ATMOSFERA (V, p. 229)
L'alta atmosfera. - L'atmosfera viene comunemente divisa in due parti: troposfera e stratosfera, nella prima delle quali la temperatura diminuisce con l'altezza fino a circa − 55° raggiunti ad 11 km. (almeno nelle nostre latitudini), mentre nella stratosfera la temperatura resta pressoché costante col crescere dell'altezza.
Un complesso ormai imponente di ricerche, sviluppatesi dopo la guerra mondiale, ha mostrato che a circa 35-40 km. vi è un nuovo cambiamento delle proprietà dell'atmosfera, ancora più accentuato di quello esistente fra troposfera e stratosfera, e questo giustifica una ulteriore distinazione fra stratosfera ed alta atmosfera. Tale distinzione è poi tanto più opportuna in quanto i mezzi di indagine per esse sono interamente diversi: sondaggi aerologici per la stratosfera; procedimenti varî che saranno passati in rassegna più avanti per l'alta atmosfera.
Mezzi di indagine. - Le nostre possibilità di invio di strumenti a grandi altezze per effettuare determinazioni dirette dello stato dell'atmosfera si arrestano intorno a circa 35-40 km. che rappresentano le massime altezze raggiunte dai palloni sonda. Le difficoltà di questo invio, almeno con i procedimenti attuali, aumentano esponenzialmente con l'aumentare dell'altezza che si desidera raggiungere: grosso modo si può dire che raddoppiano per ogni cinque km. di maggiore altezza.
Al disopra di queste quote si dispone però di una notevole mole di notizie ottenute dallo studio fenomeni che hanno origine nell'alta atmosfera, tra cui si ricorda: la propagazione delle onde sonore, che possono raggiungere un'altezza di 50-60 km., per poi tornare al suolo: l'accensione ed estinzione delle meteoriti: fenomeno che comincia a circa 200 km. ed ha un particolare sviluppo fra 40 e 100 km.; le nubi luminose: 80-85 km.; i crepuscoli, che indicano riflessioni della luce solare fino ad oltre 200 km.; la propagazione e riflessione delle onde radio; l'assorbimento e diffusione della luce solare da parte dell'atmosfera; le aurore polari: 60 a 1000 km.; la luminosità del cielo notturno.
Le notizie così ricavate sono poi collegate ed integrate da studî teorici relativi al comportamento della materia, nello stato nel quale si trova nell'alta atmosfera.
Struttura dell'alta atmosfera. - Temperatura. - Dal momento della scoperta della stratosfera (1898-99), che aveva mostrato che la diminuzione della temperatura con l'altezza si arrestava a partire dagli 11 km. circa, e che dopo la temperatura rimaneva quasi costante fino alle massime quote raggiunte dai palloni sonda, l'ipotesi più naturale era il supporre che questo regime dovesse continuare indefinitamente. Infatti quasi tutti gli studî sull'alta atmosfera eseguiti dal 1900 al 1920 si basarono su questa ipotesi.
Il primo fatto che scosse questa convinzione fu una ricerca effettuata da F. A. Lindemann e G. M. B. Dobson nel 1922 sulla caduta delle meteoriti; in essa gli autori mostrarono che i fatti osservati si accordavano con la teoria solo supponendo che la densità dell'aria al disopra dei 50 km. di altezza fosse molto superiore a quella che allora si riteneva. Gli autori basandosi sulle ipotesi allora vigenti sulla costituzione dell'atmosfera, mostrarono che se la temperatura cresceva da − 55° fino a raggiungere i + 30° a 50 km. d'altezza ed in seguito si manteneva costante su quel valore, si potevano spiegare abbastanza bene i fatti osservati.
Questo risultato destò molta sorpresa, ma fu poco dopo confermato da ricerche di origine interamente diversa. Infatti le anomalie nella propagazione delle onde sonore e principalmente il fatto che il rumore di una esplosione potesse essere udito bene a forti distanze mentre non era affatto udito a distanze inferiori (zone di silenzio; v. p. es. la fig. 1 che mostra le zone nelle quali fu udita l'esplosione della polveriera di Vergiate) trova una completa spiegazione se si accetta che lo strato d'aria tra i 50 ed i 100 km. si trovi ad una temperatura (+ 30°) assai superiore a quella prima prevista (− 55°).
Allo scopo di raccogliere dati precisi è stato fatto un gran numero di esplosioni sperimentali, osservando da punti a varia distanza la udibilità delle esplosioni e il tempo impiegato nella propagazione del suono. Dall'elaborazione dei risultati ottenuti appare che la temperatura debba salire intorno a + 90° (360° assoluti) tra i 40 e i 50 km. di altezza.
