Atletica - Le specialità: il mezzofondo
Non esistono confini precisi per la delimitazione del mezzofondo (in inglese middle distance running), ma nel concetto moderno lo si colloca di solito fra gli 800 e i 3000 m. Contrariamente a quel che accade nelle gare brevi (dai 100 ai 400 m), dove si procede al massimo o quasi dal principio alla fine, nel mezzofondo la velocità di base, pur rimanendo ovviamente un requisito fondamentale, non basta da sola ad assicurare il successo, ma deve essere accompagnata dall'acume tattico, cioè dalla conoscenza del passo di corsa. Nei primi tempi dell'atletica moderna il concetto veniva espresso in termini antitetici, velocità contro resistenza (speed vs. endurance), oggi si parla più propriamente di resistenza alla velocità (endurance to speed). Tutto è in relazione al fatto che la corsa è condizionata dal ricambio di ossigeno, cioè dal rapporto tra fabbisogno aerobico (corsa con ossigeno) e anaerobico (corsa senza ossigeno), il quale varia a seconda della distanza da percorrere. Ken Doherty, allenatore e docente americano, è riuscito a stabilire le esatte percentuali di fabbisogno aerobico e di fabbisogno anaerobico nei 400 m e nel mezzofondo.
Già i 400 m sono situati al di là della soglia oltre la quale l'atleta incorre nel cosiddetto 'debito di ossigeno', tanto che ai tempi dei pionieri il quarto di miglio (402,34 m) veniva definito waiting race ("corsa d'attesa"). Oggi si è progredito al punto che il primato mondiale della distanza in metri, 43,18″ dell'americano Michael Johnson nel 1999, corrisponde a quattro frazioni di 100 m in 10,795″ ciascuna. Sembra quindi logico etichettarlo come 'velocità prolungata'.
Nelle Olimpiadi e nei Campionati Mondiali le distanze del mezzofondo sono gli 800 m e i 1500 m, che sono nati come adattamenti metrici del mezzo miglio e del miglio. I 3000 m non figurano nel programma di queste manifestazioni, anche se ora vengono praticati con frequenza nei meeting del Grand Prix.
Per la prima volta si scese sotto la soglia dei 2 minuti sulle 880 yards nel 1873, quando il dilettante inglese Arthur Pelham corse la distanza in 1′59,75″. Ma il primo grande half-miler fu l'americano Lon Myers, che era capace di competere con i migliori del suo tempo su una vasta gamma di distanze, praticamente dalle 100 yards al miglio. Di fisico alquanto esile, Myers esprimeva il meglio della sua arte sull'asse 440-880 yards, un abbinamento assai comune all'epoca. Qui i suoi migliori tempi furono 48″4/5 (1881) e 1′55″2/5 (1884). Alla fine del secolo il miglior tempo sulle 880 yards era quello realizzato nel 1895 dall'americano Charles Kilpatrick: 1′53″2/5 (con frazioni di 440 yards in 54″1/5 e 59″1/5).
Sul miglio il primo a scendere sotto i 4′30″ fu l'inglese Walter Chinnery con 4′29″3/5 nel 1868. Il più grande miler del 19° secolo fu però Walter George, un farmacista inglese, che corse il miglio in 4′18″2/5 da dilettante (1884) e in 4′12″3/4 dopo esser passato al professionismo (1886; con frazioni di 440 yards in 58″1/4, 63″1/2, 66″ e 65″). I suoi duelli con Myers, prima da dilettanti e poi da professionisti, furono tra le sfide più appassionanti dell'epoca. Alla fine del ciclo l'americano si trovò in vantaggio per 6 vittorie a 3. Le loro performance cronometriche devono esser viste nell'ottica dell'epoca, quando a detta dell'inglese Montague Shearman, primo storico di questo sport, la 'razione' di allenamento di un miler non superava di molto i 6 km di corsa nell'arco di sei giorni, a velocità oscillante 'fra il lento e il veloce', ai quali nel settimo giorno seguiva una passeggiata di 10-15 km a 'vivace andatura'. Di calibro ben più modesto furono le prestazioni di fine secolo degli europei continentali sulle distanze metriche. In Italia si registrarono i 2′40″ sul chilometro di Francesco Stobbione e i 4′36″2/5 sul miglio di Mario Nicola, entrambi nel 1900.
Nel primo ventennio del Novecento non furono pochi i mezzofondisti di vero talento. L'americano Mel Sheppard vinse la doppietta 800-1500 m ai Giochi Olimpici del 1908 a Londra. In quel momento anche l'Europa continentale aveva i suoi assi, tra i quali un italiano, Emilio Lunghi, che finì secondo dietro Sheppard negli 800 m alle Olimpiadi di Londra e mancò la finale dei 1500 m, pur avendo ottenuto in batteria il secondo miglior tempo (4′3″4/5) di quel turno. All'epoca accedevano alla finale solo i vincitori delle singole batterie e qualcuno ce la fece con tempi di 4′12″ e 4′13″. Un anno dopo Lunghi andò in America, dove poté usufruire dei consigli di un celebre allenatore, Lawson Robertson. Ai campionati canadesi del 1909 a Montreal, l'atleta genovese batté con 1′52″4/5 il primato mondiale delle 880 yards. Lunghi continuò a gareggiare per diversi anni, senza tuttavia assurgere più ai livelli del biennio 1908-1909. In campo nazionale non aveva interlocutori adeguati e le opportunità di correre all'estero erano in quegli anni assai ridotte. D'altronde la sua preparazione non era gran cosa: qualche breve sprint nelle stradette del villaggio, salti alla corda e salite di scale. Rimase quindi un talento parzialmente inespresso e fuori del tempo.
Sheppard fu tra i protagonisti anche ai Giochi Olimpici del 1912 a Stoccolma. In una grande finale degli 800 m, dopo aver condotto la corsa a un ritmo folle per l'epoca (400 m in 52,4″), sul finire fu battuto a tempo di record da un suo connazionale di 20 anni, Ted Meredith, 1′52″ contro 1′51,9″. Meredith raggiunse l'apice del suo talento nel 1916, quando nel giro di quindici giorni seppe conquistare due primati mondiali, prima sulle 880 yards (1′52″1/5) e poi sulle 440 (47″2/5). Non può quindi sorprendere che, a carriera finita, in un libretto sull'atletica del suo tempo, Meredith trovasse naturale accomunare le due distanze sotto l'etichetta 'middle distances'.
Il record del miglio messo a segno dall'inglese George da professionista (4′12″3/4 nel 1886) eluse la caccia dei dilettanti per quasi un trentennio, finché l'americano Norman Taber non fece leggermente meglio nel 1915 con 4′12″3/5, sia pure dopo un'astrusa ripartizione dello sforzo ('quarti' in 58″, 67″, 68″, 59″3/5). Durante il Primo conflitto mondiale, che causò ovviamente una drastica riduzione dell'attività in molti paesi, la neutrale Svezia mise in luce John Zander, che nel 1917 fissò a 3′54,7″ il primato mondiale dei 1500 m. Già allora l'abbinamento 800-1500 m era più comune di quello fra 400 e 800 m. Ai primi Giochi Olimpici dell'era postbellica (Anversa 1920), l'inglese Albert Hill vinse prima gli 800 m in 1′53″2/5 e poi i 1500 m in 4′1″4/5. Sulla distanza maggiore arrivò secondo un altro inglese, Philip Noel-Baker, che molti anni dopo, nel 1959, a conclusione di una carriera politica di grande impegno, vinse il premio Nobel per la pace.
Gli 800 m. Nell'arco di tre Olimpiadi, dal 1924 al 1932, gli 800 m videro il predominio britannico, nelle persone di Douglas Lowe e Thomas Hampson. Il primo, studente in legge a Cambridge, eccelleva dai 400 ai 1500 m e, facendo leva sulla sua velocità terminale, riuscì a emergere vittorioso in due finali olimpiche degli 800 m nel 1924 a Parigi e nel 1928 ad Amsterdam. Subì la più seria débâcle della sua carriera il giorno in cui decise di cambiar tattica, facendo 'il treno' fin dalla prima metà della corsa: fu in una gara delle 880 yards ai campionati inglesi del 1926, nella quale ebbe come principale avversario il tedesco Otto Peltzer; l'inglese passò in 54″3/5 al 'quarto', ma nel finale dovette arrendersi al ritorno di Peltzer, che vinse per un paio di metri o poco più in 1′51″3/5, nuovo primato mondiale. Erano due tipi antitetici che ebbero anche un diverso destino: Lowe, uomo di grande equilibrio già avviato verso una carriera di avvocato, seppe giocare le carte giuste nelle occasioni più importanti, laddove Peltzer, talento eccentrico nonché uomo colto dotato di uno spirito liberale, ebbe una sola stagione di gran rilievo, appunto nel 1926, quando conquistò anche il primato mondiale dei 1500 m con 3′51″. Spesso in contrasto con le autorità sportive del suo paese, der seltsame Otto ("lo strano Otto") conobbe prevedibilmente i suoi giorni più oscuri dopo l'avvento di Adolf Hitler al potere. Finì nel campo di concentramento di Mauthausen e fu liberato dalle truppe americane nel 1945.
Hampson, studente di Oxford e futuro insegnante, fu il degno erede di Lowe. Nella finale olimpica degli 800 m a Los Angeles (1932) ottenne il primo tempo inferiore a 1′50″. In una gara assai saggia, coprì i primi 400 m in 54,8″ e i secondi in 54,9″ per un tempo finale di 1′49,7″ (arrotondato in 1′49,8″ secondo la regola dell'epoca, che per le distanze medie e lunghe prescriveva il cronometraggio al quinto di secondo), dopo aver superato il canadese Phil Edwards, che da 'incauta lepre' era passato ai 400 m in 52,3″. Un altro canadese, Alex Wilson, fu secondo in 1′49,9″ e tre giorni dopo ottenne anche un terzo posto nei 400 m con 47,4″.
Negli anni Trenta gli americani tornarono a imporsi sugli 800 m grazie ad atleti come Ben Eastman, Elroy Robinson, Glenn Cunningham e John Woodruff. I primi tre si alternarono nel sottrarre preziosi decimi di secondo dal primato della distanza, ma forse fu Woodruff il più grande talento del gruppo. Dotato di una taglia 'super' (1,89 m per 75 kg), fu fra i primi uomini di colore a emergere ai più alti livelli nelle gare di mezzofondo. Ebbe il suo momento di gloria nel 1936 a Berlino, quando vinse il titolo olimpico davanti a un italiano, Mario Lanzi (1′52,9″ contro 1′53,3″). Eccelleva sull'asse 400-800 m, ma ebbe la sfortuna di veder vanificato il suo miglior tempo sui due giri, 1′47,8″ nel 1937, da un'erronea misurazione della distanza (mancavano 5 piedi, ovvero 1,52 m). Ebbero la loro parte nell'evoluzione del record sugli 800 m anche il francese Séra Martin e l'inglese Sydney Wooderson. Quest'ultimo doveva raccogliere i suoi allori internazionali sulle distanze più lunghe, ma nel 1938 corse gli 800 m in 1′48,4″ e il mezzo miglio in 1′49,2″, nel quadro di una corsa a vantaggi. Lanzi fu il più grande ottocentista italiano apparso dai giorni di Lunghi in poi. Pochi anni prima c'era stato, per la verità, un buon specialista, l'emiliano Ettore Tavernari (il suo nome d'arte era Taia), a suo agio sull'asse 400-800 m e quindi ottimo finisseur. Nel 1929 a Parigi fu accreditato di 1′52,2″, che sarebbe stato il nuovo primato italiano se non fossero sorti dubbi sulla misurazione del percorso, dubbi che una ricerca postuma da parte di un appassionato francese, il marsigliese Alain Bouillé, farebbe credere ingiustificati.
