ATRIO (dal lat. atrium)
L'atrio classico. - È il cortile della domus paleo-italica, e corrispondeva precisamente all'αὐλή della casa preellenica. Così questa come la casa paleo-italica ebbero comune l'origine dall'abitazione del capo della tribù nei paesi del sud. Una palizzata congiunge tra loro le capanne, delle quali la più spaziosa, quella del capo, sta in fondo, nel mezzo; e le altre destinate alle donne, agli altri membri della famiglia e ai servi son situate ai lati e di fronte, lasciando uno spazio per l'ingresso al recinto, il quale non ha altro scopo che di garantire la donna dagli sguardi indiscreti. Nell'interno del recinto, dinnanzi alle entrate delle capanne, corre lungo i lati di esso una rozza tettoia fatta di paglia o di strame, sostenuta da pali piantati nel suolo, per ricovero dei carri e di altre masserizie. Nell'età preellenica ed eroica tale tipo di abitazione, tutta propria dei paesi del sud, diede origine alla casa del principe (ἄναξ), la quale, come il palazzo di Tirinto insegna, constava essenzialmente di due parti, l'αύλή o corte e il μέγαρον o stanza principale posta in fondo alla prima e con l'ingresso protetto da tettoia sostenuta da colonne lignee; un'altra tettoia, similmente sostenuta, proteggeva gl'ingressi alle stanze che si aprivano ai lati della corte. Nel mezzo del megaron stava il focolare; e di fronte al megaron si apriva l'ingresso all'aulè. Ugualmente di due parti essenziali era costituita la domus paleo-italica: dell'atrium cioè, o cortile, e del tablinum o stanza principale, situata in fondo all'atrio: la corrispondenza è così evidente, da non potersi revocare in dubbio la comunanza di origine dall'Oriente mediterraneo e della casa dell'ἄναξ e della casa signorile paleo-italica. E si noti che la corrispondenza non è solo di forma e di disposizione e correlazione con la corte, ma altresì di destinazione e di uso quotidiano. Di fatto nel megaron si desinava, e nel tablino antichissimamente si desinava (in urbe in tabulino coenitabant, dice Varrone); nel megaron era il focolare, e nella casa paleo-italica il focolare era davanti o poco discosto dal tablino; il megaron era annerito dal fumo e riempito dal puzzo del grasso dei montoni, l'atrium era atrum ex fumo. Il megaron e il tablino sono, rispettivamente, la vera e propria casa, di cui l'aulè e l'atrio non sono che il cortile. Che poi il prototipo di questa disposizione, che diverrà costante nella casa paleo-italica, si riscontri altresì nella casa preellenica, è dimostrato dal fatto che, con poche modifiche ed aggiunte, si avrebbe un vero atrio corinzio, che teoricamente deve essere il più antico dei cinque generi di atrio mentovati da Vitruvio, sostituendo esso, nel progresso dei mezzi tecnici e nell'uso del materiale di muratura, la tettoia di paglia o strame sostenuta da pali che copriva i lati del cortile.
Il tablino dunque, come il megaron, nacque col tipo stesso della casa e n'è parte integrante. Acquista così tutto il suo valore la precisa descrizione di Festo (p. 13): Atrium proprie est genus aedificii ante aedem, continens mediam aream, in quam collecta ex omni tecto pluvia descendit. Come si vede, per Festo, la casa stessa (aedes) è il tablino, e l'atrio non è che costruzione secondaria rispetto a quello e destinata a precederlo, a introdurre in esso.
