiunto un 'personale' di 83,57 m, quindi assai vicino al mondiale. Sidlo si prese la rivincita due anni dopo ai Campionati Europei di Stoccolma battendo il rivale con 80,18 m contro 78,27 m. Mentre l'entusiasmo di Danielsen andò presto esaurendosi, Sidlo superò ogni record di longevità. Aveva già vinto il titolo europeo nel 1954 e seppe aggiungere alla sua collezione una terza medaglia, di bronzo, nel 1969. Toccò il 'tetto' della sua carriera nel 1970, all'età di trentasette anni, con 86,22 m, quando però il mondiale era già oltre i 90 m.
Held ebbe la soddisfazione di vedere adottare il 'suo' attrezzo quasi da tutti, ma non ebbe altrettanto successo come agonista. Nel 1956, infortunato, non poté partecipare ai Trials olimpici degli Stati Uniti e sebbene si fosse ripreso subito, tanto da elevare a 82,29 m il suo 'personale', rimase escluso dai Giochi. Sulla sua scia altri talenti stavano maturando negli Stati Uniti e tra questi Al Cantello, un oriundo italiano che aveva la caratteristica peculiare di eseguire un originale tuffo nel rilasciare l'attrezzo, atterrando sulle estremità anteriori; nel 1959 superò il mondiale con 86,04 m. Alla stessa epoca si mise in luce anche Bill Alley, uno dei lanciatori più giganteschi visti in questa specialità, il cui lancio migliore, 86,46 m nel 1960, non fu tuttavia omologato perché ottenuto su terreno in declivio eccedente la tolleranza consentita dal regolamento (1‰ nella direzione di rincorsa).
Nel frattempo le sempre più numerose derivazioni del giavellotto di Held creavano alla IAAF spinosi problemi. Per i Giochi Olimpici del 1960 a Roma la Federazione internazionale decise di ammetterne solo due tipi: il tradizionale attrezzo di betulla dei finlandesi e quello metallico degli svedesi (già usato da Danielsen ai Giochi di Melbourne del 1956). Veniva dunque escluso il giavellotto Held, con grave detrimento per gli atleti che lo utilizzavano. Non fu un caso che a Roma vincesse un lanciatore abituato agli attrezzi convenzionali, il veterano russo Viktor Tsibulenko, con 84,64 m. Sidlo, che era arrivato a 85,14 m nelle qualificazioni, in finale non riuscì a ritrovarsi e finì solo ottavo. Lo stesso accadde a Cantello, decimo.
Si apriva intanto il periodo più brillante del giavellotto in Italia che si identifica con gli anni d'oro dei fratelli veneti Lievore, Giovanni e Carlo. Con un sesto posto ai Campionati Europei del 1950 si era già distinto il marchigiano Amos Matteucci. Il primo atleta a lanciare oltre i 70 m fu il laziale Raffaele Bonaiuto, che nel 1956, all'età di 18 anni, raggiunse i 70,14 m. Quattro anni dopo lanciò a 74,88 m ma nel frattempo avevano preso il sopravvento i Lievore. Giovanni, più anziano di cinque anni, si classificò sesto ai Giochi Olimpici di Melbourne con 72,88 m, dopo aver preceduto fino al quarto turno Danielsen. Fu il primo in Italia a superare gli 80 m (80,72 nel 1958) e insegnò non poco al fratello, che alla fine doveva rivelarsi il più dotato dei due. Carlo emerse giovane: nel 1960, all'età di 23 anni non ancora compiuti, seppe battere a Mosca il futuro campione olimpico Viktor Tsibulenko con 81,14 m, nuovo primato italiano e poco dopo lanciò a 83,60 m. Sembrava uno dei grandi favoriti per le Olimpiadi di Roma ma un infortunio a una caviglia lo fermò: in condizioni menomate dovette accontentarsi del nono posto. Il suo giorno di gloria fu il 1° giugno 1961, quando all'Arena di Milano al secondo tentativo scagliò l'attrezzo a 86,74 m: un lancio che richiese una laboriosa misurazione perché il giavellotto, uno Held di metallo (la IAAF era tornata sulla sua decisione dell'anno precedente, ammettendo l'uso dell'attrezzo Held, sia pure in versione modificata), volò al di là dei limiti del prato, atterrando nella sesta corsia della pista. Lievore superò gli 85 m anche al terzo lancio, rinunciando ai rimanenti tentativi. Quella fu la sua migliore stagione, con altri due risultati oltre gli 80 m. In seguito Lievore continuò a esprimersi con buoni risultati ancora per diversi anni ma, complici almeno in parte i ricorrenti infortuni, non risultò incisivo nelle grandi competizioni. Anche il panorama italiano sarebbe rimasto piuttosto buio: nel 1965 si mise in luce con 80,89 il decathleta di Zara Franco Radman, mentre un giovane trentino, Renzo Cramerotti, lanciò a 83,50 m a Turku (Finlandia) nel 1971. Il primato di Carlo Lievore sarebbe stato superato solo nel 1983 dal ravennate Agostino Ghesini con 89,12 m.
