ATMOSFERA (dal gr. ἀτμός "aria", e σϕαῖρα "sfera")
Involucro gassoso che circonda la Terra e che, sotto l'azione della gravità, è trascinato, almeno per la maggior parte della sua massa, nel movimento di rotazione e in quello di rivoluzione del pianeta.
La materia allo stato aeriforme è abbondantemente distribuita nell'universo. Varî metodi d'osservazione, come l'analisi spettrale, lo studio di certi fenomeni di rifrazione e quello dei fenomeni ottici che accompagnano le eclissi, hanno dimostrato l'esistenza di gas, oltre che nelle nebulose, anche nelle stelle fisse e nei pianeti. Fra gli ultimi, quelli che presentano la maggior analogia con la Terra nella loro costituzione fisica sono Marte e Venere, per i quali si può ritenere definitivamente provata l'esistenza dell'atmosfera. Anche Giove e Saturno sono dotati d'involucro aereo; anzi le loro densità medie sono tanto piccole rispetto a quella del nostro pianeta, da giustificare l'ipotesi che essi siano costituiti, almeno per una parte considerevole, di materia allo stato aeriforme. Mercurio sembra privo di atmosfera; così pure la Luna. Quanto ad Urano e Nettuno, le nostre nozioni sulla loro costituzione sono molto scarse; tuttavia non mancano indizî che permettono di ritenere che anch'essi siano circondati da un'atmosfera.
Per quanto riguarda l'involucro aereo terrestre, è da notare che la maggior parte di esso è contenuto in uno strato molto sottile; precisamente i 9/10 della nostra atmosfera sono compresi tra la superficie terrestre e una superficie a essa concentrica alla distanza di 20 km.
Poiché l'aria pesa, essa esercita sulla superficie terrestre una pressione la quale va decrescendo dal basso verso l'alto, e in conseguenza della comprimibilità dei gas dovrà decrescere anche la densità. Per questa ragione la diminuzione di pressione non è proporzionale all'aumento di altezza, ma procede via via più lentamente alle quote più elevate. Non è possibile perciò fissare, col calcolo, il limite superiore dell'atmosfera. Al contrario, secondo le formule che furono calcolate per la determinazione della pressione a varie altezze, la pressione stessa si annullerebbe soltanto a distanza infinita dalla superficie terrestre. Fino a pochi anni or sono non si attribuiva valore a questo risultato teorico; anzi molti studiosi tentavano, per vie diverse, di arrivare alla misura dell'altezza dell'atmosfera. Attualmente si ritiene che un vero e proprio limite non esista, ma che, al crescere dell'altezza, l'atmosfera si vada facendo via via più tenue fino a confondersi con un'ipotetica atmosfera dello spazio cosmico. Teoricamente, un limite sarebbe stabilito dall'equilibrio tra l'attrazione terrestre e la forza centrifuga; infatti, mentre la prima di queste due forze va decrescendo col crescere della distanza dal centro del pianeta, la seconda va invece aumentando. Esiste dunque una quota alla quale le due forze si fanno equilibrio e alla quale un corpo che ruoti con la stessa velocità angolare della terra non risente più apparentemente l'attrazione da parte di questa. Ciò avverrebbe per le molecole d'aria, se a tutte le altezze seguissero la terra nel suo moto di rotazione; esistono però diversi indizî in base ai quali si può ritenere che, già all'altezza di alcuni km. dal suolo, l'aria cominci a sottrarsi a poco a poco al movimento diurno della terra. Anche questa considerazione viene dunque a convalidare l'ipotesi dell'esistenza di un'atmosfera cosmica. Questa conterrebbe i gas stessi che costituiscono il nostro involucro aereo, ma estremamente diluiti. Secondo questa concezione l'atmosfera d'ogni pianeta risulterebbe da una specie di condensazione di quella cosmica, e la sua costituzione e densità dipenderebbe dal valore della gravità e dalla temperatura sulla superficie del pianeta stesso. L'applicazione della teoria cinetica dei gas ha permesso di studiare qualche particolare del processo di formazione ora descritto; secondo i risultati così ottenuti, l'atmosfera di ogni pianeta rappresenterebbe, in certo modo, uno stato d'equilibrio tra una corrente