Sennonché, mentre la casa greca classica, pure avendo un cortile e dipoi anche più cortili, si allontanò dall'antichissimo tipo della casa preellenica ed eroica, la casa paleo-italica e poi romana mantenne inalterato quel tipo costruttivo, che troviamo già formato in Pompei. Senza dubbio furono gli Etruschi, che introdussero in Occidente e quindi in Italia quel tipo costruttivo della casa. Alla qual conclusione conducono le considerazioni seguenti: 1. L'atrio di gran lunga più comune in Pompei, l'atrio per eccellenza, è detto tuscanicum: ora la coordinazione della copertura dell'atrio in un sol corpo di tetto, che diventa il cardine di tutto il sistema dei tetti della casa, poiché riceve le acque e le immette nell'impluvium, (vasca cavata nel pavimento dell'atrio in corrispondenza del compluvium, nato dalla restrizione dello spazio centrale scoperto), ben conviene agli Etruschi, ai quali la tradizione è concorde nell'attribuire la fama di valenti architetti, e dal cui etnico la tecnologia architettonica chiama quell'atrio, che costituisce il progresso da essi introdotto, quando si furono stabiliti in regioni meno calde. Il tetto così sistemato, a quattro falde inclinate verso il ristretto spazio centrale scoperto (compluvium), era detto cavaedium, cioè cavum [tectum] aedium; il qual nome poi, per sineddoche, fu anche adoperato come sinonimo di atrio. 2. Varrone (De lingua lat., V, 161) collegava il nome stesso di atrium agli Atriates Tusci. 3. Il tetto dell'atrium displuviatum (v. appresso) si trova imitato come decorazione nei soffitti delle tombe etrusche. 4. È ormai acquisito alla scienza che Pompei, dove è frequentissimo l'atrio tuscanico, fu posseduta dagli Etruschi, che applicarono alla città un piano regolatore.
Vitruvio (VI, 3, 1) enumera cinque specie di atrî: l'atrium tuscanicum, il corinthium, il tetrastylum, il displuviatum e il testudinatum. Come sopra si è detto, l'atrio corinzio deve essere, teoricamente, il più antico, giacché non è da dubitare che il metodo più facile di coprire i lati di un cortile sia quello di far sostenere da colonne o da pilastri, ovvero anche da colonne e pilastri insieme, una tettoia sporgente. Tale specie di atrio, che si riduce a un peristilio, è certamente la più ricca e però si riscontra nelle case agiate: un esempio di bell'atrio corinzio offre la casa pompeiana di Epidio Rufo (v. tav. LXVII). L'atrio tetrastilo, cioè che ha il tetto sostenuto da sole quattro colonne piantate agli angoli dell'impluvio, deve rappresentare una modificazione dell'atrio corinzio, connessa con una restrizione dello spazio scoperto e delle dimensioni del cortile. Uno splendido esempio di atrio tetrastilo si osserva nella cosiddetta Casa delle nozze di argento (fig. 1) e in altre case signorili di Pompei (fig. 2). L'atrio tuscanico, che ha il tetto sostenuto da travi di una sola gettata, incastrate con le estremità nell'alto delle pareti, pur lasciando scoperto il centro, è tecnicamente di gran lunga il più difficile, ed è quindi senza dubbio il più recente, rappresentando esso un perfezionamento della costruzione della tettoia e una semplificazione di questa, mediante la soppressione delle colonne o pilastri, che pure ingombrano: quantunque si possa obbiettare che esso poté essere usato in case di piccole dimensioni, accettando l'ipotesi di Gino Rosi (Sepulcral architect., ecc., in Journal of Roman Studies, 1925 e 1927) sull'origine della casa etrusca. Tra le tombe rupestri di Norchia presso Viterbo una ve n'ha, p. es., che mostra un'evidente traccia esterna di impluvio (op. cit., 1927, p. 66). Certo è ch'esso ebbe diffusione incomparabilmente maggiore degli altri; il che avviene dei soli perfezionamenti semplificativi. Un felice restauro di atrio tuscanico si ammira nell'elegante casa di Marco Lucrezio Frontone in Pompei (fig. 3). L'atrium displuviatum è una varietà del cavedio tuscanico, in quanto che l'apertura rettangolare (compluvium) si trovava non già nel livello più basso del tetto, i cui spioventi in essa convergevano, bensì