Le qualità aerodinamiche dell'attrezzo Held contribuirono al progresso della specialità, anche se per alcuni risultò accentuata una certa incostanza nel rendimento. Fu il caso del norvegese Terje Pedersen, un talento tanto straordinario quanto imprevedibile. Nel 1963, all'età di 20 anni, raggiunse il livello della élite mondiale con 83,90 m. Nel 1964, anno dei Giochi Olimpici di Tokyo, ebbe risultati altalenanti, con un minimo di 63,53 m in giugno e un massimo di 91,72 m in settembre. Prima di superare la barriera dei 90 m era riuscito a battere il record di Lievore già una volta, con 87,12 m. Pagò il suo lancio più bello, 91,72 m, con un infortunio, che lo costrinse a rinunciare ai rimanenti tentativi. Un mese dopo, a Tokyo, apparve l'ombra di sé stesso e fu eliminato nelle qualificazioni con 72,10 m. Nella gara decisiva riapparve nuovamente un finlandese, Pauli Nevala, che vinse con 82,66 m, mentre terzo fu un lettone, Janis Lusis, destinato a eccellere in questa specialità come nessun altro, eccetto Järvinen, aveva fatto prima di lui.
Ai Giochi Olimpici Lusis vinse altre due medaglie: l'oro nel 1968 (90,10 m) e l'argento nel 1972. Ai Campionati Europei (1962, 1966, 1969 e 1971) collezionò quattro vittorie, nelle due ultime occasioni superando i 90 m, rispettivamente con 91,52 e 90,68 m. Atleta molto versatile, fu capace di totalizzare 7483 punti nel decathlon. Nel ranking 'ragionato' della rivista Track & Field News venne classificato fra i primi dieci del mondo per tredici anni e in nove di questi ottenne il primo posto. Conquistò per la prima volta il mondiale a Saarijärvi, cioè nel tempio del giavellotto, la Finlandia, con 91,98 m (1968). L'anno seguente un finlandese, Jorma Kinnunen, fece meglio con 92,70 m, ma Lusis si rifece nel 1972 con 93,80 m. Kinnunen, carpentiere di mestiere, utilizzava tutti i ritagli di tempo per allenarsi e gareggiare a ritmo costante. Più regolare di lui nel rendimento era un altro finlandese, Pauli Nevala, che tuttavia non riuscì mai a impadronirsi del mondiale, dovendosi accontentare di 92,64 m (1970).
Ai Giochi Olimpici del 1972 a Monaco su Lusis prevalse il tedesco Klaus Wolfermann, che si presentò a quell'appuntamento con 90,10 m ottenuti pochi giorni prima. Lusis, che in quella stessa stagione aveva messo a segno il già ricordato mondiale di 93,80 m, appariva comunque favorito. Vinse invece Wolfermann, che lanciò a 90,48 m al quinto turno. Lusis reagì da par suo e tenne in ansia la folla tedesca fino a che non apparve sul tabellone elettronico la sua misura: 90,46 m. All'epoca 2 cm erano lo scarto minimo previsto per le misurazioni. L'anno seguente Wolfermann diede seguito alla sua vittoria conquistando il mondiale con 94,08 m.