di molecole di gas che, in un certo tempo, penetrano in essa dallo spazio interplanetario e quella delle molecole che, nello stesso tempo, sfuggono da essa verso lo spazio. La costituzione dell'atmosfera presso il suolo è stata oggetto di numerose ricerche, le quali hanno messo in chiaro come essa sia un miscuglio di varî gas, alcuni dei quali entrano sempre e in proporzioni costanti nella sua composizione, altri, pure figurandovi sempre, vi si trovano in proporzioni variabili, altri infine non vi figurano sempre né dovunque. Tra i primi predominano l'azoto e l'ossigeno; li seguono a grande distanza l'argo, l'idrogeno, il neo, l'elio, il cripto; i secondi comprendono l'anidride carbonica e il vapore acqueo; gli ultimi, che figurano sempre in quantità estremamente piccole, comprendono l'ozono, i composti ammoniacali, gas solforosi e alcuni idrocarburi. Ai gas ora nominati si devono aggiungere, non come componenti, ma come sostanze sempre o spesso presenti nell'atmosfera, il pulviscolo, le goccioline d'acqua e i cristalli di ghiaccio che vi sono sospesi.
La composizione quantitativa volumetrica è data dalla seguente tabella:
Uno studio d'alto interesse teorico e pratico è quello che si riferisce alle variazioni che subisce la costituzione dell'atmosfera alle diverse altezze. Applicando la legge di Dalton ai gas costituenti l'atmosfera, si arriva facilmente a stabilire la legge secondo la quale dovrebbe variare la costituzione della miscela alle successive altezze. Secondo detta legge, l'atmosfera si può considerare come la somma di tante atmosfere distinte quanti sono i gas che entrano nella sua composizione, e a ogni livello la pressione è la somma delle pressioni parziali dovute alle singole atmosfere. Ne segue che la pressione propria di ciascun gas dovrebbe decrescere, in funzione dell'altezza, tanto più rapidamente quanto più elevata è la densità del gas stesso; e quindi la composizione volumetrica, la quale è determinata appunto dalle pressioni parziali, dovrebbe modificarsi alle successive altezze nel senso che andrebbe via via crescendo la percentuale in volume dei gas meno densi a scapito di quella dei gas più pesanti.
Si arriva così alla conclusione che l'azoto, il quale è il principale costituente dell'aria presso il suolo, conserverebbe il predominio, rispetto agli altri gas, fino all'altezza di circa 70 km., alla quale inoltre la percentuale in volume dell'ossigeno sarebbe divenuta piccolissima, mentre sarebbe molto accresciuta quella dell'idrogeno; questo ultimo gas acquisterebbe la prevalenza (sempre nella percentuale in volume) al disopra dei 70 km. e la conserverebbe almeno sino a 200 km.
Le precedenti conclusioni fondate sulla teoria non possono essere sottoposte a un controllo sperimentale che per gli strati atmosferici più vicini al suolo. Le analisi eseguite sui campioni d'aria raccolti in alta montagna, nelle ascensioni aerostatiche e per mezzo dei palloni sonda hanno dimostrato che la composizione dell'atmosfera si mantiene inalterata nello strato compreso fra il suolo e circa 10 km. Ciò si spiega facilmente come conseguenza del rimescolamento prodotto dalle correnti verticali, le quali in tale strato sono frequenti e trasportano enormi masse d'aria.
Al disopra dei 10 km. e fino a un'altezza non bene determinata, ma certamente notevole, le correnti verticali mancano affatto o sono così scarse da non produrre un rimescolamento d'aria sensibile. A tali altezze dovrebbe perciò verificarsi la distribuzione dei gas prevista dalla teoria, e in realtà gli spettri della luce che circonda le stelle cadenti, luce che comincia a prodursi all'altezza di circa 120 km., presentano le linee caratteristiche dell'idrogeno; e gli spettri delle aurore boreali mostrano pure le linee dell'idrogeno insieme con quelle dell'azoto e dell'elio. Però lo studio delle stelle cadenti (Livingstone), di nubi altissime iridescenti (Wegener) e delle aurore boreali (Vegard) avrebbe portato a opinioni diverse e controverse sulla costituzione e sulle condizioni fisiche negli strati oltre i 50-60 km. di altezza.