Circa la temperatura ad altezze superiori i dati sono alquanto incerti fino a 100-150 km. di altezza e in questa zona sembra che la temperatura non debba discostarsi molto dalle temperature osservate nelle zone sottostanti (intorno ai 300° ass.). Salendo ancora in quota, ricerche eseguite da diversi autori con i più diversi procedimenti portano alla conclusione comune che essa debba essere molto elevata. Passiamo rapidamente in rassegna le notizie che si hanno a questo proposito.
Contenuto di elio. L'atmosfera (presso il suolo) contiene in media circa il 0,0004% di elio, il che porta ad un quantitativo totale di elio nell'atmosfera inferiore a 1014 metri cubi. Ora il quantitativo dell'elio che le sole sorgenti di gas naturali degli Stati Uniti immettono ogni anno nell'atmosfera è stato valutato a 14 × 107 mc. l'anno.
Un simile gettito, indipendentemente da quello delle altre sorgenti, sarebbe stato sufficiente a formare l'attuale quantitativo di elio nell'atmosfera in circa sette milioni di anni. Poiché però le ricerche geologiche mostrano concordemente che la Terra e la sua atmosfera si trovano nel loro stato attuale da un tempo molto più lungo, il limitato contenuto di elio nell'atmosfera mostra che vi deve essere una causa di eliminazione di questo gas, affinché si mantenga l'attuale equilibrio. Date le sue caratteristiche di inerzia chimica vi è una sola causa soddisfacente: la fuga dell'elio dall'atmosfera.
Poiché si dimostra che la fuga dei gas della Terra varia rapidamente col variare della temperatura, si può ricercare a quale temperatura si abbia una perdita di elio tale da giustificare l'equilibrio attualmente osservato. Si è così trovata una temperatura di circa 900° assoluti che può essere considerata come la temperatura media degli strati che maggiormente contribuiscono alla fuga di elio e cioè intorno ai duecento chilometri.
Per quanto i dati relativi al rifornimento di elio dell'atmosfera siano solo vagamente approssimati, la temperatura dedotta ha un grado assai maggiore di attendibilità, dovuto al fatto che con una differenza di mille volte nel quantitativo di elio fornito all'atmosfera, la temperatura calcolata varia solo del venti per cento.
Per lo stesso motivo, se vi sono variazioni annuali e diurne, è facile controllare col calcolo che la fuga di elio dipende in prevalenza dai valori massimi che la temperatura raggiunge, mentre dei minimi anche assai bassi possono non avere influenza apprezzabile.
Calcolo diretto della temperatura dall'equilibrio tra materia e radiazione. - Questa è certamente la via più diretta per giungere alla conoscenza della temperatura degli strati più elevati dell'atmosfera. Il calcolo è molto difficile e a tutt'oggi è stato solo eseguito parzialmente. I risultati si possono riassumere come segue: per gli strati più esterni dell'atmosfera (per esempio al di là dei 1000 km.) il calcolo indica delle temperature estremamente elevate: migliaia di gradi. L'esistenza di queste temperature è legata all'arrivo delle radiazioni solare e stellare nell'estremo ultravioletto, radiazioni che formano solo una parte estremamente piccola della radiazione totale e che d'altra parte sono fortemente assorbite dall'atmosfera, così che praticamente scompaiono non appena attraversati gli strati più esterni di essa.
Per gli strati inferiori, esclusa ormai l'influenza dell'estremo ultravioletto e dovendosi tener conto della maggiore concentrazione della materia, il calcolo indica che la temperatura dell'atmosfera è interamente dominata dalla presenza, anche in tracce minime, di ozono, vapor d'acqua e anidride carbonica. Per questa zona, sono stati determinati valori numerici da varî autori con ipotesi via via sempre più aderenti alla realtà.
I più recenti risultati sono quelli che furono ottenuti nel 1929 da H. B. Maris ed E. O. Hulburt, i quali sono arrivati ad una temperatura diurna di 1000 gradi assoluti a 150 km. di altezza.
Accensione e spegnimento delle meteoriti. - È la ricerca sopra citata e che per prima ha mostrato le temperature elevate che si hanno a grande altezza.
Tuttavia, poiché Lindemann e Dobson erano stati estremamente prudenti nelle loro conclusioni, preoccupandosi soprattutto di mostrare l'impossibilità delle basse temperature precedentemente supposte, e poiché essi avevano ammesso la presenza di quantitativi importanti di idrogeno ed elio al disotto di 100 km., presenza che è ora assolutamente esclusa, i loro risultati vanno corrispondentemente modificati. Questo è stato appunto fatto da B. Gutemberg il quale ha ricalcolato la temperatura che si può dedurre dalle osservazioni delle meteoriti ottenendo valori compresi fra 500° e 1000° assoluti.