Ai Campionati Europei del 1974 a Roma tornò a imporsi un finlandese, Hannu Siitonen, che vinse con 89,58 m, battendo tra gli altri Wolfermann e Lusis. Siitonen fu poi secondo nella finale olimpica del 1976 a Montreal, durante la quale , già al primo turno, l'ungherese Miklós Németh 'esplose' con un record mondiale di 94,58 m, ghiacciando la concorrenza. Németh può esser considerato come il più bravo 'figlio d'arte' che si ricordi: suo padre Imre era stato anch'egli campione olimpico e primatista mondiale nel lancio del martello.
Successore di Németh come primatista mondiale fu un altro ungherese, Ferenc Paragi, che nella primavera del 1980 lanciò a 96,72 m, e più tardi mise a segno un altro bel risultato, 96,20 m. Era il grande favorito per i Giochi Olimpici di Mosca, dove tuttavia giunse solo decimo. Vinse un lettone, Dainis Kula, con 91,20 m. Quella gara lasciò però uno strascico polemico: Kula aveva iniziato con due 'nulli' e il suo terzo lancio (88,88 m) fu considerato valido dalla giuria russa sebbene a parere di molti (il cui giudizio fu confortato anche dal film della gara) il giavellotto fosse arrivato così piatto da toccare terra con la coda prima che con la punta, circostanza passibile di rendere nullo il lancio secondo le regole IAAF. Comunque Kula poté avere accesso ai tre lanci finali e si mostrò a suo modo degno della 'grazia ricevuta' mettendo a segno quel lancio di 91,20 m che gli valse la vittoria.
I costruttori di giavellotti non cessavano mai di studiare modi e maniere di potenziare le capacità di volo degli attrezzi, pur nel rispetto delle regole. I lanciatori erano generalmente più alti e più forti dei loro predecessori. La somma di questi fattori faceva sì che i lanci divenissero sempre più lunghi. I legislatori della IAAF tornarono a preoccuparsi per l'incolumità degli spettatori, specialmente negli stadi di media capienza. A rinfocolare tali timori pensò ancora una volta un americano, Tom Petranoff, che passò da 85,44 m nel 1980 a un sorprendente 99,72 m tre anni dopo, eclissando il mondiale di Paragi di tre buoni metri. Circa mezzo secolo prima Matti Järvinen aveva profetizzato lanci 'a tre cifre' da parte di un americano. Con Petranoff la profezia sembrò sul punto di avverarsi. Ma il primo e a tutt'oggi unico lancio superiore ai 100 m non fu suo bensì di un giovane gigante (1,98 m per 112 kg) della RDT, Uwe Hohn, che nel 1981, all'età di 19 anni, era stato capace di 85,56 m vincendo il titolo europeo juniores, e un anno dopo aveva conquistato ad Atene il titolo continentale seniores con 91,34 m. Hohn, che era allenato da Wolfgang Skibba, un ex-lanciatore di martello, ebbe il suo anno migliore nel 1984. Non potendo partecipare ai Giochi Olimpici di Los Angeles per l'annosa questione dei boicottaggi politici, in maggio lanciò a 99,52 m, avvicinando il record di Petranoff. Il 20 luglio, in una riunione al Friedrich-Ludwig-Jahn Sportpark di Berlino, al secondo tentativo il suo giavellotto volò come mai nessun attrezzo prima, atterrando a 104,80 m, più di 5 m oltre il record di Petranoff. Nel 1985 Hohn vinse la gara di Coppa del Mondo a Canberra con 96,96 m, staccando il secondo di oltre 9 metri. Ma poco dopo, forse per la superdose di allenamento specialmente con i pesi, forse per l'uso continuato di anabolizzanti (come documentato da Brigitte Berendonk nel suo libro Doping), Hohn cominciò ad accusare gravi problemi alla colonna vertebrale e nonostante un intervento chirurgico fu costretto ad abbandonare prematuramente.
Nel frattempo la IAAF, allarmata da quel record a tre cifre, corse ai ripari e decise di introdurre un giavellotto modificato, nel quale la distanza massima fra la punta della testa metallica e il centro di gravità risultasse ridotta da 1,10 m a 1,06 m. Questa innovazione limitava il veleggiamento dell'attrezzo e faceva sì che atterrasse di punta e non piatto, come spesso succedeva con i modelli usati da Petranoff e Hohn. Le modifiche, entrate in vigore nell'aprile del 1986, riportarono i lanci a misure ormai superate da parecchi anni: basti dire che il cinquantesimo della lista mondiale 1984 aveva un risultato di 84,70 m, mentre quello della lista mondiale 1985 ne ebbe uno di 77,38 m. In seguito questo enorme gap fu gradualmente ridotto ma non annullato. La IAAF aveva istituito una nuova tabella per il primato mondiale nella versione con l'attrezzo modificato. Il primo risultato ufficialmente omologato fu un 85,74 m ottenuto da Klaus Tafelmeier (Germania Federale), nel 1986 a Como.