In base alle considerazioni precedenti, è comunemente ammessa però la divisione dell'atmosfera in due grandi strati: il primo, chiamato atmosfera d'azoto, si estende dal suolo a non oltre i 70 km., il secondo, detto atmosfera di idrogeno, va da 70 a 200 km. d'altezza.
L'atmosfera di azoto è divisa, a sua volta, in due parti nettamente distinte: l'una, che si estende dal suolo fino ad un'altezza variabile con la latitudine e con le stagioni e che raggiunge in media 11 km., è chiamata troposfera, l'altra, che comprende probabilmente la restante parte dell'atmosfera di azoto, è chiamata stratosfera. Nella prima la temperatura va decrescendo al crescere dell'altezza, essa inoltre è percorsa da vaste correnti verticali a cui sono legati i più grandiosi fenomeni meteorologici; nella seconda mancano i moti verticali e la temperatura è sensibilmente la stessa a tutte le altezze.
Infine, per quanto riguarda la costituzione dell'atmosfera nella parte che sta al disopra dei 200 km., non esiste altro metodo di ricerca all'infuori dell'analisi spettrale della parte più elevata delle aurore boreali e precisamente di quello che è chiamato l'arco omogeneo, il quale può presentarsi fino all'altezza di 500 o 600 km. Nello spettro di esso oltre alle linee dell'idrogeno e dell'azoto figurano alcune righe caratteristiche, che fino ad alcuni anni or sono non si sapeva a quale elemento attribuire. Il Wegener suppone che esse siano dovute a un elemento incognito analogo al coronio dell'atmosfera solare e che egli propone di chiamare geocoronio. Si tratterebbe, secondo il Wegener, d'un gas estremamente leggiero il quale avrebbe la parte preponderante nella costituzione degli strati più tenui dell'atmosfera terrestre e anche nell'atmosfera cosmica.
Diritto.
Prima dell'invenzione degli aeromobili e degli apparati di radiocomunicazione il problema della condizione giuridica dell'atmosfera (spazio atmosferico) non aveva soverchiamente interessato i giuristi. L'atmosfera veniva considerata generalmente come un accessorio del suolo, alla cui utilità essa serve, e tale concezione non sollevava generalmente obiezioni, sicché dall'epoca dei glossatori si era potuto formare l'adagio dominus soli dominus coeli. Ma quando le onde hertziane cominciarono a essere utilizzate per le comunicazioni a distanza e i primi aeromobili solcarono l'aria il problema divenne imponente, e urgente ne apparve la soluzione. Sorsero così varie teorie, tra cui tre fondamentali.
La prima, detta latina, perché sostenuta principalmente da autori appartenenti a nazioni latine, proclama la libertà dell'aria, assimilando questa al mare libero. Tale teoria fu per la prima volta consacrata in un progetto del Fauchille del 1902 relativo alla navigazione aerea, presentato alla sessione di Bruxelles dell'Institut de droit international, e in un'altra risoluzione dello stesso istituto nella sua sessione di Gand del 1906, relativa alla telegrafia senza fili.
La seconda teoria, seguendo la distinzione tradizionale del mare divide l'atmosfera in due strati: l'uno a immediato contatto con la terra e di altezza variabile (secondo i diversi autori), sottoposto alla sovranità dello stato; l'altro, al disopra del primo, completamente libero e aperto a tutti, quale res communis omnium.
La terza teoria, infine, detta germanica o anglosassone, perché proposta o seguita ugualmente da scrittori nordici, afferma che la colonna d'aria sovrastante al territorio dello stato è sottoposta alla piena sovranità del medesimo, e che è libera soltanto l'aria incombente sul mare libero e sui territorî senza sovrano.
