Atmosfera terrestre
Relativamente allo sviluppo delle conoscenze sull'a. t., la circostanza che ha causato un decisivo progresso a partire dai primi anni Sessanta del 20° sec. è stata l'utilizzazione di strumenti di misurazione aeronomica a bordo dei veicoli via via realizzati per l'esplorazione dello spazio circumterrestre, cioè l'utilizzazione delle risorse operative offerte per le ricerche sull'a. t. dalla cosiddetta navigazione spaziale. Ciò ha portato sia a un grande miglioramento della qualità delle misure ottenute e delle conoscenze nel complesso acquisite sia, soprattutto, a un'espansione, prima inimmaginabile, del campo di osservazione dai circa 15 km di quota prima raggiungibili con palloni sonda e razzi dalla superficie terrestre sino a qualche decina di migliaia di km e anche oltre, ossia in pratica sino ai confini estremi dell'a. t., laddove non v'è più una decisa azione di controllo sulle molecole dei gas presenti da parte dei campi di forza terrestri (gravitazionale, elettrico, magnetico, radiativo) e l'a. t., perdendo la sua connotazione terrestre, sfuma nel sottile plasma che riempie lo spazio circumterrestre. Ricordiamo che la forma dell'a. t., accertata con misurazioni spaziali, è uguale a quella di una sorta di cilindroide allungato, a guisa di cometa, con l'asse secondo la congiungente Terra-Sole, una testa, cioè la parte rivolta verso il Sole, spessa circa 10 raggi terrestri (≈64.000 km) e una lunghissima coda di circa 200.000 raggi terrestri (≈1,3 milioni di km) nella direzione opposta.
Il quadro delle conoscenze di base, riguardanti, oltre le dimensioni del corpo atmosferico, la distribuzione con la quota di varie grandezze e caratteristiche fisico-chimiche (la temperatura assoluta, la natura e la densità delle varie specie di molecole sia neutre sia ionizzate dei gas e vapori atmosferici, la dinamica dei gas atmosferici, i valori locali dell'indice di rifrazione ottico ed elettromagnetico, e via dicendo) non è sostanzialmente mutato rispetto a quello descritto nei primi anni Novanta del 20° secolo. In questo quadro di sensibile stabilità delle nozioni acquisite vi sono peraltro alcuni aspetti che, senza avere un carattere di decisa novità, meritano tuttavia di essere ricordati per i loro sviluppi e per le prospettive da essi aperte per il futuro delle ricerche aeronomiche.
In primo luogo, nell'ambito delle discipline particolari va segnalato il progresso avutosi nella meteorologia e nella climatologia, ancora in corso specialmente per ciò che concerne lo studio della dinamica su grande scala delle masse atmosferiche, in particolare lo studio dei meccanismi della possibile formazione di enormi correnti e vortici a latitudini tropicali, e, alla scala locale, le tecniche di previsione degli eventi.
In termini generali, devono essere segnalati in modo speciale: a) la forte attenzione portata alla presenza nell'a. t., specialmente alle basse quote, di sostanze che ne alterano le proprietà fisico-chimiche e, in particolare, possono provocare danni agli esseri viventi, ciò che è chiamato inquinamento atmosferico; b) ancora nell'ambito biologico, la scoperta dell'impoverimento dello strato di ozono presente nell'a. t. alle latitudini polari all'incirca tra 10 e 40 km di quota, propriamente chiamato deplezione dell'ozono atmosferico (espressivamente, si parla della formazione di un 'buco dell'ozono'), che, in virtù del diminuito assorbimento da parte dell'ozono medesimo, fa aumentare al suolo l'intensità della radiazione ultravioletta solare, dai forti effetti biologici, alterando così localmente l'ambiente biologico rispetto a quello avutosi nei lunghissimi tempi da quando si è sviluppata la vita sulla Terra.
