ATRIO
Negli edifici di culto cristiani l'a. è un cortile a cielo aperto, circondato da portici su tre o quattro lati, con funzione di vestibolo. Nella maggior parte degli esempi conosciuti, i portici sono formati da arcate su colonne con pilastri d'angolo, ma le colonne possono anche sorreggere una trabeazione e certamente dovevano esistere anche costruzioni più leggere con tetto a un solo spiovente sorretto da pali di legno. Può stupire che sia stato adottato il termine a. che, nell'architettura classica, indica il piccolo cortile della domus coperto da un tetto a impluvium piuttosto che quello di peristilio, più adeguato. Bisogna tuttavia osservare che l'a. della domus assumeva a volte la forma di un piccolo peristilio e che il termine a. offriva il vantaggio di significare insieme cortile e vestibolo. L'uso di questo termine non fu privo di inconvenienti, perché il suo significato divenne sempre più vago nel latino medievale: servì a indicare sia un vestibolo, qualunque ne fosse la forma, sia una corte, qualunque ne fossero la forma e l'uso (il nome fu esteso anche al cimitero che circondava la chiesa); nei testi poetici, il plurale atria designò generalmente la chiesa stessa. Il termine quadriportico, architettonicamente più preciso, è rimasto di uso eccezionale.L'a. compare fin dall'inizio dell'architettura cristiana monumentale, nella quale non sembra configurarsi peraltro come un elemento costitutivo della basilica, come si riteneva un tempo, ma come una struttura di carattere decorativo. Abituati a finanziare la costruzione di edifici pubblici destinati ad abbellire la città e a perpetuare la loro gloria, i membri della classe dirigente, a cominciare dall'imperatore, vollero nuovi edifici sacri, non solo pratici e vasti, ma anche lussuosi. Costruendo un a. davanti alla basilica, l'architetto della Tarda Antichità riutilizzava uno schema comune nell'architettura aulica, diffuso sia nelle case di lusso sia nei complessi urbanistici (forum e complessi di culto in particolare), ripresentandolo per lo più davanti a edifici di particolare ricercatezza strutturale (S. Lorenzo Maggiore a Milano o le basiliche finanziate dal banchiere Giuliano a Ravenna, S. Vitale e S. Apollinare in Classe; Deichmann, 1969-1989).Non meraviglierà quindi che le funzioni liturgiche dell'a. fossero secondarie. Si trattava di uno spazio intermedio fra l'asse viario e l'edificio sacro; al centro spesso vi era una fontana detta cantaro, in cui il fedele poteva lavarsi le mani prima di entrare in chiesa. L'a. poteva servire come spazio di collegamento fra la chiesa e altri edifici del complesso, in particolare il battistero (Grabar, 1954-1957). Le altre funzioni erano occasionali e corrispondevano a usi per i quali l'a. non era stato previsto. Lo si usò come cimitero - si seppelliva sotto i suoi porticati, si collocavano i sarcofagi lungo il muro perimetrale, gli si annettevano mausolei - e come prestigioso luogo di sepoltura, per la sua posizione intermedia fra la chiesa vera e propria (dove, in determinate epoche e regioni, il diritto di sepoltura era comunque riservato al clero) e il cimitero subdiale intorno a essa. L'a. era anche, a volte, sede di attività caritatevoli: i poveri si radunavano sotto i porticati dove avvenivano le distribuzioni assistenziali; nell'Alto Medioevo, in Gallia, vi si installò talvolta anche il servizio della matricola. Infine l'a. poté anche assumere funzione di chiostro, con l'installazione di celle (S. Lorenzo Maggiore a Milano; S. Apollinare in Classe a Ravenna). Al contrario, niente autorizza a pensare che i catecumeni e i penitenti vi si fermassero per seguire la prima parte della messa, in quanto essi avevano i loro posti all'interno della chiesa.Non si conoscono che pochi a. risalenti al periodo paleocristiano: una quindicina nell'Italia settentrionale, una decina a