BERTOLUCCI, Attilio
Nacque il 18 novembre 1911 a San Prospero, frazione di Parma, ultimogenito di Bernardo e di Maria Rossetti, dopo Giovanni e Giulia (morti appena nati), Elsa (morta a tre anni, ma a sei nel ricordo del poeta) e Ugo, nato nel luglio 1906. Suo padrino di battesimo fu il sacerdote umanista don Attilio Tramaloni, da cui prese il nome e che fu presenza importante nella sua infanzia.
Il padre – discendente di un’antica famiglia di allevatori di cavalli che si era trasferita da Roccastrada in Maremma nell’Appennino parmense, stabilendosi a Casarola – studiò a Parma nel collegio dei salesiani fino ai diciotto anni per dedicarsi poi ad attività commerciali: fu rappresentante in Emilia per la società statunitense Ruston, produttrice di macchine agricole, ed ebbe molti incarichi, fra cui quello di presidente della Banca emiliana. Fu sempre di grande sostegno al figlio. La madre apparteneva invece a una ricca famiglia di agrari, originari di Cortemaggiore e residenti a San Lazzaro, nella pianura: graziosa ed elegante, incontrò Bernardo, intraprendente e «ricco di saper vivere» (Fotobiografia…, 2004, p. 58), appena quindicenne. Alla fuga d’amore tra i due giovani, per la quale Maria abbandonò gli studi nel collegio S. Agostino di Piacenza, seguì il matrimonio. Pochi mesi dopo la nascita di Attilio, i Bertolucci si trasferirono da San Prospero in un'altra frazione di Parma, Antognano.
A sei anni iniziò a frequentare la scuola elementare di Antognano, a sette venne iscritto al convitto Maria Luigia di Parma, dove già si trovava il fratello Ugo e dove restò tre anni. Fu la poesia a consolare la malinconia del distacco dalla madre e a ispirare i primi versi, che verso gli otto anni, senza firmare, lasciava non senza batticuore nella camera del maestro. Ma fu soprattutto Salgari, divorato alla luce di una candela nella stanza dove dormiva con Ugo, a nutrire, con Verne, la sua immaginazione, mentre si apriva alla musica di Verdi attraverso il canto nel teatro del collegio: «S’attaccava, serissimi “Va’ pensiero”, “O Signor che dal tetto natio”, si veniva iniziati alla musica. E la musica era Verdi» (Capriccio verdiano, in Opere, 1997, p. 960). Non frequentò la terza elementare, perché accompagnò il nonno Giovanni Rossetti, malato di diabete, a Salsomaggiore. La cittadina, che vantava il Grand Hôtel des Thermes dalle decorazioni liberty, divenne un luogo di scoperte e di divertimenti, come gli spettacoli di burattini, di cui conservò a lungo il ricordo.
Nel 1921 la famiglia si trasferì nel podere di Baccanelli, da dove il ragazzo poteva raggiungere il convitto con il tram. Sempre con un tram, che portava a Monchio, paese dal quale si saliva a Casarola attraverso una mulattiera, venne condotto a conoscere la casa paterna.
Superato l’esame di passaggio al ginnasio inferiore nel 1923, continuò a scrivere e leggere poesie, sebbene i modelli fossero mutati, grazie alle antologie pascoliane Fior da Fiore e Sul limitare, in cui conobbe autori fondamentali per il suo apprendistato: Omero, Virgilio, Wordsworth e Hugo. Con Laus vitae anche D’Annunzio, «gran modernizzatore di ritmi e metri» (Alla ricerca di Marcel Proust, 1995, p. 38), entrò nel novero dei suoi poeti. Poco assiduo nello studio, era invece attento, per viva sensibilità, ai poeti pubblicati dalla «Universale Sonzogno», come Baudelaire o Whitman, dal quale apprese la libertà del verso. Sempre nel 1923, in marzo, assistette a un pestaggio e presenziò ai funerali di un vicino di casa, Italo Spaggiari, ucciso da una rappresaglia fascista, manifestando così per la prima volta un rifiuto per la violenza politica, premessa del suo antifascismo.
Nel 1925, in terza ginnasiale, ebbe per tre mesi un supplente d’eccezione: Cesare Zavattini, studente in legge assunto come istitutore nel collegio e insegnante non conformista, capace di educare alla letteratura e all’impegno civile i suoi allievi. Bertolucci, che aveva colpito 'Za' con un brillante tema alla maniera di Alfredo Panzini, ottenne in prestito riviste come La Rivoluzione Liberale e Il Baretti, nel quale lesse una pagina di Mrs. Dalloway di Virginia Woolf, che molto lo colpì. Confessò più tardi di essersi sentito in sintonia con la cultura europea più che con quella italiana «che a volte mi sembrava soffocante, anche se non mancavo di ammirare Montale, Palazzeschi (poeta), Ungaretti» (Cherin, 1980, p. 21).