Ai Giochi Olimpici del 1988 a Seul vinse un finlandese, Tapio Korjus, con 84,28 m, battendo di misura il cecoslovacco Jan Zelezny (84,12 m), che nel 1987 a soli 21 anni aveva ottenuto il suo primo mondiale: 87,66 m. Prima di lui la Cecoslovacchia non aveva mai avuto lanciatori di classe mondiale nel giavellotto, ma Zelezny rimediò ampiamente alla lacuna diventando il numero uno in campo internazionale. Il suo più valido interlocutore fu l'inglese Steve Backley che nel 1990 arrivò a 89,58 m. In quel periodo infuriava una nuova controversia, originata dall'introduzione dietro l'impugnatura dell'attrezzo di una sezione ruvida. L'innovazione era stata concepita dall'ungherese Miklós Németh, campione olimpico del 1976, per dare ulteriore propulsione al giavellotto. In un primo tempo, nel 1989, la IAAF la approvò ma due anni dopo la bandì. Diversi mondiali stabiliti nell'arco di questi due anni furono rimossi a posteriori dall'albo della IAAF: gli 89,66 m di Zelezny e i 90,98 m di Backley del 1990 e i 96,96 m del finlandese Seppo Räty del 1991. Backley, che aveva usato raramente il 'giavellotto Németh', tornò quindi a essere primatista con il già citato 89,58 m del 1990. Due anni dopo allungò la gittata con 91,46 m, ma dal 1993 in poi Zelezny prese saldamente il controllo della situazione raggiungendo nel 1996 i 98,48 m, primato tuttora insuperato.
I risultati agonistici di Zelezny sono eccezionali, anzi unici nella storia della specialità: tre volte campione olimpico, nel 1992 (89,66 m), nel 1996 (88,16 m) e nel 2000 (90,17 m); tre volte campione del mondo, nel 1993 (85,98 m), nel 1995 (89,58 m) e nel 2001 (92,80 m), pur non mancandogli la sua parte di infortuni: una vertebra fratturata nel 1989 e un grave problema a una spalla nel 1998. Backley è stato, come si è detto, il suo maggior rivale: medaglia d'argento in quattro occasioni (Mondiali 1995 e 1997, Giochi Olimpici 1996 e 2000) e vincitore ai Campionati Europei per quattro volte consecutive (1990, 1994, 1998 e 2002), uguagliando la serie di Lusis. La Finlandia tornò a più riprese alle glorie di un tempo, vincendo titoli mondiali con Seppo Räty (1987), Kimmo Kinnunen (1991) e Aki Parviainen (1999). La novità più rilevante della fine del 20° secolo è stata comunque la vittoria ai Campionati Mondiali del 1999 ad Atene del sudafricano Marius Corbett, che con un lancio di 88,40 m ha superato di 4,5 m il suo 'personale'. Ai Campionati Mondiali del 2003 il veterano Zelezny ha dovuto accontentarsi del quarto posto. La gara è stata vinta dal russo Sergey Makarov con 85,44 m.
Per quanto riguarda l'Italia il primo a distinguersi con l'attrezzo nuovo modello è stato il padovano Fabio De Gaspari, giunto fino a 79,30 m nel 1989. L'attuale primato nazionale è del veneto Carlo Sonego con 84,60 m (1999).
Il lancio del giavellotto femminile fu introdotto in Europa negli anni Venti. Con l'attrezzo di 600 g tuttora in uso il primo mondiale riconosciuto dalla FSFI fu di una cecoslovacca, Bozena Srámková, con 25,01 m nel 1922. La specialità figurò anche nel programma dei Giochi Mondiali della stessa FSFI, dapprima nella versione di lancio a due braccia. Nell'edizione del 1930 a Praga la tedesca Elisabeth Schumann vinse con 42,32 m, ma la giuria della FSFI decise di non ratificare la misura come nuovo record mondiale a causa di una tormenta durante la quale il vento aveva aiutato indebitamente le atlete.
