Atletica - Le specialità: il fondo
Nell'era moderna l'alba delle corse lunghe s'identifica di solito con il pedestrianism, un'alternanza di corsa e marcia che fu in auge nelle isole britanniche fra il 17° e il 19° secolo e di cui un celebre esponente fu, all'inizio dell'Ottocento, il capitano Robert Barclay Allardyce. Più tardi, nello stesso secolo, godé di una certa fama, al di là e al di qua dell'Atlantico, il pellerossa americano Lewis Bennett, detto Deerfoot ("pie' di daino"), che da professionista, a Londra nel 1863, avrebbe realizzato il notevole record di 18,589 km/h.
Su pista, gli amateurs inglesi della fine del 19° secolo praticavano una vasta gamma di distanze, naturalmente in miglia. All'edizione inaugurale dei campionati inglesi, tenuta a Londra nel 1880, ci furono corse sulle 4 e sulle 10 miglia, gare che dovevano rimanere nel programma di questi campionati fino a tutto il 1931. Sulle 4 miglia (6437,39 m) Walter George, il miglior fondista della sua epoca, si assicurò in 20′45″4/5 il primo della serie di 10 titoli che vinse in quella rassegna fra il 1880 e il 1884. Nel 1884 George mise a segno le migliori prestazioni mondiali per amateurs su una vasta gamma di distanze, dal miglio (4′18″2/5) all'ora di corsa (18,555 km). Inoltre realizzò 14′39″ sulle 3 miglia (4828,04 m) e 30′21″1/2 sulle 6 miglia (9656,07 m), distanze che rappresentano la versione inglese dei 5000 e 10.000 m poi inclusi nel programma dei Giochi Olimpici. Già prima della fine del secolo gli exploit di George furono migliorati più volte. All'inizio del Novecento i primati sulle 3 miglia e sulle 6 miglia appartenevano all'inglese Sidney Thomas (aveva corso la prima delle due distanze in 14,24″ nel 1893 e la seconda in 30′17″4/5 nel 1892).
La gara più lunga prevista dal programma dei primi Giochi Olimpici dell'era moderna (1896) fu quella dei 1500 m. Nella seconda edizione, nel 1900 a Parigi, si tenne anche una corsa a squadre sui 5000 m e il miglior tempo fu dell'inglese Charles Bennett con 15′29″1/5.
In Italia il primo corridore di fondo di rilievo nazionale e internazionale fu Achille Bargossi, che peraltro svolse la sua attività su strada. Le migliori prestazioni di fine secolo sulle distanze divenute poi standard furono 16′51″4/5 di Luigi Lualdi sui 5000 m al Ciclodromo coperto di Foro Bonaparte a Milano nel 1896, e 34′30″ di Edoardo Oderio sui 10.000 m nel 1899 a Torino.
Il primo grande fondista del 20° secolo fu l'inglese Alfred Shrubb che tra il 1901 e il 1904 vinse dieci titoli ai campionati inglesi, eguagliando così Walter George. All'epoca questa rassegna era il test più serio che il calendario dell'atletica potesse offrire e Shrubb dominò il campo sulle distanze di 1,4 e 10 miglia. Come molti dei migliori atleti europei del suo tempo, non partecipò ai Giochi Olimpici del 1904 a St. Louis, ma prima della fine di quell'anno, a Glasgow, nel corso di una gara a vantaggi, riscrisse il libro dei primati su varie distanze. Fra l'altro fu cronometrato in 29′59″2/5 sulle 6 miglia e in 50′40″3/5 sulle 10 miglia. Coprì 18,742 km nell'ora per chiudere con 60′32″1/5 al limite finale di 11 miglia e 3/4. Fra i tempi di passaggio, realizzò un 31′02″2/5 sulle 6 miglia e 1/4 (= m 10.058,41). Rivelò più tardi i dettagli dell'allenamento cui si era sottoposto durante il mese precedente: una o due sessioni al giorno su distanze comprese fra le 2 e le 8 miglia, a un ritmo che variava 'da piuttosto lento a vivace', ma con dieci giorni di completo riposo. Come molti campioni della sua epoca, Shrubb passò più tardi ai ranghi dei professionisti.
Ai Giochi Olimpici di Londra del 1908 ci fu una gara delle 5 miglia (8046,75 m), vinta dall'inglese Emil Voigt in 25′11″1/5. I Giochi Olimpici del 1912 a Stoccolma rappresentarono poi per molti versi una tappa miliare nell'evoluzione dell'atletica moderna. Per merito degli organizzatori scandinavi apparvero per la prima volta nel programma le corse dei 5000 e 10.000 m, che furono vinte dal ventitreenne finlandese Hannes Kolehmainen, emerso a notorietà nazionale nel 1907, quando aveva corso la maratona (allora di 40,2 km nelle gare nordiche) in 3h6′19″ a diciotto anni non ancora compiuti. Nel 1909 partecipò a ben cinque maratone nel giro di tre mesi con un miglior tempo di 2h42′59″, sulla distanza oggi vigente (42,195 km). Nel 1912 andò ai Giochi di Stoccolma con 'personali' di 15′16,4″ (5000 m) e 31′47,5″ (10.000 m). Sulla pista svedese lo aspettava un avversario molto difficile, il francese Jean Bouin, che sul finire del 1911 aveva ottenuto con 30′58″4/5 il nuovo mondiale sui 10.000 m. I due si erano già incontrati nella primavera del 1912 a Berlino e il finlandese aveva preso le misure del suo avversario battendolo agevolmente. A Stoccolma furono disputati per primi i 10.000 m, con batterie e finale in due giorni consecutivi. Kolehmainen vinse senza difficoltà in 31′20,8″ davanti a Louis Tewanima (32′6,6″), un americano che aveva sangue pellerossa nelle vene. Nelle giornate immediatamente successive si svolsero batterie e finale dei 5000 m. Nella prova decisiva Kolehmainen, alla sua quarta fatica in quattro giorni, fu impegnato a fondo da Bouin, che si era riservato per quella distanza. La lotta fu serrata fino all'ultimo metro e vennero offuscati tutti i precedenti primati: arrivò primo Kolehmainen in 14′36,6″ e secondo Bouin in 14′36,7″. Dopo un solo giorno di riposo, il finlandese sostenne altre due prove: una corsa a squadre di 3000 m, che terminò in 8′36,9″, altro record mondiale, e una gara di cross country (8 km).
Nel 1913 Bouin, primo mito dell'atletica francese, fu du nuovo a Stoccolma, dove conquistò il mondiale dell'ora con 19,021 km. L'anno successivo cadde su un campo di battaglia. Kolehmainen, che era emigrato negli Stati Uniti sull'onda delle sue glorie olimpiche, nel 1920 tornò in Europa e al suo primo amore, la maratona, per vincere il titolo olimpico ad Anversa in 2h32′35″4/5 sulla distanza 'lunga' di 42,750 km. In Scandinavia l'eco delle sue imprese ebbe il potere di suscitare un nuovo interesse per le corse lunghe. La Svezia ebbe nel secondo decennio del secolo buoni specialisti come John Zander, Eric Backman e Rudolf Falk; in Norvegia il migliore fu Alf Halstvedt, tutti atleti in grado di correre i 5000 m in meno di 15′.
Ma il talento maggiore emerse nella patria di Kolehmainen, la Finlandia, e fu Paavo Johannes Nurmi. Tipo molto serio e di poche parole, da giovanissimo amava correre nei boschi nelle ore serali, dopo una giornata di duro lavoro come ragazzo di fatica presso una ditta di trasporti. Nel 1919, il servizio militare gli permise di dedicare più tempo alla pratica sportiva. Dopo anni di lento progresso, nel 1920 cominciò a far parlare di sé. Ai Giochi Olimpici di Anversa, dove arrivò con 'personali' di 8′36,2″ (3000 m) e 15′00,5″ (5000 m), pensava di trovare negli svedesi gli avversari più seri e invece fu un francese, Joseph Guillemot, il rivale più temibile, al punto di assicurarsi il primo round, sui 5000 m, grazie a un'accelerazione nella fase finale: vinse in 14′55″3/5, e Nurmi giunse secondo (15′). Il finlandese non dovette però attendere molto per rifarsi: sui 10.000 m batté il francese allo sprint 31′45″4/5 contro 31′47″1/5. Guillemot non riuscì più ad arrivare a tali livelli. Per Nurmi, invece, quello fu solo l'inizio di una lunga e gloriosa carriera. L'esperienza fatta ad Anversa gli suggerì di incrementare il ritmo delle sedute di preparazione e a questo scopo prese l'abitudine di portare con sé un cronometro in allenamento e in gara.
L'Italia ebbe diversi buoni fondisti nel primo ventennio del secolo. Ai Giochi Olimpici del 1912 Alfonso Orlando fu quinto nei 10.000 m (33′31,2″) e a quelli del 1920 Augusto Maccario fu quarto sulla stessa distanza (tempo stimato 32′02″) e Carlo Speroni settimo sui 5000 m. Alla fine del 1920 il primato nazionale dei 5000 m era 15′24″3/5, detenuto congiuntamente da Armando Pagliani (1917) e Speroni (1919). Ma l'atleta più forte fu Dorando Pietri, sfortunato protagonista della maratona olimpica del 1908. Passato al professionismo, nel 1910 a Buenos Aires fu cronometrato in 32′18″ al passaggio dei 10.000 m durante una corsa di 25 km.
Nurmi restò la figura dominante del fondo e dell'atletica per oltre un decennio. Fra il 1921 e il 1931 riscrisse a più riprese tutto l'arco dei primati mondiali, da quello dei 1500 m fino a quello dell'ora di corsa, collezionandone in tutto 29 (fra gli altri, 1500 m: 3′52,6″ nel 1924; 5000 m: 14′28,2″ nel 1924; miglio: 4′10,4″ nel 1923; 6 miglia: 29′36,4″ nel 1930; 3000 m: 8′20,4″ nel 1926; 10.000 m: 30′06,1″ nel 1924; 2 miglia: 8′59,5″ nel 1931; 19.210 m in 1h nel 1928; 3 miglia: 14′02″ nel 1924; 20.000 m: 1h04′38,4″ nel 1930). Ai Giochi Olimpici conquistò in tre edizioni (1920-1924-1928) nove medaglie d'oro e tre d'argento. Il suo anno migliore fu il 1924, quando ai Giochi di Parigi vinse fra l'altro i 1500 m (3′53″3/5) e i 5000 m (14′31″1/5) nel giro di poco più di un'ora. Poche settimane prima, a Helsinki, aveva stabilito nello stesso arco di tempo due primati mondiali: 3′52,6″ (1500 m) e 14′28,2″(5000 m). All'inizio del 1925 fu invitato negli Stati Uniti per una tournée, rimasta celebre, durante la quale partecipò a 55 corse (45 al coperto e 10 all'aperto) nel giro di cinque mesi, subendo due sole sconfitte: sui 5000 m, per un ritiro dovuto a indisposizione, e sulle 880 yards, dove fu sconfitto per non più di 6 yards dal campione americano della distanza. Durante la tournée riscrisse l'albo dei primati indoor e ricevette forse più consensi di quanti siano stati mai riservati a qualsiasi altro campione di questo sport. In quegli anni ebbe il suo più forte avversario nel connazionale Ville Ritola, che trascorse la maggior parte della sua carriera negli Stati Uniti. Solitamente tornava in Europa solo in occasione dei Giochi Olimpici, durante i quali fu capace di vincere, in due edizioni (1924 e 1928), cinque medaglie d'oro e tre d'argento.
Nurmi avrebbe voluto chiudere la sua straordinaria carriera con una vittoria nella maratona olimpica del 1932 a Los Angeles e a tal fine, secondo il suo costume, in patria si preparò con grande impegno, tra l'altro correndo una distanza di 40,200 km in 2h22′03,8″. Era già a Los Angeles quando seppe che la IAAF aveva deciso di squalificarlo dalle competizioni internazionali per 'leso dilettantismo', con l'accusa di avere accettato denaro sotto forma d'ingaggio per partecipare ad alcune riunioni. Nel 1933 fu riqualificato in patria come 'dilettante nazionale' e così poté gareggiare per altre due stagioni. La Finlandia seppe comunque conservare il rango di prima potenza mondiale del fondo grazie all'emergere di altri campioni.