Oltre a queste tre teorie fondamentali, altre intermedie ne sono sorte, tendenti specialmente a conciliare, almeno nei risultati pratici, quella della sovranità e l'altra della libertà dell'atmosfera.
Così la scuola francese, rappresentata da Paolo Fauchille, ha formulato la teoria della libertà dello spazio atmosferico, limitata dal diritto di conservazione dello stato, secondo la quale l'atmosfera è libera, in linea di principio, ma lo stato ha il diritto di prendere tutti quei provvedimenti o di adottare tutte quelle misure che creda opportune per la sicurezza propria, dei proprî sudditi e dei loro beni; in altri termini: l'uso dell'atmosfera è libero a tutti sempre che non comprometta il diritto di conservazione dello stato
D'altro canto, la scuola germanica ha avanzato la teoria della sovranità dello stato, limitata da una servitù internazionale di transito; per la quale lo stato ha la piena sovranità sopra lo spazio aereo che domina il proprio territorio, col solo limite di una servitù internazionale di transito in favore degli altri stati (taluni giuristi parlano qui non di servitù, ma di concessione necessaria in favore degli altri stati). Secondo questa teoria, lo stato non può vietare, senza una necessità, il transito per la propria atmosfera, ma ha il diritto d'impedire tutti quegli atti che siano pregiudizievoli ai suoi interessi e a quelli dei suoi sudditi, o che costituiscano comunque una negazione della propria sovranità.
Di queste teorie, quella che distingue l'atmosfera in due strati, inferiore e superiore, è ormai quasi da tutti abbandonata; poiché è stato dimostrato dall'esperienza che essa è irrazionale e praticamente inutile, sia per quanto concerne le radiocomunicazioni, sia per ciò che riguarda la navigazione aerea.
Più fondate si palesano perciò le altre teorie che fanno capo alla teoria della sovranità o a quella della libertà dell'atmosfera. Oggi tende però ad avere assoluta prevalenza la teoria della sovranità, per quanto si riferisce sia alla navigazione aerea, sia alle radiocomunicazioni; unico essendo considerato, generalmente, il problema relativo a queste e a quella. Non manca però qualche autore che vorrebbe tenere distinte fondamentalmente la navigazione aerea e le radiocomunicazioni, sostenendo che il problema può avere due soluzioni diverse: sovranità per la prima, libertà per le seconde.
Dopo la grande guerra mondiale, il problema della condizione giuridica dello spazio atmosferico ha avuto la sua soluzione legislativa. Lo sviluppo della navigazione aerea militare e civile gli diede la più grande spinta. La convenzione di Parigi del 13 ottobre 1919 per il regolamento della navigazione aerea internazionale, ratificata da 24 stati, all'articolo 1 stabilisce: "Gli stati contraenti riconoscono che ciascuno stato ha la sovranità completa ed esclusiva sullo spazio atmosferico al di sopra del suo territorio e delle sue acque territoriali". Tale principio è temperato dall'art. 2 della convenzione: "Ogni stato contraente si obbliga a concedere, in tempo di pace, la libertà di passaggio inoffensivo, al di sopra del proprio territorio, agli aeromobili degli stati contraenti, purché siano osservate le condizioni stabilite dalla presente convenzione".
Lo stesso principio della sovranità è accolto nel progetto di convenzione sulla navigazione aerea firmato nel 1926 a Madrid dagli stati iberici e dell'America latina, e in quello approvato dalla conferenza panamericana dell'Avana (1927). Anche le leggi nazionali sulla navigazione aerea hanno sancito espressamente, nella loro grande maggioranza, il principio della sovranità dello stato sullo spazio atmosferico (legge italiana 1923, inglese 1920, francese 1924, ecc.). Alcune leggi però hanno voluto evitare un'espressa dichiarazione del principio della sovranità o della libertà, e hanno adottato una formula che, pur lasciando insoluto il problema teorico, concilia le diverse esigenze pratiche delle opposte teorie, arrivando al risultato cui tendono le teorie intermedie avanti accennate. Così la legge tedesca 1922 e quella austriaca 1919 usano la formula: "L'uso dello spazio aereo è libero, ma soggetto alle limitazioni stabilite dalla presente legge". E la legge svizzera 1920: "In tempo di pace, la circolazione aerea inoffensiva sopra il territorio della Confederazione è libera, con riserva delle limitazioni del diritto federale e dei trattati internazionali".