Lanzi, un bell'atleta nato in provincia di Novara, fu tra i migliori del suo tempo sui 400 e sugli 800 m. Fisicamente assai dotato (1,80 per 76 kg), correva le due distanze con la stessa spavalderia, il che gli causò qualche cedimento nella fase finale, soprattutto sulla maggior distanza, dove in gare importanti collezionò due secondi (Europei 1934 e Olimpiadi 1936) e un terzo posto (Europei 1938). Più che a queste medaglie la sua fama è forse legata al lavoro che seppe fare a beneficio del suo grande rivale, il tedesco Rudolf Harbig. Nell'incontro Italia-Germania del 1939 all'Arena di Milano, che all'epoca aveva una pista di 500 m, Lanzi corse gli 800 m alla sua maniera, imponendo un 'treno' molto veloce (200 m in 24,6″, 400 in 52,5″, 600 in 1′19,8″), con Harbig sempre nella sua scia. Nella fase finale il tedesco venne fuori imperiosamente, siglando con 1′46,6″ uno dei più grandi primati mondiali della prima metà del secolo. Lanzi, in grave debito di ossigeno, finì lontano in 1′49″, suo record personale (oltre che nazionale). Il giorno dopo i due si ritrovarono sui 400 m e questa volta il duello fu ben più serrato, con Harbig alla fine vittorioso per pochi centimetri. Tempo per entrambi, 46,7″. Più tardi, in quella stessa estate, a Francoforte sul Meno, altra pista di 500 m, Lanzi corse di nuovo alla sua maniera sui 400 m, bruciando la prima metà in 21,7″. Cedette poco dopo i 300 m e Harbig lo passò per vincere in 46,0″, altro primato mondiale. Lanzi, secondo in 47,2″, rimase lontano dal suo record personale di 46,7″. Il tedesco di Dresda, apparentemente meno dotato nel fisico (1,74 per 68 kg) rispetto al suo rivale italiano, si appoggiava in realtà su un condizionamento davvero scientifico in rapporto all'epoca. Era allenato da Woldemar Gerschler, uno studioso di fisiologia cui si attribuisce il merito di aver divulgato l'interval training, metodo basato su un certo numero di prove a ripetizione su determinate distanze (dai 50 ai 300 m), con brevi intervalli di jogging fra l'una e l'altra: una preparazione metodica e intensa, almeno sul metro dell'epoca. Harbig, uomo dal carattere freddo e quasi ascetico, morì in guerra sul fronte orientale nel 1944, all'età di trent'anni. Sul piano internazionale aveva vinto una medaglia di bronzo con la 4x400 m ai Giochi Olimpici del 1936 e una d'oro sugli 800 m ai Campionati Europei del 1938. L'epopea Harbig-Lanzi si era protratta dal 1936 al 1941: nell'arco di dodici confronti diretti il tedesco prevalse alla fine per 8 vittorie a 4 (3 a 1 nei 400 m, 5 a 3 negli 800 m), anche se è doveroso aggiungere che Harbig ebbe la meglio in tutte le gare più importanti.
I 1500 m/miglio. Il primato mondiale del miglio, evento principe dell'atletica dei pionieri, uscì per la prima volta dalla casa madre angloamericana nel 1923, quando il finlandese Paavo Nurmi ridusse di più di due secondi il record di Taber portandolo a 4′10,4″. Accadde in un meeting svoltosi a Stoccolma e Nurmi realizzò il tempo con 'quarti' in 60,3″, 62,9″, 63,5″ e 63,7″: equa ripartizione dello sforzo, degna di un fondista qual era Nurmi, che l'anno seguente fece suo anche il mondiale dei 1500 m con 3′52,6″. Abbiamo già accennato al tempo di 3′51″ sui 1500 m ottenuto da Peltzer a Berlino nel 1926; in quell'occasione Nurmi finì solo al terzo posto dopo aver fatto il 'treno' per gran parte della corsa.
Un mezzofondista che dedicò grande attenzione ai primati fu Jules Ladoumègue, un francese di Bordeaux, tipo nervoso dall'andatura galoppante. Dopo esser arrivato secondo dietro il finlandese Harri Larva nei 1500 m olimpici del 1928 ad Amsterdam (3′53″4/5 contro 3′53″1/5), all'inizio degli anni Trenta Ladoumègue riscrisse la tabella dei mondiali per una vasta gamma di distanze, ivi compresi i 1500 m e il miglio, che coprì rispettivamente in 3′49″1/5 (1930) e 4′09″1/5 (1931). Giunse a tanto in corse organizzate in funzione del record, valendosi dell'aiuto di mezzofondisti assai quotati come il già ricordato Séra Martin e Jean Keller, che gli fecero da 'lepri'. Questo gli permetteva di affrontare la fase finale della corsa in condizioni di relativa freschezza e nella corsa-record sul miglio chiuse con un ultimo quarto in 61,2″. Non poté esser presente ai Giochi Olimpici del 1932 a Los Angeles perché a pochi mesi da quell'appuntamento fu sospeso dall'attività internazionale per 'leso dilettantismo', avendo accettato del denaro come ingaggio per alcune gare nella Francia del Nord e altrove. Si parlò di qualcosa come 25.000 franchi per una serie di sei corse. Fu riqualificato dalla Federazione francese di atletica come 'dilettante nazionale' nel 1943, troppo tardi per riacquistare la giusta forma.
Luigi ('Nini') Beccali, milanese, fu il successore di Ladoumègue nell'albo del mondiale dei 1500 m. Atleta di taglia normale (1,69 m per 63 kg), si era avvicinato a questo sport già all'età di 14 anni, sulla distanza di 5000 m. Il risultato (si ritirò prima del termine) fu tale da suggerirgli di dirottare verso un altro sport, il ciclismo. Per fortuna dell'Italia, che all'epoca non mancava certo di assi delle due ruote, Beccali tornò più tardi al suo primo amore. Cominciò a distinguersi nel 1926, poco prima di compiere 19 anni. Corse per la prima volta i 1500 m in meno di 4 minuti nel 1928, finendo ben lontano da Ladoumègue allo stadio di Colombes (3′59″3/5 contro 3′55″1/5). Da allora cominciò la sua ascesa, apparentemente lenta ma continua. Nel 1931 dette prova di avere acquisito buone doti di finisseur, pur attraverso sconfitte di misura inflittegli dall'inglese Hampson, dal polacco Janusz Kusocinski, entrambi avviati a vincere medaglie d'oro olimpiche nel 1932, e dal connazionale Tavernari. Nell'inverno 1931-1932 lavorò più intensamente del solito sotto la guida del suo allenatore, Dino Nai, e al primo serio tentativo della stagione olimpica portò a 3′52″1/5 il primato italiano dei 1500 m, 5 secondi netti sotto il suo record personale precedente. Quel tempo era ancora la miglior prestazione mondiale dell'anno alla vigilia dei Giochi di Los Angeles. Ma Beccali era un favorito solo apparente, perché altri atleti più esperti di lui attiravano maggiormente l'attenzione dei pronosticatori. Dopo un lungo viaggio in nave e in treno (si allenava per lo più sulla tolda della prima e con qualche sgambata alle fermate del secondo), 'Nini' ebbe solo pochi giorni per acclimatarsi e prepararsi nella città californiana. Eppure fece onore al suo ruolo in modo splendido. In finale conservò saggiamente le sue riserve per la fase conclusiva, lasciando al canadese Phil Edwards e all'americano Glenn Cunningham il ruolo di 'movimentatori' della corsa. A poco meno di 300 m dall'arrivo, l'inglese Jerry Cornes passò al contrattacco, con Beccali nella sua scia. La coppia europea superò quella americana nell'ultima curva e nel rettilineo Beccali staccò Cornes andando a vincere in 3′51,2″, nuovo primato olimpico. Ai posti d'onore Cornes (3′52,6″) ed Edwards (3′52,8″). Il tempo dell'italiano negli ultimi 300 m fu stimato in 41,7″, uno sprint davvero eccezionale per l'epoca.
Beccali, che alternava pratica sportiva e studi da geometra, ebbe il suo anno migliore nel 1933, quando prima eguagliò, con 3′49,2″, il mondiale di Ladoumègue, poi lo batté con 3′49,0″, il 17 settembre all'Arena di Milano, nel corso del match Italia-Inghilterra. Nella prima di queste corse, a Torino, era venuto a capo di un fortissimo avversario, il neozelandese Jack Lovelock (secondo in 3′49,8″), che meno di due mesi prima, a Princeton, aveva portato a 4′7,6″ il record mondiale del miglio, dopo aver coperto le quattro frazioni di 440 yards in 61,4″, 62,2″, 65,1″ e un buon 58,9″. Da parte sua, Beccali costruì il suo mondiale dei 1500 m con frazioni di 400 m in 60,0″, 64,2″, 61,8″ e gli ultimi 300 m in 43,0″. In quella stagione, Beccali corse tre volte i 1500 m in meno di 3,50″ e riuscì a battere, nell'intervallo di una partita di calcio a Firenze, il vecchio primato nazionale di Lunghi negli 800 m, portandolo a 1′50,6″ nel quadro di una gara a vantaggi.
Dall'altra parte delle Alpi ci si dava da fare per offrire a Ladoumègue un modo, sia pure ufficioso, di riscattarsi. In veste di professionista il francese fece diversi tentativi sui 1500 m, sempre in gare 'handicap' allo stadio Jean-Bouin di Parigi. Nel giro di una settimana ottenne tempi come 3′50,8″, 3′51,4″ e 3′50,4″, ma non poté far meglio. Nel 1934 Beccali allentò un po' la presa pur sempre conquistando il primo titolo europeo dei 1500 m a Torino.
Il mezzofondo americano passò al contrattacco nel 1934 con un duo che suscitò grande interesse. Era composto da Bill Bonthron e Glenn Cunningham, che in quella stagione portarono in America i record mondiali dei 1500 m e del miglio. Il secondo, potente atleta del Kansas, corse la distanza inglese in 4′6,7″. Due settimane dopo, ai campionati nazionali, Bonthron succedette a Beccali con 3′48,8″ dopo un serrato duello con Cunningham (3′48,9″). Intanto il neozelandese Lovelock, residente in Inghilterra per ragioni di studio, aveva trovato nell'inglese Sydney Wooderson, piccolo ma coriaceo, un serio rivale. Si profilava quindi un'appassionante sfida per i Giochi Olimpici di Berlino del 1936. Lovelock seppe giungere all'appuntamento in forma splendida. Nel terzo giro, quando Cunningham passò all'attacco, il neozelandese fu il più pronto a seguirlo e nel finale dimostrò di avere le migliori riserve e andò a vincere con un nuovo record mondiale di 3′47,8″ davanti all'americano (3′48,4″). Pur correndo in un tempo assai vicino al suo record personale, Beccali dovette accontentarsi del terzo posto (3′49,2″). Seguirono per il campione italiano anni di buono ma declinante impegno: nel 1937 fece una prima visita negli Stati Uniti, correndo il miglio in 4′09″ al coperto e in 4′09,6″ all'aperto, sempre nella scia del duo americano Cunningham-Archie San Romani. Dopo un terzo posto anche ai Campionati Europei del 1938 in una gara di 1500 m vinta da Wooderson, nel 1939 Beccali emigrò definitivamente negli Stati Uniti, dove rimase fino a tarda età. Morirà durante una vacanza in Italia nel 1990. Il suo en plein di titoli (olimpico ed europeo) e primati mondiali è rimasto unico per un mezzofondista italiano.