Deduzioni dallo spettro dell'aurora polare. - È noto come la larghezza delle righe spettrali aumenti con l'aumentare della temperatura del corpo che le emette per effetto Doppler. Se quindi in alcune zone dell'atmosfera si ha l'emissione di una riga spettrale, si potrà determinare dalla larghezza di questa la temperatura dell'atmosfera nel punto di emissione. Sorge spontanea l'idea di applicare questo procedimento alla famosa riga verde da cui non solo proviene gran parte della luce dell'aurora, ma che è anche costantemente presente nella luce del cielo notturno.
In questa ricerca s'incontrano però notevoli difficoltà in quanto la larghezza di una riga spettrale è dovuta alla somma di due termini: la larghezza propria della riga e l'allargamento per effetto Doppler; se non si conosce il primo, la ricerca ci darà solo un limite superiore della temperatura. Questo limite è stato appunto fissato in 900° assoluti.
Valori più approssimati, per quanto meno sicuri, data la difficoltà di riprodurre in laboratorio condizioni uguali a quelle esistenti nell'alta atmosfera, si possono poi ottenere confrontando lo spettro di bande delle aurore polari con spettri ottenuti artificialmente in labolatorio su miscele di gas a varie temperature. Operando in questo modo si sono ottenuti valori relativamente bassi, oscillanti tra − 73° e + 74°. Il basso valore ottenuto per la temperatura si spiega considerando che queste bande provengono prevalentemente dalla parte più bassa dell'aurora (a circa 100 km. di altezza).
Strati ionizzati. - Quanto si dirà più avanti sullo stato fisico degli strati ionizzati dell'alta atmosfera indica temperature di 300° assoluti per lo strato E (110 km.) e 1000° assoluti (di giorno) per lo strato F (200-300 km.).
Le fig. 2 e 3 mostrano l'andamento della temperatura in quota secondo le valutazioni di G. Angenheister (1932) e di D. F. Martyn e O. O. Pulley (1936).
Variazioni annuali e diurne delle condizioni dell'alta atmosfera. - Gli elementi meteorologici al suolo mostrano variazioni annuali e diurne estremamente accentuate; salendo in quota però queste variazioni si attenuano e nella stratosfera (salvo durante la notte polare) hanno un'ampiezza ridotta e in genere inferiore a quella dovuta a variazioni accidentali. Questa indifferenza è dovuta allo scarso potere di assorbimento dell'aria per la maggior parte della radiazione solare.
In un primo tempo si era pensato che questa indifferenza continuasse anche nelle più alte quote, sennonché il forte aumento di temperatura che avviene a 40 km., e che è evidentemente dovuto all'influenza della radiazione solare, ripropone la questione delle variazioni annue e diurne dell'alta atmosfera. È lecito quindi aspettarsi, in questi ultimi strati, di ritrovare nuovamente queste variazioni, e forse arrivare anche alla scomparsa, di notte, dello strato a temperatura sopraelevata.
Una prima smentita a queste ipotesi è stata data dalle esplosioni notturne, le quali hanno mostrato che la propagazione anomala delle onde sonore permane anche durante la notte. Lo stesso quindi avviene per lo strato a temperatura sopraelevata. Dopo questo rimaneva la questione se, anche nella piena notte polare, si sarebbero riscontrati l'innalzamento di temperatura e la propagazione anomala del suono. Essa è stata risolta con esperienze eseguite in occasione dell'anno polare, le quali hanno portato al risultato che anche in piena notte polare è presente il fenomeno della propagazione anomala del suono. Lo strato a temperatura sopraelevata permane quindi anche durante la notte polare e interessa l'intero globo. Poiché non è evidentemente da pensare che l'aria, una volta riscaldata in estate, conservi quasi inalterato il suo calore per tutto l'inverno, così questo risultato deve essere spiegato ritenendo che lo strato di aria calda nelle regioni polari si riformi costantemente per effetto di stratificazione termica a spese dell'aria calda delle altre regioni.
La propagazione delle onde sonore presenta una variazione annua molto accentuata, la quale però in gran parte sembra dovuta alla variazione annua del vento a quota 50 km. (v. appresso), in modo che oggi non è possibile dire con sicurezza se e quali variazioni annue abbia la temperatura a 50 km.
Salendo ulteriormente, sia considerazioni di natura teorica, sia i dati ricavati da alcune particolarità delle aurore polari e degli strati ionizzati portano concordemente ad ammettere l'esistenza di variazioni estremamente forti tra il giorno e la notte: alcune centinaia di gradi.
Da considerazioni teoriche risulta che con l'aumento dell'altezza si ha una tendenza all'aumento della rapidità con la quale la materia si mette in equilibrio con la radiazione ambiente, e a ciò si aggiunge una netta riduzione dei processi che tendono a equilibrare le temperature.
