ATTALO II
. Nacque nel 220 a. C. da Attalo I e da Apollonide. Durante la vita del fratello Eumene II, succeduto nel trono di Pergamo ad Attalo I nel 197 a. C., prese parte attiva agli affari del regno insieme con gli altri fratelli, senza però nessuna veste ufficiale di coreggenza. Venne ambasciatore a Roma nel 192 a. C. per annunciarvi il passaggio di Antioco III in Europa (Liv., XXXV, 23) e, due anni dopo, tenne il comando in Pergamo quando Seleuco, figlio di Antioco III, ne devastò il territorio, e, sopraggiunti gli aiuti achei, poté respingerlo (Liv., XXXVII, 18-21; cfr. Pol., XXI, 9). Ebbe poi nello stesso anno una parte notevole nella battaglia di Magnesia (Liv., XXXVII, 43, 5). Nel 189 a. C. combatté valorosamente con Cn. Manlio Vulsone contro i Galati (Liv., XXXVIII, 12, cfr. 23), e quindi partecipò alle guerre contro Prusia di Bitinia (Fränkel, Inschriften von Pergamon, n. 65) e contro Farnace del Ponto (Pol., XXIV, 5 e 8). Nel 175 cooperò con Eumene II al ritorno di Antioco IV Epifane (Fränkel, op. cit., n. 160; App., Syr., 45). Quando nel 172 a. C. Eumene II, di ritorno da Roma, fu assalito da masnadieri a Cirra presso Delfi e conciato in tal modo che si sparse la voce della sua morte, A. ambì alla mano di Stratonice, moglie di Eumene (Liv., XLII, 16, 8); Diod., XXIX, 34), e, secondo Plutarco, l'ottenne (De frat. am., 18); ma ciò è assai dubbio, e più dubbio ancora, anzi da escludersi, è che da questo preteso matrimonio nascesse il futuro Attalo III, come sostenne per primo il Köpp (Rheinisches Museum, XLVIII, 1893, p. 154 segg.) e, dopo di lui, molti altri ammisero (Attalo III fu invece filius iustarum nuptiarum, nato da Stratonice e da Eumene II, o almeno come tale deve essere stato sin da principio riguardato; né vale contro ciò appellarsi al difficile passo di Polibio, XXX, 2, 6: cfr. G. Cardinali, Il regno di Pergamo, p. 132 segg.). Nella guerra contro Perseo A. si adoprò a favore del fratello Eumene presso gli Achei (Pol., XXVII, 18; XXVIII, 7; 12, 7), combatté nella battaglia di Pidna al seguito di Emilio Paolo (Liv., XLIV, 36, 8; XLV, 19, 3) venne poi ambasciatore a Roma per congratularsi coi Romani e nello stesso tempo per chiedere aiuto contro il pericolo derivante dalla ribellione dei Galati (Pol., XXX, 1, 2 e 3; 2, 8; 3, 2; 20, 12; Diod., XXXI, 14; Liv., XLV, 19, 20). In quell'occasione invano i Romani intrigarono per allontanarlo dal fratello; tornò in Roma nel 163 e nel 160, sempre oggetto di particolari attenzioni (Pol., XXXI, 9 e XXXII, 15).
Nel 159 a. C. successe ad Eumene II, assumendo la tutela del nipote minorenne, e col patto che questi gli sarebbe succeduto alla sua volta, ma sin da principio e per tutta la durata del regno egli fu l'unico sovrano effettivo, come è dimostrato dalle epigrafi, alla luce delle quali bisogna esaminare le testimonianze letterarie (Strab., XIII, 624 e Pol., XXXII, 22, 8, cfr. G. Cardinali, op. cit., p. 124 segg.). Sposò la vedova del fratello, Stratonice, figlia di Ariarate IV di Cappadocia, e aiutò il cognato Ariarate V a riconquistare il trono dal quale l'aveva cacciato Oroferne, favorito di Demetrio I di Siria (Pol., XXXII, 22, 8; Diod., XXXI, 32; Zonar., IX, 24). Nel 156-5 Prusia II di Bitinia lo assalì, e mentre i Romani, invocati da A., si limitarono ad inviare ambascerie dietro ambascerie, Prusia invase il territorio di Pergamo per ben due volte, nel 155 e nel 154, sicché A. fu costretto ad armare un grande esercito, appoggiato da Ariarate di Cappadocia e da Mitridate del Ponto, e soltanto dopo nuove e più vive insistenze diplomatiche dei Romani le ostilità cessarono nel 153 a. C. con un trattato favorevole al regno di Pergamo (Pol., XXII, 27, XXXIII, 13; App., Mithr., 3).
A. stimolò poi ed aiutò Bala, preteso figlio di Antioco Epifane, nelle sue aspirazioni al trono di Siria, occupato allora da Demetrio I, e cooperò validamente al successo di lui. Nello stesso torno di tempo riarse la guerra con Prusia di Bitinia, contro il quale A. aizzò il figlio Nicomede, e avendo questi trovato larghe simpatie tra i sudditi, la guerra fu rapidamente vittoriosa: Prusia, invano aiutato dal principe tracio Diegili, fu costretto a rifugiarsi in Nicea e poi trovò la morte per tradimento in Nicomedia (Pol., XXXVII, 6; Liv., Per., 50; App., Mithr., 4-7; Strab., XIII, 624; Fränkel, op. cit., n. 225). Uno strascico di questa guerra fu quella con Diegili, che terminò, a quanto pare (Trog., Prol., 36), con la vittoria di questo. Morì A. nel 138, in età di 82 anni (Strab., l. c.; Ps.-Lucian., Macrob., 12) dopo una vita molto attiva, nella quale egli, assai spesso coinvolto in operazioni di guerra, non aveva trascurato le arti della pace (Susemihl, Gesch. der griech. Litt. in der Alexandrinerzeit, I, 5, 406, 736, 872; II, 4, 65; Fränkel, op. cit., n. 65 segg.).
Bibl.: v. attalo iii.