L'ultimo mondiale degli anni Trenta fu di Wooderson: 4′6,4″ sul miglio nel 1937 a Londra, ancora in una gara a vantaggi. L'anno seguente Cunningham destò sensazione con un 4′4,4″ al coperto, sia pure su una pista in legno di 239 m, quindi di dimensioni straordinarie per i canoni indoor. D'altronde la presenza di curve sopraelevate rendeva (e tuttora rende) difficile una qualsiasi comparazione fra i tempi del mezzofondo al coperto e quelli all'aperto.
Gli 800 m. Il Secondo conflitto mondiale ridusse inevitabilmente di molto l'attività atletica di tutti i paesi coinvolti. La neutrale Svezia, che già durante la Prima guerra mondiale aveva messo in luce figure di rilievo, stavolta dette l'avvio a una nuova epoca del mezzofondo, grazie a una schiera di campioni di cui Gunder Hägg e Arne Andersson furono per parecchie stagioni le punte di diamante, con un impatto rilevante sull'arco dai 1500 ai 3000 m. Per quanto invece riguarda gli 800 m, il mondiale di Harbig (1′46,6″) si dimostrò per molti anni inattaccabile anche se vi furono atleti scandinavi di buon rilievo, come il danese Niels Holst Sörensen, gli svedesi Hans Liljekvist e Rune Gustafsson, e il finlandese Bertel Storskrubb. Il primo era a suo agio sull'asse 400-800 m e corse queste distanze in 47,6″ e 1′48,9″. Finita la guerra, questi atleti conseguirono la vittoria ai Campionati Europei di Oslo nel 1946: Sörensen vinse i 400 m e Gustafsson gli 800 m. Nei primi anni postbellici la Francia tornò ad avere un uomo di élite in Marcel Hansenne, che all'inizio della stagione olimpica del 1948 corse gli 800 m in 1′48,3″. Alla vigilia dei Giochi di Londra erano tuttavia apparsi all'orizzonte due atleti straordinari, il giamaicano Arthur Wint e l'americano Malvin Whitfield, ambedue a loro agio sull'asse 400-800 m. A Londra il primo round si giocò sugli 800 m e Whitfield, tattico sopraffino, sempre bello a vedersi per la sua azione fluida, andò in testa già a metà gara (54,2″) e resse molto bene al contrattacco del giamaicano, 1′49,2″ contro 1′49,5″. Hansenne, dopo un avvio difficile, finì al terzo posto (1′49,8″). Tre giorni dopo Wint, atleta dalla struttura imponente (1,94 m per 77 kg), si prese una bella rivincita, vincendo i 400 m in 46,2″, con Whitfield al terzo posto. Questi due atleti dominarono la scena degli 800 m per un altro quadriennio e la finale dei Giochi di Helsinki del 1952 fu quasi una copia di quella di Londra, con Whitfield ancora primo in 1′49,2″ e Wint a ridosso (1′49,4″). Si ebbe tuttavia l'impressione che nessuno dei due esprimesse davvero il meglio della sua potenzialità. Whitfield, pressoché imbattibile, sembrava 'giocare' con gli avversari, facendo solo quanto era necessario per batterli. Nel 1953 portò il mondiale delle 880 yards a 1′48,6″, dopo esser passato agli 800 m in 1′47,9″. Sul piano cronometrico non riuscì ad andare oltre, rimanendo quindi lontano dal record di Harbig.
Un altro americano veloce e poderoso, anche lui operante sull'asse 400-800 m, Tom Courtney, succedette a Whitfield come campione olimpico. Nella finale del 1956 a Melbourne ebbe ragione di stretta misura dell'inglese Derek Johnson, 1′47,7″ contro 1′47,8″. L'anno seguente Courtney portò il mondiale del mezzo miglio a 1′46,8″. Il nome di Harbig fu cancellato dall'albo dei primati dal belga Roger Moens, che era allenato proprio da Woldemar Gerschler, il mentore di Harbig. Accadde nel 1955 a Oslo, cioè sedici anni dopo l'impresa del tedesco all'Arena di Milano. Il record nacque a conclusione di un serrato duello fra Moens e il norvegese Audun Boysen. Il modulo della gara fu assai diverso da quello del duo Harbig-Lanzi nell'incontro del 1939. Una 'lepre' coprì il primo giro in 52,0″, con Moens a ridosso e Boysen dietro di qualche metro. Nel secondo giro il norvegese, che aveva ovviamente il pubblico dalla sua parte, fece l'impossibile per aver ragione del belga ma non ci riuscì. Moens vinse in 1′45,7″ (frazioni di 400 in 52,0″ e 53,7″) e anche Boysen, con 1′45,9″, rimase sotto il record di Harbig.
Per abilità tattica e velocità terminale Moens, che si preparava sul modello dell'interval training, appariva a molti il candidato più sicuro per l'oro degli 800 m ai Giochi Olimpici del 1960 a Roma. Ma nel giorno decisivo dovette cedere nel finale a un avversario che si era allenato correndo su distanze da maratoneta, l'outsider neozelandese Peter Snell, venuto a Roma con un primato personale di 1′49,2″ sul mezzo miglio. Non ancora ventiduenne, era cresciuto come atleta frequentando la scuola del suo connazionale Arthur Lydiard, un ex maratoneta, promotore dell'endurance training, metodo consistente in corse a ritmo sostenuto su distanze assai più lunghe di quella da affrontare in gara, come dire un vero capovolgimento rispetto alle abitudini dei pionieri, che si proponeva di incrementare nell'atleta il coefficiente di endurance-to-speed, cioè di resistenza alla velocità. Snell era comunque maturo per la prova olimpica di Roma, un test tremendo, con quattro corse (fra eliminatorie e finale) nel giro di 53 ore. Nella prova decisiva batté Moens, 1′46,3″ contro 1′46,5″ (in realtà il cronometraggio automatico, usato come supporto, 'vide' fra i due solo 7 centesimi di secondo). Era il primo atto internazionale di una grande carriera, destinata a svilupparsi a cavallo fra gli 800 e i 1500 m.
I 1500 m/miglio. L'onda svedese che doveva travolgere il mondo dei 1500 m era stata preannunciata nel 1939 dal buon rendimento di Arne Andersson, un veloce e agilissimo atleta seguace dell'interval training. Appena ventiduenne, corse i 1500 m in 3′48,8″. L'anno seguente realizzarono rispettivamente i tempi di 3′48,7″ e 3′48,8″ due suoi connazionali, Henry Kälarne e Gunder Hägg, ambedue affidati alla tutela di un 'allenatore-filosofo', Gösta Olander, che gestiva un campo di allenamento a Vålådalen nello Jämtland, in uno scenario idilliaco dove gli atleti si sentivano davvero vicini alla natura, perché Olander voleva aiutarli a riscoprire la gioia di correre lontani dalla 'tirannia' della pista e del cronometro. I suoi ospiti ‒ come li chiamava ‒ scoprivano il loro potenziale correndo su e giù per i pendii. Naturalmente l'impegno diventava progressivamente più serio e intenso, e intanto gli atleti acquisivano una maggiore resistenza. Hägg si rivelò ben presto come il più dotato del gruppo. Nato a Sörbydgen nello Jämtland, quindi non lontano dal campo-scuola di Olander, era provvisto di un'eccellente struttura (1,80 m per 68 kg) e di un temperamento freddo che lo rendeva anche mentalmente preparato alle grandi sfide. Il suo più serio rivale fu Andersson, che sotto molti aspetti era fondamentalmente diverso da lui: futuro insegnante, aveva dell'atletica una concezione più vicina al modello tradizionale e tatticamente si orientava di preferenza sul principio della velocità terminale.
L'epopea Hägg-Andersson si sviluppò nell'arco di cinque stagioni (1941-1945) secondo un modello preciso: Gunder amava forzare il tempo, sempre alla ricerca di una vittoria 'prima del limite'; Arne si teneva costantemente nella sua scia, cercando di bruciarlo nella fase finale con il suo sprint. Nei primi anni la superiorità di Hägg era così netta che Andersson doveva invariabilmente arrendersi al passo superiore del rivale. Ma anche lui non mancava certo di determinazione e grazie a un allenamento sempre più intenso giunse, dal 1943 in poi, a un livello comparabile, o quasi, a quello di Hägg. Il mondiale di Lovelock per i 1500 m fu battuto per la prima volta da Hägg ai campionati svedesi del 1941 a Stoccolma di stretta misura, con 3′47,6″, secondo Andersson con 3′48,6″. Ma era solo l'inizio.
Hägg ebbe la sua stagione migliore nel 1942, all'età di 24 anni non ancora compiuti. Dal 1° luglio al 20 settembre infilò una serie fra le più memorabili nella storia della corsa e certamente unica per il mezzofondo: nove primati mondiali, su un arco compreso fra i 1500 e i 5000 m (il 1° luglio a Göteborg 1 miglio in 4′6,2″; il 3 luglio a Stoccolma 2 miglia in 8′47,8″; il 17 luglio a Stoccolma 1500 m in 3′45,8″; il 21 luglio a Malmö 2000 m in 5′16,4″; il 23 agosto a Östersund 2000 m in 5′11,8″; il 28 agosto a Stoccolma 3000 m in 8′1,2″; il 4 settembre a Stoccolma 1 miglio in 4′4,6″; l'11 settembre a Stoccolma 3 miglia in 13′35,4″; il 20 settembre a Göteborg 5000 m in 13′58,2″). Prima del 1° luglio Hägg non aveva potuto gareggiare a causa di una squalifica di 10 mesi inflittagli dalla Federazione svedese. In quell'occasione Andersson seppe offrirgli una bella resistenza, finendo assai vicino (4′6,4″). Per il resto, però, colse il suo unico alloro della stagione nove giorni dopo, a Stoccolma, in assenza del rivale, eguagliando con 4′6,2″ il recente record di Hägg. Nella gara del 17 luglio a Stoccolma Andersson finì lontano secondo in 3′49,2″. In quella del 4 settembre, sempre a Stoccolma, Hägg vinse agevolmente davanti a Åke Spångert (4′14,4″), un altro ottimo mezzofondista che nel 1940 aveva cambiato il suo cognome d'origine, Jansson (molto comune in Svezia).
Pur nel tumulto della Seconda guerra mondiale, le prodezze di Hägg non potevano passare inosservate nel resto del mondo. Nel 1943 gli americani lo invitarono a varcare l'Atlantico per una tournée di otto incontri, che lo svedese affrontò brillantemente, senza subire sconfitte e stimolando ottimi specialisti locali come Bill Hulse e Gil Dodds verso nuovi primati personali. Durante l'assenza del rivale dalla scena svedese, Andersson mise in evidenza inaspettati progressi, conquistando prima il mondiale del miglio con 4′2,6″, poi quello dei 1500 m con 3′45,0″.