Nel giugno 1932, nel giro di poche ore caddero in località diverse due mondiali di Nurmi. A Helsinki il suo connazionale Lauri Lehtinen corse i 5000 m in 14′16,9″ e ad Anversa il polacco Janusz Kusocinski corse i 3000 m in 8′18″4/5. Gli stessi atleti furono i vincitori dei Giochi Olimpici di Los Angeles, Lehtinen sui 5000 m e Kusocinski sui 10.000, mentre la Finlandia si assicurò quattro delle sei medaglie in palio. Da parte sua, però, Lehtinen soffrì più del previsto per battere di stretta misura (tempo per entrambi, 14′30″) l'americano Ralph Hill. Parve ai più che il finlandese avesse ostacolato il suo avversario in modo illecito nella parte conclusiva, ma lo sconfitto non avanzò proteste e la giuria decise di lasciare inalterato l'ordine d'arrivo.
Anche ai primi Campionati Europei, nel 1934 a Torino, la Finlandia vinse solo una delle due gare di fondo, i 10.000 m con Ilmari Salminen, mentre sui 5000 m prevalse il francese Roger Rochard. Più ricco fu il bilancio finlandese ai Giochi Olimpici del 1936 a Berlino: cinque medaglie su un totale di sei in palio. Salminen vinse ancora i 10.000 m (30′15,4″) davanti ai suoi connazionali Arvo Askola e Volmari Iso-Hollo. I tre, con un abile gioco di squadra, seppero relegare al quarto posto uno sfidante giapponese, Kohei Murakoso. Nei 5000 m prevalse Gunnar Höckert (14′22,2″) su Lehtinen, mentre il terzo posto andò a uno svedese, Henry Jonsson. Nell'ultima parte degli anni Trenta la Finlandia ribadì la sua supremazia con nuovi primati mondiali dei 5000 m e dei 10.000 m, rispettivamente di Taisto Mäki (14′08,8″ nel 1939), Salminen (30′05,5″ nel 1937) e ancora Mäki (29′52,6″ nel 1939). Un'idea di quanto fosse forte la Finlandia nel settore del fondo possono darla le liste mondiali del 1939: quattro finlandesi fra i primi dieci nei 5000 m e sei fra i primi dieci nei 10.000 m. La Seconda guerra mondiale cancellò poi i Giochi Olimpici del 1940, che erano stati assegnati proprio a Helsinki.
In Italia i migliori fondisti del ventennio 1921-1940 furono Umberto Cerati, settimo nei 5000 m ai Giochi di Berlino in 14′44,4″, il tempo più veloce della sua carriera, e il piccolo (1,62 m) Giuseppe Beviacqua, che nei 10.000 m durante i Campionati Europei di Parigi (1938) ingaggiò un serrato duello con Ilmari Salminen, che lo sovrastava in statura di 20 cm. Alla fine il primatista mondiale prevalse in volata, 30′52,4″ contro 30′53,2″. Nel 1940 Beviacqua portò il primato italiano a 30′27,4″. In precedenza aveva raggiunto un buon livello internazionale anche Giuseppe Lippi, con 31′24,2″ sui 10.000 m nel 1930.
Negli anni del Secondo conflitto mondiale, che coinvolse anche la Finlandia, il periodo molto florido vissuto dalla neutrale Svezia nel mezzofondo ebbe riflessi anche nel settore del fondo, soprattutto grazie a Gunder Hägg, che nel suo anno migliore, il 1942, mise a segno nuovi mondiali per i 3000 e i 5000 m, rispettivamente con 8′01,2″ e 13′58,2″. Quest'ultimo tempo, ottenuto a Göteborg (con frazioni al chilometro di 2′40,0″, 2′47,0″, 2′51,5″, 2′50,5″ e 2′49,2″), sottraeva ben 10,6″ al precedente record di Mäki. In seguito Hägg tornò solo di rado sulle distanze lunghe e in gare di medio impegno. Riuscì comunque a battere sui 5000 m Viljo Heino, divenuto nel frattempo il migliore dei finlandesi.
Nel 1944 Heino a Helsinki fece fare un bel passo avanti al record mondiale dei 10.000 m, portandolo a 29′35,4″. Due anni dopo, a Oslo, nei primi Campionati Europei del dopoguerra, vinse agevolmente il titolo in 29′52″ ma subì una secca sconfitta nei 5000 m, finendo solo quarto in una gara vinta con il tempo di 14′08,6″ dal trentaduenne Sydney Wooderson, l'inglese che sul finire degli anni Trenta aveva detenuto i mondiali delle 880 yards e del miglio. Al quinto posto finì un cecoslovacco, Emil Zatopek, che siglò in quell'occasione un nuovo primato personale, 14′25,8″.
Cresciuto come atleta durante gli anni della guerra, Zatopek nel 1945, dopo aver incontrato il grande campione svedese Arne Andersson, intensificò la sua razione di allenamento, soprattutto in termini di quantità, fino a coprire 800 km al mese, più di mezza maratona al giorno. Si allenava calzando scarpe pesanti e nelle giornate di pioggia addirittura stivali da soldato, seguendo il principio base di rendere così duro l'allenamento da far risultare facile, al confronto, la stessa gara. Tra il giugno 1949 e l'ottobre 1955 Zatopek collezionò 18 primati mondiali, su distanze che andavano dai 5000 ai 35.000 m (i tempi sulle distanze più importanti furono: 5000 m, 13′57,2″ nel 1954; 6 miglia, 28′08,4″ nel 1953 e 27′59,2″ nel 1954; 10.000 m, 29′28,2″ e 29′21,2″ nel 1949, 29′02,6″ nel 1950, 29′01,6″ nel 1953, 28′54,2″ nel 1954; 1 ora di corsa, km 19,558 nel 1951; km 20,052 nel 1951). Ai Giochi Olimpici del 1948 a Londra, demolì Heino nei 10.000 m. Il finlandese, che all'epoca aveva 34 anni, si arrese dopo 7 km sotto il doppio effetto del caldo e del ritmo imposto da Zatopek, che andò a vincere in 29′59,6″, con grande vantaggio su Alain Mimoun (30′47,4″), un algerino che correva per i colori della Francia. Tre giorni dopo, nei 5000 m, corsi in gran parte sotto la pioggia, Zatopek trovò nel belga Gaston Reiff un ben più duro avversario. Il cecoslovacco perse contatto a poco meno di 2000 m dall'arrivo, poi ebbe un ritorno vivace e colmò gran parte del suo ritardo, ma alla fine dovette arrendersi di stretta misura: 14′17,8″ contro 14′17,6″. Nel 1949 Reiff superò per primo la barriera degli 8′ nei 3000 m (7′58,7″). Grande era l'attesa per il suo nuovo confronto con Zatopek ai Campionati Europei del 1950, che si svolsero a Bruxelles. Davanti ai suoi connazionali il belga inscenò ancora una fuga, ma stavolta Zatopek non si fece sorprendere e alla fine vinse in 14′03″. Reiff, esausto, dovette cedere anche a Mimoun (14′26,2″ contro 14′26″). In precedenza Zatopek aveva vinto i 10.000 m con assoluta facilità in 29′12″, staccando di oltre un minuto Mimoun.
L'anno migliore di Zatopek, ormai noto come 'la locomotiva umana', fu il 1952. Poco prima dei Giochi Olimpici di Helsinki si apprese che aveva intenzione di tentare una straordinaria 'tripletta': nell'ordine, 10.000 m, 5000 m e maratona. I dubbi sulla sua condizione ingenerati dalla sconfitta inflittagli poche settimane prima sui 5000 m dai russi Vladimir Kazantsev, uno specialista dei 3000 m siepi, e Nikifor Popov, furono presto dispersi. Vinse i 10.000 m in 29′17″, staccando nettamente Mimoun. Una più dura battaglia lo attendeva quattro giorni dopo sui 5000 m, per i quali i favori di molti andavano al tedesco Herbert Schade, che in primavera aveva corso la distanza in 14′06,6″, e dove anche i giovani inglesi Chris Chataway e Gordon Pirie godevano di eccellenti credenziali. Questi tre atleti e Mimoun erano ancora con Zatopek all'imbocco dell'ultima curva e Zatopek dovette percorrere gli ultimi 200 m in 28,3″ per chiudere vittoriosamente in 14′06,6″. Mimoun fu ancora secondo, poi si piazzarono Schade, Pirie e Chataway (quest'ultimo era caduto lungo l'ultima curva). Tre giorni dopo, Zatopek affrontò la maratona, una distanza sulla quale non si era mai cimentato in competizione. Il compito si rivelò peraltro più facile del previsto: vinse agevolmente in 2h23′03,2″.
Il predominio di Zatopek ebbe fine nel 1954, dopo che all'inizio della stagione aveva ottenuto i tempi più veloci della sua carriera, mettendo a segno due mondiali nel giro di tre giorni (i 5000 m in 13′57,2″ a Parigi e i 10.000 m in 28′54,2″ a Bruxelles). Un mese dopo, però, subì sui 10.000 m la prima sconfitta dopo 38 vittorie consecutive, a opera dell'ungherese József Kovács. In prossimità dei Campionati Europei di Berna salirono le quotazioni degli inglesi Frederick Green e Chataway, e dell'ucraino Vladimir Kuts. Green e Chataway arrivarono primo e secondo sulle 3 miglia dei campionati inglesi, entrambi in 13′32,2″, nuovo primato mondiale. Un mese dopo, ai Giochi del Commonwealth di Vancouver, Chataway si rivalse ampiamente, battendo Green 13′35,2″ contro 13′37,2″. Ai Campionati Europei di Berna il primo atto sembrò riaffermare la superiorità di Zatopek, che vinse i 10.000 m in 28′58″, con grande vantaggio su Kovács (29′25,8″). Ma quattro giorni dopo nei 5000 m, la musica cambiò: Kuts andò in fuga dopo poco più di 200 m e dopo due giri aveva circa 20 m di vantaggio sul gruppo degli inseguitori. Chataway e Zatopek passarono al contrattacco quando l'ucraino li precedeva di circa 100 m, ma la loro reazione fu tardiva. Kuts vinse in 13′56,6″, nuovo primato del mondo, e Chataway superò Zatopek allo sprint per il secondo posto: 14′08,8″ contro 14′10,2″.
Kuts e Chataway tornarono ad affrontarsi poco dopo a Londra, sempre sui 5000 m e questa volta fu l'inglese ad avere la meglio: dopo esser rimasto a lungo nella scia dell'ucraino, riuscì a batterlo di stretta misura nel finale, 13′51,6″ contro 13′51,7″, record mondiale battuto da entrambi. Kuts si riservò comunque l'ultima parola e sul finire della stagione, a Praga, corse la distanza in 13′51,2″, vincendo nettamente davanti a Zatopek (14′19″). Così nel 1954 il primato mondiale fu migliorato ben quattro volte, da tre atleti diversi.
Anche il 1955 fu ricco di novità. Kuts trovò come nuovo interlocutore l'ungherese Sándor Iharos, che a Budapest corse i 5000 m in 13′50,8″. Pochi giorni dopo Kuts replicò a Belgrado con 13′46,8″, ma l'ungherese prima della fine dell'anno, ancora a Budapest, ottenne il tempo autorevole di 13′40,6″.