Lo studio delle aurore polari mostra che esse compaiono ad un'altezza assai maggiore di giorno che non di notte. Poiché l'altezza della loro comparsa si ritiene quella nella quale l'aria raggiunge una determinata densità, G. Angenheister ne ha dedotto p. es. che la densità dell'atmosfera a 1000 km. di giorno deve essere eguale alla densità a 200 km. di notte, e da questo è arrivato a dedurre una fortissima variazione diurna della temperatura (da 300° a 1000° assoluti a 300 km. di altezza).
Gli strati ionizzati dell'alta atmosfera forniscono pure un appoggio alla teoria dell'esistenza di forti variazioni diurne dell'alta atmosfera. Lo strato ionizzato E, il più basso, situato a circa 110 km. di altezza mostra variazioni minime o nulle e quindi indica che la zona delle forti variazioni deve cominciare al disopra di tali quote. Il successivo strato F, altezza 200-300 km., mostra invece molto accentuatamente l'influenza di tali variazioni; cfr. le figg. 8 e 9.
Forti variazioni diurne sono state pure ottenuti da E. V. Appleton, sempre dall'esame della ionizzazione degli strati più elevati dell'atmosfera, e precisamente considerando la variazione diurna della densità di ionizzazione. Poiché questa ionizzazione si ritiene provocata dalla radiazione solare, mentre durante la notte gli ioni avrebbero tendenza a ricombinarsi, così si dovrebbe avere una densità ionica maggiore di giorno che di notte: si osserva invece esattamente il contrario. La spiegazione più semplice di questa anomalia è quella di supporre che, per il forte raffreddamento che gli strati più elevati all'atmosfera subiscono durante la notte, si abbia una contrazione di volume dell'aria in misura superiore alla diminuzione che gli ioni subiscono per effetto della loro ricombinazione, e quindi in definitiva si abbia un aumento del numero degli ioni per unità di volume. Secondo l'Appleton le particolarità più minute del fenomeno confermerebbero questo modo di vedere. Anche il supporre che la ionizzazione sia causata da una radiazione corpuscolare non altera sostanzialmente i risultati.
Pressione. - Densità. - La pressione e la densità in quota possono essere facilmente calcolate partendo dai valori della temperatura. Valori più diretti possono essere ricavati da alcuni dei metodi citati per la determinazione della temperatura. Senza seguire un'analisi minuta dei risultati, basti dire che si ritiene prevalentemente che la pressione a cinquanta km. di altezza sia dell'ordine di grandezza del mezzo millibar (un terzo di mm. di mercurio) e a cento km. possa aggirarsi intorno al centesimo di mb.
Per la densità si hanno i valori corrispondenti oscillanti intorno a 10-6 g./cmc. a 50 km., e 10-8 g./cmc. a 100 km.
La fig. 4 riproduce i valori della densità dell'aria trovati dal Lindemann: i circoletti chiusi, i circoletti pieni e le croci si riferiscono a risultati ottenuti con tre differenti metodi e possono quindi dare un'idea del grado di precisione che si ha in queste determinazioni. Si noti che i dati indicati con croci sono dati minimi, i quali, anche secondo la teoria, possono essere alquanto inferiori ai dati reali. Nella fig. 2 a destra sono riportati i valori della densità dell'aria trovati da G. Angenheister nei suoi studî sulle aurore.
Un altro metodo per la misura della densità dell'aria a grandi altezze che è particolarmente interessante in quanto è quasi indipendente da ipotesi o teorie sulla composizione e struttura dell'atmosfera è quello utilizzato da F. Linke, il quale determina la diffusione della luce solare alle varie quote: diffusione che a parità di altre circostanze è evidentemente proporzionale alla densità dell'atmosfera. La fig. 5 mostra i risultati ottenuti.
Venti e correnti aeree nell'alta atmosfera. - L'andamento di questi deve essere considerato in un modo interamente diverso al disotto e al disopra della zona in cui iniziano le forti variazioni diurne della temperatura: ad es. 150 km.
Per la zona sottostante le conoscenze provengono dalle seguenti fonti: 1. propagazione delle onde sonore nell'alta atmosfera (30-50 km.); 2. osservazioni sul trascinamento della parte fumosa della scia delle meteoriti (30-80 km.); 3. osservazioni del movimento delle nubi luminose (80-85 km.); 4. osservazioni del trascinamento della parte luminosa della scia delle meteoriti (80-130 km.).
I risultati possono essere così riassunti: nella zona intorno ai 50 km. la propagazione delle onde sonore mostra un forte vento di Est nella stagione estiva e di Ovest in quella invernale, aggirantesi entrambi sui 40-50 m. per secondo. Questi dati risultano in buon accordo con quelli dedotti da F. J. W. Wipple a 20 km. di altezza dalla distribuzione della pressione a tale quota.
