ATTALO Prisco ("Ατταλος Πρίσκος; Attălus Priscus)
Figura caratteristica dell'inizio del sec. V dell'era volgare, imperatore romano per volontà d'uno dei più fieri nemici di Roma, Alarico. Era nato nella Ionia, ma fin da giovane visse a Roma, dove ebbe cariche onorifiche dagl'imperatori Teodosio ed Onorio e fu amico di Simmaco e pagano egli stesso. Nel 409 il Senato romano, sotto la minaccia dell'assedio dei Goti guidati da Alarico, lo mandò con altri insigni personaggi a Ravenna perché persuadesse Onorio a concludere la pace. L'ambasceria fu infruttuosa: A. ottenne il titolo di comes sacrarum largitionum e tornò a Roma. Ivi Alarico, che, per un certo religioso terrore, non voleva spingere le cose all'estremo contro Roma, pensò di contrapporre ad Onorio un altro imperatore e scelse A., che già da tempo era praefectus urbi: la nomina fu ratificata dal Senato e A. accettò di convertirsi all'arianesimo, pur conservando sentimenti pagani e concedendo cariche a pagani. Per consolidare il suo dominio pensò d'impadronirsi dell'Africa, governata allora da Eracliano, fedelissimo ad Onorio. Alarico voleva inviarvi un esercito di soli Goti, ma A. che, nonostante tutto, dimostrava un certo senso di romanità, si oppose e mandò un tale Costantino con poche forze, che furono facilmente sconfitte. Frattanto A. ed Alarico marciarono su Ravenna: Onorio, atterrito, mandò all'usurpatore un'ambasciata, proponendogli la divisione dell'impero. A. rifiutò e giunse a imporre ad Onorio di lasciargli il trono e di ritirarsi in un'isola. Ma i rinforzi giunti dall'Oriente permisero ad Onorio d'interrompere le trattative, mentre tra A. ed Alarico si accentuavano le divergenze: peraltro il fiero re goto non abbandonò ancora il suo imperatore, ed anzi lo fece riconoscere in parecchie città dell'Italia settentrionale. Il fallimento dell'impresa d'Africa aggravò le condizioni di Roma: Alarico rinnovò la sua proposta di inviare i proprî soldati in Africa, ma A. rifiutò nuovamente. Allora Alarico, con solenne cerimonia, depose quella larva di imperatore a Rimini (410) e, poco dopo, troncati gl'indugi, tornò a Roma e compì il famoso saccheggio della città eterna (410). A. continuò a restare presso i Goti anche dopo la morte di Alarico, passò in Gallia col successore di questo, Ataulfo, e compose un epitalamio per le nozze di Ataulfo con Placidia, sorella di Onorio (414). Poco dopo A. fu nuovamente proclamato imperatore nella Gallia Narbonese, ma ben presto i suoi amici Goti l'abbandonarono; egli fuggì, ma fu catturato dal comes Costanzo, che lo consegnò ad Onorio (415). Questi, celebrando il suo trionfo in Roma, obbligò A. a camminare davanti al suo carro, poi gli fece mozzare due dita e lo esiliò a Lipari (417).
Paolo Orosio (Hist. adv. Pag., VII, 42, 7, 8) lo chiama "l'infelicissimo A., mimo e trastullo dell'impero, vana immagine della dignità imperiale": questo giudizio sembra esatto, anche se si tenga conto di certe affermazioni di romanità, che egli fece talora.
Bibl.: A. Thierry, Alaric, Parigi 1880, pp. 389-437; O. Seeck, Geschichte des Untergangs der antiken Welt, V, Berlino 1913, pp. 404-412; J. B. Bury, History of the later Roman Empire, I, 2ª ed., Londra 1923, pp. 178-200.