Il 1956 fu per gli europei una stagione anomala, nella quale l'impegno più prestigioso venne proprio alla fine, in novembre, per di più nell'emisfero meridionale. Pirie si trovò nella forma migliore al momento sbagliato: in giugno a Bergen, in Norvegia, batté il mondiale dei 5000 m in un vittorioso confronto con Kuts, 13′36,8″ contro 13′39,6″. In luglio, a Budapest, Iharos conquistò a sua volta il mondiale dei 10.000 m con 28′42,8″; poi a causa dell'occupazione sovietica dell'Ungheria non poté partecipare ai Giochi di Melbourne. Kuts gli fornì comunque una risposta, sia pure indiretta, in settembre a Mosca, correndo in 28′30,4″. A Melbourne si ebbe la conferma che l'ucraino si trovava nella forma migliore. Nelle finali olimpiche vinse su ambedue le distanze: nei 10.000 m con 28′45,6″, lasciando Kovács, secondo, a notevole distanza (28′52,4″); nei 5000 m con un successo ancora più netto, 13′39,6″, con Pirie secondo in 13′50,6″.
Gli anni dal 1957 al 1960 furono più avari in fatto di primati mondiali. Kuts conseguì l'ultimo della sua carriera nell'ottobre del 1957 a Roma, correndo i 5000 m in 13′35″. Ma poi il suo nome sprofondò nell'oblio: la salute declinante, per effetto dell'alcolismo, mise prematuramente fine alla sua carriera.
Ai Campionati Europei del 1958 a Stoccolma il polacco Zdzislaw Krzyszkowiak, che era in realtà uno specialista delle siepi, mise a segno la doppietta 10.000/5000 m, rispettivamente con 28′56″ e 13′53,4″. La seconda gara si svolse sotto la pioggia, che tra l'altro costrinse gli organizzatori a ridisegnare e rimisurare il percorso, usando come 'corda' la striscia della terza corsia, poiché le due corsie più interne erano coperte dalla melma.
Ai Giochi Olimpici del 1960 a Roma il neozelandese Murray Halberg, allievo di Arthur Lydiard, nei 5000 m fu protagonista di una fuga sensazionale: lasciò il gruppo a ben nove giri dalla fine e pur accusando un cedimento nella fase conclusiva vinse in 13′43,4″, davanti al tedesco dell'Est Hans Grodotzki, con 13′44,6″. Nei 10.000 m dominò il russo Pyotr Bolotnikov, con 28′32,2″, con Grodotzki (28′37″) ancora secondo e Halberg, in realtà uno specialista del miglio, solo quinto. A fine stagione Bolotnikov succedette a Kuts come primatista mondiale, correndo i 10.000 m a Kiev in 28′18,8″.
L'Italia ebbe nel ventennio 1941-1960 alcuni buoni fondisti, che stabilirono nuovi primati nazionali. Ricordiamo Francesco Perrone, Antonio Ambu, Franco Volpi e Luigi Conti il quale nel 1960 realizzò i tempi di 14′01,6″ e 29,43,2″.
Nonostante il primato sui 10.000, l'impatto sulla scena internazionale di Bolotnikov non fu mai pari a quello che aveva avuto Kuts. Nel 1962, comunque, il russo a Mosca migliorò ancora il suo record, portandolo a 28′18,2″, e vinse sulla stessa distanza ai Campionati Europei di Belgrado. Sui 5000 m il suo 'personale' fu di 13′38,1″ (1960).
Una figura di grande rilievo fu l'australiano Ron Clarke, anche se ai suoi molti primati mondiali non riuscì mai ad accoppiare una medaglia d'oro nelle grandi competizioni internazionali. All'inizio del 1956 Clarke, diciannovenne, corse il miglio in 4′06,8″, record mondiale juniores, prodezza che gli valse l'onore di entrare nello stadio olimpico di Melbourne, davanti a 102.000 spettatori, come ultimo tedoforo. Fra il 1963 e il 1968 stabilì, in tre diversi continenti (Oceania, America del Nord ed Europa), 18 record mondiali, su distanze comprese fra le 2 miglia e l'ora di corsa (2 miglia, 8′19,8″ nel 1967, 8′19,6″ nel 1968; 3 miglia, 13′07,5″ nel 1964, 13′00,4″ e 12′52,4″ nel 1965, 12′50,4″ nel 1966; 5000 m, 13′34,7″, 13′33,6″, 13′25,7″ nel 1965, 13′16,6″ nel 1966; 6 miglia, 27′17,8″ nel 1963, 26′47″ nel 1965; 10.000 m, 28′15,5″ nel 1963, 28′14″ e 27′39,4″ nel 1965; 10 miglia, 47′12,7″ nel 1965; 20.000 m, 59′22,7″ nel 1965; 20.232 m in 1h nel 1965). Il primo di questi record mondiali, 28′15,5″ sui 10.000 m, ottenuto verso la fine del 1963 a Melbourne, lo proiettò verso i Giochi Olimpici di Tokyo dell'anno seguente in veste di favorito. Ma qui Clarke incontrò la prima grossa delusione. Dopo aver tentato invano di staccare gli avversari più ostici, nella volata finale dovette accontentarsi del terzo posto (28′25,8″) dietro all'americano Billy Mills (28′24,4″) e al tunisino Mohamed Gammoudi (28′24,8″). Il vincitore, soldato nel corpo dei marines, aveva origini sioux. I commentatori osservarono che Mills e Gammoudi avevano un animus pugnandi che mancava a Clarke. Anche in seguito comunque in differenti occasioni l'australiano mostrò di non essere a suo agio in gare caratterizzate da bruschi cambi di velocità nella fase finale. Nei 5000 m di Tokyo arrivò addirittura nono in una gara vinta da un altro americano, Bob Schul, in 13′48,8″ (che bruciò gli ultimi 300 m in 38′7″) davanti al tedesco Harald Norpoth (13′49,6″), a Bill Dellinger, anch'egli americano, e a Michel Jazy, francese (entrambi in 13′49,6″). Quinto un keniota, Kipchoge Keino (13′50,4″).
Malgrado la triste esperienza olimpica, Clarke riprese imperterrito la caccia ai primati. Il 1965 fu in questo senso il suo anno migliore. Tra gennaio e giugno migliorò tre volte il mondiale dei 5000 m, fino a portarlo a 13′25,7″ in una corsa a Los Angeles (in quell'occasione coprì l'ultimo chilometro in 2′37,0″). Venuto in Europa, mise a segno a Turku un nuovo mondiale dei 10.000 m in 28′14″. Ma la sua più grande impresa maturò un mese dopo, a Oslo, dove corse la stessa distanza in 27′39,4″, con un guadagno di oltre 34 secondi rispetto al precedente record. Al di là dei primati, la corsa più bella di quell'anno si svolse a Helsinki. Fu praticamente una rivincita della finale olimpica di Tokyo e questa volta si impose Jazy in 13′27,6″ davanti a Keino (13′28,2″) e Clarke (13′29,4″). Poche settimane prima Jazy aveva ottenuto il record mondiale del miglio (3′53,6″). L'ultimo atto della stagione 1965 ebbe come protagonista Keino, che ad Auckland, in Nuova Zelanda, migliorò con 13′24,2″ il fresco mondiale di Clarke nei 5000 m. L'anno successivo l'instancabile Clarke se lo riprese, correndo a Stoccolma in 13′16,6″. Gli anni tra il 1967 e il 1971 non offrirono nuovi primati nell'arco dei 5000 e 10.000 m, ma furono ugualmente vivaci grazie alle non poche gare di alto interesse agonistico.
Evento chiave del 1968 furono i Giochi Olimpici di Città del Messico, metropoli situata a circa 2300 m di altitudine. Il problema dell'aria rarefatta di montagna e dei suoi effetti sulle prestazioni atletiche era affiorato a livello internazionale già nel 1955, in occasione dei Giochi Panamericani, svoltisi anch'essi a Città del Messico e durante i quali erano emersi grandi risultati nelle prove anaerobiche (sprint e salti orizzontali) e tempi assai mediocri in quelle aerobiche (fondo). Grande era quindi l'attesa per i responsi olimpici. Clarke, deciso a cancellare il ricordo delle sue disavventure di quattro anni prima a Tokyo, si era preparato con grande diligenza. Durante l'estate, in Scandinavia, si era misurato più volte con quelli che si profilavano come i suoi più forti avversari e nei confronti diretti aveva avuto la meglio su Keino (3 a 0), su Gammoudi e un altro keniota, Naftali Temu (2 a 0 con entrambi). A Città del Messico però le cose si misero in modo diverso. Clarke non fu peraltro il solo ad accusare la differenza. Anche il tedesco Jürgen Haase e il belga Gaston Roelants, venuti in Messico con forti credenziali, fallirono in pieno. Viceversa si trovarono a loro agio kenioti ed etiopi, nati e cresciuti in località di montagna, e anche Mohamed Gammoudi, tunisino, che aveva frequentato per uno stage di allenamento una località francese della zona pirenaica, Font-Romeu, posta a 1850 m. Il primo round dei Giochi fu quello dei 10.000 m. Gli africani si dimostrarono subito i padroni della situazione. Temu vinse in 29′27,4″ (prima metà in 14′55,0″) davanti all'etiope Mamo Wolde (29′28″) e a Gammoudi (29′34,2″). Clarke fu staccato a due giri dal termine e finì sesto con 29′44,8″. Keino si era ritirato per crampi allo stomaco a poco meno di tre giri dalla fine; che il suo male fosse solo passeggero e non connesso con l'altitudine lo si capì quattro giorni dopo, quando nella fase conclusiva dei 5000 m ingaggiò uno sprint serrato con Gammoudi, che prevalse di misura, 14′05″ contro 14′05,2″. Terzo Temu (14′06,4″) e quinto Clarke (14′12,4″). Ancora una volta, fu lo 'sbalzo' finale dei suoi avversari a decretare la sua disfatta. Gammoudi corse gli ultimi 400 m in 54,8″, laddove Clarke ebbe bisogno di 61″. Un atleta relativamente poco noto, il messicano Juan Martínez, abituato all'aria rarefatta, finì quarto in ambedue le gare. Ancora oggi Clarke sostiene che se quei Giochi si fossero svolti in una capitale europea avrebbe centrato l'oro in almeno una prova: ipotesi plausibile, ma non troppo. La sua avversione ai ritmi oscillanti delle grandi competizioni fu evidenziata anche dai Giochi del Commonwealth, ai quali partecipò tre volte (1962, 1966 e 1970), non andando mai oltre la medaglia d'argento, sia pure conquistata in quattro gare. Nel ranking 'ragionato' della rivista americana Track & Field News, basato sul rendimento nel corso della stagione e sull'esito dei confronti diretti, Clarke risultò primo tre volte nei 5000 m (1967, 1968 e 1969) e quattro volte nei 10.000 m (1963, 1965, 1968 e 1969).
Nei primi anni Settanta la Finlandia tornò ad avere un ruolo degno delle sue tradizioni grazie a Juha Väätäinen e Lasse Viren. Il trentenne Väätäinen ai Campionati Europei del 1971, a Helsinki, mandò in visibilio il suo pubblico con una bella doppietta, vincendo prima i 10.000 m in 27′52,8″ e poi i 5000 m in 13′32,6″, in ambedue i casi grazie soprattutto a un finish bruciante: coprì gli ultimi 400 m rispettivamente in 54,0″ e 53,4″. Ben più durevole fu l'impatto di Viren, che riuscì in un'impresa a tutt'oggi rimasta ineguagliata: vincere i 5000 m e i 10.000 m in due Olimpiadi consecutive. Attraverso un lungo e duro allenamento (tra l'ottobre 1971 e il settembre 1972 coprì la bellezza di 7348 km), Viren passò, da comprimario qual era nei giorni di gloria di Väätäinen, a un ruolo di grande protagonista. Nel 1972, ventitreenne, andò ai Giochi Olimpici di Monaco con 'personali' di 13′19″ e 27′52,4″. Nei 10.000 m, pur avendo perduto svariati secondi a causa di una caduta verso metà gara, vinse in 27′38,4″, nuovo primato mondiale, davanti al belga Emiel Puttemans (27′39,6″) e all'etiope Miruts Yifter (27′41″). In questa corsa, come in altre che seguirono, Viren demolì i suoi avversari con il metodo dell'accelerazione progressiva, coprendo in particolare l'ultimo chilometro in 2′29,2″. Poi fece il bis sui 5000 m, vincendo allo sprint in 13′26,4″ davanti a Gammoudi (13′27,4″) e al britannico Ian Stewart (13′27,6″).