Le due stagioni che seguirono furono le più belle dell'epopea Hägg-Andersson, perché i due erano virtualmente sullo stesso piano. Anzi fu Andersson ad avere la meglio nei confronti diretti (5 a 2), anche se le due vittorie di Hägg coincisero con quelli che sarebbero rimasti i migliori 'acuti' della loro epopea. Nel 1944 i due atleti si divisero il bottino in quanto a nuovi primati mondiali: Hägg si assicurò il primo round, il 7 luglio a Göteborg correndo i 1500 in 3′43″ (frazioni per 400 m di 56,7″, 59,8″ e 61,5″ e ultimi 300 m in 45,0″), con Andersson secondo in 3′44″. In questa gara fece da 'lepre' con grande zelo un astro nascente, Lennart Strand. Andersson invertì i ruoli in una gara sul miglio, il 18 luglio a Malmö, superando il rivale nella fase conclusiva con 4′01,6″ (frazioni per 440 yards di 57,1″, 59,6″, 62,9″ e 62,0″) contro 4′02″. Anche sul miglio Hägg ebbe comunque l'ultima parola, il 17 luglio 1945, ancora a Malmö. Un suo 'gregario' assicurò un treno veloce e nel finale Hägg superò Andersson a 70 m dall'arrivo per vincere in 4′01,4″ (tempo reale 4′01,3″, con quarti di 56,7″, 62,7″, 62,0″ e 59,9″) contro 4′02,2″. I due atleti avrebbero potuto forse continuare a rivestire un ruolo preminente per altre due o tre stagioni, ma al principio del 1946 furono squalificati a vita dalla Federazione svedese per aver incassato, a dispetto delle regole dilettantistiche, somme di denaro più o meno rilevanti in cambio della loro presenza a numerosi meeting. Lo stesso destino fu riservato a un altro mezzofondista di valore, Henry Kälarne (già Jonsson).
Altri svedesi riuscirono a colmare la falla, almeno per un certo tempo. Il già ricordato Strand, tipo nervoso ma altamente dotato, eguagliò nel 1947 il mondiale di Hägg per i 1500 m (3′43″), grazie soprattutto a un buon 43,4″ negli ultimi 300 m. Ma ai Giochi Olimpici del 1948 a Londra fu inaspettatamente battuto dal connazionale Henry Eriksson con 3′50,4″ contro 3′49,8″. Con il progressivo ritorno all'attività atletica dei paesi che erano stati impegnati nella guerra, le cose presero un altro andamento. Nel 1952 un tedesco, Werner Lueg, eguagliò a sua volta il mondiale dei 1500 m. Ma anche lui perse nella gara più importante, la finale olimpica del 1952 a Helsinki, vinta da un lussemburghese, Josy Barthel, con 3′45,2″.
Il muro del miglio sotto i 4 minuti fu abbattuto dall'inglese Roger Gilbert Bannister, studente di medicina all'Università di Oxford. Il 6 maggio 1954, sulla pista di Iffley Road a Oxford, l'allora venticinquenne Bannister corse la classica distanza in 3′59,4″ (frazioni in 57,5″, 60,7″, 62,3″ e 58,9″), aiutato nel fare il 'treno' da due suoi amici, Chris Brasher e Chris Chataway. Bannister, che era arrivato quarto nei 1500 m ai Giochi Olimpici del 1952, nell'anno della sua gloria ebbe un serio rivale nell'australiano John Landy, che gli succedette come primatista con 3′58″ ma dovette inchinarsi all'inglese in un confronto diretto nel quadro dei Giochi del Commonwealth a Vancouver: 3′59,6″ contro 3′58,8″. Bannister disse addio all'atletica alla fine di quella stagione, dopo aver vinto il titolo europeo dei 1500 m a Berna.
Verso la metà degli anni Cinquanta emersero altri ottimi milers, tra i quali spiccarono i 'tre moschettieri ungheresi' Sándor Iharos, László Tábori e István Rózsavölgyi, allievi di Mihály Iglói, che in gioventù era stato un buon mezzofondista. Tutti e tre detennero il mondiale dei 1500 m, con 3′40,8″ i primi due (con il danese Gunnar Nielsen) nel 1955 e con 3′40,6″ il terzo nel 1956; specialmente Iharos seppe incidere inoltre nel fondo. I tre ebbero tuttavia la mala ventura di veder coincidere i Giochi Olimpici di Melbourne del 1956 con il periodo della rivoluzione ungherese. Iharos non andò in Australia, gli altri due sì, ma forse non in condizioni psicologiche tali da rendersi giustizia. Vinse l'irlandese Ron Delany con il tempo di 3′41,2″, dopo aver bruciato gli ultimi 300 m in 38,8″ un finale davvero inaudito per quell'epoca. Nella sua scia si piazzarono il tedesco Klaus Richtzenhain e l'australiano Landy, entrambi in 3′42″. Solo quarto Tábori (3′42,4″), che a Giochi finiti emigrò negli Stati Uniti in compagnia di Iglói.
Nel 1957 il primato mondiale dei 1500 m fu migliorato in due occasioni. Gli appassionati finlandesi ebbero la sensazione di rivivere uno squarcio del passato quando in una corsa a Turku, patria di Nurmi, tre loro connazionali finirono ai primi tre posti: Olavi Salsola con 3′40,2″, Olavi Salonen con 3′40,2″, Olavi Vuorisalo con 3′40,3″. Non per niente questa passò alla storia come la 'Giornata dei tre Olavi'. Ma fu la gioia di un solo giorno. Esattamente 23 ore dopo, a Stará Boleslav, il cecoslovacco Stanislav Jungwirth corse i 1500 m in 3′38,1″.
Questi pur eccellenti atleti precipitarono presto nell'ombra quando apparve nel firmamento dell'atletica l'australiano Herbert Elliott, figura strettamente collegata a quella del suo allenatore, Percy Cerutty, un uomo per molti versi originale, che nel suo campo di allenamento a Portsea presso Melbourne era solito lavorare soprattutto sulla psicologia dei suoi allievi, tentando di rimuovere dalla loro mente ogni preconcetto sui supposti limiti delle possibilità umane. Poco prima Cerutty aveva già avuto la fortuna di preparare John Landy. In Elliott trovò un soggetto ancor più dotato, nel fisico e nel temperamento. Elliott assecondò mirabilmente le idee del suo allenatore. Prima di compiere vent'anni fu capace di una doppietta ai campionati australiani del 1957, vincendo il miglio (4′00,4″) e 880 yards (1′49,3″) nel giro di 48 ore. Trovò un forte rivale in Mervyn Lincoln, un allievo di Franz Stampfl, che già aveva allenato Bannister. Per quanto bravo, però, Lincoln era destinato a recitare la parte di 'eterno secondo'. La loro gara più bella ebbe luogo a Dublino nel 1958, quando Elliott riconquistò all'Australia il mondiale del miglio che l'anno precedente era stato portato in Inghilterra da Derek Ibbotson con 3′57,2″. A Dublino Elliott corse in 3′54,5″ (con 'quarti' di 56,4″, 61,8″, 61,0″ e 55,3″), staccando nettamente Lincoln (3′55,9″) e il campione olimpico Ron Delany (3′57,5″). Poche settimane dopo, a Göteborg, Elliott conquistò anche il mondiale dei 1500 m con 3′36″. La sua più straordinaria impresa ebbe luogo ai Giochi Olimpici di Roma nel 1960, quando nella finale dei 1500 m inscenò una fuga già a metà gara e superò uno a uno tutti i suoi avversari per vincere in 3′35,6″, dopo aver coperto gli 800 m finali in 1′52,8″. Secondo, a grande distanza, giunse il francese Michel Jazy, con il conforto di un nuovo primato europeo, 3′38,4″.
In Italia il ventennio 1941-1960 fu caratterizzato da una lunga rincorsa ai primati nazionali di Lanzi negli 800 m (1′49″) e di Beccali nei 1500 m (3′49″). Il primo a voltar pagina fu Gianfranco Baraldi, che in una gara svoltasi a Budapest nel 1956 corse i 1500 in 3′47,8″ pur arrivando settimo, una chiara riprova di quanto fossero cambiati i tempi rispetto agli anni Trenta. Baraldi progredì fino a correre in 3′42,3″ in una batteria dei Campionati Europei del 1958, ma quel risultato non gli bastò per accedere alla finale.
Gli 800 m. Il solidissimo Peter Snell dominò la scena del mezzofondo dei primi anni Sessanta, non solo negli 800 m ma anche nei 1500 m e nel miglio. Nel 1962 a Christchurch conquistò due mondiali, correndo il mezzo miglio in 1′45,1″ dopo esser passato agli 800 m in 1′44,3″. Lo fece a ritmo decrescente (quarti in 51,0″ e 54,1″), secondo il modulo imperante da sempre. L'asso neozelandese offrì il suo capolavoro ai Giochi Olimpici di Tokyo del 1964, realizzando la doppietta 800-1500 m attraverso sei gare (fra eliminatorie e finali) nel giro di una settimana. Prima Snell vinse gli 800 m, grazie al suo sprint finale in 1′45,1″, davanti al canadese Bill Crothers (1′45,6″), poi sulla distanza maggiore prevalse alla stessa maniera in 3′38,1″. Si racconta che si fosse preparato a questa grande sfida coprendo 1628 km nel giro di dieci settimane, una media di circa 23 km al giorno, più di una mezza maratona. C'è però da aggiungere che nell'immediata vicinanza dei grandi appuntamenti agonistici Snell passava per qualche settimana dalle corse lunghe a sessioni assai vivaci di interval training sulle distanze brevi.
Toccò a un giovane di diciannove anni, l'americano Jim Ryun, corridore di gran taglia (1,88 m per 75 kg) che operava prevalentemente sul miglio, il vanto di invertire la tanto radicata tendenza a correre il primo giro degli 800 m più velocemente del secondo. Nel 1966 a Terre Haute, nell'Indiana, corse il mezzo miglio in 1′44,9″, ben 5,4″ al di sotto del suo record personale. Giunse a tanto con frazioni di 220 yards in 26,2″, 27,1″, 26,1″ e 25,5″, vale a dire con una prima metà in 53,3″ e una seconda in 51,6″. Il record di Ryun valeva solo per le 880 yards, poiché non era stato rilevato il tempo di passaggio agli 800 m, che dovette aggirarsi intorno a 1′44,2″-1′44,3″. Parve un'impresa incredibile per un atleta così giovane, ma si seppe che fra i quindici e i diciannove anni Ryun aveva speso 4000 ore in allenamenti. Il modulo rivoluzionario di Ryun fu seguito più tardi nello stesso anno dal tedesco Franz-Josef Kemper, che con 1′44,9″ (53,0″+51,9″) stabilì un nuovo primato europeo. Ma in seguito, a parte rare eccezioni, tutto tornò come prima e ancor oggi il primo giro più veloce è la regola.
Ai Giochi Olimpici di Città del Messico del 1968 Ryun giocò le sue carte nei 1500 m mentre sugli 800 m prevalse l'australiano Ralph Doubell, che eguagliò il record mondiale con 1′44,3″, battendo il keniota Wilson Kiprugut (1′44,5″), che aveva fatto il 'treno' con grande slancio (400 m in 51″). Già medaglia di bronzo quattro anni prima a Tokyo, Kiprugut fu il primo dei grandi mezzofondisti kenioti, aprendo un flusso che con il passare degli anni doveva ingrossarsi a dismisura.
All'inizio degli anni Settanta anche l'URSS ebbe finalmente un grande ottocentista nell'ucraino Yevgeni Arzhanov, un finisseur di classe. Dopo aver vinto il titolo di campione europeo nel 1971 a Helsinki (1′45,6″), fu tra i protagonisti anche nel 1972. Ai Trials olimpici americani a sorpresa fu eliminato Ryun, solo quarto (1′45,2″) e per di più battuto al suo proprio gioco, dopo avere effettuato una terza frazione di 200 m (24,8″) davvero straordinaria, di cui fu poi la vittima principale. Vinse Dave Wottle, eguagliando il mondiale con 1′44,3″ (52,8″ e 51,5″). Anche ai Giochi Olimpici di Monaco fu Wottle ad avere la meglio, di stretta misura, davanti ad Arzhanov, 1′45,86″ contro 1′45,89″. Insolitamente saggia e anche inconsueta, per una finale olimpica, la ripartizione dello sforzo: 53,3″+52,6″.