L'antropizzazione nelle scienze dell'atmosfera
I due fenomeni atmosferici di interesse biologico ora ricordati possono essere visti come riflessi sull'aeronomia - intesa come insieme delle scienze dell'atmosfera - di quell'importante mutamento di prospettiva nelle scienze della Terra che ha preso il nome di antropizzazione. In breve, si tratta del fatto che si è deciso di dare la dovuta importanza - modificando conseguentemente, se del caso, anche gli obiettivi e i metodi delle ricerche scientifiche - a una particolare condizione: l'ambiente in cui si svolgono gli eventi terrestri, compresi quelli atmosferici, non è un generico ed emozionalmente neutro ambiente fisico-chimico ma è parte dell'ambiente in cui si sono sviluppati e vivono l'uomo, in primo luogo, e, in secondo ma non irrilevante luogo, tutti gli altri organismi viventi della natura. Alle tradizionali grandezze descrittive dell'a. t. in termini fisico-chimici si è così aggiunta una caratteristica nuova, la bioqualità, mirante all'individuazione e, ove occorresse, al controllo di quelle tra le dette grandezze la cui evoluzione spazio-temporale determinasse, per un verso o per l'altro, pericolosi scostamenti dalle condizioni che hanno assicurato e tuttora assicurano il buon mantenimento e il corretto sviluppo della vita organica sulla Terra. Questo nuovo modo di vedere le cose, correntemente denominato antropizzazione delle nozioni, è apparso chiaramente all'incirca nei tardi anni Settanta del 20° sec. e ha riguardato, anche se non con uguale intensità, l'intero campo delle scienze della Terra.
Al suo primo apparire tale antropizzazione è stata sostanzialmente ristretta, anche se in modo non sempre esplicito, alla bioqualità dell'aria respirabile: l'a. t. era intesa come l'insieme dell'aria respirabile che avvolgeva la superficie terrestre e i suoi limiti erano posti alle quote sul livello medio marino dove l'esperienza mostrava che la respirazione umana diventava difficoltosa e poi impossibile.
Con più definita prospettiva, l'antropizzazione atmosferica moderna è derivata dalla necessità di studiare nonchè di combattere il degradamento biologico dell'aria respirabile avutosi con l'avvento della tecnicizzazione - in particolare, della motorizzazione introdottasi in varie attività umane - sul finire del 19° sec., specialmente nell'ambiente dei grandi agglomerati urbani e degli impianti industriali, dove la bioqualità dell'aria è stata ed è significativamente ridotta a causa della presenza di varie sostanze e particelle inquinanti; è nata così la relativa problematica dell'inquinamento atmosferico (si parla anche di inquinamento ambientale), qualificandolo, in una prima schematizzazione, come chimico oppure come fisico in relazione alla natura e agli effetti dei fattori inquinanti.
In aggiunta, si sono poi prese in considerazione situazioni di degradamento non soltanto della bioqualità atmosferica ma anche delle normali situazioni fisico-chimiche che hanno natura del tutto differente e che potremmo chiamare alterazioni atmosferiche o ambientali, cioè non soltanto bioalterazioni; per es., studi sulle ampie deforestazioni improvvidamente praticate in certe regioni dell'Africa o dell'America Meridionale hanno dimostrato che ciò ha provocato e sta provocando profondi e negativi mutamenti del clima, non soltanto su scala locale ma anche su grande scala della dinamica generale della bassa-media atmosfera. Qui, ci si limiterà a qualche considerazione sulle conoscenze raggiunte relativamente all'inquinamento atmosferico vero e proprio, sia perché appare più urgente e d'importanza primaria rispetto alle ricordate alterazioni sia perché per esso, a differenza di queste ultime, sono immaginabili contromisure che risultano attuabili in tempi relativamente brevi.
L'inquinamento chimico-fisico dell'atmosfera
L'inquinamento atmosferico considerato più importante è quello, di natura chimica e fisica, dovuto alla disseminazione nella bassa atmosfera di gas, fumi e polveri irrespirabili variamente derivanti da attività umane.