Tornato in patria come nuovo eroe nazionale, Viren festeggiò battendo di misura a Helsinki, con 13′16,3″, il mondiale di Clarke sui 5000 m. Il primato resistette pochi giorni: a Bruxelles lo fece scendere a 13′13″ Puttemans, atleta particolarmente bravo sui brevi circuiti indoor, dove stabilì non meno di dodici primati mondiali per quel genere di gare, fra cui nel 1975 un 28′12,4″ sui 10.000 m su un circuito di 166,66 m, coprendo quindi 60 giri. Nel frattempo, nel 1973, il mondiale dei 10.000 m all'aperto era stato portato a 27′30,8″ dall'inglese David Bedford, che come Clarke era capace di notevolissimi 'assolo' in gare concepite in funzione di un record ma risultava poi incapace di rendersi giustizia nel confronto con i rivali più agguerriti.
Il boicottaggio dei paesi africani tolse non poco lustro alle gare di fondo dei Giochi Olimpici di Montreal del 1976. Viren, che si era visto poco negli anni dal 1973 al 1975, risorse al momento giusto per replicare i successi di Monaco 1972. Vinse prima i 10.000 m in 27′40,38″ davanti al portoghese Carlos Lopes (27′45,17″) e al britannico Brendan Foster (27′54,92″), poi i 5000 m in 13′24,76″ davanti al neozelandese Dick Quax (13′25,16″) e al tedesco Klaus-Peter Hildenbrand (13′25,38″). Il finlandese applicò ancora una volta la sua tattica di accelerazione progressiva: nei 10.000 m coprì la prima metà in 14′08,94″ e la seconda in 13′31,44″, mentre nei 5000 m chiuse con un quarto chilometro in 2′39,3″ e un quinto in 2′29,5″. I neozelandesi Quax e Rod Dixon, rispettivamente secondo e quarto in quest'ultima gara, erano fra i milers più veloci del mondo e si meravigliarono che Viren li avesse battuti in quello che avrebbe dovuto essere il loro gioco. Il finlandese tentò anche l'impossibile, schierandosi alla partenza della maratona meno di ventiquattro ore dopo il suo secondo trionfo su pista: giunse quinto in 2h13′11″, accusando poi per molte ore gli effetti della disidratazione. La carriera di Viren doveva rimanere un caso anomalo: oltre ai quattro ori olimpici e ai due primati mondiali conquistò solo un terzo posto nei 5000 m ai Campionati Europei del 1974. Per questo si meritò l'appellativo di 'uomo che sapeva vincere solo alle Olimpiadi'.
La caccia ai primati riprese con successo nel 1977. Un keniota relativamente poco conosciuto, Samson Kimobwa, cresciuto come atleta alla Washington state university e con un 'personale' di 28′10,3″, a Helsinki portò a 27′30,47″ il record dei 10.000 m. Dopo Helsinki fu invitato a gareggiare in diverse parti d'Europa e si lasciò coinvolgere in un carosello di meeting, cinque in altrettante giornate consecutive in tre diverse nazioni. Perse presto la forma e negli anni che seguirono si parlò poco o niente di lui.
Dopo questa meteora fu il turno di una vera stella, il già citato Quax, uomo da 3′36,7″ sui 1500 m. Già nel luglio 1976, a Stoccolma, aveva mancato di un solo decimo di secondo il mondiale dei 5000 m con 13′13,10″. Esattamente un anno dopo si rese giustizia con cronometrica pignoleria: 13′12,86″. Il 1978 fu l'anno di Henry Rono, un keniota che al pari di Kimobwa aveva frequentato la Washington state university, avendo come allenatore John Chaplin. Tra aprile e giugno mise a segno quattro mondiali: 13′08,4″ nei 5000 m a Berkeley; 8′05,4″ nei 3000 m siepi a Seattle; 27′22,4″ nei 10.000 m a Vienna e 7′32,1″ nei 3000 m piani a Oslo.
Ai Giochi Olimpici di Mosca del 1980 non parteciparono, fra le altre nazioni, Kenya, Stati Uniti, Germania Federale e Nuova Zelanda. Fu il turno di gloria di un etiope, Miruts Yifter, la cui carriera era stata per lungo tempo costellata di difficoltà. Ai Giochi del 1972, quando aveva già 28 anni, dopo esser giunto terzo nei 10.000 m, non aveva potuto cimentarsi nei 5000. Nel 1976 il boicottaggio dei paesi africani gli aveva impedito di gareggiare ai Giochi di Montreal. Solo nel 1979, nella seconda edizione della Coppa del Mondo, ancora a Montreal, era riuscito a rendersi una prima volta giustizia, vincendo i 10.000 m (27′53,07″) e i 5000 m (13′35,9″) grazie a un finale bruciante. Proprio a questo dovette il suo doppio trionfo olimpico del 1980 a Mosca, quando aveva 36 anni. Nei 10.000 m aveva fra i suoi avversari Viren, che a due giri dalla fine prese la testa ma per rimanervi solo per pochi secondi: Yifter corse l'ultimo giro in 54,4″ e vinse in 27′42,69″, davanti a un altro finlandese, Kaarlo Maaninka (27′44,28″), mentre Viren fu solo quinto. Eguale schema nei 5000 m, che Yifter vinse in 13′20,91″, dopo un ultimo giro in 54,9″; secondo arrivò il tanzaniano Suleiman Nyambui (13′21,60″) e terzo Maaninka (13′22″). Quest'ultimo, giunto a Mosca con scarse credenziali, vinse così due medaglie; dopo i Giochi, tuttavia, ripiombò praticamente nell'anonimato. Solo diversi anni dopo tornò a far notizia quando ammise di aver fatto ricorso per prepararsi ai Giochi di Mosca all'autoemotrasfusione, pratica che peraltro la IAAF incluse fra quelle proibite solo alla fine degli anni Ottanta.
L'Italia ebbe alla fine degli anni Settanta il suo primo campione europeo del fondo, Venanzio Ortis. Nella rassegna continentale di Praga del 1978, dopo essere arrivato secondo nei 10.000 m dietro il finlandese Martti Vainio (27′31,48″ contro 27′30,99″), Ortis vinse i 5000 m (13′28,57″) in una gara serratissima, che alla fine vide i primi sei atleti separati da non più di 1,1″. Quattro anni prima, Giuseppe (Pippo) Cindolo era giunto terzo nei 10.000 m ai Campionati Europei di Roma. Già prima di Ortis c'erano stati in Italia buoni fondisti come Antonio Ambu e Giuseppe Ardizzone. Il mezzofondista Francesco Arese aveva conquistato i primati italiani dei 5000 m (13′40″) e dei 10.000 m (28′27″), entrambi nel 1971. Ottimi risultati, anche a livello internazionale, aveva raggiunto Franco Fava, che nel 1977 corse in 13′22″ e 28′42,65″. Il risultato più interessante venne forse da Gianni Del Buono, buon mezzofondista che nel 1972 era giunto alle semifinali dei 1500 m ai Giochi Olimpici di Monaco. In una gara post-olimpica a Roma vinse i 5000 m in 13′22,4″, battendo l'americano Steve Prefontaine e il finlandese Väätäinen, campione europeo del 1971.
Dopo i trionfi di Mosca, Yifter continuò per un paio di stagioni, poi decise di smettere. Aveva raccolto i migliori risultati a un'età (36 anni) che a molti sarebbe apparsa proibitiva. Rono, che era stato piuttosto deludente nel biennio 1979-1980, ebbe un breve ma intenso ritorno sul finire del 1981, quando nel giro di cinque giorni mise a segno nei 5000 m una serie di tempi eccellenti: 13′12,47″ a Roma, in una gara vinta dal tedesco Hansjörg Kunze in 13′10,40″ (primato europeo), 13′12,34″ a Londra e infine 13′06,20″ a Knarvik, in Norvegia, nuovo primato del mondo. Dopo una buona, ma non eccezionale stagione nel 1982, il keniota, che nel complesso non seppe amministrare saggiamente le sue eccezionali risorse, scomparve dalla scena.
Il 1982 vide il primato mondiale dell'inglese David Moorcroft, un ottimo mezzofondista che, chiuso in quel settore da Coe, Ovett e Cram, aveva deciso di gareggiare sulle distanze superiori. In luglio, a Oslo, corse i 5000 m in 13′00,41″, migliorando di quasi 6″ il mondiale di Rono e di oltre 20″ il suo 'personale', dopo esser rimasto in testa dagli 800 m alla fine e con un ultimo chilometro in 2′31,7″. In quella stessa stagione Moorcroft corse anche gli 800 m in 1′46,64″ e i 1500 m in 3′33,79″. Ma ai Campionati Europei di Atene non riuscì ad andare oltre il terzo posto nei 5000 m, in una gara vinta allo sprint dal tedesco Thomas Wessinghage in 13′28,90″.
Nella rassegna ateniese del 1982 si registrò la seconda vittoria di un fondista italiano in una competizione di tale livello: quella di Alberto Cova nei 10.000 m. Con l'aiuto del suo allenatore, Giorgio Rondelli, Cova aveva studiato e sperimentato sia l'interval training di Gerschler sia l'endurance training di Lydiard, fino a realizzarne una virtuale simbiosi. Dotato di una struttura media (1,76 m per 58 kg), sentiva di non essere 'uomo da primati', ma con il passare del tempo scoprì che poteva vincere qualsiasi corsa che si potesse decidere in volata. Nell'arco di tre anni consecutivi (1982-1983-1984) vinse sui 10.000 m tre titoli prestigiosi, l'europeo, il mondiale e l'olimpico, anche se stranamente non giunse mai a detenere il primato italiano della distanza, impresa che invece gli riuscì nei 5000 m. Ad Atene Cova prevalse quasi di un soffio, in un finale frenetico, 27′41,03″ contro 27′41,21″, sul tedesco Werner Schildhauer, che in seguito doveva rivelarsi la 'vittima' preferita di Cova. Nell'edizione inaugurale dei Campionati Mondiali, tenuta a Helsinki nel 1983, l'ordine d'arrivo fu identico e il distacco tra i due ancora più esiguo, 28′01,04″ e 28′01,18″. Cova non corse i 5000 m, vinti da un altro grande finisseur, l'irlandese Eamonn Coghlan, in 13′28,53″, con Schildhauer ancora secondo (13′30,20″).
L'esatto contrario di Cova era il portoghese Fernando Mamede, bravissimo nella caccia ai primati ma deludente nelle competizioni dirette. Nel luglio 1984, a Stoccolma, vinse i 10.000 m in 27′13,81″ dopo aver coperto la seconda metà in un bruciante 13′28,41″. Un mese dopo, nella finale olimpica di Los Angeles, apparve subito a disagio e si ritirò poco dopo metà gara. Cova vinse con facilità in 27′47,54″ davanti al finlandese Vainio (27′51,10″), che fu squalificato pochi giorni dopo per esser risultato positivo in un esame antidoping. Nella classifica corretta il secondo posto andò al britannico Mike McLeod (28′06,22″), seguito dal keniota Mike Musyoki (28′06,46″), che per un'inezia prevalse su un altro italiano, Salvatore Antibo (28′06,50″). Cova coprì i primi 5000 m in 14′20,6″ e i secondi in 13′27″, tempo quest'ultimo che gli sarebbe valso la medaglia d'oro in qualsiasi finale olimpica dei 5000 m fino al 1968 compreso.