Roma e dintorni, qualcuno nell'Italia meridionale, dove l'a. è raro, come in Spagna e nell'Africa settentrionale; in quest'ultima regione si possono citare soltanto una dozzina di esempi, tra i quali i meglio conosciuti sono quelli delle basiliche di Tebessa in Algeria (Christern, 1976) e di Melleus a Haïdra in Tunisia (Recherches archéologiques, 1981). Gli a. della Gallia sono conosciuti solo attraverso i testi (si veda l'esempio di Saint-Martin di Tours; Pietri, 1983).Dopo un relativo abbandono nei secc. 7° e 8°, l'a. tornò a essere utilizzato nel periodo della rinascenza carolingia grazie al rinnovato interesse suscitato dall'architettura tardoantica e in particolare da quella prestigiosa di Roma, la città in cui i Carolingi ricercarono più volentieri riferimenti culturali e modelli artistici. S. Pietro in Vaticano ebbe una particolare importanza e il termine di 'paradiso', che in origine venne dato al suo a., perché decorato da un mosaico che rappresentava la Parusía, ma che poteva ricordare anche il giardino dell'Eden, fu ripreso dai Franchi che ne fecero un nome comune, sinonimo di quadriportico (Picard, 1971).Nessun a. carolingio si è conservato e se ne conosce pertanto l'esistenza solo attraverso gli scavi e i testi (Oswald, Schaefer, Sennhauser, 1966). Tuttavia l'esame delle fonti porta senza dubbio a sopravvalutare il numero di a., poiché il termine può designare spesso soltanto un vestibolo, così come il rinvenimento di un muro isolato può essere riferito a un semplice cortile contiguo alla facciata. Fra gli esempi indubbi è l'a. della Cappella Palatina di Aquisgrana, erede diretto delle costruzioni auliche dell'Antichità alle quali il suo architetto Eudes di Metz si ispirò, senza copiarle banalmente; da notare, in questo caso, la combinazione del quadriportico con l'a. a forcipe, così come le proporzioni dell'a. stesso: le costruzioni carolinge sono spesso assai più lunghe che larghe rispetto ai loro modelli paleocristiani (Kreusch, 1965). La maggior parte degli altri a. noti, tra la fine del sec. 8° e il 9°, fa parte di complessi monastici e canonicali. Nell'abbazia di Saint-Riquier (dip. Somme), Angilberto fece costruire, nell'ultimo decennio del sec. 8°, un 'paradiso' davanti al corpo occidentale; esso presentava tre porte, quella settentrionale consacrata a Raffaele, quella occidentale a Michele e quella meridionale a Gabriele, e alcune torri (gli altari erano forse collocati nelle torri e sopra le porte; Picard, 1971). Egil, abate di Fulda in Assia (817-822), fece costruire il chiostro della nuova abbaziale 'alla maniera romana': a O, davanti alla chiesa, e non a S lungo il fianco, secondo la pratica già allora considerata tradizionale. Anche se non si parla né di a. né di 'paradiso', la collocazione scelta e il riferimento romano dimostrano che questo chiostro (di cui non si sono ritrovati i resti) aveva come modello il quadriportico di S. Pietro in Vaticano, di cui la nuova chiesa abbaziale riproduceva la pianta (Krautheimer, 1942; Picard, 1971). Si ritrova la disposizione del chiostro davanti alla facciata anche nell'abbaziale di Inden (nei pressi di Aquisgrana), il monastero costruito negli anni 814-817 per Benedetto d'Aniane e destinato a ospitare una comunità benedettina modello (Hugot, 1962), così come anche a Farfa (Mc Clendon, 1987).In realtà questi monasteri non hanno fatto scuola: nel celebre piano di San Gallo (San Gallo, Stiftsbibl., 1092) il chiostro si trova a S della chiesa e il 'paradiso', rappresentato a O dell'abbaziale, è ridotto a una stretta corte semicircolare, che riprende la forma della controabside, a sua volta circondata da un portico della stessa forma. Questo organismo ha ormai in comune con i prototipi paleocristiani soltanto il nome: si atrofizza assumendo le funzioni del chiostro, che si preferisce impiantare contro il fianco dell'abbaziale