Essi hanno una concordanza abbastanza buona con le osservazioni della parte fumosa della scia delle meteoriti (30-80 km.) che mostrano per il semestre estivo forti venti di Est mentre in quello invernale si hanno venti in ogni direzione, mostranti però in complesso una leggiera componente Ovest. A 80 km. di altezza il movimento delle nubi luminose (osservabili solo durante il semestre estivo) rivela forti venti (m. 50 a 300 al secondo) con prevalenza della componente Est.
Invece nella soprastante zona 80-130 km. si hanno molte osservazioni sul movimento della parte luminosa della scia delle meteoriti, osservazioni distribuite in tutte le stagioni, le quali mostrano una grandissima prevalenza dei venti di Ovest.
A quote ancora superiori la presenza di un vento a componente costante perde la sua importanza di fronte a movimenti d'aria assai intensi che devono avvenire a tali quote per effetto della variazione diurna della temperatura. Se si ammette come reale per tale variazione il passaggio da 300 a 1200 gradi assoluti, risulta che l'aria nel passaggio dalla notte al giorno quadruplica il proprio volume e questo porta a una fortissima fuga d'aria dall'emisfero illuminato dal sole verso l'emisfero in ombra ed a corrispondenti fortissimi venti. Per contro da quest'ultimo emisfero possono partire invasioni di aria fredda.
Composizione. - In passato si riteneva che la composizione dell'alta atmosfera fosse dominata dalla legge di Dalton, per effetto della quale i gas si sarebbero stratificati secondo il loro peso, in particolare si sarebbero avute forti variazioni di composizione anche a basse quote e l'atmosfera al disopra di una settantina di km. sarebbe stata composta di solo idrogeno (cfr. V, p. 230).
È però da avvertire che già da qualche tempo si cominciava a notare un non completo accordo fra la teoria e la realtà. Infatti, secondo la teoria, la composizione dell'aria doveva già essere, a 10-15 km. di altezza, sufficientemente diversa da quella al suolo da poter permettere un controllo sperimentale, mentre invece in tutte le analisi di campioni di aria, qualunque fosse la quota a cui erano prelevati, non si riusciva a scorgere alcuna variazione di composizione: e questo disaccordo si faceva sempre più stridente quanto più progredivano le nostre conoscenze.
In un primo tempo si è cercato di spiegare la cosa supponendo che nella troposfera il continuo rimescolamento, dovuto allo stato permanente di convulsione in cui si trova l'aria, impedisse la stratificazione dei varî gas secondo il loro peso specifico e che questa cominciasse solo nella stratosfera, dove si riteneva vi fosse una sufficiente quiete perché la stratificazione potesse iniziarsi. Le leggi di distribuzione precedentemente trovate sarebbero state quindi ancora valide, ma per altezze superiori a una diecina di chilometri; nei primi dieci chilometri di altezza la composizione dell'atmosfera sarebbe invece rimasta costante.
Successivamente si è manifestata la tendenza ad elevare questo limite e si è ammesso, in occasione di studî speciali, che la stratificazione potesse iniziarsi a un'altezza di 20 o di 50 km. La scelta dell'uno piuttosto che dell'altro di questi limiti, o magari ancora d'un terzo, dipendeva solo dal criterio degli autori, ma non era basata su alcun fatto concreto.
Indicazioni concrete sono state invece fornite da L.-G. Gouy, H. B. Maris e P. S. Epstein, che hanno sviluppato successivamente, con un grado di approssimazione sempre maggiore, la teoria matematica del problema. Essi sono partiti dal fatto che lo stato di equilibrio stabile dell'atmosfera è quello in cui la stratificazione dei varî gas comincia al suolo, ma che questo equilibrio stabile non può essere raggiunto per il rimescolamento dell'aria dovuto alle varie correnti atmosferiche.
Per avere una base sicura di partenza, hanno determinato il tempo necessario per passare da un'atmosfera nella quale i varî gas sono interamente mescolati a una nella quale essi sono invece stratificati sotto l'azione della gravità. Confrontando questo tempo con i dati noti circa i venti e la turbolenza alle alte quote, Gouy e Maris hanno trovato che il livello al quale comincia la diffusione deve aggirarsi intorno ai 100-110 km.