nel più alto, divergendo gli spioventi da ciascun lato verso le pareti, e quindi verso l'esterno. Evidentemente è un sistema che appartiene alla medesima architettura, non rappresentando esso se non la inversione dell'altro, dovuta a ragioni speciali. Come già si è accennato, il cavedio displuviato si trova imitato come decorazione nei soffitti degl'ipogei etruschi; esso è imitato plasticamente nell'urna etrusca di Poggio Gaiella, che ci rappresenta l'aspetto esterno della casa, e in cui ben si riconosce il tetto a quattro falde inclinate verso l'esterno, che ricopre le stanze poste intorno all'atrio, e il compluvio elevato a guisa di lucernaio (fig. 4). Infine l'atrium testudinatum aveva il tetto senza compluvio, quindi interamente chiuso. Giusta la ricostruzione ideale della copertura dell'atrio testudinato della casa di Marco Lucrezio, fatta dall'archit. ing. L. Iacono (fig. 5), l'atrio testudinato era quello coperto da un solaio piano continuo, alla cui travatura era sospesa una finta volta cilindrica d'incannucciata e stucco, con un lacunare o rientranza centrale, rettangolare, anche a fondo arcuato, così che l'insieme delle superficie curve del risultante soffitto appariva quale una copertura di scudi (testudo). È chiaro che tal forma di copertura dell'atrio venne adottata per disporre di una superficie maggiore, su cui potesse estendersi il piano superiore.
In un tempo posteriore, che per Pompei coincide con l'età sannitica, all'atrio italico venne aggregato il peristylium, preso a prestito e tolto di peso dalla civiltà e dalla maggiore raffinatezza ellenistica. Con tale ampliamento la casa romana dell'ultimo periodo repubblicano e dell'epoca imperiale venne a constare dell'atrio italico, che diventava così la parte anteriore o di rappresentanza, e del peristilio, che era la parte posteriore e più intima di essa (v. casa romana). Se non che la vita intima di famiglia subì uno spostamento, ritraendosi dall'atrio nel peristilio; e il tablino, il nucleo della casa paleo-italica, mutò destinazione, divenendo l'archivio e la stanza di lavoro del pater familias. Nell'atrio era, d'ordinario, collocata la cassaforte di legno rivestita di lamine di ferro, con borchie ed altri ornamenti di bronzo; presso l'una delle antae d'ingresso al tablino si vedeva talora il ritratto in bronzo o in marmo del padrone di casa, mentre nelle alae erano esposte le imagines maiorum. Anche nell'atrio stava qualche volta l'edicola dei Lari e degli dei penati. Nella latinità seriore atrium prese il significato di vestibulum. Il peristilio col giardino nel mezzo offrì poi il modello al claustrum medioevale.
Bibl.: K. Lange, Haus und Halle, Lipsia 1885, pp. 50-59; A. Sogliano, Studî di topografia storica e di storia antica della regione sotterrata dal Vesuvio, in Rend. della R. Accad. di archeologia, lettere e belle arti di Napoli, 1901; id., L'origine del tablinum secondo Varrone, in Atti Accad. arch. di Napoli, XIX: id., Cavedio e Famedio, in Atti dell'Accad. Pontaniana di Napoli, XLIX; G. Patroni, L'origine della domus ed un frammento Varroniano male inteso, in Rendiconti della R. Accad. d. Lincei, s. 5ª, XI (1902), p. 467 segg.; M. Camaggio, L'atrium testudinatum, in Rend. Accad. Lincei, s. 6ª, IV (1928), p. 25 segg.
L'atrio cristiano e quello moderno. - Parziali analogie col precedente si possono ritrovare, anche senza accettare in pieno la teoria che dalla casa romana fa derivare la basilica cristiana, nell'atrio a quadriportico che in molti casi era annesso alla basilica stessa. Esso era infatti, nella sua forma più completa, un cortile quadrato o rettangolare, circondato da portici e posto innanzi alla facciata della basilica, con o senza l'intermediario del nartece (specie di vestibolo interno o esterno dove si trattenevano i catecumeni) e serviva, quando la basilica non aveva un doppio nartece, per i penitenti (v. basilica). Una fontana (cantharus) collocata nel mezzo e destinata alle abluzioni, origine, forse, delle attuali pile per l'acqua benedetta, ricordava l'impluvium.