Su scala planetaria, la causa più inquietante di inquinamento chimico è senza dubbio la combustione di grandi quantità di combustibili liquidi e gassosi (petrolio, metano ecc.), come nei motori a combustione interna di veicoli (a benzina o a gasolio), di vari impianti industriali e di impianti di riscaldamento urbani, nonché di combustibili solidi, con in testa il carbone, come in locomotive ferroviarie e in impianti industriali di riscaldamento urbani (in genere di non recente realizzazione); queste combustioni - alle quali possono aggiungersi quelle, casuali o provocate, di grandi incendi sulla superficie, per es. di foreste - liberano nella bassa atmosfera grandi quantità di anidride carbonica, la quale, diffondendosi, fa aumentare l'assorbimento locale dell'energia termica solare; l'energia assorbita, restando in gran parte in loco a causa della bassa conducibilità termica ambientale, determina un aumento della temperatura dell'aria, avendosi nel complesso un processo termico analogo a quello che provoca l'aumento di temperatura dell'aria nelle serre per la coltivazione sotto vetro di certi vegetali: così, si parla di effetto serra atmosferico.
Vale la pena di rilevare che per questo effetto serra si può parlare anche di inquinamento fisico, e precisamente di inquinamento termico, in quanto esso consiste, in definitiva, nella modificazione dello stato termico naturale dell'aria. Si tratta di un fenomeno che è seguito con la massima attenzione, in quanto capace di provocare grandi e pericolose deviazioni ambientali verso climi ad alta temperatura: per es., una conseguenza particolarmente temuta è lo scioglimento di parte e, alla lunga, della totalità dei ghiacci polari, con un terribilmente dannoso innalzamento del livello medio marino e una profonda modificazione generale dei profili costieri e dei climi sulla Terra.
L'inquinamento da combustione risulta di primaria importanza anche su scala locale, con ciò riferendoci alle grandi quantità di calore contenute nei fluidi scaricati nell'a. t. in vari processi industriali (si pensi alle torri di raffreddamento delle centrali termoelettriche e, in altro campo, ai caldi fumi di scarico dei motori a combustione interna per autotrazione nominati dianzi), nonché, ma su una scala assai minore, trasferitesi nell'a. t., per normale conduzione termica o irraggiamento termico, da edifici dotati di impianti di riscaldamento o, genericamente, da strutture industriali in cui si svolgano procedimenti che in qualche modo generano calore nell'atmosfera.
Negli insediamenti urbani e industriali di grandi dimensioni un importante aspetto fenomenologico dei processi di combustione non è soltanto la detta conseguente variazione delle caratteristiche termiche dell'a. t., ma anche la produzione nell'aria sia di cosiddetti gas secondari della combustione (centinaia di composti derivanti da complesse reazioni chimiche e fotochimiche, i principali tra i quali sono l'anidride solforosa e vari ossidi di azoto) sia di particelle materiali, dette genericamente polveri; a quest'ultimo riguardo, accanto a particelle derivanti da combustione (propriamente dette ceneri), vanno considerate anche quelle derivanti da processi particolari, quali, per es., negli ambienti urbani particelle derivanti dall'usura di pneumatici degli autoveicoli e in ambienti industriali particelle derivanti da lavorazioni di materiali metallici e, con particolare nocività, dall'usura di materiali contenenti amianto. Le polveri possono associarsi con molecole di acqua dell'umidità atmosferica, formandosi così una sorta di nebbia capace di provocare, se inspirata, vari disturbi polmonari, anche gravi; questo sgradevole fenomeno fu osservato per la prima volta a Londra nell'inverno 1952 e per esso fu coniato il termine inglese smog, entrato poi nell'uso internazionale. Nel particolato atmosferico può diventare alto e nocivo il contenuto di solfati, derivanti dalla trasformazione del biossido di zolfo (SO2) in triossido di zolfo (SO3) per via catalitica favorita dall'umidità atmosferica, con la finale produzione di acido solforico; un processo analogo, con la produzione di acido nitrico, si ha a partire da ossidi di azoto che pure possono formarsi in quantità; in condizioni di grande umidità atmosferica, questi possono dare luogo a piogge acide, che hanno disastrose conseguenze per la vegetazione e, nelle città, possono provocare dannose erosioni degli edifici e, in particolare, di monumenti antichi. Un altro tipo di inquinamento chimico locale in ambienti urbani, peraltro di minore importanza rispetto a quello dei tipi precedentemente ricordati, è lo smog fotochimico, che si verifica in zone con alta densità di traffico automobilistico quando si hanno, contemporaneamente, condizioni di venti locali molto deboli o nulli con alta pressione atmosferica, intensa insolazione e alta temperatura: a partire dagli idrocarburi e dagli ossidi di azoto presenti nei gas di scarico degli autoveicoli si formano per reazioni fotochimiche indotte dall'intensa radiazione solare vari inquinanti secondari - quali biossido d'ozono, perossiacetilnitrato (PAN), aldeidi e acidi -, capaci di alterare profondamente l'a. t., in particolare conferendole una colorazione scura, e, se inspirati, di dare luogo a disturbi polmonari.