Ma la questione è stata risolta in questi ultimi tempi con la comparsa dei primi dati sperimentali attendibili che mostrano variazioni della composizione dell'atmosfera, dati ottenuti da E. Regener, F. A. Paneth e altri, tra 18 e 29 km. Si è osservata una diminuzione del tenore di ossigeno del 2,5% tra 18 e 29 km. ed un aumento del tenore di elio del 7% tra 18 e 23 km. G. Roncali ha sviluppato la teoria dello stato dell'atmosfera sotto l'influenza della gravità, della diffusione e del concambio (turbolenza). Dai dati sperimentali noti ha ricavato il coefficiente di concambio per l'atmosfera a quelle quote e ha trovato un valore circa 10.000 volte inferiore a quello che si ha a bassa quota, valore che non accenna a grandi variazioni tra i 20 ed i 30 km. Ha poi calcolato la composizione dell'atmosfera alle varie quote supponendo che la turbolenza si mantenga sempre costante al disopra dei 18 km. e ha ottenuto i seguenti risultati:
Si ha così una variazione della composizione dell'atmosfera con l'altezza, molto minore di quella indicata dalle vecchie teorie, secondo le quali a 50 km. non doveva restare che il 9-13% di ossigeno, ma assai maggiore di quella calcolata dal Maris che ammetteva a 100 km. ancora la stessa composizione che si ha al suolo.
Inoltre gli studî sulle condizioni fisiche (temperatura, ionizzazione, ecc.) degli strati più alti dell'atmosfera ci mostrano come sia estremamente improbabile in essi la presenza d'idrogeno poiché, se esso fosse presente, dovrebbe rapidamente combinarsi con l'ossigeno formando vapore d'acqua. Anche la percentuale di elio negli strati più elevati è molto inferiore a quella calcolata dalle leggi della diffusione e negli strati più alti tende addirittura ad annullarsi a causa della accennata fuga dell'elio dalla terra. Può poi essere considerata come del tutto esclusa la presenza del geocoronio supposta da A. Wegener.
In conclusione, l'atmosfera si può ritenere composta a qualunque quota prevalentemente da ossigeno e azoto. La percentuale dell'ossigeno ha una tendenza a diminuire con l'altezza secondo la progressione indicata dalla tabella riportata sopra. Il fatto, constatato per mezzo degli spettri delle aurore e del cielo notturno, che l'ossigeno è il primo gas a dissociarsi in atomi, porterà, a partire da una certa quota, da un rallentamento della sua diminuzione addirittura al suo aumento, ma oggi mancano totalmente dati numerici al riguardo.
Questi risultati sono confermati dai recenti studî sullo spettro delle aurore polari e del cielo notturno, i quali hanno mostrato che esso è costituito prevalentemente da righe appartenenti all'azoto e all'ossigeno (più precisamente ad N2, N2+, O+), mentre mancano quelle dovute all'idrogeno e all'elio.
Mentre le ricerche più recenti hanno quindi, in questo campo, ridotto l'interesse pratico dello studio della composizione dell'atmosfera, hanno anche richiamato l'attenzione su altri lati del problema e hanno mostrato la straordinaria importanza che può avere per lo stato dell'atmosfera la presenza in essa dell'ozono, anche in minima percentuale; come pure hanno mostrato, anche in zone relativamente basse dell'atmosfera, la presenza di una notevole ionizzazione. Infine si ritiene ormai che, a partire da una certa quota non ancora determinata con precisione ma dell'ordine di grandezza di qualche centinaio di km., i gas dell'atmosfera debbano essere allo stato atomico, e non più in quello molecolare.
La presenza dell'ozono nell'atmosfera è rivelata dall'assorbimento da esso operato sulla radiazione solare. Dalla prima elaborazione dei risultati di queste misure si era dedotto che lo strato di ozono si trovasse prevalentemente ad un'altezza di 40-50 km., e si era pensato di spiegare l'aumento di temperatura che si ha a quell'altezza con l'assorbimento operato dall'ozono sulla radiazione solare. Mezzi di indagine più perfezionati hanno invece portato a risultati contrastanti, secondo i quali il centro di gravità dell'ozono si sarebbe trovato assai più basso: intorno ai 20 km. La questione è stata definitivamente risolta da E. e V. Regener, i quali hanno eseguito diversi sondaggi mediante un pallone sonda trasportante uno spettroscopio, col quale sono riusciti a raggiungere i 30 km. di altezza. Dagli spettrogrammi eseguiti durante le ascensioni si è potuto determinare direttamente l'ammontare dell'ozono esistente al disopra di ogni quota. I risultati (v. fig. 6) hanno confermato la bassa posizione del centro di gravità dell'ozono ponendolo quindi nettamente nella stratosfera: i quattro quinti dell'ozono si trovano sotto i 30 km. Questo non toglie però che la piccola quantità di ozono che, anche secondo queste ricerche, resta nell'alta atmosfera, non abbia la più grande importanza nella determinazione della temperatura e delle altre sue proprietà.