La specialità entrò alle Olimpiadi in occasione dei Giochi del 1932 a Los Angeles dove vinse l'americana Mildred Didrikson con 43,68 m. Solo quinta, invece, Nan Gindele, altra atleta americana che all'inizio della stagione aveva portato il mondiale a 46,74 m. Durante quei Giochi Didrikson vinse anche gli 80 m ostacoli e arrivò seconda nel salto in alto. Passata successivamente al golf, conobbe anche in questo sport il massimo del successo.
Il record di Gindele fu superato nel 1938 dalla tedesca Erika Matthes con 47,80 m ma la Federazione della Germania non sottopose il risultato alla IAAF per la ratifica, adducendo l'aiuto del vento come fattore inibitorio. In realtà, il vero motivo era da ricercare nella dubbia identità sessuale di Matthes, che non fu selezionata nemmeno per i Campionati Europei di quell'anno a Vienna.
La prima atleta a superare i 50 m fu la russa Klavdiya Mayuchaya con 50,32 m nel 1947, un risultato che non ebbe il 'timbro' ufficiale della IAAF per una questione di tre mesi, in quanto l'Unione Sovietica entrò a far parte dell'organo internazionale solo alla fine di quell'anno. Miglior fortuna in tal senso ebbe un'altra russa, Natalya Smirnitskaya, che nel 1949 lanciò a 53,41 m. Alle Olimpiadi di Helsinki l'esordiente URSS sperava di ottenere la medaglia d'oro nel giavellotto, così come era successo nel lancio del peso e del disco, ma a sorpresa vinse una cecoslovacca, Dana Ingrová-Zátopková, che con 50,47 m precedette Aleksandra Chudina di 46 cm. La trentenne Zátopková era moglie di Emil Zátopek che proprio quel giorno aveva vinto l'oro dei 5000 m: perfetta coppia di atleti, curiosamente nati lo stesso giorno, mese e anno. Ingrová-Zátopková entrò anche nell'albo dei primati, quando nel 1958, a 36 anni, portò il mondiale a 55,73 m.
A parte queste eccezioni, l'Unione Sovietica rimase a lungo la potenza dominante. Elvira Ozolina fu la prima a superare i 60 m con 61,38 nel 1964, misura peraltro non omologata dalla IAAF. L'onore ufficiale di aver superato quella barriera fu di Yelena Gorchakova, che ai Giochi Olimpici del 1964 a Tokyo lanciò a 62,40 m nelle qualificazioni mentre in finale dovette accontentarsi del terzo posto in una gara vinta dalla romena Mihaela Penes con 60,54 m.
Ruth Fuchs, atleta della Repubblica Democratica Tedesca, fu l'indiscussa dominatrice degli anni Settanta. Conquistò per la prima volta il mondiale nel 1972 con 65,06 m e attraverso molte tappe arrivò a 69,96 m nel 1980. Vinse due volte sia ai Giochi Olimpici (1972 e 1976) sia ai Campionati Europei (1974 e 1978). Il primo lancio oltre i 70 m riuscì però a una russa, Tatyana Biryulina, che nel 1980 raggiunse i 70,08 m. Ma tanto lei quanto Fuchs naufragarono ai Giochi Olimpici del 1980 a Mosca, finendo rispettivamente sesta e ottava: conquistò la vittoria con 68,40 m Maria Caridad Colón, una cubana di ventidue anni, prima donna di colore a vincere un titolo olimpico nei lanci. Quattro anni dopo, ai Giochi di Los Angeles, fu il turno di un'altra atleta di colore, la britannica Tessa Sanderson con 69,56 m.