Toccò a Marcello ('March') Fiasconaro, un italiano nato e cresciuto nel Sudafrica, l'onore di riportare i colori azzurri del mezzofondo ai più alti livelli mondiali. Dopo aver praticato con buon successo il rugby, Fiasconaro passò all'atletica nel 1970. Sui 400 m progredì in pochi mesi da 48,5″ a 46,5″ e segnò pure 1′51″ sugli 800 m. Questi risultati non sfuggirono a osservatori italiani e poco dopo la FIDAL riuscì a guadagnare Fiasconaro alla causa della patria di suo padre. Ai Campionati Europei di Helsinki del 1971 finì secondo nei 400 a spalla dell'inglese Dave Jenkins (45,49″ contro 45,45″). Non poté gareggiare ai Giochi Olimpici del 1972 a causa di un infortunio a un piede, ma tornò alla ribalta l'anno seguente negli 800 m. Ebbe il suo gran giorno il 27 giugno all'Arena di Milano, su una pista riconvertita nel frattempo alla misura standard di 400 m. In testa praticamente dall'inizio alla fine, exploit davvero inconsueto, portò il mondiale a 1′43,7″, con frazioni di 200 m in 25,0″, 26,2″, 25,3″ e 27,2″. Secondo a distanza il cecoslovacco Jozef Plachy (1′45,7″).
Nel frattempo era maturato oltre Atlantico un nuovo talento, Rick Wohlhuter, che nella primavera dello stesso 1973 aveva fatto suo il mondiale delle 880 yards con 1′44,6″. In prosieguo di stagione si incontrò con Fiasconaro a Torino sugli 800 m ed ebbe la meglio, 1′45,3″ contro 1′45,8″. L'italiano non andò oltre il sesto posto ai Campionati Europei del 1974 a Roma, a causa anche di un piede 'in disordine', in una gara vinta dallo iugoslavo Luciano Susanj in 1′44,07″. Sempre nel 1974, Wohlhuter portò a 1′44,1″ il mondiale del mezzo miglio (senza esser cronometrato al passaggio degli 800 m).
In quegli anni si mise in luce il più grande specialista sull'asse 400-800 m mai esistito, il cubano Alberto Danger Juantorena. Dotato di grande potenza, tanto da guadagnarsi l'epiteto di 'el caballo', gareggiò dapprima nei 400 m, giungendo alle semifinali ai Giochi Olimpici del 1972. Debuttò negli 800 m un anno più tardi con 1′49,8″, per tornarvi solo nella primavera del 1976, quando maturò l'idea di tentare la doppietta ai Giochi Olimpici di Montreal. Andò al grande appuntamento con un fresco primato personale di 1′44,9″, senza tuttavia ispirare gran fiducia agli osservatori stranieri, abituati a considerare antitetiche le due distanze. Sulla pista canadese il primo test fu proprio sugli 800 m: tre turni nel giro di 50 ore. In quello decisivo Juantorena sconfisse gli scettici, vincendo con un mondiale di 1′43,50″ davanti al belga Ivo Van Damme (1′43,86″) e a Wohlhuter (1′44,12″). Dopo un primo giro in 50,9″, a ridosso di una involontaria 'lepre' indiana, Sri Ram Singh, il cubano coprì il secondo giro in 52,6″, prima di un impressionante spunto finale, che lo vide coprire gli ultimi 100 m in 11,9″. Quattro giorni dopo, Juantorena vinse anche i 400 m (44,26″), realizzando una doppietta unica negli annali olimpici, per di più con due primati personali. Sugli 800 m il cubano doveva fare ancora meglio l'anno seguente a Sofia con 1′43,4″. Il suo più forte rivale su quella distanza fu il keniota Mike Boit, che aveva dovuto rinunciare ai Giochi di Montreal a causa del boicottaggio africano. I due finalmente s'incontrarono nell'estate del 1977 e Juantorena suggellò la sua superiorità a Zurigo (1′43,64″ contro 1′44,64″) e poi in un confronto di grande bellezza nella Coppa del Mondo a Düsseldorf (1′44,04″ contro 1′44,14″).
Il successore di Juantorena come primatista mondiale sui due giri di pista fu un esponente del classico modulo 800-1500 m, l'inglese Sebastian Coe, il quale scese per la prima volta sotto 1′50″ nel 1976 e vinse il suo primo titolo importante l'anno seguente ai Campionati Europei indoor. Per gran parte della sua carriera Coe ebbe come rivale un altro inglese, Steve Ovett. Dotati entrambi di grande talento atletico, erano antitetici per molti altri versi e anche per questo, forse, evitarono spesso il confronto diretto, in patria o altrove. Fecero ovviamente eccezione nel caso delle grandi gare di campionato europeo o mondiale. Sugli 800 m si trovarono l'uno di fronte all'altro ai Campionati Europei di Praga del 1978, dove furono entrambi sorpresi da un outsider, il tedesco Olaf Beyer, primo in 1′43,84″ davanti a Ovett (1′44,09″) e Coe (1′44,76″). Quest'ultimo si rifece conquistando il mondiale degli 800 m nel 1979 a Oslo con 1′42,33″. Ma il summit più importante fu quello del 1980 ai Giochi Olimpici di Mosca, dove i due inglesi s'incontrarono prima sugli 800 m, poi sui 1500 m. Invertendo la maggior parte dei pronostici, Ovett vinse davanti al rivale sulla distanza più corta (1′45,40″ contro 1′45,85″) ma fu successivamente sconfitto sui 1500 m.
In Italia, a parte la grande fiammata di Fiasconaro, ci furono nel ventennio 1961-1980 diversi buoni ottocentisti, come Francesco Bianchi, che nel 1963 batté il primato di Lanzi con 1′48,7″, portandolo a 1′48,3″ due anni dopo. Poi Gianni Del Buono e Francesco Arese, che fecero avanzare il record, il primo con 1′48″ (nel 1968), l'altro fino a 1′46,6″ (nel 1972). Infine Carlo Grippo, che nel 1976 corse in 1′45,3″ e figurò nella finale olimpica di Montreal (giungendo ottavo). L'anno seguente Grippo conquistò il mondiale indoor con 1′46,37″.
I 1500 m/miglio. Il ventennio 1961-1980 vide primeggiare nei 1500 m-miglio assi di quattro continenti: Oceania, Europa, America del Nord e Africa. Nel 1962 a Wanganui, in Nuova Zelanda, su una pista erbosa di 385 yards (cioè 352,4 m), il grande Peter Snell sottrasse un decimo di secondo dal mondiale di Herb Elliott portandolo a 3′54,4″. Abbiamo già accennato alla splendida doppietta olimpica del 1964 a Tokyo per quanto riguarda il primo atto, gli 800 m. Nel secondo, sui 1500 m, Snell vinse brillantemente in 3′38,1″, dopo aver bruciato i suoi avversari con un 38,6″ negli ultimi 300 m. Sul finire di quell'anno a Auckland migliorò ancora, con 3′54,1″, il mondiale del miglio. Fu un peccato che Snell e Elliott, praticamente coetanei ma maturati a qualche anno di distanza, non si fossero mai incontrati quando erano entrambi al massimo del fulgore. L'Europa ebbe in Michel Jazy, corridore leggero e veloce, uno dei migliori milers di quel periodo. Succedette a Snell come recordman mondiale nel 1965 a Rennes, con 3′53,6″. L'anno prima, ai Giochi Olimpici di Tokyo, aveva optato per i 5000 m, rinunciando ai 1500, forse perché intimorito dalla presenza di Snell.
L'americano Ryun, di cui si è parlato in relazione al suo mondiale delle 880 yards all'età di diciannove anni, colse nella stessa stagione (1966) a Berkeley anche il record del miglio, con 3′51,3″. L'anno seguente, a Bakersfield, fece ancor meglio con 3′51,1″, sempre seguendo il suo metodo di accelerazione progressiva, con un ultimo quarto in 52,5″. Due settimane dopo, a Los Angeles, conquistò anche il mondiale dei 1500 m con 3′33,1″, ben 2,5″ sotto il limite di Elliott, infliggendo una secca sconfitta al keniota Kipchoge Keino (3′37,2″). Ma Ryun, talento straordinariamente precoce, venne meno proprio negli appuntamenti olimpici: ai Giochi di Città del Messico soffrì forse troppo l'altitudine e fu battuto nettamente da Keino, 3′37,89″ contro 3′34,91″. Quattro anni dopo, a Monaco, una caduta lo mise fuori causa già in batteria. A quel punto tutti pensavano che Keino avrebbe fatto il bis del 1968, ma il keniota fu battuto sul finire dal finlandese Pekka Vasala, 3′36,81″ contro 3′36,33″.
Un altro africano, il tanzaniano Filbert Bayi, si mise in luce nei primi anni Settanta come eccezionale front runner, il tipo che ama fare il 'treno' da solo e riesce a battere gli avversari prima del tempo. Ai Giochi del Commonwealth, svoltisi a Auckland al principio del 1974, offrì un capolavoro del genere sui 1500 m: in testa a un gruppo di grandi praticamente dall'inizio, raggiunse gli 800 m in un incredibile 1′51,8″. A quel punto aveva 12 m di vantaggio sul più vicino avversario. Seppe sopravvivere quanto bastava per terminare in 3′32,16″, succedendo così a Ryun nell'albo del mondiale. Il neozelandese John Walker e il keniota Ben Jipcho recuperarono nella fase conclusiva ma dovettero accontentarsi dei posti d'onore (3′32,52″ e 3′33,16″). Nel 1975 aKingston, Bayi fece suo anche il mondiale del miglio con 3′51″, con quarti in 56,9″, 59,7″, 58,7″ e 55,7″.
Prima della fine di quella stagione Bayi vide il suo record passare nelle mani del neozelandese John Walker, che a Göteborg mise a segno il primo tempo inferiore a 3′50″ nella storia del miglio impiegando 3′49,4″ (quarti in 56,3″, 59,9″, 57,3″ e 55,9″). Ai Giochi Olimpici di Montreal del 1976, ai quali Bayi non partecipò per via del boicottaggio africano, Walker vinse i 1500 m dopo una gara 'tattica' in 3′39,17″, davanti al giovane belga Ivo Van Damme (3′39,27″). Quest'ultimo, che già aveva vinto l'argento negli 800 m, morì poco dopo in un incidente automobilistico all'età di ventidue anni. Bayi, angustiato negli anni seguenti da una ricorrente malaria, coglierà un secondo posto nei 3000 m siepi ai Giochi Olimpici del 1980.