Strati ionizzati. - Fin dal 1902 Kennelly e Heaviside indipendentemente l'uno dall'altro, per spiegare il fatto scoperto da Marconi che le onde elettromagnetiche si propagavano a grandissime distanze, molto superiori a quelle che potevano indicare le leggi dell'ottica per una propagazione rettilinea, emisero l'ipotesi che nell'alta atmosfera dovesse trovarsi una zona ionizzata sulla quale le onde elettromagnetiche dovessero riflettersi. L'altezza di questa zona, che in un primo tempo si chiamò di Heaviside o di Kennelly-Heaviside e ora viene denominato strato E, inizialmente ritenuta di 60-90 km., è stata ora precisata a circa 100 km. Nel 1925 Appleton trovava un secondo stato ionizzato riflettente che chiamava strato F.
Questo strato si presenta ad altezze assai variabili nelle varie ore del giorno e in particolare durante la presenza del Sole si sdoppia dando luogo a due strati: F1 a circa 200 km. di altezza mentre lo strato F2 può salire fino a 300 e più km.
Ricerche recenti hanno mostrato l'esistenza di varî strati ionizzati sottostanti lo strato E. Sembra vi siano tre strati posti ad altezze rispettivamente di 5,20 e 50 km. che possono dare riflessioni di onde radio. Questi strati sono estremamente variabili da giorno a giorno e ben poco è noto su essi.
Vi è una certa confusione nella nomenclatura di questi strati. Taluno li considera formanti nel loro complesso lo strato D, altri invece, ricordando che si era convenuto chiamare con D uno strato ionizzato ipotetico, sottostante lo strato E, che doveva spiegare i fenomeni di assorbimento delle onde radio, li chiama C1, C2, C3; I. Ranzi chiama invece C1, C2, gl'inferiori e D il superiore. Watson Watt li chiama strato Z.
Sembra poi esistano altri strati intermedî fra lo strato E e lo strato F (E2 a 150 km., E3 a 180 km.), ma poiché in essi la densità di ionizzazione è inferiore a quella dello strato E, essi passano generalmente inosservati e possono dare riflessioni solo in quei momenti eccezionali nei quali la densità di ionizzazione arrivi a superare quella dello strato E. Le figure 7, 8, 9 e 10 dànno un'idea delle variazioni diurne dell'altezza e della densità ionica dei varî strati ionizzati.
Circa la causa che dà origine agli strati ionizzati sembra ormai accertato che essa è la luce ultravioletta del Sole per gli strati E e F2 (e per i varî strati minori) e sia invece una radiazione corpuscolare pure proveniente dal Sole per lo strato F2.
Superficie di discontinuità nell'alta atmosfera. - Nella bassa atmosfera è notissima la superficie di discontinuità fra troposfera e stratosfera (tropopausa) situata alle nostre latitudini a circa 11 km. di altezza: al disotto di essa la temperatura dell'atmosfera diminuisce quasi uniformemente di circa 6°,5 ogni km., mentre al disopra non vi è alcun gradiente importante di temperatura.
Una seconda superficie di discontinuità, e precisamente quella che separa la stratosfera dall'alta atmosfera propriamente detta, per la quale Ch. Féry ha proposto il nome di stratopausa, segna la fine della zona a temperatura costante e l'inizio del rapido aumento di temperatura. Per quanto manchino dati diretti possiamo porla a 40 km. di altezza, con un errore che secondo ogni probabilità è inferiore ai 5 km.
Ci si può allora domandare se è prevedibile che anche al di sopra vi siano altre superficie di discontinuità.
Vi sono molti indizî che la risposta a questa domanda debba essere affermativa. La loro interpretazione, cioè il passaggio da un indizio alla specificazione dell'altezza reale alla quale si deve trovare la superficie di discontinuità e alla precisazione di quali siano gli elementi che variano e di quanto, è estremamente difficile e la maggior parte delle teorie avanzate in un primo tempo a questo scopo, sono state poi contraddette dai fatti.
È quindi opportuno limitarsi a ricordare che oltre alle varie discontinuità nella ionizzazione osservata, l'esame dei crepuscoli mostra che le cose vanno come se la luce solare fosse riflessa da superficie trovantisi nell'atmosfera rispettivamente alle altezze di 15, 70 e 200 km. Poiché in realtà in luogo di una riflessione si ha un'inflessione, questo deve essere considerato come indizio della presenza di superficie di discontinuità ad altezze non molto diverse da quelle indicate.