Dopo questi tre successi, Cova dette prova di saper correre assai bene anche i 5000 m. Nella finale di Coppa Europa del 1985, a Mosca, vinse prima i 5000 m e poi i 10.000 con le sue solite volate finali, procurando all'Italia i punti necessari per non retrocedere l'anno successivo nella serie B di quella manifestazione a squadre. Nel 1986 accusò una prima flessione. Ai Campionati Europei di Stoccarda fu battuto nei 10.000 m da un altro italiano, Stefano Mei, che vinse in 27′56,79″ davanti a Cova (27′57,93″) e ad Antibo (28′00,25″), tripletta rimasta a tutt'oggi il più grande successo del fondo azzurro in manifestazioni di alto livello. A coronare quello che è stato il periodo d'oro dei nostri corridori si aggiunse un altro uomo di classe internazionale, Francesco Panetta, che alle distanze piane alternava i 3000 m siepi, sui quali proprio a Stoccarda raggiunse un secondo posto. In quella rassegna Mei conquistò anche un secondo posto nei 5000 m (13′11,57″), dietro il britannico Jack Buckner (13′10,15″).
Malgrado la buona volontà di questi e altri europei stava però salendo inesorabilmente 'l'onda africana', di cui verso la metà degli anni Ottanta il più grande esponente fu il marocchino Said Aouita. Per i Giochi Olimpici di Los Angeles del 1984 aveva scelto i 5000 m anziché i 1500 e il risultato fu ottimo, perché vinse agevolmente in 13′05,59″ davanti allo svizzero Markus Ryffel (13′07,54″). L'anno seguente, a Oslo, migliorò sia pure di un solo centesimo il mondiale di Moorcroft con 13′00,40″, distaccando di poco un altro miler, Sydney Maree (13′01,15″), americano di origine sudafricana. Terzo arrivò Cova, che in quell'occasione siglò con 13′10,06″ un nuovo primato italiano. Anche sui 10.000 m Cova ottenne il miglior tempo della sua carriera, 27′37,59″, da perdente, finendo dietro Mamede (27′36,80″) nel 1983 a Losanna.
Aouita, che in tutte le sue corse sui 5000 m dette sempre l'impressione di non forzare oltre misura, fu il primo a superare su questa distanza la barriera dei 13 minuti. Vi riuscì in un caldo pomeriggio del luglio 1987 a Roma (Campionati Mondiali) quando staccando nettamente Maree realizzò il tempo di 12′58,39″ (con frazioni al chilometro di 2′35,35″, 2′37,68″, 2′33,34″, 2′39,68″ e 2′32,34″). Da notare che all'epoca Aouita deteneva anche il mondiale dei 1500 m (3′29,46″).
I Mondiali di Roma valsero ad Aouita un altro titolo: vinse i 5000 m con apparente facilità in 13′26,44″, davanti al portoghese Domingos Castro (13′27,59″). Sui 10.000 m Panetta arrivò secondo (27′48,98″) dietro il keniota Paul Kipkoech (27′38,63″), africano dalle grandi possibilità che ebbe una carriera relativamente breve. Afflitto da tubercolosi e malaria, morirà nel 1995 a 32 anni.
Ai Giochi Olimpici del 1988 a Seul i migliori fondisti non dovettero fare i conti con Aouita, che optò per gli 800 m. I due titoli del fondo andarono comunque ad atleti africani: il marocchino Brahim Boutayeb vinse i 10.000 davanti ad Antibo (27′21,46″ contro 27′23,55″) e il keniota John Ngugi, grande specialista del cross country, si aggiudicò i 5000 m in 13′11,70″, con il tedesco Dieter Baumann (13′15,52″) alle sue spalle.
Vi fu poi una parentesi messicana, grazie ad Arturo Barrios, grande specialista delle corse su strada, che si era già distinto anche su pista, sempre sui 10.000 m: quarto ai Campionati Mondiali del 1987 e quinto ai Giochi Olimpici del 1988. Nel 1989 a Berlino corse quella distanza in 27′08,23″. Due anni dopo, a La Flèche (in Francia), Barrios stabilì un record mondiale dell'ora ‒ km 21,101 ‒ a tutt'oggi inarrivato.
Antibo ebbe la sua annata migliore nel 1990, quando riuscì a cogliere un doppio successo ai Campionati Europei di Spalato: vinse prima i 10.000 m con grande vantaggio, 27′41,27″, mentre Mei finì al terzo posto; nei 5000 m rimase coinvolto in una caduta proprio all'inizio, ma si riprese molto bene e vinse in volata con 13′22″. Fu invece protagonista di un drammatico episodio ai Campionati Mondiali del 1991 a Tokyo, quando durante la finale dei 10.000 m un 'blackout' mentale lo costrinse a rallentare; finì al 20° posto, in 28′52,41″ in stato di parziale incoscienza. Lo staff sanitario della FIDAL precisò che Antibo andava occasionalmente soggetto a disturbi del tipo 'assenza momentanea', attribuibili ai postumi di una patologia cranica occorsagli in età infantile a causa di un incidente automobilistico. In seguito Antibo tornò in forma (colse un buon quarto posto ai Giochi Olimpici di Barcellona del 1992, sempre sui 10.000 m), pur rimanendo sempre al di sotto delle prestazioni del 1990. A Tokyo l'Africa fece incetta di medaglie: il Kenya in particolare vinse i 10.000 m con Moses Tanui (27′38,74″) e i 5000 m con Yobes Ondieki (13′14,45″).
I Giochi Olimpici del 1992 a Barcellona fecero registrare l'ultima vittoria di un fondista europeo in una manifestazione 'globale': nei 5000 m il ventisettenne Baumann, che era allenato dalla moglie Isabell ed era già arrivato secondo su questa distanza ai Giochi Olimpici di Seul, seppe valersi del suo ottimo sprint finale per battere di misura il keniota Paul Bitok, 13′12,52″ contro 13′12,71″. Un altro finisseur, il marocchino Khalid Skah, vinse i 10.000 m in 27′46,70″ davanti al keniota Richard Chelimo (27′47,72″); in un primo momento Skah fu squalificato per aver tratto indiretto vantaggio dalla tattica ostruzionistica di un suo connazionale, già doppiato, nei confronti di Chelimo ma poi la squalifica fu annullata. Chelimo, piuttosto piccolo di statura ma agilissimo, si prese un'indiretta rivincita l'anno seguente a Stoccolma, conquistando con 27′07,91″ il primato mondiale della distanza. Ma cinque giorni dopo, a Oslo, un altro atleta keniota, Yobes Ondieki, seppe far meglio, superando la barriera dei 27 minuti con 26′58,38″ (primi 5000 m in 13′28,05″ e secondi in 13′30,33″). Ai Campionati Mondiali di Stoccarda, un mese dopo, i 5000 m videro l'acceso duello tra due africani che si erano già dati battaglia nelle maggiori rassegne juniores: il keniota Ismael Kirui e l'etiope Haile Gebrselassie, che avevano rispettivamente 18 e 20 anni. Vinse il primo, fratello minore di Chelimo, 13′02,75″ contro 13′03,17″. Sei giorni dopo, Gebrselassie vinse i 10.000 m in un'altra finale entusiasmante davanti al keniota Moses Tanui, 27′46,02 contro 27′46,54″, terzo l'ex primatista Chelimo con 28′06,02″, al sesto posto Panetta.
Gebrselassie, piccolo e leggero (1,64 m per 53 kg), ha lasciato un'impronta indelebile nel panorama del fondo nella fine del secolo 20°, mostrandosi capace di seguire qualsiasi 'treno' e di superare nello sprint finale qualsiasi avversario. Tra il 1994 e il 1998 migliorò quattro volte il mondiale dei 5000 m e tre volte quello dei 10.000 m (5000 m: 12′56,96″ nel 1994, 12′44,39″ nel 1995, 12′41,86″ nel 1997, 12′39,36″ nel 1998; 10.000 m: 26′43,53″ nel 1995, 26′31,32″ nel 1997, 26′22,75″ nel 1998). Centrò il primo dei suoi mondiali, 12′56,96″ nei 5000 m nel giugno 1994 a Hengelo, città olandese che in seguito doveva essere teatro di altri suoi primati. In Olanda, dove ha come manager Jos Hermens, ex detentore del record mondiale dell'ora, Gebrselassie è solito passare buona parte dell'anno. Nonostante la superiorità dimostrata con la conquista dei primati nei 5000 m e nei 10.000 m, in competizioni globali l'etiope non ha mai replicato il doppio successo ottenuto ai Giochi Olimpici di Mosca dal suo connazionale Yifter, le cui imprese da bambino lo avevano fatto innamorare dell'atletica. Infatti, dopo il Mondiale di Stoccarda, in competizioni di alto livello ha scelto sempre e solo i 10.000 m.
Nello stesso 1994, a Oslo, il keniota William Sigei, noto come specialista del cross country, conquistò il mondiale dei 10.000 m con 26′52,23″, tempo migliorato da Gebrselassie l'anno seguente, ancora a Hengelo, con 26′43,53″. Pochi giorni dopo a Roma il keniota Moses Kiptanui, specialista delle siepi, portò il mondiale dei 5000 m a 12′55,30″, dopo un'avvincente lotta con il suo connazionale Daniel Komen (12′56,15″). A Campionati Mondiali di Göteborg, Gebrselassie vinse i 10.000 m in 27′12,95″, superando allo sprint Skah (27′14,53″). Terzo arrivò il keniota Paul Tergat (27′14,70″), che doveva diventare in seguito la 'vittima' preferita del campione etiope. Il titolo dei 5000 m fu vinto da Kirui in 13′16,77″. Gebrselassie, che a Göteborg non corse i 5000 m, dimostrò di essere comunque il più forte anche su questa distanza a Zurigo, nel meeting più celebre del ciclo Grand Prix, dove si impose con facilità su Baumann e Kirui, riprendendosi il mondiale con 12′44,39″.
Ai Giochi Olimpici del 1996 ad Atlanta Gebrselassie, nonostante non gli si confacesse la durezza della pista, più adatta per le gare veloci che per il fondo, vinse i 10.000 m davanti a Tergat, 27′07,34″ contro 27′08,17″, terzo il marocchino Salah Hissou (27′24,67″). En plein africano anche nei 5000 m, con Vénuste Niyongabo (Burundi) primo in 13′07,96″ davanti al keniota Bitok e al marocchino Boulami. Dopo i Giochi Gebrselassie trovò come avversario un keniota molto promettente, Daniel Komen, che non aveva potuto partecipare alle Olimpiadi essendo giunto solo quarto ai Trials, ma che poco dopo, a Stoccolma, era stato capace di correre i 5000 m in 12′51,60″. Nei 5000 m della post-olimpica di Zurigo, Komen passò all'attacco nella fase finale della gara e vinse in 12′45,09″, mentre Gebrselassie arrivò secondo in 12′52,70″. L'ultimo atto del 1996 ebbe come protagonista Hissou, che a Bruxelles batté il mondiale di Gebrselassie nei 10.000 m correndo in 26′38,08″.
Il 1997 fu anno di grandi eventi su tutti i fronti. In luglio, Gebrselassie tornò in possesso del primato dei 10.000 m con 26′31,32″ a Oslo e superò di misura sulla stessa distanza Tergat, 27′24,58″ contro 27′25,62″, ai Mondiali di Atene, dove Komen vinse i 5000 m in 13′07,38″. Ad agosto, al meeting di Zurigo ‒ che vide cadere tre primati mondiali nel giro di 70 minuti ‒ Gebrselassie portò a 12′41,86″ il record dei 5000 m, battendo agevolmente Komen (12′44,90″) e Tergat (12′49,87″). Nove giorni dopo era a Bruxelles, dove riuscì a ritoccare il suo 'personale' dei 3000 m con 7′26,02″ ma dove gli toccò anche assistere, da spettatore, alla caduta dei suoi record mondiali nei 5000 m e nei 10.000 m, il primo per opera di Komen con 12′39,74″ (con frazioni al chilometro tutte comprese nello spazio di due secondi: 2′31″-2′33″), il secondo di Tergat, che corse in 26′27,85″.