Sul finire degli anni Settanta il campo dei 1500 m miglio fu dominato dal duo inglese Coe-Ovett, già ricordati a proposito degli 800 m. Il primo, tipo calmo e riflessivo, succedette a Walker come primatista mondiale del miglio con 3′48,95″ a Oslo nel 1979. Nella stessa stagione conquistò anche il record dei 1500 m con 3′32,03″ a Zurigo, tempo arrotondato dapprima a 3′32,1″ secondo una regola che doveva decadere poco dopo, con la sempre maggior diffusione del cronometraggio automatico. Nel 1980 Ovett, tipo estroverso e dotato di gran temperamento, si concesse due exploit preolimpici a Oslo, a distanza di due settimane l'uno dall'altro. Nel primo corse il miglio in 3′48,8″ (tempo manuale), migliore del tempo automatico di Coe. Nel secondo corse i 1500 m in 3′32,1″, eguagliando il primato del rivale (in realtà il tempo reale in automatico di Ovett era 3′32,09″, di un'inezia più lento di quello di Coe). Ai Giochi Olimpici di Mosca fu Ovett a vincere il primo round sugli 800 m, ma Coe seppe rifarsi sui 1500 m, grazie a un bruciante finale (ultimi 100 m in 12,1″) che gli dette la vittoria in 3′38,40″, mentre Ovett dovette accontentarsi del terzo posto dietro il tedesco Jürgen Straub (3′38,99″ contro 3′38,80″). Ovett si riservò comunque l'ultima parola della stagione, correndo i 1500 m a Coblenza in 3′31,36. Fu anche questa una corsa di alto valore agonistico, con i tedeschi Thomas Wessinghage (3′31,58″) e Harald Hudak (3′31,96″) ugualmente al di sotto del precedente record.
Le imprese più rilevanti del ventennio 1961-1980 in chiave italiana furono la vittoria di Arese nei 1500 m ai Campionati Europei del 1971 e il quinto posto di Vittorio Fontanella sulla stessa distanza ai Giochi Olimpici del 1980. Il primato italiano fu portato a 3′36,3″ da Arese in un appassionante duello con l'americano Marty Liquori (primo in 3′36,1″) a Milano nel 1971. Arese, atleta di eccellente tempra agonistica, fu capace di eccellere su un vasto arco di distanze, dagli 800 m (1′46,6″) ai 10.000 m (28′27,0″).
Gli 800 m. Coe toccò probabilmente l'apice della sua arte in una notte di giugno del 1981 a Firenze, quando corse gli 800 m in 1′41,73″. Coprì il primo giro nella scia di un keniota, Billy Konchellah, e nel secondo seppe tenere molto bene, anche se non sollecitato dagli inseguitori (il secondo finì in 1′47,42″). Le sue frazioni dei 200 m furono stimate in 24,4″, 25,3″, 25,3″ e 26,7″. In realtà il cronometraggio automatico non funzionò e il verdetto semiautomatico fu dato da due cellule fotoelettriche (1′41,724″ e 1′41,727″) e arrotondato in 1′41,73″, primato mondiale destinato a resistere per sedici anni.
Ai primi Campionati Mondiali (Helsinki 1983) vinse il tedesco Willi Wülbeck in 1′43,65″ e ai Giochi Olimpici di Los Angeles (1984) Coe, seppur presente, dovette cedere al brasiliano Joaquim Carvalho Cruz, il primo e finora unico grande talento del mezzofondo sudamericano. A quei Giochi Cruz assolse ben quattro turni nel giro di 73 ore, con questi tempi: 1′45,66″, 1′44,84″, 1′43,82″ e 1′43″. Nella gara decisiva Coe giunse secondo in 1′43,64″. Secondo anche ai Campionati Europei del 1982 dietro il tedesco Hans-Peter Ferner, Coe vinse in quelli del 1986 a Stoccarda in 1′44,50″.
Konchellah seppe trasformarsi da 'lepre' in protagonista di importanti gare, pur essendo angustiato da ricorrenti problemi di salute. Conquistò due titoli ai Campionati Mondiali ‒ nel 1987 a Roma (1′43,06″) e nel 1991 a Tokyo (1′43,99″) ‒ e finì terzo a quelli del 1993 a Stoccarda, nella scia del suo connazionale Paul Ruto (1′44,71″) e dell'italiano Giuseppe D'Urso. Dal Kenya ormai stava emergendo un numero sempre crescente di talenti, fra i quali i vincitori dei titoli olimpici del 1988 e del 1992. A Seul Paul Ereng (1′43,45″) ebbe ragione di Cruz (1′43,90″), mentre a Barcellona vinse William Tanui (1′43,66″).
Ai Giochi Olimpici del 1996 ad Atlanta emerse, quasi a sorpresa, il norvegese Vebjörn Rodal (1′42,58″), che seppe imporsi di misura sul sudafricano Hezekiel Sepeng e sul keniota Fred Onyancha. A far voltar di nuovo pagina arrivò poi Wilson Kipketer, di origine keniota, il cui nome affiorò per la prima volta in occasione dei Campionati Mondiali juniores del 1990, svoltisi a Plovdiv, in Bulgaria, dove arrivò quarto in 1′48,13″. Lì il giovane attirò l'attenzione di un allenatore danese, che lo portò nel suo paese, e in Danimarca Kipketer ha vissuto da allora in poi, ottenendo la cittadinanza nel 1997. Non poté partecipare ai Giochi Olimpici del 1996, ma collezionò tre titoli mondiali con il tempo di 1′45,08″ (nel 1995), 1′43,38″ (nel 1997) e 1′43,30″ (nel 1999). Il suo anno migliore fu il 1997 quando batté il primato di Coe. Cominciò con l'eguagliare il limite dell'inglese (1′41,73″) a Stoccolma superandolo in due occasioni, prima con 1′41,24″ a Zurigo e poi con 1′41,11″ a Colonia (con frazioni di 200 m in 23,8″, 25,5″, 25,3″ e 26,5″, quindi con una prima metà in 49,3″ e la seconda in 51,8″). Questi exploit erano stati quasi preannunciati all'inizio dell'anno ai Mondiali indoor di Parigi, dove Kipketer corse in 1′42,67″ sulla pista di 200 m. Ai Giochi di Sydney 2000 fu battuto dal tedesco Nils Schumann con il tempo di 1′45,14″ contro 1′45,08″. Nei primi anni del nuovo secolo nessun ottocentista ha avvicinato (fino a tutto il 2003) il record mondiale di Kipketer. I titoli più importanti sono andati allo svizzero André Bucher, primo in 1′43,70″ ai Mondiali del 2001 a Edmonton e all'algerino Djabir Said-Guerni, primo in 1′44,81″ a quelli del 2003 a Parigi.
L'Italia ebbe nei primi anni Novanta due specialisti di classe internazionale: il già ricordato D'Urso e Andrea Benvenuti, che nel 1994 a Helsinki si impose ai Campionati Europei in 1′46,12″. La carriera di quest'ultimo, apparentemente solidissimo nell'aspetto fisico, fu tuttavia decimata dagli infortuni. Dopo D'Urso e Benvenuti, un altro ottocentista di classe è stato Andrea Longo, che nel 2000 ha praticamente raggiunto, se non superato, con 1′43,74″ (tempo automatico) il limite nazionale di Fiasconaro, 1′43,7″ (tempo manuale). Longo ha anche corso la finale olimpica di Sydney, arrivando sesto con 1′45,66″, ma incorrendo in una squalifica per aver danneggiato un avversario. Nel 2001 Longo è incorso anche in una squalifica per doping. È tornato in lizza pochi giorni prima dei Mondiali di Parigi del 2003, nei quali ha saputo distinguersi arrivando quinto in 1′45,43″.
I 1500 m/miglio. Il binomio Coe-Ovett dominò la scena dei 1500 m/miglio anche nella prima metà degli anni Ottanta e a rinforzare la supremazia britannica contribuì poco dopo anche Steve Cram. Le principali varianti furono offerte da un americano di origine sudafricana, Sydney Maree, e, soprattutto, dal marocchino Said Aouita. Dopo i Giochi di Mosca, nel 1981 Coe e Ovett duellarono a distanza per il mondiale del miglio, migliorandolo a tre riprese: Coe 3′48,53″ a Zurigo, Ovett 3′48,40″ a Coblenza e Coe 3′47,33″ a Bruxelles, sempre in gare di alto livello agonistico. Ai Campionati Europei del 1982 ad Atene non partecipava nessuno dei due sui 1500 m e il titolo andò a Cram con 3′36,49″. L'anno seguente l'inseguimento ai record riprese con un buon affondo di Maree: 3′31,24″ sui 1500 m a Colonia. Ma pochi giorni dopo a Rieti l'ultima parola per quella stagione toccò a Ovett con 3′30,77″, che doveva rimanere il 'tetto' della sua carriera. Coe tornò in vetta, se non altro come campione olimpico, nel 1984 a Los Angeles, vincendo davanti a Cram con 3′32,53″ contro 3′33,40″. Ovett, angustiato da disturbi bronchiali, fu costretto al ritiro.
Nel 1985 Cram ebbe come acerrimo rivale Aouita, che aveva scoperto in pieno il suo talento dopo essersi trasferito in Europa, prima in Francia e poi in Italia. Il più importante duello si svolse a Nizza sui 1500 m e fu caratterizzato da un finale emozionante e ultraveloce, che fruttò il primo tempo inferiore ai 3′30″ della storia. Cram, noto per il suo coraggio, passò all'attacco a un giro dalla fine e accumulò un buon vantaggio. Aouita seppe rinvenire stupendamente, colmò il distacco ma non del tutto. Cram vinse di un'inezia, 3′29,67″ contro 3′29,71″. Il marocchino fu il più veloce negli ultimi 300 m, 39,6″ contro 40,0″, e negli ultimi 100 m, 13,0″ contro 13,5″. Cram fornì la nota più alta della stagione anche sul miglio, correndolo in 3′46,32″ a Oslo. Aouita si prese una rivincita, sia pure indiretta, sul finire della stagione a Berlino, correndo i 1500 m in 3′29,46″, nuovo record mondiale. Ancora stupendo il suo finale: 1′50,0″ negli ultimi 800 m. Maree finì secondo a distanza (3′32,90″).
Said Aouita espresse il suo talento su una vastissima gamma di distanze, conquistando il primato mondiale sui 1500 m (3′29,46″, 1985), sui 2000 m (4′50,81″, 1987), sui 3000 m (7′29,45″, 1989), sulle 2 miglia (8′13,45″, 1987), sui 5000 m (12′58,39″, 1987). Nel mezzofondo e nel fondo, dagli 800 ai 10.000 m, collezionò un'incredibile serie di 44 vittorie consecutive nell'arco di due anni (luglio 1985-settembre 1987). Ai Giochi Olimpici del 1988 a Seul decise di giocare le sue carte sugli 800 m (arrivando terzo) e così la medaglia d'oro dei 1500 m andò a un altro africano, Peter Rono (Kenya), con 3′35,96″.
Negli anni Novanta l'Africa oscurò nettamente l'Europa ed ebbe come punte di diamante l'algerino Noureddine Morceli e il marocchino Hicham El Guerrouj, che riscrissero l'albo dei primati sui 1500 m e sul miglio. All'Europa toccò un solo sprazzo di gloria, grazie allo spagnolo Fermín Cacho, che ai Giochi Olimpici del 1992 a Barcellona mandò in visibilio i suoi fan vincendo i 1500 m con una bella volata (3′40,12″).