Per quanto riguarda le comunicazioni radioelettriche, non si hanno disposizioni legislative speciali relative alla condizione giuridica dell'atmosfera. I giuristi considerano però, in generale, le norme sopra citate riflettenti la navigazione aerea come riferentisi anche alle radiocomunicazioni. Il recente progetto di convenzione di Washington del 1927 per le comunicazioni elettriche non ha alcuna espressa dichiarazione di principio al riguardo. Ma l'art. 23 di tale convenzione dichiara che "le parti contraenti riconoscono il diritto di due stati contraenti non confinanti di organizzare comunicazioni radiotelegrafiche al di sopra di un altro stato contraente, purché si conformino agli obblighi imposti dalla convenzione e dai regolamenti annessi". Da tale disposizione alcuni deducono che il progetto di convenzione di Washington abbia accolto il principio della libertà, altri, all'opposto, quello della sovranità dell'atmosfera. Ma pare abbiano più ragione questi ultimi. Il primo congresso giuridico internazionale di T. S. F., che ebbe luogo a Parigi nel 1925, votò la risoluzione seguente: "L'éther est libre".
Bibl.: La bibliografia italiana e straniera relativa alla condizione giuridica dello spazio atmosferico, sia dal punto di vista della navigazione aerea, sia da quello delle radiocomunicazioni, è numerosissima. Pubblicazioni più recenti, con altre indicazioni: P. Fauchille e H. Bonfils, Traité de droit int. public, 8ª ed., I, ii, Parigi 1922, nn. 5312, 5313; I. Hatschek e K. Strupp, Wörterbuch des Völkerrechts und der Diplomatie, I, Berlino 1923, s. v. Luftrecht; Aeroliteratur, Stoccolma 1923 (contiene tutta la bibliografia che si riferisce alla materia dal 1910 al 1923); Bibliography of Aeronautics, Washington (contiene tutta la letteratura mondiale giuridica e non giuridica dal 1909; l'ultimo volume arriva al 1924, e l'opera continua a pubblicarsi). Cfr. ancora A. Ambrosini, Diritto aeronautico, I, parte speciale (Lezioni tenute nell'università di Roma, anno acc. 1927-28), cap. III; E. Pittard, Dominium coeli, in Zeitschrift für das gesamte Luftrecht, 1926, I, p. 15 segg.; G. Salom, Le radiocomunicazioni nel diritto internazionale, Padova 1927, p. 12 segg.
Arte.
In arte, è la massa d'aria che avviluppa le cose e ne altera a distanza i valori: ciò che i Greci chiamano ἀήρ, i Latini aër, gli Italiani del Rinascimento aria o aere.
La rappresentazione degli effetti aerei - prospettiva aerea - vuole la conoscenza del chiaroscuro, del rilievo e di tutti quei rapporti, la cui osservanza costituisce l'arte di ambientare; arte ignota all'antichità, fuori del mondo classico.
La scuola atomistica dell'antica Grecia notò per prima le illusioni della vista a cagione dell'atmosfera, in appoggio alla sua teoria sulla relatività dei dati sensibili. Lucrezio, alunno di Democrito e di Epicuro, descrive mirabilmente nel De Rerum Natura i più ovvî casi di prospettiva aerea. Tolomeo osserva che i pittori fanno velati dall'aria i colori delle cose che vogliono simulare lontane. L'atramentum o velatura di Apelle, che mostrava le cose veluti per lapidem specularem intuentibus e longinquo (lontane, quasi riflesse in uno specchio), era forse inteso a effetti di atmosfera, nel senso notato dal Du Fresnoy (1665):
Multa ex natura speculum praeclara docebit
Quaeque procul sero spatiis spectantur in amplis
(De arte graphica, XLIX).