Per ridurre l'entità delle ricordate cause di inquinamento atmosferico, si è fatto ricorso a opportuni accorgimenti tecnici, tra i quali si possono ricordare, in via generale, nell'ambito urbano la periodica limitazione - in giorni e ore che rechino il minimo disturbo alla normale vita lavorativa urbana - della circolazione di moto- e autoveicoli per ridurne gli scarichi gassosi e, nell'ambito industriale, l'adozione di opportuni accorgimenti nelle varie lavorazioni per ridurre la dispersione di polveri nell'aria e, in particolare, nella lavorazione dei combustibili per ridurne il tenore di zolfo; in Italia, molti di questi accorgimenti sono stati formalizzati in apposite leggi, già a partire dagli anni Sessanta del 20° secolo. Un'oculata attenzione è stata poi portata, già dagli anni Quaranta del 20° sec. - con l'avvento prima di armi nucleari e poi di centrali nucleari per produrre energia termica o elettrica -, a un altro tipo di inquinamento fisico dell'a. t., l'inquinamento radioattivo, consistente nell'immissione nell'a. t. di particelle di sostanze radioattive la cui azione, anche perché si aggiungerebbe a quella delle sostanze radioattive intrinsecamente presenti nell'ambiente naturale, potrebbe dar luogo a situazioni locali nocive per gli organismi viventi. Dal momento che le possibili sorgenti di sostanze radioattivamente inquinanti, ossia le armi e le centrali nucleari, nonché le sostanze radioattive in esse e le lore scorie, sono rigorosamente controllate per annullare o quanto meno ridurre a limiti di sicurezza dispersioni radioattive di qualunque genere, in condizioni regolari questo tipo di inquinamento atmosferico dovrebbe essere, per sua natura, trascurabile. Malauguratamente non è così, in quanto l'esperienza ha dimostrato che possono crearsi situazioni di pericolo radioattivo incombenti e per di più del tutto, o in gran parte, incontrollabili. Così, la più disastrosa di queste situazioni è quella che si verificherebbe in conseguenza del fortuito innescarsi nel materiale attivo (cosiddetto combustibile nucleare) di una centrale termo- o elettronucleare (ve ne sono quasi 500 in esercizio nel mondo, di cui nessuna in Italia), o in depositi di esso, di reazioni nucleari autosostenentesi che darebbero luogo a una dannosissima esplosione, rendendo radioattiva l'a. t. e il terreno in un amplissimo raggio intorno alla centrale in avaria. Un evento esplosivo di questo genere si verificò, per una serie di errori umani, il 26 aprile 1986 nella centrale elettronucleare della città ucraina di Černobyl, con 31 vittime sul momento e moltissime persone, in numero imprecisato, colpite in seguito da varie patologie in una zona di danni biologici gravi ampia circa 30 km tutto intorno, e, soprattutto, con la formazione di una gigantesca nube di detriti radioattivi che si estese a gran parte dell'Europa. Un'altra possibile situazione assai pericolosa è quella che deriva dall'uso di armamenti costruiti con materiali contenenti composti radioattivi residuati dall'industria nucleare, con la contaminazione radioattiva di lungo periodo di ampie aree geografiche interessate da avvenimenti bellici e dell'atmosfera sovrastante. Danni da radioattività di questa origine - dovuti principalmente al largo uso, durante combattimenti, di munizioni con involucri contenenti uranio radioattivo residuo dal combustibile di centrali nucleari, il cosiddetto uranio impoverito - hanno patito, per es., unità delle truppe (comprendenti anche militari italiani) inviate sul finire del 20° sec. nel Kosovo ex serbo in missione di pacificazione per conto dell'ONU; la causa di questi danni fu identificata nella presenza nel suolo di frammenti degli involucri di proiettili largamente usati nei combattimenti che s'accesero durante il distacco del Kosovo dalla Federazione Jugoslava: involucri metallici che contenevano uranio radioattivo residuato dal combustibile di centrali nucleari.