Ben presto l'atrio per mezzo dei proprî porticati servì di ricovero pei pellegrini; inoltre nella sua area vennero sepolti i fedeli, e da questo uso gli derivò anche il nome di paradisus. Se a Roma molte basiliche avevano l'atrio, ne erano in genere mancanti quelle d'Oriente, che avevano il solo nartece. La scomparsa dei catecumeni e dei penitenti contribuì verso il sec. VII e l'VIII al progressivo ridursi dell'atrio e poi alla sua quasi totale abolizione. Contemporaneamente, lo sviluppo del monachismo portava, per ragioni di comodità e per evitare il contatto con estranei, a disporre lungo un fianco della chiesa gli edifizî dove si svolgeva la vita monastica, raggruppandoli attorno a un cortile con portici (v. chiostro) che, anche nel pozzo o nella fontana che lo adornavano, ricorda l'atrio basilicale. Questo però non scomparve del tutto: tanto che se ne trovano esempî completi nel S. Ambrogio di Milano (sec. XI), nel S. Clemente, ricostruito nel sec. XII, a Roma, nella chiesa romanica del monastero di Laach in Germania, fino a quello che Giuliano da San Gallo elevò alla fine del '400 davanti a S. Maria Maddalena de' Pazzi in Firenze, a quello secentesco di S. Gregorio al Celio in Roma, per giungere a quello dei fratelli Vespignani e del Calderini nella rinnovata basilica di S. Paolo a Roma, e all'atrio, aperto con loggiati sopra un fianco, di S. Anselmo sull'Aventino.
Col nome di atrio si suole anche designare nell'architettura civile dal Rinascimento quel tipo d'accesso al cortile che è aperto all'esterno mediante un porticato. Questo tipo d'ingresso sontuoso e accogliente differisce essenzialmente dall'androne (v.) o dal vestibolo (v.) in quanto è disposto lungo la facciata (talvolta internamente ad essa, talvolta come portico addossato), laddove gli altri elementi suddetti sono veri e proprî ambienti, piccolo ed allungato l'uno, vasto e di varia conformazione l'altro, disposti nell'interno con l'asse normale alla fronte. In questa forma l'atrio si presenta in molti e noti esempî: cinquecenteschi come quelli del palazzo Massimo e della Farnesina in Roma, del palazzo Canossa a Verona, della villa Capra e del palazzo Chieregati a Vicenza; o barocchi come nel palazzo Madama a Torino, nel Barberini a Roma, nella Sapienza a Napoli; o neoclassici come nel teatro S. Carlo di Napoli e nel palazzo reale di Monza. Frequentissimi poi gli esempî moderni, specialmente nei teatri, nei palazzi per i ministeri, negli edifizî per uffici postali, negli alberghi, nelle banche, nelle scuole, nelle stazioni, ecc., cioè in tutti quei casi nei quali ad una certa imponenza si deve congiungere comodità d'afflusso per un grande numero di passanti. Per maggiori notizie su queste speciali applicazioni dell'atrio, si vedano le singole voci albergo, banca, borsa, posta, scuola, stazione, teatro. (V. Tavv. LXVII a LXXIV).
Bibl.: K. Lange, Haus und Halle, Lipsia 1885; A. Choisy, Vitruve, Parigi 1909, I, pp. 218, 228 segg.; Daremberg e Saglio, Dict. des ant. grecq. et romaines, I, pp. 530, 981; II, p. 349 segg.; F. Cabrol, Dictionnaire d'archéologie chrétienne, Parigi 1907 segg., II, p. 526 segg.