o della collegiata, forse perché questa disposizione permette un raggruppamento più pratico dell'insieme delle costruzioni monastiche.Anche successivamente vennero costruiti a. nei territori dell'impero, perché l'arte ottoniana riprese e prolungò le esperienze carolinge, altrove abbandonate. Werner, abate di Fulda (968-982), la dotò di un 'paradiso' del quale si sono ritrovate le fondazioni sempre sull'asse dell'abbaziale, ma questa volta sul lato orientale. Il riferimento a Roma era qui costituito da una grande cappella che occupava, al centro del portico orientale, l'analoga posizione dell'oratorio di S. Maria ad grada in S. Pietro in Vaticano (Meyer Barkhausen, 1958; Oswald, Schaefer, Sennhauser, 1966, p. 86). Al contrario non si conosce, se non attraverso i testi, il 'paradiso' edificato da Witigowo, abate di Reichenau (complesso monastico su un'isola del lago di Costanza), davanti al Westwerk dell'abbaziale di Mittelzell nel 991; Purchard lo descrive come un piccolo giardino circondato da portici ad arcate (Carmen Purchardi de gestis Witigowonis, MGH. SS, IV, 1841, p. 620). Alcune chiese tedesche più tarde hanno ancora un a., ultima manifestazione dell'influsso carolingio: la collegiata di Essen, costruita verso il 1060-1070 (Zimmermann, 1956) e l'abbaziale di Maria Laach (in Renania) del 1220-1230 (Schippers, 1928).Si trovano anche alcuni esempi di a. nel Romanico italiano. Uno dei più celebri e dei meglio conservati è quello di S. Ambrogio a Milano, costruito alla fine del sec. 11°, lungo il doppio della larghezza, di proporzioni tipicamente carolinge; è possibile che questo a. ne abbia sostituito un altro del sec. 9° a cui allude forse l'epitaffio di Ansperto, arcivescovo di Milano (869-881; Chierici, 1978). Si pensa anche che questo primo a. milanese abbia ispirato i costruttori di Montecassino, dove, negli anni 1022-1055, venne costruito davanti alla chiesa di S. Benedetto un primo a. con torri; l'abate Desiderio ne fece erigere uno nuovo, conosciuto attraverso una descrizione dell'epoca (Leone Marsicano, Chronica, II, 27; MGH. SS, VII, 1846, p. 718) e da un disegno di Antonio da Sangallo (Bertaux, 1903, pp. 155-183; Thiery, 1978, IV, pp. 372-373). Questo a. aveva le stesse proporzioni di quello di Milano, ma il cronista fa riferimento al 'paradiso' di S. Pietro in Vaticano a cui riconduce anche il grande scalone nella facciata. A sua volta, l'a. di Montecassino venne imitato nella cattedrale di Capua dal vescovo Erveo (1072-1086) e nella cattedrale di Salerno eretta da Roberto il Guiscardo e dal vescovo Alfano I fra il 1080 e il 1085; quest'ultimo è il solo dei tre che rimane in condizioni vicine a quelle originarie (Bertaux, 1903, pp. 317-318; Thiery, 1978, V, pp. 552-556). In definitiva l'a. quadriportico nell'architettura carolingia rappresenta un riferimento estetico all'arte tardoantica che non implica però una reale utilità liturgica o pratica. L'esperienza, tentata a Fulda e a Inde, di collocare un a./chiostro sull'asse dell'abbaziale non è stata conclusiva e il piano di San Gallo presenta la soluzione che sarebbe diventata classica in seguito e che venne ripresa in particolare nell'abbazia di Cluny in Borgogna. È da notare a questo proposito che, nonostante la restituzione proposta da Conant (1968), Cluny II non aveva verosimilmente che una galilea più lunga che larga (e non il contrario) preceduta da un semplice vestibolo e non da un quadriportico (Sapin, 1986; si vedano anche le analoghe conclusioni di Sennhauser, 1970, riguardo a Romainmôtier e Payerne).Questo carattere dell'a., costruzione di lusso e non organismo vitale, può ben spiegare perché nella maggior parte questi monumenti siano in seguito scomparsi, quando si volle sfruttare il terreno che occupavano o reimpiegare le colonne ivi collocate.
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