Gli affreschi con le scene dell'Odissea al Vaticano rivelano il grado di finezza a cui la pittura antica era giunta in questa parte. Nelle opere di carattere decorativo (affreschi della villa di Livia) o compendiario (scene egizie nella casa di Livia) l'atmosfera è resa con mezzi convenzionali e di pratica. In genere, l'illusionismo e l'impressionismo romano suppongono la visione delle cose attraverso il medio aereo, sensibile perfino nei rilievi (pannelli dell'arco di Tito). Lo sfondo turchino dei musaici protocristiani si deve forse alla consuetudine classica di ambientare le figure sul cielo.
Le osservazioni di prospettiva aerea, raccolte metodicamente dall'ottica antica, furono proseguite nel Medioevo dagli Arabi e massime da Ibn al-Haitham (Alhazen, sec. X d. C.), che si valse delle ricerche psicologiche di Avicenna. Egli distingue tra la visione aspectu (istantanea o, come diceva Tolomeo, di pura sensibilità) e la visione obtuitu, cioè per intuizione diligente. Alla prima appartiene la visione atmosferica con le sue illusioni. L'ottica di Alhazen fu divulgata in occidente dal polacco Witela (Vitellio) contemporaneo di Giotto. Egli nota che a distanza cose variopinte paiono monocrome; piante divise da largo intervallo paiono vicine; stelle lontanissime, accoste. Di due corpi a uguale distanza il più grande sembra più vicino, perché la sua visione è più certa. Quando nell'aria vi sono vapori le distanze sembrano maggiori; gli oggetti obliqui paiono retti; il quadrato appare circolare; la sfera, piana; l'acqua corrente, immobile; un trasparente, opaco, e scabra una cosa polita.
Ristrette sino al '400 nel campo della filosofia naturale, queste esperienze ritornarono nel dominio della pittura con Masaccio, il primo pittore di prospettive aeree, a detta del Vasari. Lo sfondo del Tributo al Carmine presenta vasti piani scolorati, con giusta degradazione aerea. E non solo i paesi, ma tutta la forma masaccesca appare avviluppata dall'aria, che ne ammorbidisce i contorni e toglie ogni asperità al disegno. Seguace di Masaccio, Piero della Francesca dipinse ad Arezzo (chiesa di S. Francesco, ciclo della Croce) il primo grande paesaggio arioso, e nei ritratti dei Montefeltro aiutò la prospettiva sfuggente del panorama con l'effetto della profondità dell'aria. Il Perugino trasferì questa malia nel fondo dei suoi quadri sacri, ad aria purissima e rarefatta, seguito dal Francia con alcuni Ferraresi e da Raffaello, ambientatore squisito nelle opere della giovinezza. I pittori fiamminghi del '400, e i tedeschi che risentono dei fiamminghi, rappresentarono squisitamente la purezza dell'aria, con precisi e finiti termini pur nell'estremo orizzonte.