La prima di queste si può senz'altro identificare con la tropopausa. La seconda per molto tempo è stata ritenuta la zona nella quale l'azoto cedeva il posto all'idrogeno, e con essa veniva posto in relazione il fenomeno delle nubi luminose le quali presentano la strana e finora inesplicata caratteristica di trovarsi sempre esattamente alla stessa altezza, tra gli 80 e gli 85 km. Il passaggio dall'azoto all'idrogeno è ormai assolutamente escluso ed è dubbio che gli altri due fenomeni siano dovuti alla stessa causa. Secondo D. F. Martyn e O. O. Pulley (cfr. fig. 3) vi sarebbero due superficie di discontinuità a 60 e 80 km.
La terza riflessione, per analogia alla precedente, aveva suggerito a A. Wegener l'idea del geocoronio: ipotetico gas che a 200 km. avrebbe sostituito l'idrogeno: idea adesso completamente abbandonata. Altri indizî intorno ad altre superficie di discontinuità ci sono forniti dall'irregolare andamento, col variare dell'altezza, nella frequenza e nella luminosità delle meteoriti e delle aurore polari. Ma delle varie ipotesi fatte per spiegare questo andamento nulla può dirsi accertato.
Gli strati più esterni dell'atmosfera. - Le considerazioni precedenti si riferiscono a strati dell'atmosfera fino a un migliaio di km. di altezza. Passiamo rapidamente in rassegna quello che si può dire per quel tanto di atmosfera terrestre che esiste nelle zone più esterne.
Occorre precisare anzitutto che, dato lo stato di estrema diluizione dell'atmosfera, si può dire che quando un atomo, un elettrone, o una particella di pulviscolo sono giunte a 1000 km. (in realtà anche a quote alquanto inferiori) essi potranno essere considerati come corpi a sé,i quali, obbedendo alla loro velocità iniziale, alla forza di gravità e, per quel tanto che ha influenza, anche alla pressione di radiazione del sole, si muoveranno intorno al centro della Terra descrivendo orbite di tipo ellittico, parabolico ed iperbolico, secondo la loro velocità iniziale. Ciò perché per la parte di queste orbite che si svolge al dilà dei 1000 km. dalla superficie terrestre è estremamente improbabile che essi abbiano ad avere collisioni con altri corpuscoli del genere, o come si può dire con altre parole, il loro cammino libero medio è infinito.
Occorrerà allora considerare separatamente i varî tipi di corpuscoli che si trovano in questa zona dato che per la mancanza o quasi di azioni mutue ogni categoria conserva inalterate o quasi le proprie caratteristiche. Essi sono:
1. Atomi di elio ed altro fuggenti dalla Terra. Si è visto che si ritiene che ogni anno 10 milioni di mc. di elio lascino l'atmosfera. Eventuali atomi o molecole di idrogeno subirebbero la stessa sorte. In condizioni normali la fuga di altri elementi dovrebbe essere praticamente nulla, ma poiché abbiamo visto le forti pulsazioni diurne che l'alta atmosfera ha verso i 300 km. di altezza, così si può ammettere che si possa avere la fuga di un limitato quantitativo di altri elementi.
2. Atomi o molecole dell'atmosfera terrestre che, oltrepassati i 1000 km. di altezza fanno poi ritorno sulla terra. Costituiscono il naturale prolungamento dell'atmosfera terrestre.
3. Sciami di elettroni, di positroni e di altri corpuscoli emessi dal sole e che di massima finiscono col raggiungere la terra. Le nostre conoscenze in proposito, per quanto molto aumentate in questi ultimi tempi, sono ancora alquanto sommarie. Basti dire qui che ad essi si ritengono dovute le aurore polari e le burrasche magnetiche e probabilmente lo strato ionizzato F.
4. I corpuscoli che formano la parte corpuscolare della radiazione penetrante.
5. I corpuscoli (da atomi isolati al pulviscolo ed alle meteoriti) di origine cosmica, che attratti dal campo gravitazionale della terra finiscono su essa.
Andando ancora più lontano ci si può domandare se l'atmosfera terrestre abbia un limite.
Ha avuto larga diffusione a questo riguardo una teoria dovuta originariamente a D. Melanderjelm e P.-S. Laplace, secondo la quale a sei raggi terrestri sul piano dell'equatore, la forza centrifuga eguaglia la forza di gravità e quindi segna l'estremo limite dell'atmosfera terrestre, in quanto le particelle che superassero tale limite non potrebbero più ritornare sulla terra. Questo modo di vedere non è esatto perché la legge della conservazione del momento (che è applicabile con tutto rigore, una per una, a tutte le particelle costituenti la parte più esterna dell'atmosfera terrestre), mostra che gli strati più esterni dell'atmosfera seguono in misura sempre minore il moto di rotazione della terra. In definitiva la forza centrifuga, invece di aumentare con l'altezza, diminuisce ancora più rapidamente di quanto non diminuisca la forza di gravità. Ciò esclude senz'altro ogni esistenza di superficie limite del tipo sopra citato.