Gebrselassie dedicò la stagione 1998 al recupero dei suoi record. Scelse la 'sua' Hengelo come luogo del primo tentativo sui 10.000 m. Aiutato fino ai 6000 m da 'lepri' di sua fiducia, concluse brillantemente, migliorando di oltre 5″ il record di Tergat e giungendo al tempo finale in 26′22,75″, dopo una prima metà in 13′11,7″ e una seconda in 13′11,1″. Non più di dodici giorni dopo, a Helsinki, si riprese anche il mondiale dei 5000 m con 12′39,36″, con un guadagno rispetto al record precedente di Komen davvero minimo, maturato nell'ultimo chilometro (2′31,21″ per Komen e 2′27,3″ per Gebrselassie, dopo che le frazioni precedenti erano state 2′34,8″, 2′31,6″, 2′32,9″, 2′32,8″).
Ai Campionati Mondiali di Siviglia del 1999 Gebrselassie vinse ancora una volta i 10.000 m, nonostante la temperatura di 33 °C non fosse certo ideale per i fondisti, battendo di misura il solito rivale Tergat, 27′57,27″ contro 27′58,56″, grazie soprattutto a un ultimo giro nel tempo di 54,37″. Per l'etiope era la quarta vittoria consecutiva in questa rassegna. Sui 5000 m prevalse Hissou in 12′58,13″ davanti al keniota Benjamin Limo e al belga di origine marocchina Mohamed Mourhit.
Nel 2000 a Sydney Gebrselassie, che all'inizio della stagione aveva avuto a che fare con un infortunio al tendine di Achille, conquistò il suo secondo titolo olimpico sui 10.000 m, seppure con un po' più di difficoltà del solito, battendo Tergat, 27′18,20″ contro 27′18,29″: il keniota, che con i suoi 1,82 m di altezza sovrastava l'etiope di ben 18 cm, era ancora in testa a 10 m dall'arrivo. Sui 5000 m vinse l'etiope Million Wolde in 13′35,49″.
Nel novembre del 2000 Haile Gebrselassie fu operato al tendine di Achille e la sua ripresa fu lenta. Ai Campionati Mondiali dell'anno seguente a Edmonton, in Canada, fu battuto nello sprint finale, che era stato per anni il suo tratto di gara tatticamente preferito. Sfidato da altri due africani, non poté far meglio di 14″ sugli ultimi 100 m dei 10.000 m. Vinse il keniota Charles Kamathi in 27′53,25″ davanti all'etiope Assefa Mezegebu (27′53,97″) con Gebrselassie terzo (27′54,41″). Nei 5000 m prevalse un nuovo talento keniota, Richard Limo, 13′00,77″.
Nel 2002 Tergat ha avuto finalmente ragione del suo eterno rivale Gebrselassie sia pure in un altro tipo di gara, la maratona: a Londra il keniota è finito davanti all'etiope (2h05′48″ contro 2h06′35″) ma entrambi sono stati superati da Khalid Khannouchi, un americano nato in Marocco, che nell'occasione ha ottenuto il tempo più veloce di sempre, 2h05′38″.
Definire schiacciante la superiorità dell'Africa nel fondo attuale non è esagerato. Dal 1992, anno della vittoria di Baumann ai Giochi Olimpici, nelle manifestazioni globali (Olimpiadi o Mondiali) delle 48 medaglie assegnate nel settore dei 5000 e 10.000 m 47 sono andate all'Africa e una sola all'Europa. Quest'ultima, il bronzo nei 5000 m ai Mondiali del 1999, è stata vinta da Mohammed Mourhit, un belga nato in Marocco, che attualmente detiene i primati europei dei 5000 m (12′49,71″ nel 2000) e dei 10.000 m (26′52,30″ nel 1999). In campo europeo la nazione più quotata è ora la Spagna, che ai Campionati Europei del 2002 a Monaco ha vinto i 5000 m con Alberto García e i 10.000 m con José Manuel Martínez.
Ai Campionati Mondiali del 2003 a Parigi, il marocchino Hicham El Guerrouj, da sette anni campione dei 1500 m, ha tentato una favolosa doppietta mancandola per un'inezia. Quattro giorni dopo aver vinto i 1500 m si è schierato alla partenza dei 5000, distanza che all'inizio della stagione, a Ostrava, aveva corso in 12′50,24″, battuto, tuttavia, dal keniota Stephen Cherono (12′48,81″). A Parigi El Guerrouj è stato superato nella fase conclusiva da un altro keniota, il giovanissimo Eliud Kipchoge. Come suo solito, Gebrselassie si è presentato solo nei 10.000 m alla rassegna mondiale del 2003, ma il suo connazionale, il giovane Kenenisa Bekele, è riuscito a batterlo in volata, 26′49,57″ contro 26′50,77″. Pochi giorni dopo, a Bruxelles, Gebrselassie ha tentato di rifarsi e di riguadagnare il record mondiale, ma è solo riuscito a mettere a segno un ottimo 26′29,22″.
In Italia, ormai tramontato il quartetto dei grandi ‒ Cova, Panetta, Mei, Antibo ‒ il fondo è tornato nell'ombra, o quasi. I primati nazionali di Antibo (13′05,59″ nel 1990 e 27′16,50″ nel 1989) al momento sembrano inavvicinabili. Agli Europei di Monaco, però, c'è stato un buon quarto posto di Stefano Baldini, ottimo maratoneta, nei 10.000 m.
Vi sono diverse teorie sulle origini della corsa con siepi in atletica, anche se è certo che il suo nome deriva dal mondo dell'ippica. Un aneddoto diffuso fra gli inglesi narra che alcuni studenti dell'Exeter College a Oxford in un pomeriggio del 1850 stavano discutendo animatamente di una corsa ippica con siepi e altri ostacoli alla quale avevano appena partecipato; uno di loro, Halifax Wyatt, che era stato disarcionato dal suo cavallo, disse: "Preferirei ripercorrere quelle due miglia a piedi piuttosto che cavalcare un'altra volta quel cammello!"; gli amici lo presero in parola e prima della fine dell'anno organizzarono una corsa con siepi (steeplechase race) a Binsey, presso Oxford, su un percorso di 2 miglia (3218,69 m) comprendente 24 ostacoli; Wyatt fu il vincitore.
Doveva passare un secolo prima che la gara dei 3000 m siepi venisse codificata dalla IAAF, ma già ai Giochi Olimpici del 1900 a Parigi vi furono in programma due gare del genere, una di 2500 m, vinta dal canadese George Orton, in 7′34″2/5, e una di 4000 m, vinta dall'inglese John Rimmer in 12′58″2/5. In ambedue le gare i concorrenti dovevano superare muretti di pietra, una siepe e altri ostacoli. Questa situazione, con continue varianti, si protrasse per un certo tempo. Si dovette aspettare fino ai Giochi di Anversa del 1920 prima che i 3000 m venissero adottati come distanza standard. Vinse, nel tempo di 10′00″2/5, l'inglese John Hodge, che nel passato era stato specialista di corse campestri. Dicono le cronache del tempo che era capace di superare gli ostacoli tenendo in mano un vassoio sul quale posava una bottiglia di birra, aperta, senza versarne una goccia. In quella gara olimpica arrivò terzo un italiano, Ernesto Ambrosini, che in precedenza aveva come uniche credenziali sulle siepi due corse di 1200 m ciascuna.
Negli anni Venti e Trenta la Finlandia esercitò un ruolo predominante anche nel settore delle siepi, fornendo i vincitori delle gare olimpiche: Ville Ritola (1924), Toivo Loukola (1928) e Volmari Iso-Hollo (1932 e 1936), tutti atleti che erano anche, se non soprattutto, dei buoni fondisti. Gli scandinavi avevano reso comunque omaggio ai pionieri inglesi, adottando i 3 piedi (91,4 cm) come altezza degli ostacoli; le barriere da superare erano 37. Il miglior tempo dell'anteguerra fu di Iso-Hollo: 9′03,8″ nel 1936. Poi fu la volta di uno svedese, Erik Elmsäter: 8′59,6″ nel 1944.
In Italia si dovette attendere fino agli anni Trenta per vedere gare su percorsi più o meno regolari. A parte il pioniere Ambrosini, di cui abbiamo già detto, merita di esser ricordato Giuseppe Lippi, settimo nella finale olimpica del 1932 a Los Angeles dove, per un errore dei giudici, si corse un giro più del dovuto.
Il primo duello di grande effetto fra siepisti fu quello che ai Giochi Olimpici del 1952 a Helsinki mise di fronte il russo Vladimir Kazantsev, allora detentore della miglior prestazione mondiale (8′48,6″ proprio all'inizio di quella stagione) e l'americano Horace Ashenfelter. Vinse quest'ultimo, battendo con l'avversario anche il suo record, 8′45,4″ contro 8′51,6″.
La codificazione della specialità a livello internazionale avvenne nel 1954, quando la miglior prestazione apparteneva al finlandese Olavi Rinteenpää con 8′44,4″ (1953). Fu stabilito allora che vi dovevano essere 28 salti di ostacoli e 7 salti di fossato. Per i primi fu confermata l'altezza di 91,4 cm. La fossa con l'acqua doveva essere lunga 12 piedi (3,66 m), compreso l'ostacolo, e altrettanto larga. Come installazione permanente, la fossa andava collocata all'interno del tracciato della pista. A causa di questa anomalia, il giro di pista dei 3000 siepi è diventato di 390 m.
Non vi furono ratifiche retroattive, per cui il primo mondiale omologato dalla IAAF fu il tempo di 8′49,6″ ottenuto dall'ungherese Sándor Rozsnyói ai Campionati Europei del 1954 a Berna. Negli anni immediatamente successivi parecchi atleti si alternarono come detentori del record, che nel 1960 fu portato a 8′31,4″ dal polacco Zdzislaw Krzyszkowiak. Fu questo atleta, ottimo anche sulle distanze piane, a vincere il titolo olimpico ai Giochi di Roma dello stesso anno. In quel periodo il primato italiano era di Gianfranco Baraldi con 9′06,6″ (1958).
Con il progredire dei tempi divenne sempre più necessario acquisire un buon livello di specializzazione nel superamento delle barriere, ma rimase naturalmente inalterato il presupposto che per avere successo bisognava disporre di un'ottima velocità sul piano. Impersonava bene questo doppio concetto il belga Gaston Roelants, vincitore ai Giochi Olimpici del 1964 e primatista mondiale con 8′26,4″ nel 1965.
L'altitudine di Città del Messico favorì, almeno in parte, la prima 'esplosione' degli africani. Ai Giochi Olimpici del 1968 finirono ai primi due posti due kenioti, Amos Biwott e Benjamin Kogo, con i tempi rispettivamente di 8′51,02″ e 8′51,56″, aggravati dal fattore altitudine. La riprova che il Kenya era ormai molto forte si ebbe nella successiva edizione dei Giochi a Monaco, dove la vittoria toccò al suo più fine mezzofondista, Kipchoge Keino, che vinse in 8′23,64″, davanti a Ben Jipcho (8′24,62″).
L'Europa passò al contrattacco con uno svedese, Anders Gärderud, che aveva 26 anni quando migliorò per la prima volta il mondiale (8′20,8″ nel 1972) e 30 quando corse la gara della sua vita ai Giochi Olimpici di Montreal, facendo registrare un nuovo mondiale di 8′08,02″. Dietro di lui il polacco Bronislaw Malinowski (8′09,11″), che vinse quattro anni dopo a Mosca con 8′09,70″. In questa gara il tanzaniano Filbert Bayi cercò di battere tutti seguendo la tattica sperimentata con successo alcuni anni prima nel settore 1500 m/miglio: ai 2000 m aveva 5,3″ di vantaggio su Malinowski, ma venne meno nella fase conclusiva, soprattutto sull'ultimo ostacolo ‒ quello che gli inglesi chiamano heartbreak hill ("la collina che rompe il cuore") ‒ e finì secondo in 8′12,48″.