Negli anni Ottanta diverse lanciatrici si avvicendarono nel migliorare il mondiale. Fra queste vi fu anche una finlandese, Tiina Lillak, che nel 1983 portò il record a 74,76 m. Poche settimane dopo, a Helsinki, vinse la gara dei primi Campionati Mondiali destando entusiasmo anche perché mise a segno il lancio della vittoria (70,82 m) al sesto e ultimo tentativo, superando Fatima Whitbread (69,14 m). Quest'ultima, una britannica di origine cipriota, nelle qualificazioni dei Campionati Europei del 1986 a Stoccarda lanciò a 77,44 m; il giorno dopo, in finale, vinse con 76,32 m. Ai Campionati Mondiali del 1987 a Roma fu nuovamente prima, con 76,64 m. La sua più seria rivale in quegli anni fu Petra Felke (RDT), un'atleta di media taglia (1,72 m per 63 kg) al cui nome è legato il mondiale di 80 m, nel 1988 a Potsdam. Nello stesso anno Felke vinse ai Giochi Olimpici di Seul con 74,68 m. Alla fine della carriera poté vantarsi di aver vinto 103 delle 119 gare sostenute nell'arco di sette anni (1984-1991).
Negli anni Novanta si registrò un calo significativo nello standard dell'élite mondiale, dovuto secondo molti alle più severe misure antidoping adottate dalla IAAF nel 1989. Altre innovazioni della IAAF riguardarono gli attrezzi: poiché i giavellotti 'tipo Held' e derivati atterravano quasi sempre piatti, per ovviare a tale inconveniente e dare maggiore spettacolarità dell'esercizio, nell'aprile del 1999 la Federazione internazionale introdusse un nuovo tipo di attrezzo (come aveva fatto alcuni anni prima per gli uomini) con un centro di gravità modificato. Secondo alcuni questo significava ridurre la gittata del lancio di 3 o 4 m, ma in realtà la riduzione delle misure non è risultata così drastica. Analogamente a quanto fatto con gli uomini la IAAF inaugurò una nuova tabella per il mondiale.
La miglior lanciatrice degli anni Novanta fu la norvegese Trine Hattestad (nata Solberg). Passata giovanissima dalla pallavolo all'atletica, scese per la prima volta nell'arengo olimpico a 18 anni, nel 1984 a Los Angeles, classificandosi quinta; arrivò sul podio, con un terzo posto, dodici anni dopo; alla sua quinta Olimpiade (Sydney 2000) vinse finalmente l'oro con 68,91 m. Fu più fortunata, invece, ai Campionati Mondiali, dove giunse due volte prima (1993 e 1997) e una volta terza (1999). Anche Hattestad ebbe tuttavia un problema di doping: nel 1989 fu sospesa per supposta assunzione di un prodotto illecito; contro questo giudizio si appellò alla legge del suo paese e vinse la causa, ottenendo al tempo stesso dalla Federazione norvegese di atletica un indennizzo di 50.000 dollari per il mancato guadagno nel periodo in cui era rimasta inattiva. Con il 'vecchio' attrezzo il suo risultato migliore fu 72,12 m nel 1993, con il nuovo ha fatto da battistrada, fino a elevare il mondiale a 69,48 m nel 2000.
Sul finire del secolo è emersa un'atleta greca, Miréla Manjani-Tzelili, vincitrice ai Campionati Mondiali del 1999 (67,09 m) e seconda ai Giochi Olimpici del 2000 dietro a Hattestad. Nel 2001 la leadership è passata a una cubana non ancora ventiduenne, Osleidys Menéndez, che prima ha tolto il primato a Hattestad con 71,54 m e poi ha vinto ai Campionati Mondiali di Edmonton 2001 con 69,53 m, davanti a Manjani-Tzelili. L'atleta greca a sua volta ha vinto il titolo europeo del 2002 a Monaco con 67,47 m. Nel 2003 si è ripresa il titolo mondiale con 66,52.
In Italia il lancio del giavellotto femminile prese il via negli anni Venti. Fra le atlete che si sono messe in luce nel tempo sono da ricordare la triestina Etta Ballaben (40,64 m nel 1940), Paola Paternoster (47,96 m nel 1957), Giuliana Amici (58,72 m nel 1978) e Fausta Quintavalla (67,20 m nel 1983) con il vecchio attrezzo. La triestina Claudia Coslovich si è rivelata la più forte con il nuovo attrezzo (65,30 nel 2000), ottenendo anche un settimo posto ai Campionati Europei del 1998. Sulla sua scia, un'altra triestina, Elisabetta Marin, si è classificata sesta ai Campionati Europei di Monaco con 60,12 m. Un altro settimo posto ha conquistato Coslovich ai Campionati Mondiali del 2003.
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