Morceli, che era allenato da suo fratello maggiore, Abderrahmane, anche lui buon mezzofondista, nel periodo dal 1990 al 1996 fu l'indiscusso numero 1 al mondo nei 1500 m/miglio. In questo arco di tempo vinse tre volte ai Campionati Mondiali (1991, 1993 e 1995) e una volta ai Giochi Olimpici (1996), superando agevolmente i suoi rivali grazie allo sprint finale. Mancò l'obiettivo solo ai Giochi Olimpici del 1992 a Barcellona, ai quali arrivò non adeguatamente preparato a causa di un infortunio e giunse settimo nella già ricordata gara vinta dallo spagnolo Cacho. Ma prima della fine di quell'anno rientrò in forma quanto bastava per conquistare al meeting di Rieti il mondiale della distanza con 3′28,86″. In seguito l'algerino mise a segno altri due primati del mondo: nel 1993, ancora a Rieti, corse il miglio in 3′44,39″, staccando il più vicino avversario di oltre 11 secondi (i 'quarti' furono stimati in 54,9″, 57,7″, 57,3″ e 54,5″). è vero che nel frattempo, con il progressivo aumento di incentivi monetari connesso ai principali meeting, era divenuto sempre più frequente il coinvolgimento di 'lepri'. A Rieti l'algerino ne ebbe due, che condussero fino a un giro dalla fine. Con un modulo simile nel 1995, a Nizza, Morceli corresse ancora il mondiale dei 1500 m, portandolo a 3′27,37″ (con frazioni di 400 m in 55,0″, 56,3″, 55,7″ e ultimi 300 m in 40,4″). Il raggio dei suoi mondiali coprì anche i 2000 m (4′47,88″ nel 1995) e i 3000 m (7′25,11″ nel 1994). Seppe correre anche gli 800 in 1′44,79″ e i 5000 in 13′03,85″.
Il tramonto di Morceli coincise con l'arrivo di una nuova stella, El Guerrouj. Nella finale olimpica di Atlanta 1996 El Guerrouj fu tagliato fuori da una caduta conseguente a un urto fortuito con Morceli, terminando dodicesimo. Poche settimane dopo, nella finale del Grand Prix a Milano, pose fine alla lunga catena di successi di Morceli protrattasi per quattro anni, superandolo allo sprint (3′38,80″ contro 3′39,69″). Al pari del suo predecessore, El Guerrouj era capace di sostenere qualsiasi ritmo e di mostrarsi il più forte in qualsiasi finale. Prima della fine del secolo vinse due volte (1997 e 1999) il titolo di campione mondiale. Nella seconda di queste occasioni, a Siviglia, vi riuscì in 3′27,65″, il tempo più veloce mai registrato in manifestazioni di tale calibro. Fu spinto a tanto dalla forte opposizione di un keniota, Noah Ngeny, secondo in 3′28,73″. Ai Giochi Olimpici del 2000 a Sydney il marocchino incorse in una delle sue rarissime sconfitte infertagli proprio da Ngeny, 3′32,32″ contro 3′32,07″. A quel punto, però, aveva già conquistato i primati mondiali dei 1500 m e del miglio, succedendo a Morceli. Ambedue le volte accadde sulla pista dello Stadio Olimpico di Roma. Nel 1998 corse i 1500 m in 3′26″, a conclusione di una fantastica gara nella quale ebbe 'lepri' di lusso come i kenioti Robert Kibet e Ngeny. Passò in testa nella penultima curva e chiuse brillantemente (frazioni di 400 m in 54,3″, 56,6″ e 55,4″ e ultimi 300 m in 39,7″). Il record del miglio, un anno dopo sulla stessa pista, scaturì invece da una gara altamente competitiva fra El Guerrouj e Ngeny, che ebbero come 'lepri' Kibet e William Tanui, campione olimpico degli 800 m nel 1992, e chiusero rispettivamente in 3′43,13″ e 3′43,40″.
El Guerrouj ha dominato il campo dei 1500 m/miglio anche all'inizio del nuovo millennio. Ai Campionati Mondiali del 2001 a Edmonton ha battuto allo sprint il keniota Bernard Lagat, 3′30,68″ contro 3′31,10″. Nella stessa stagione, a Bruxelles, ha sfiorato il suo record mondiale con 3′26,12″, in un altro acceso duello con Lagat (3′26,34″). Anche nel 2002 Lagat è stato il suo eterno secondo in una ricca serie di confronti diretti. L'Africa continua pertanto a dominare in questo settore. Il Kenya è la nazione leader: nel 2002 aveva 16 atleti fra i primi 50 della lista mondiale dei 1500 m, come dire il 32%. Il migliore europeo è probabilmente il francese Mehdi Baala, primo sui 1500 m nella rassegna continentale del 2002 a Monaco e dotato di un'ottima velocità di base (1′43,15″ sugli 800 m). Il lungo regno di El Guerrouj ha raggiunto il settimo anno nel 2003, quando il marocchino ha vinto per la terza volta il titolo mondiale dei 1500, trionfando a Parigi su Baala, 3′31,77″ contro 3′32,31″. Pochi giorni dopo, nel meeting di Bruxelles, fruendo di adeguate 'lepri', i due sono finiti nello stesso ordine con 3′28,40″ e 3′28,98″.
Nel corso degli anni Ottanta il primato italiano di Arese per i 1500 m fu migliorato nell'ordine da Vittorio Fontanella (3′35,93″), Riccardo Materazzi (3′35,79″) e Stefano Mei (3′34,57″). Poi venne il turno di Gennaro Di Napoli, che toccò l'apice della sua carriera nel 1990 a Rieti con 3′32,78″. In seguito Di Napoli, pur attraverso una lunga e onorata carriera, non seppe dar seguito alle speranze suscitate in quella stagione, fra l'altro con un secondo posto ai Campionati Europei, anche se vinse due volte i 3000 m ai Campionati Mondiali indoor (1993 e 1995). Nei primi anni del Duemila il suo primato nazionale, appunto di 3′32,78″, non è stato avvicinato da nessuno dei 'nuovi'.
L'atletica femminile è partita con notevole ritardo rispetto a quella maschile e il divario storico appare ancora più grande se si fa riferimento alle corse di mezzofondo, perché il pregiudizio che la donna non fosse in grado di sfidare la distanza si è rivelato particolarmente duro a morire.
In quella che è comunemente considerata la prima riunione femminile dell'epoca moderna, il Field Day del 1895 al Vassar College nello Stato di New York, la più lunga distanza in programma era di appena 220 yards. Il merito di aver invertito la tendenza va alla francese Alice Milliat, fondatrice della FSFI (Fédération sportive féminine internationale), sotto la cui egida si tennero, nel 1922 a Parigi, i primi Giochi Mondiali femminili, con concorrenti di sei nazioni. Erano in programma undici specialità e la corsa più lunga, sulla distanza di 1000 m, dette origine a un'accesa battaglia tra due francesi, Lucie Bréard e Georgette Lenoir con i tempi, rispettivamente, di 3′12″ e 3′12″1/5; Lenoir passò prima agli 800 m nel tempo di 2′30″2/5. La più forte era comunque un'inglese, Mary Lines, che a quei Giochi gareggiò in diverse altre specialità. Dieci giorni dopo, a Londra, Lines corse le 880 yards in 2′26″3/5.
I Giochi Mondiali ebbero altre tre edizioni, a scadenze quadriennali, e nelle ultime due la distanza più lunga fu ridotta da 1000 a 800 m. Madame Milliat e le sue colleghe riuscirono finalmente a far includere gare femminili nei Giochi Olimpici del 1928 ad Amsterdam, ma si trattò di un'apertura non proprio generosa, con cinque sole gare in programma. Fra queste figuravano anche gli 800 m, con batterie e finale in giornate consecutive. Probabilmente la maggior parte delle concorrenti non era pronta per un impegno così severo. La più brava fu Lina Batschauer, una tedesca di 25 anni, che in compagnia del marito si era allenata nel cross country in inverno e sulla spiaggia di Zandvoort in estate. Vinse in 2′16″4/5, il miglior tempo di sempre fino a quel momento, davanti alla giapponese Kinue Hitomi (2′17″3/5), atleta molto versatile che fu fra l'altro la prima a superare i 6 m nel salto in lungo. Alcune concorrenti terminarono in condizioni precarie e la IAAF decise di bandire questa distanza dalle seguenti edizioni dei Giochi. Gli 800 m riappariranno solo 32 anni dopo, ai Giochi di Roma del 1960.
La FSFI, che confluì nella IAAF nel 1936, conservò gli 800 m nel programma dei Giochi Mondiali fino all'ultima edizione che si disputò nel 1934 a Londra. La corsa fu vinta nel tempo record di 2′12″4/5 dalla cecoslovacca Zdenka Koubková. Un anno dopo venne dalla stessa Cecoslovacchia la notizia che questa atleta, a seguito di un'operazione a cui si era sottoposta nel frattempo, era da considerare come un soggetto dell'altro sesso e le fu quindi tolto il primato.
Negli anni Trenta le migliori mezzofondiste appartenevano all'URSS, Stato che all'epoca viveva fuori dalla sfera di influenza del CIO e quindi non partecipava ai Giochi Olimpici. Alla fine del 1940 il miglior tempo mondiale per gli 800 m era 2′15,3″, realizzato da due russe, Yevdokiya Vasilyeva (1938) e Kseniya Shilo (1940). In quel periodo anche l'Italia ebbe eccellenti ottocentiste di medio livello internazionale, come Leandrina Bulzacchi (2′25,2″ nel 1936), Cleofe Balbo (2′25″ nel 1938) e Livia Galimberti (2′24″ nel 1940).
Anche nell'immediato dopoguerra le migliori mezzofondiste vennero dall'URSS: Nina Otkalenko (nata Pletnyeva), moglie di un giornalista sportivo, piccola, leggera, ma molto resistente, fu la figura dominante degli anni Cinquanta sui due giri di pista, che corse per prima in meno di 2′10″, fino a giungere a 2′05″ nel 1955 a Zagabria. Fu ovviamente penalizzata dal fatto che gli 800 m furono reinseriti nel programma dei Giochi Olimpici solo quando aveva già 32 anni. Nei Campionati Europei la distanza fu accolta già nel 1954 e Otkalenko poté fregiarsi almeno di quel titolo, vincendo davanti all'inglese Diane Leather, 2′08,8″ contro 2′09,8″.
Ormai era decisamente in crescita il numero delle atlete che non temevano la distanza e la ripresa olimpica degli 800 m, nel 1960 a Roma, destò non poco interesse. Nel luglio di quell'anno, a Mosca, Lyudmila Lisenko Shevtsova portò il mondiale a 2′04,3″, a conclusione di un bel duello con Shin Geum Dan della Corea del Nord, che chiuse in 2′04,5″. Quest'ultima non poté partecipare ai Giochi di Roma, perché il suo paese non era ancora affiliato al CIO. La ventiduenne Lisenko-Shevtsova trovò ugualmente una degna avversaria nell'australiana Brenda Jones, che le contese la vittoria fino all'ultimo metro. La russa eguagliò il suo record, 2′04,3″, mentre Jones arrivò seconda in 2′04,4″.
Shin Geum Dan, un'atleta di media taglia (1,73 m per 62 kg), rivelò ben presto grandi potenzialità sull'asse 400/800 m. A 21 anni fu capace di coprire le due distanze in 54,4″ e 2′09,7″. Continuò a progredire rapidamente, pur vivendo in una delle nazioni meno aperte al resto del mondo e rimanendo perciò esclusa dal circuito delle gare internazionali, facendo solo rare apparizioni nell'ambito del blocco comunista dell'Europa Orientale. Nel 1963, a Giacarta, nei Ganefo Games (rassegna non riconosciuta dalla IAAF), superò per prima la barriera dei 2′ negli 800 m, correndo in 1′59,1″. Nel 1964, a Pyongyang, corse i 400 m in 51,2″ e gli 800 m in 1′58,0″, mondiali non riconosciuti dalla IAAF. In tutte queste gare vinse staccando le più vicine avversarie di parecchi secondi. Uno solo dei suoi otto mondiali (51,9″ per i 400 m nel 1962 a Pyongyang) fu accolto nell'albo dell'IAAF.