Il Kenya, assente a Mosca, aveva comunque la più ricca fucina di talenti e nel 1978 Rono trovò il tempo di occuparsi anche delle siepi portando il mondiale a 8′05,4″. Nel frattempo anche l'Italia si era messa in evidenza con tre specialisti di buon livello mondiale. Fava aveva migliorato a più riprese il record italiano, per l'ultima volta ai Campionati Europei del 1974 a Roma, dove finì quarto in 8′18,85″, nella scia di Malinowski (8′05,04″), di Gärderud e del tedesco Michael Karst. Nell'anno olimpico 1980 il migliore degli italiani era Mariano Scartezzini, che come rappresentante di un club dell'esercito non poté partecipare ai Giochi di Mosca, boicottati dal governo italiano ma non dal CONI. Vi andò Giuseppe Gerbi, che arrivò sesto in 8′18,47″, nuovo primato italiano. Scartezzini fece ottimi risultati nelle riunioni post-olimpiche: secondo a Roma in 8′12,5″ dietro il keniota Kiprotich Rono (8′12″), anche lui assente a Mosca. Tre giorni dopo, a Londra, Scartezzini riuscì a battere anche il fresco campione olimpico, Malinowski, 8′16,26″ contro 8′18,33″.
A partire dagli anni Ottanta il Kenya ha dominato la scena delle siepi: ai Giochi Olimpici ha vinto 10 delle 15 medaglie in palio; ai Campionati Mondiali 12 su 24. Gli ultimi due successi europei risalgono agli anni Ottanta. All'edizione inaugurale dei Campionati Mondiali, svoltasi a Helsinki nel 1983, vinse il tedesco Patriz Ilg in 8′15,06″, e alla seconda, a Roma nel 1987, fu la volta di Panetta, che a conclusione di una coraggiosa 'gara d'attacco' vinse in 8′08,57″, un tempo che rappresenta tuttora il primato italiano. Sebbene compagno di club del 'finisseur' Alberto Cova, questo calabrese trapiantato a Milano era tutt'altro tipo di atleta e privilegiava sempre e comunque la tattica offensiva. Tra la prima e la seconda edizione dei Campionati Mondiali c'era stata la gara olimpica del 1984 a Los Angeles, vinta dal keniota Julius Korir in 8′11,80″.
Il mondiale di Rono (8′05,4″ nel 1978) resistette a ogni assalto per oltre un decennio. E quando Peter Koech corse in 8′05,35″, nel 1989 a Stoccolma, il miglioramento fu davvero infinitesimale. Nel 1992, a Zurigo, il record fu portato a 8′02,08″ dal più forte dei siepisti kenioti, Kiptanui, che tre giorni prima aveva fatto suo quello dei 3000 m piani con 7′28,96″. Sempre sulla pista zurighese del Letzigrund, nel 1995, Kiptanui superò per primo sulle siepi la barriera degli 8′ con 7′59,18″ (con frazioni al chilometro di 2′41,25″, 2′40,95″ e 2′36,98″). Prima della corsa aveva pregato gli organizzatori di non procurargli 'lepri': così fece tutto da sé, mantenendosi in testa dal principio alla fine. Il suo successo ebbe anche ricompense tangibili: 50.000 dollari e un lingotto d'oro del peso di un chilo. Due giorni dopo, Kiptanui era a Colonia, dove ridusse a 7′28,04″ il suo 'personale' per i 3000 m piani. L'atleta keniota vinse per tre volte consecutive il titolo di campione del mondo dei 3000 m siepi (1991, 1993 e 1995), ma dovette accontentarsi di un secondo posto ai Giochi Olimpici, nel 1996 ad Atlanta: a precederlo nell'occasione fu il connazionale Joseph Keter, 8′07,12″ contro 8′08,33″.
Nel 1997 altri due kenioti succedettero a Kiptanui come primatisti mondiali: a Zurigo Wilson Boit-Kipketer corse in 7′59,08″, precedendo Bernard Barmasai (8′00,35″), anche lui keniota, e lo stesso Kiptanui (8′00,78″); pochi giorni dopo, a Colonia, fu il turno di Barmasai con 7′55,72″, a conclusione di un serrato duello con Kiptanui, che con 7′56,16″ ottenne quello che doveva rimanere il miglior tempo della sua carriera. La 'riserva' potenziale di atleti del Kenya era così vasta che a ogni grande manifestazione, o quasi, potevano avvicendarsi sempre nuovi protagonisti e così ai Giochi Olimpici vinsero Julius Kariuki nel 1988, Matthew Birir nel 1992, il già ricordato Keter nel 1996 e Reuben Kosgei nel 2000.
Nei primi due anni del nuovo millennio i kenioti hanno trovato un serio avversario nel marocchino Brahim Boulami il quale non è apparso particolarmente brillante nelle grandi manifestazioni agonistiche (due volte settimo ai Giochi Olimpici, nel 1996 e nel 2000, e due volte decimo ai Campionati Mondiali, nel 1999 e nel 2001) ma ha saputo distinguersi nella caccia al record. Nel 2001 a Bruxelles ha rotto il monopolio del Kenya, che durava da un quarto di secolo, succedendo come primatista mondiale a Barmasai con 7′55,28″. In questa corsa ha preceduto Reuben Kosgei (7′57,29″), che al titolo olimpico vinto nel 2000 aveva aggiunto quello mondiale nel 2001 a Edmonton (8′15,16″). Il nuovo primatista, atleta alto ma piuttosto esile (1,80 m per 64 kg), è fratello minore di Khalid Boulami, che era stato uno dei migliori fondisti del mondo nella seconda metà degli anni Novanta.
Nel 2002 Brahim a Zurigo è sceso di più di due secondi rispetto al suo record dell'anno precedente, correndo in 7′53,17″ (secondo a distanza, in 8′05,14″, è arrivato un keniota di venti anni, Stephen Cherono), ma essendo risultato positivo a un test antidoping (eritropoietina) la IAAF lo ha sospeso dall'attività e non ha proceduto all'omologazione del suo tempo.
Il giovane Cherono è stato il grande protagonista del 2003 per due diverse ragioni. Dapprima ha fatto notizia cambiando nazionalità quasi alla vigilia dei Mondiali di Parigi: in base a un accordo di natura strettamente economica, che ha trovato il Kenya, suo paese d'origine, d'accordo, Cherono ha preso la cittadinanza del Qatar. Quindi ha vinto a Parigi il titolo mondiale dei 3000 m siepi per il suo nuovo paese di appartenenza e sotto un nuovo nome, Saif Saaeed Shaheen. Com'era prevedibile, ha vinto proprio davanti a un keniota, Ezekiel Kemboi, 8′04,39″ contro 8′05,11″. Poco dopo, nella finale del Grand Prix a Monaco, Shaheen ha corso la distanza in 7′57,38″, prevalendo di misura su un altro keniota, Paul Koech, 7′57,42″.
Negli ultimi decenni del secolo 20° l'Italia ha avuto buoni siepisti. Panetta è stato il più grande: un anno prima della già ricordata vittoria ai Campionati Mondiali di Roma nel 1986, aveva conquistato un secondo posto agli Europei di Stoccarda, perdendo di stretta misura con il tedesco Hagen Melzer, 8′16,85″ contro 8′16,65″, e nella successiva rassegna europea, nel 1990 a Spalato, era riuscito a fregiarsi anche di quel titolo con 8′12,66″. Terzo in questa corsa arrivò un altro italiano, Alessandro Lambruschini, che in seguito per parecchi anni fu il principale sfidante dei kenioti. In due occasioni riuscì a battere uno dei tre rappresentanti di quel paese, salendo così sul podio: ai Campionati Mondiali del 1993 a Stoccarda giunse terzo dietro Kiptanui e Patrick Sang in 8′08,78″, suo primato personale, e ai Giochi Olimpici del 1996 ad Atlanta, fu ugualmente terzo (8′11,28″) dietro Keter e Kiptanui. Nelle precedenti edizioni dei Giochi (1988 e 1992) era arrivato due volte quarto. Ai Campionati Europei l'atleta toscano salì tre volte sul podio: terzo nel 1990 nella gara vinta da Panetta, primo nel 1994 a Helsinki in 8′28,68″ e secondo nel 1998 a Budapest dietro il tedesco Damian Kallabis. Nella gara di Helsinki arrivò secondo un altro italiano, Angelo Carosi.
All'inizio del Duemila l'Italia sembra avere difficoltà nel trovare degni emuli di Panetta e Lambruschini. La stessa Europa, del resto, insegue da lontano i migliori africani. Nel 2002 l'olandese Simon Vroemen ha portato a 8′06,91″ il primato europeo in una gara vinta da Boulami in 7′58,09.
Nell'era moderna i primi isolati tentativi di un'atleta donna su distanze superiori ai 1500 m risalgono agli anni Venti. La romena Ana Cicanei corse i 3000 m in 14′44″2/5 nel 1927. Si dovette peraltro attendere ancora del tempo prima di registrare un risultato significativo su quelle che oggi consideriamo le lunghe distanze. Il primo mondiale ufficioso sui 5000 m, 16′17,4″, fu ottenuto da Paola Pigni a Formia nel 1969, a conclusione di un vittorioso confronto con l'irlandese Ann O'Brien. Sempre nello stesso anno Pigni corse in 15′53,6″. Gli stessi nomi si ritrovano anche nei 10.000 m: 38′06,4″ di O'Brien nel 1967 e 35′30,5″ di Pigni nel 1970.
Il primo mondiale dei 3000 m ufficialmente riconosciuto dalla IAAF fu il tempo di 8′52,8″ ottenuto dalla russa Lyudmila Bragina nel match USA-URSS del 1974 a Durham; due anni dopo la stessa atleta lo fece scendere a 8′27,12″. Il primo titolo importante in una gara su questa distanza fu assegnato nel 1974 ai Campionati Europei di Roma alla finlandese Nina Holmén che vinse in 8′55,2″, davanti a Bragina (8′56,2″). Nei 'Mondiali' promossi dalla IAAF nel 1980 a Sittard, Olanda, che costituirono una sorta di prova generale dell'edizione inaugurale dei Campionati Mondiali (1983) e ai quali mancarono peraltro alcune delle migliori fondiste dell'epoca, la tedesca Birgit Friedmann vinse i 3000 m in 8′48,05″ e la britannica Kath Binns i 10.000 m in 32′57,17″.
Nel 1981 ci furono i primi record mondiali ufficialmente riconosciuti per i 5000 m e i 10.000 m, rispettivamente 15′14,51″ della britannica Paula Fudge e 32′17,20″ della russa Yelena Sipatova. Negli anni seguenti questi tempi furono migliorati a più riprese da diverse specialiste, sull'onda di un accresciuto interesse. L'americana Mary Decker, che aveva cominciato giovanissima negli 800 m, nel 1982 a Eugene, nell'Oregon, corse i 5000 m in 15′08,26″ e i 10.000 in 31′35,3″. Sempre Decker vinse il primo titolo dei 3000 m ai Campionati Mondiali del 1983 a Helsinki, battendo in 8′34,62″ la tedesca Brigitte Kraus e la russa Tatyana Kazankina. Quattro giorni dopo l'americana vinse anche i 1500 m in 4′00,90″. Fu sfortunata invece la sua partecipazione ai Giochi Olimpici di Los Angeles, dove cadde in una fase cruciale dei 3000 m lasciando la vittoria alla romena Maricica Puica in 8′35,96″. Nel 1984 il primato dei 3000 m fu portato dalla russa Kazankina, mezzofondista pura, a 8′22,62″.