Inspirandosi agli antichi e a Witela, Leonardo dichiarò primo le leggi della prospettiva aerea, che chiamò "prospettiva di colore". Witela aveva notato la scomparsa dei riflessi a distanza; e Leonardo: "La prima cosa che dei colori si perde nelle distanze è il lustro, loro parte minima e lume dei lumi; la seconda è il lume, perché è minore dell'ombra; la terza sono le ombre principali... rimane nell'ultimo una mediocre oscurità confusa". Vuole che la pittura aerea completi proporzionalmente la lineare, e ne temperi il disegno secco: "Tu, pittore, non diminuire più la prospettiva di colori che quella delle figure, dove tali colori si generano. E non diminuire più la prospettiva lineale che quella dei colori, ma seguita la diminuzione dell'una e dell'altra". L'atmosfera degli sfondi di Leonardo è talvolta irreale, ma nel Cenacolo è verissima ed esattissima. Il Mantegna congiunse la prospettiva matematica all'effetto aereo nella vòlta della Camera degli Sposi, maestra al Correggio, massimo pittore d'atmosfera del primo Cinquecento. Antonello da Messina, esemplare ai Veneti, unì la chiarezza di Piero della Francesca alla gradazione fiamminga. Cima è il Perugino veneto; ma la sua aria circola di più e sfonda meno che nel Vannucci. Il Giorgione è prezioso componitore, meglio che osservatore, di effetti aerei. L'atmosfera contribuisce in Tiziano ad ammorbidire il colore; in Tintoretto è volta ad effetti drammatici. Chiara e respirabile è l'aria di Paolo Veronese, unico forse, tra gli antichi, in cui gli effetti atmosferici si risolvano in puro colore, come nel plein-air dell'800. A lui si ispirano i Secentisti nel creare la loro pittura "ariosa".
Per il De Piles, un commentatore del Du Fresnoy, l'air si esprimeva con la gradazione dei colori; ma il Rembrandt provò ch'esso può consistere semplicemente nella gradazione dei valori e dei chiaroscuri.
Claude Lorrain (1600-1682) pose gli effetti aerei a tema precipuo della pittura, stilizzandoli in senso eroico. Egli è il padre artistico del Turner (1775-1851), il pittore delle nebbie luminose. Più schiettamente dipinsero l'aria i grandi paesisti olandesi del diciottesimo secolo, da cui derivarono il Constable (1776-1837), il Bonington (1801-1828) e la scuola di Barbizon. La ricerca atmosferica manca nel realismo (Courbet) e nel primo impressionismo (Manet), che trae l'ispirazione dalla pittura in superficie del Velásquez e dei Giapponesi. Nel secondo periodo impressionistico (Scuola di Batignolles) atmosfera e ricerche coloristiche di plein-air giungono all'identificazione.
Nell'Italia dell'800 i romantici si proposero di ridare alla pittura il senso di ambientazione, che, dopo gli spazî ariosi cari al Guardi e al Tiepolo, era stato smarrito dai neo-classici. La scuola lombarda vi contribuì in ispecial modo con il Faruffini, con Mosè Bianchi, e, in altra tendenza, col Piccio, col Cremona, col Ranzoni. La "macchia" dei Toscani esige la visione a distanza; il loro concetto di "proporzione" implica giustezza e finezza dei rapporti atmosferici.
Dai macchiaioli si staccò il De Nittis, pittore delle nebbie, come dall'impressionismo parigino il Whistler, continuatore del Turner. Il Segantini e il Previati ricorsero al divisionismo per rendere le vibrazioni luminose della massa atmosferica. La scuola del '900 italiano mira invece a rendere gli effetti aerei senza vibrazione o decolorazione, per toni decisi e netti, quali si hanno nell'aria lavata dalla pioggia.
La pittura dell'Estremo Oriente ama avvolgere i piani dei paesi in vapori molli, da cui emergano le cime dei monti: un pittore cinese di paesaggio così ci manifesta questa preferenza: "Una montagna senza brume o nuvole sarebbe come una primavera senza fiori o erbe. La montagna appare grande solo quando le nebbie l'avviluppano in lontananza".
Felicissimi nel segnare i più fuggevoli effetti atmosferici furono gl'impressionisti giapponesi della scuola di Kanō dell'epoca Genroku (sec. XVII; cfr. il Fujiyama nella nebbia di Kanō Tsunenobu al Museo Chiossone di Genova). L'atmosfera degli orientali manca, però, di profondità e di peso: i valori chiaroscurali, che nella pittura europea servono a rendere i piani sfuggenti, nella pittura cinese e giapponese si contrappongono, a quella guisa che la figura si prospetta senza rilievo sul piano.
Qualche sentore del senso plastico-atmosferico occidentale si riscontra nella miniatura indo-islamica dei secoli sedicesimo e diciasettesimo, ove pare di scorgere influssi della pittura italiana del Quattrocento.