La deplezione dell'ozono atmosferico
L'ozono, O3, è un prodotto triatomico della fotodissociazione a opera della radiazione ultravioletta solare e della successiva ossidazione del normale ossigeno biatomico nell'atmosfera. Esso è presente particolarmente nella stratosfera, tra 13 e 50 km di quota, con una percentuale massima relativamente all'aria dell'ordine di 8 miliardesimi a quote intorno a 50 km; ha una grande importanza biologica in quanto, con il suo processo di formazione assorbe fortemente la radiazione ultravioletta solare, schermandone efficacemente le specie animali e vegetali viventi sulla Terra, che altrimenti subirebbero dannosi effetti biologici e genetici. La scoperta di questo benefico strato atmosferico e l'individuazione del meccanismo chimico della sua formazione risalgono alla seconda metà del 19° sec., mentre risalgono agli anni Venti del secolo scorso le prime determinazioni della sua distribuzione in quota nell'a. t., che successivamente sono entrate a far parte del normale programma di lavoro dei satelliti artificiali terrestri adibiti a misurazioni aeronomiche.
Nel 1984-85 fu messa in evidenza sperimentale nell'a. t. dell'Antartide una sensibile e progressiva diminuzione, detta appunto deplezione, dell'ozono stratosferico, con la formazione di una sorta di buco dell'ozono nella stratosfera alle grandi latitudini Sud e conseguente aumento dell'intensità locale della radiazione ultravioletta solare sia alle basse quote sia al suolo, in quest'ultimo caso con dannose conseguenze sulla - sia pure scarsa - vita locale vegetale e animale. Ricerche subito avviate mostrarono presto che tale deplezione era causata dall'azione catalitica, con la conversione di molecole di ozono O3 in molecole di ossigeno O2, esercitata da vari catalizzatori, principali tra i quali sono risultati i clorofluorocarburi (CFC) prodotti in varie attività umane e portati sull'Antartide dal gioco delle alte correnti atmosferiche; anche se la concentrazione di questi catalizzatori è migliaia di volte minore di quella dell'ozono, la loro azione distruttrice sulle molecole di quest'ultimo è molto efficace, dell'ordine del 55% e, a certe quote, financo del 100%. L'unico provvedimento possibile contro questa catalizzazione distruttrice è di evitare la formazione e la conseguente immissione nell'a. t. dei detti catalizzatori, obiettivi cui tendono varie disposizioni di legge attuate nella maggior parte dei Paesi industrializzati, Italia compresa, sulla base di una Convenzione delle Nazioni Unite firmata a Vienna nel 1985 e poi periodicamente aggiornata.
Fino alla fine del 20° sec. si è ritenuto che la formazione di questo dannoso buco dell'ozono si verificasse soltanto nella stratosfera antartica, con un netto massimo stagionale nella primavera locale, cioè nel periodo settembre-ottobre. Al perché esso non si verificasse anche, per simmetria, nell' a.t. artica non si è stati in grado di dare una risposta del tutto soddisfacente, limitandosi a pensare che la detta simmetria, presunta per via di logica, in realtà non esistesse: la circolazione atmosferica alle alte latitudini boreali si sarebbe svolta in condizioni termiche - temperatura e conducibilità termica - nettamente differenti da quelle che si hanno alle alte latitudini australi. Successive misurazioni, effettuate nel 2005, hanno però evidenziato la presenza di un buco dell'ozono anche nell'a. t. artica, sia pure di proporzioni minori di quelle riscontrabili nell'a. t. antartica, il che induce a pensare a un fenomeno in rapida espansione oppure a una significativa alterazione della dinamica chimico-fisica dell'a. t. alle alte latitudini boreali: due ipotesi che, per la loro potenziale pericolosità, esigono per il futuro un'accurata attenzione.