A tutto il 1970 nessun'altra donna era riuscita a superare la barriera dei 2′ negli 800 m. A quel punto il mondiale ufficiale era della iugoslava Vera Nikolic con 2′00,5″, ottenuto a Londra nel 1968 con una buona ripartizione dello sforzo (frazioni per 200 m: 28,9″, 31,6″, 30,1″ e 29,9″). Ma ai Giochi Olimpici dello stesso anno a Città del Messico, forse per effetto dell'altitudine, la Nikolic abbandonò prima di metà corsa e la vittoria andò all'americana Madeline Manning, prima mezzofondista di colore di valore mondiale, in 2′00,9″.
Nel frattempo c'era un numero crescente di atlete pronte a spingersi ben oltre nella sfida alla distanza. Fra queste ebbe un posto importante un'italiana, Paola Pigni, che aveva iniziato come velocista. Molto coscienziosa nella preparazione oltre che nello studio di tutti i problemi connessi con l'atletica, fu una delle prime a iscrivere il proprio nome nell'albo del mondiale dei 1500 m con 4′12,4″ a Milano, nel 1969. Più tardi nello stesso anno, ad Atene, fu tra le protagoniste della prima gara dei Campionati Europei su questa distanza. Pur migliorando il suo record con 4′12″, dovette accontentarsi del terzo posto dietro la cecoslovacca Jaroslava Jehlicková (4′10,7″) e l'olandese Maria Gommers (4′11,9″).
Nel 1971, vale a dire otto anni dopo l'exploit di Shin Geum Dan, riuscì a superare la barriera dei 2′ negli 800 m la tedesca Hildegard Falck, il cui tempo (1′58,5″ a Stoccarda) fu accolto ufficialmente nell'albo della IAAF. L'anno seguente, ai Giochi di Monaco, riuscì anche a vincere il titolo olimpico in 1′58,6″. Ma per avere un tempo migliore di quello della coreana Shin Geum Dan (1′58,0″) si dovette attendere fino al 1973, quando la bulgara Svetla Zlateva ai Giochi Balcanici di Atene corse la distanza, in 1′57,5″, dopo aver rischiato di bruciarsi con un primo giro troppo veloce (56,5″).
Toccò a una russa, Tatyana Kazankina, il compito di aprire nuove frontiere in tema di 'resistenza alla velocità'. Questa atleta apparentemente fragile (1,61 m per 48 kg) ai Giochi Olimpici del 1976 a Montreal vinse prima gli 800 m a tempo di record, 1′54,94″, e poi i 1500 m in 4′05,48″. Quattro anni dopo, ai Giochi Olimpici di Mosca, fu il turno di un'altra russa, Nadyezhda Olizarenko, che vinse sui due giri in 1′53,43″ (frazioni di 400 in 56,2″ e 57,3″), mentre Kazankina difendeva con successo il suo titolo nei 1500 m.
Nei primi anni Ottanta si affermò Jarmila Kratochvilová, una solidissima cecoslovacca (1,70 m per 64 kg) che nell'estate del 1983 a Monaco di Baviera portò il mondiale degli 800 m a 1′53,28″, a conclusione di un 'assolo', con frazioni di 400 m in 56,1″ e 57,2″, staccando la più vicina avversaria di oltre 8″. Di cosa fosse capace questa atleta, già trentaduenne, lo si capì ancor meglio meno di un mese dopo, nell'edizione inaugurale dei Campionati Mondiali a Helsinki, quando nell'arco di tre giornate affrontò (fra batterie e finali) ben sette gare, vincendo prima gli 800 m in 1′54,68″ e poi, a distanza di un giorno, i 400 m in 47,99″, nuovo primato mondiale. A gare finite, la stessa Kratochvilová ammise di essersi sottoposta a una 'crudele fatica' e spiegò anche di dovere la sua forza straordinaria ad anni di duro allenamento, che comprendeva abbondanti 'razioni' di sollevamento pesi. Il suo mondiale negli 800 m (1′53,28″) non è stato ancora superato, nonostante l'impegno di mezzofondiste di lunga e gloriosa carriera come la cubana Ana Fidelia Quirot e la mozambicana Maria Lurdes Mutola, che hanno dominato il campo per parecchi anni. La prima ebbe tempi di 1′54,44″ nel 1989 e 1′54,82″ otto anni dopo. Nell'intervallo era stata coinvolta in un serio incidente domestico nel quale aveva riportato ustioni in un terzo del corpo e che l'aveva costretta a interrompere una gravidanza di sette mesi. Mutola, da parte sua, non riuscì a far meglio di 1′55,19″ (1994). In ogni caso, queste atlete hanno collezionato titoli importanti: Quirot nei Mondiali del 1995 e del 1997, Mutola ai Giochi Olimpici (2000) e ai Mondiali (1993, 2001 e 2003).
In Italia Paola Pigni fece avanzare a più riprese il primato italiano degli 800 m, fino ad arrivare a 2′01,98″ nel 1975. A lei è succeduta la veneta Gabriella Dorio, prima italiana a scendere sotto i 2′: 1′57,66″ a Pisa nel 1980. Sugli 800 m si sono avute altre due atlete a 'meno 2′, Fabia Trabaldo (1′59,51″ nel 1992) e Patrizia Spuri (1′59,96″ nel 1998).
I 1500 m femminili apparvero per la prima volta nel programma olimpico ai Giochi del 1972 a Monaco. Questa 'inaugurazione' fu onorata da tre mondiali uno dietro l'altro, tutti per opera della ventinovenne russa Lyudmila Bragina: 4′06,47″ in batteria, 4′05,07″ in semifinale e 4′01,38″ in finale, sia pure in giornate non consecutive. Lo stesso fece Paola Pigni con il primato italiano, in 4′09,53″, 4′07,83″ e 4′02,85″, ma il suo tempo in finale le valse solo il terzo posto, a pochissima distanza dalla tedesca Gunhild Hoffmeister, seconda in 4′02,83″.
La già ricordata Tatyana Kazankina seppe scavare un solco ancora più profondo nei 1500 m. Frantumò una prima volta il mondiale della sua connazionale Bragina nel 1976 con 3′56″ e quattro anni dopo giunse a 3′55″. Prima della fine del 1980 mise per così dire il record fuori dalla portata di ogni avversaria, correndo in 3′52,47″ a Zurigo.
Dovettero trascorrere 13 anni prima che un'altra atleta osasse sfidare il record di Kazankina (la cui gloriosa carriera si era chiusa nel 1984, con una sospensione di 18 mesi inflittale dalla IAAF per essersi rifiutata di sottostare a un esame antidoping). È accaduto nel 1993 a opera di un gruppo di atlete cinesi. Nella provincia di Liaoning, nel nord della Cina, operava da diversi anni l'allenatore Ma Junren, che era solito sottoporre le sue allieve a un severissimo regime di preparazione atletica, o piuttosto di vita, dal momento che le atlete vi passavano diversi mesi l'anno, lontane dalle loro famiglie. I frutti di questo 'superlavoro' cominciarono ad affiorare all'inizio di quell'anno e apparvero evidenti agli occhi di tutti ai Campionati Mondiali di Stoccarda in agosto. Qui le due più forti allieve di Ma, Qu Yunxia e Wang Junxia, si cimentarono con successo su distanze superiori, lasciando alla loro connazionale Liu Dong il compito di vincere i 1500 m (4′00,5″). A Stoccarda la cosiddetta 'Armata di Ma' si accontentò di conquistare agevolmente i titoli in palio e nessuna apparve in più di una specialità. La vera esplosione venne un mese dopo, ai National Games di Pechino, dove Qu, Wang e le altre atlete furono chiamate a cimentarsi in un gran numero di gare. La finale dei 1500 m offrì tempi sorprendenti. Liu Dong, fresca campionessa del mondo, si vide assegnare il ruolo di 'lepre'. Fece quindi il 'treno' per più di metà gara, passando gli 800 m in 2′00,7″ prima di lasciare il campo alle favorite. A conclusione di una lotta serrata vinse Qu Yunxia, che non aveva ancora compiuto 21 anni, in 3′50,46″ davanti a Wang Junxia in 3′51,92″. Entrambe superarono quindi il mondiale di Kazankina. Una diciassettenne, Wang Yuan, giunse settima in 3′59,81″, nuovo primato mondiale juniores. Nel 1992 Qu Yunxia si era già messa in evidenza con un terzo posto nei 1500 m ai Giochi Olimpici di Barcellona, in una gara vinta dall'algerina Hassiba Boulmerka (3′55,30″).
Nel 1997 la primatista Qu Yunxia, che dopo il 1993 non era più scesa sotto i 4′, ebbe un parziale risveglio in occasione dei National Games, stavolta a Shanghai. In batteria corse i 1500 m in 3′55,38″, ma in finale naufragò (ottava in 3′57,83″) in una gara vinta dalla ventenne Jiang Bo, anche lei allieva di Ma Junren, in 3′50,98″ davanti alla diciottenne Lang Yinglai con 3′51,34″. Sono questi, a tutt'oggi, il secondo e terzo miglior tempo di sempre.
Il miglior tempo sin qui ottenuto nei 1500 m in un campionato globale (olimpico o mondiale) resta il 3′53,96″ della romena Paula Ivan ai Giochi del 1988 a Seul. In anni più recenti si sono distinte, sempre sui 1500 m, l'algerina Hassiba Boulmerka, campionessa olimpica nel 1992 a Barcellona e campionessa mondiale nel 1995 a Göteborg; e la russa Svyetlana Masterkova, autrice di una bella doppietta 800/1500 m ai Giochi Olimpici del 1996 ad Atlanta (1′57,73″ e 4′00,83″).
I primi tre anni del nuovo secolo hanno confermato che il mezzofondo femminile si trova in una situazione di stallo. Sui 1500 m i risultati migliori sono venuti dalle romene Violeta Szekely e Gabriela Szábo. Quest'ultima si è concentrata forse più di ogni altra sul circuito del Grand Prix, ricavandone ingenti guadagni pecuniari. Però i mondiali di Kratochvilova sugli 800 m e di Qu Yunxia sui 1500 m continuano ad apparire un miraggio. La novità più interessante è venuta da Süreyya Ayhan, una ventiquattrenne turca che ha vinto i 1500 m in 3′58,79″ ai Campionati Europei del 2002 a Monaco, precedendo di pochissimo Szábo. Al di là di tutto, suscita grande stupore il silenzio verso cui è scivolata la Cina (i migliori tempi del 2002 sono 2′03,92″ sugli 800 m e 4′14,74″ sui 1500 m). Nel 2003 Ayhan ha fatto ulteriori progressi, giungendo a 3′55,33″, ma è stata sorprendentemente battuta ai Mondiali di Parigi dalla russa Tatyana Tomashova, 3′59,04″ contro 3′58,52″.
Anche sui 1500 m i risultati migliori in Italia sono venuti da Paola Pigni e Gabriella Dorio. Come abbiamo visto, la prima seppe far coincidere il miglior primato della sua carriera (4′02,85″) con i Giochi Olimpici del 1972 a Monaco. Dorio, dopo un sesto posto ai Campionati Europei del 1978 e un quarto ai Giochi Olimpici del 1980 a Mosca con 4′00,30″, seppe centrare il massimo obiettivo nel 1984 a Los Angeles, vincendo l'oro olimpico in 4′03,25″ davanti alle romene Doina Melinte e Maricica Puica. Anche se è doveroso aggiungere che in quest'ultima occasione il suo compito fu agevolato dall'assenza delle temibili specialiste russe. Dorio portò il primato italiano a 3′58,65″ (1982), un limite che in anni recenti nessuna italiana ha saputo avvicinare.
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