In sede internazionale i 3000 m continuarono a essere preferiti ai 5000 m fino alla metà degli anni Novanta (continuano peraltro a preferirli gli organizzatori di meeting, in quanto per la loro brevità rispondono meglio alle esigenze televisive). Ai Campionati Mondiali i 10.000 m apparvero per la prima volta a Roma nel 1987 e il titolo andò, in 31′05,85″, a Ingrid Kristiansen, una norvegese di Trondheim che fin dalla prima gioventù aveva praticato congiuntamente sci di fondo e atletica, riuscendo a ottenere ottimi risultati su un larghissimo raggio di distanze, dagli 800 m alla maratona. Orientata psicologicamente verso la 'sfida al tempo', ebbe risultati eccellenti soprattutto nella ricerca dei primati. Nei 5000 m fu la prima donna a scendere sotto il quarto d'ora: realizzò il tempo di 14′58,89″ nel 1984 e di 14′37,33″ nel 1986. Ancora maggiore fu il suo impatto sui 10.000 m, da 30′59,42″ nel 1985 fino a 30′13,74″ l'anno seguente. Se Kristiansen preferiva gli 'assolo' in funzione del record, la russa Tatyana Samolenko-Dorovskikh (nata Khamitova) operava di preferenza sull'asse 1500-3000 m e ai Campionati Mondiali del 1987 a Roma seppe vincere su ambedue le distanze, con il tempo di 8′38,73″ sulla maggiore. Ritentò la doppietta ai Giochi Olimpici del 1988 e ai Campionati Mondiali del 1991, riuscendo sempre a vincere i 3000 m e ottenendo il suo miglior tempo, 8′26,53″, nel 1988 a Seul.
I Giochi del 1992 a Barcellona, ai quali finita l'apartheid fu riammesso il Sudafrica, videro nei 10.000 m un duello tutto africano tra l'etiope Derartu Tulu e la sudafricana Elana Meyer, che finirono rispettivamente in 31′06,02″ e 31′11,75″.
I record mondiali di Kazankina nei 3000 m e di Kristiansen nei 5000 e 10.000 m resistettero fino al 1993, quando nel fondo si verificò quell''esplosione' della Cina di cui si è già parlato per il mezzofondo e che anzi sulle lunghe distanze ebbe rilevanza ancora maggiore per il sorprendente numero di atlete coinvolte. Nel 1992, per la verità, vi era stato un preavviso di non piccola entità. Ai Campionati Mondiali juniores di quell'anno, svoltisi a Seul, le atlete cinesi avevano dominato il campo sulle distanze comprese fra gli 800 e i 10.000 m. In particolare aveva fatto impressione la diciannovenne Wang Junxia, vincitrice dei 10.000 m in 32′29,90″. Il primo messaggio del 1993 dalla Cina giunse in aprile, quando in una maratona a Tianjin la stessa atleta vinse in 2h24′07″ davanti a Qu Yunxia (2h24′32″), Zhang Linli (2h24′42″), Zhang Lirong (2h24′52″) e la più nota Zhong Huandi (2h25′36″): tempi di gran rilievo, che indussero alcuni a mettere in dubbio la regolarità del percorso. Poco dopo, ai campionati cinesi, Wang Junxia realizzò una doppietta, con 31′08,42″ nei 10.000 m e 8′27,68″ nei 3000 m (seconda Qu Yunxia in 8′29,30″). Vi era quindi grande attesa per quanto avrebbero saputo fare le cinesi ai Campionati Mondiali di Stoccarda in agosto. Il loro allenatore, Ma Junren, giocò con cautela le sue carte, sapendo di avere a che fare con atlete nuove rispetto a prove internazionali del genere. Le atlete si limitarono ognuna a una sola specialità. Cinque di esse coprirono il fronte 3000-10.000 m e portarono a casa due medaglie d'oro, due d'argento e una di bronzo. Le vincitrici delle finali, Qu Yunxia nei 3000 m con 8′28,71″ e Wang Junxia nei 10.000 con 30′49,30″, seguirono la tattica dell'accelerazione progressiva, distaccando nettamente le più quotate atlete europee e africane. La riprova che le ragazze cinesi avessero un potenziale cronometrico ancor più rilevante venne presto e superò ogni aspettativa. Ai Giochi nazionali cinesi, che si tennero a Pechino in settembre, Wang Junxia corse i 10.000 m in 29′31,78″, scendendo di quasi 42″ sotto il record mondiale: coprì i primi 5000 m in 15′05,8″ e i secondi in uno straordinario 14′26″, nettamente migliore del mondiale della stessa Kristiansen su tale distanza. Le fece da 'lepre' Zhong Huandi, che giunse seconda in 30′13,37″, superando anche lei, sia pure di misura, il record della Kristiansen. Nei 3000 m vi furono risultati ancora più sorprendenti: fra batterie e finale, in giornate consecutive, il mondiale di Kazankina fu superato dieci volte da cinque atlete diverse. Nella prova decisiva fu ancora Wang Junxia a prevalere, vincendo nettamente davanti a Qu Yunxia, 8′06,11″ contro 8′12,18″ e superando quindi di oltre 16″ il limite di Kazankina. Questa abbondanza di tempi eccezionali fu accolta in Europa con un certo scetticismo, pur dopo le chiare vittorie delle cinesi a Stoccarda. Stupì soprattutto la loro capacità di sottostare a fatiche così intense nello spazio di pochi giorni. Alla ricerca di segreti più o meno plausibili si parlò di minestre a base di sangue di tartaruga che avrebbero potuto agevolare la resistenza agli sforzi ripetuti e di qualche integratore a base di erbe ereditato dalla storia millenaria della medicina cinese. Dopo l'exploit del 1993, nei tre anni che seguirono il fondo cinese rimase, per così dire, latitante. Si ebbe notizia che alcune delle allieve di Ma Junren, fra le quali anche Wang Junxia, avevano avuto con lui seri dissensi, fino a staccarsi dal suo gruppo. Solo ai Giochi Olimpici del 1996 ad Atlanta si rivide Wang Junxia, che vinse i 5000 m in 14′59,88″ e arrivò seconda nei 10.000 m in 31′02,58″, dietro alla portoghese Fernanda Ribeiro (31′01,63″).
Nel frattempo, ai Campionati Mondiali di Göteborg del 1995 i 5000 m avevano sostituito per la prima volta i 3000 m in una manifestazione globale; il titolo era stato conquistato dall'irlandese Sonia O'Sullivan in 14′46,47″. Nello stesso anno la portoghese Ribeiro succedette a Kristiansen come primatista mondiale dei 5000 m con 14′36,45″.
Un nuovo 'sisma' cinese, di minore intensità del precedente, si verificò nel 1997. Ai Giochi nazionali, svoltisi a Shanghai, due nuove allieve di Ma Junren superarono il mondiale di Ribeiro nei 5000 m: Dong Yanmei corse in 14′31,27″ nella sua batteria, battendo Jiang Bo (14′31,30″), ma due giorni dopo, in finale, le posizioni si invertirono con Jiang Bo prima in 14′28,09″ e Dong Yanmei seconda in 14′29,82″. Le due ragazze avevano solo 20 anni e non avevano preso parte ai Campionati Mondiali di Atene. Parteciparono invece ai Goodwill Games del 1998, a Uniondale nello Stato di New York, ma le loro prove furono deludenti: Dong Yanmei arrivò quarta in 16′00,56″ nei 5000 m, vinti dalla russa Olga Yegorova (15′53,05″) e terza in 32′59,85″ nei 10.000 m, vinti dalla keniota Tegla Loroupe (32′15,44″). Non fece meglio Jiang Bo, nona in ambedue le corse, con i tempi di 16′17,32″ e 35′43,13″.
Nelle due ultime manifestazioni globali del secolo 20°, i Campionati Mondiali del 1999 a Siviglia e i Giochi Olimpici del 2000 a Sydney, le cinesi brillarono per la loro assenza. Le vincitrici provenivano dall'Europa e dall'Africa: la romena Gabriela Szábo (primatista europea con 14′31,48″) fu prima in ambedue le occasioni nei 5000 m, mentre il titolo dei 10.000 m andò a Siviglia all'etiope Gete Wami e a Sydney alla sua connazionale Derartu Tulu.
Ai Campionati Mondiali del 2001 di Edmonton, la figura preminente, anche se controversa, fu quella della russa Olga Yegorova, scoperta quando aveva già 24 anni ed era madre di una bambina. Poche settimane prima della rassegna canadese era risultata positiva per l'eritropoietina in un esame antidoping a Parigi ed era stata prima sospesa e poi riammessa alle gare dalla IAAF, che aveva giudicato 'non soddisfacente' la procedura seguita nel test. Yegorova poté quindi gareggiare a Edmonton e, pur accolta sfavorevolmente da una parte del pubblico canadese, si rese giustizia da sola, vincendo i 5000 m in 15′03,39″, battendo anche la cinese Dong Yanmei, arrivata quarta. In una successiva gara, a Berlino, Yegorova si avvicinò al mondiale dell'altra cinese, Jiang Bo, con 14′29,32″. A Edmonton il titolo dei 10.000 m era andato all'etiope Tulu con 31′48,81″.
L'indiscutibile 'numero uno' del 2002 è stata invece l'inglese Paula Radcliffe. Di taglia leggera (1,73 m per 54 kg), dopo essere stata per parecchi anni un'eccellente fondista, con buoni piazzamenti in gare importanti (per es., seconda nei 10.000 m ai Campionati Mondiali di Siviglia), nel 2002 è passata alla maratona, ottenendo subito risultati di grande risonanza: 2h18′56″ e 2h17′18,″ primato mondiale. Contemporaneamente ha migliorato i suoi tempi anche su pista: 14′31,42″ nei 5000 m e 30′01,09″ nei 10.000 m. Quest'ultimo risultato, che le è valso il titolo ai Campionati Europei di Monaco, rappresenta la seconda miglior prestazione di sempre, per di più ottenuta correndo sotto la pioggia. L'atleta britannica ha aperto la stagione 2003 con un'altra prestazione di gran rilievo, vincendo la maratona di Londra nel tempo record di 2h15′25″. Poi però un infortunio l'ha tenuta lontana dalle gare estive.
L'Etiopia ha trionfato su tutta la linea ai Campionati Mondiali del 2003 a Parigi, vincendo sulle distanze del fondo tre delle sei medaglie in palio, comprese ambedue quelle d'oro, con Tirunesh Dibaba nei 5000 m (14′51,72″) e con Berhana Adere nei 10.000 m (30′04,18″). In quest'ultima corsa altre due atlete sono scese sotto i 30′10″: Werknesh Kidane (Etiopia) con 30′07,15″ e Yingje Sun (Cina) con 30′07,20″.
La miglior fondista italiana degli ultimi anni è stata la valdostana Roberta Brunet, una guardia forestale con chiare doti agonistiche, che è salita due volte sul podio in manifestazioni globali, sempre nei 5000 m: terza ai Giochi Olimpici del 1996 e seconda ai Campionati Mondiali del 1997. Sono suoi i primati nazionali dei 3000 m (8′35,65″ nel 1997) e dei 5000 m (14′44,50″ nel 1996). Nei 10.000 m si sono messe in luce, pur essendo specialiste nella maratona, la piemontese Maura Viceconte, primatista nazionale con 31′05,57″ (2000), e la campana Maria Guida, quarta ai Campionati Mondiali del 1995.
Nei tempi più recenti il programma dell'atletica femminile si è andato equiparando sempre più a quello maschile. A parte certe differenze d'altronde prossime a scomparire (per es., l'eptathlon anziché il decathlon nel settore prove multiple), per realizzare una sostanziale eguaglianza mancava una sola specialità, i 3000 m siepi. La lacuna è stata colmata sul finire degli anni Novanta. Nel regolamento la gara femminile ricalca per intero quella maschile, con l'unica differenza che gli ostacoli, anziché 91,4 cm, sono alti 76,2 cm (equivalenti a 2 piedi e 6 pollici).
Finora i 3000 m siepi femminili non hanno fatto parte del programma dei campionati olimpici o mondiali, ma sono già comparsi in competizioni a livello internazionale (Goodwill Games, Giochi del Mediterraneo e Coppa Europa). Il primato mondiale, migliorato a più riprese, appartiene alla russa Gulnara Samitova, che nel 2003 ha corso in 9′08,33″ ai Campionati della sua nazione a Tula, mentre quello italiano appartiene a Michalska Marzena, che sempre nel 2003 ha ottenuto ad Ancona il tempo di 10′07,59″.
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