In quello stesso 1925 avvenne l’incontro con Proust: in gita con la famiglia a Venezia, nella vetrina di una libreria in piazza San Marco, s'imbatté nei due volumi di Du coté de chez Swann della Recherche, che acquistò: «Cominciai a leggere immediatamente, follemente, anche se ero al primo anno di francese a scuola» (ibid., p. 19). Proust fu l’autore che più influenzò la sua opera, segnando una svolta nel suo itinerario: trovò infatti nella memoria involontaria la possibilità di sconfiggere il sentimento del trascorrere del tempo, evocando il passato perduto e riportandolo al presente, all’assoluto del tempo. Nel Baretti lesse il saggio Proust di Giacomo Debenedetti e fece suo l'assunto che nella Recherche «tutto è vero e tutto è inventato dal vero», che poi attribuì anche a Verdi.
Iscrittosi al ginnasio-liceo Romagnosi nel 1926, s’innamorò di una compagna di classe, Evelina Giovanardi – Ninetta, nata nel 1912 a Sydney da Giuseppe, ingegnere socialista emigrato per ragioni politiche, e da Evelyne Mulligan – e si legò d’amicizia con Pietrino Bianchi, studente liceale appassionato lettore di romanzi. Fu Bianchi a introdurlo al cinema, sì che poté «partecipare “dal vivo” alla nascita stessa di un nuovo linguaggio espressivo» e assistere al miglior cinema muto degli anni fra il 1925 e il 1930: «Facevamo il ginnasio superiore o la prima liceale, pessimamente, ma vedevamo in prima visione La febbre dell’oro, Varieté di Dupont, La passione di Giovanna d’Arco di Dreyer, Sinfonia Nuziale di von Stroheim; e, persino, scoprendolo con grande sagacia, A girl in every port di Hawks, in Italia ribattezzato Il capitano Barbablù. Gli importatori sono gente malefica ma necessaria e benedetta, se fecero venire anche da noi Aurora di Murnau che a sua volta fece venire a me, esaltato già alla didascalia iniziale accompagnata da sovraimpressioni di immagini incrociate da capogiro, la febbre a 38. La didascalia diceva "Estate, le folle lasciano la grande città": era l’America di Murnau» (Il cinema che ho amato, in Riflessi da un paradiso…, 2009, p. 49).
Tra il 1927 e il 1929 il nome di Bertolucci iniziò ad apparire, grazie a Zavattini, sulla Gazzetta di Parma e su La voce di Parma, con traduzioni da Lautréamont e Proust e alcune poesie. Sempre Zavattini promosse nel marzo 1929, per l'editore parmense Minardi, la pubblicazione di Sirio, nei cui versi, agili e vari, il poeta rivolgeva lo sguardo al quotidiano e al paesaggio agreste, cogliendo nella bellezza i segni della fragilità delle cose.
Cominciò allora ad avvertire i primi segnali di ansia per la propria salute, che sentiva minacciata dalla tubercolosi assai diffusa. Ne fu colpito un cugino, Nanni, che accompagnò per un mese in Versilia e che morì nell’inverno del 1929; poco dopo morì il padrino Attilio, dal quale aveva ricevuto in dono La Gerusalemme liberata.
Nell’estate del 1930 raggiunse Ninetta a Forte dei Marmi, da allora luogo consueto di vacanza, se si esclude l’estate del 1934, trascorsa con lei a Casarola: lo hot jazz ascoltato alla Capannina fu, con il cinema, l’interesse prevalente di quel periodo, al punto da fargli trascurare la poesia.
Nel 1931, mentre Ninetta frequentava lettere a Bologna, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza di Parma, ma senza alcun entusiasmo e sostenendo soltanto due esami. La lontananza dalla fidanzata provocò le prime extrasistoli, che si aggiunsero a una pleurite, curata con riposo e lettura di libri gialli. Pensò anche, nel 1933, a un romanzo, La sabbia nei sandali, che rimase allo stato di abbozzo, mentre recensì favorevolmente nella Fiamma del 3 aprile Parliamo tanto di me di Zavattini, col quale continuava l’amicizia epistolare.
Nel 1934, dopo aver partecipato con La fagiana (poi Ancora la bella dormiente) ai Littoriali della cultura a Firenze, classificandosi secondo, pubblicò Fuochi in novembre (Parma), guadagnandosi l'attenzione e il riconoscimento di Ungaretti e Montale, il quale (in Pan, 1° settembre 1934) lo additò quale «poeta fantaisiste nel senso umoresco ed epigrammatico dei Toulet e dei Pellerin». Nella raccolta, che avviò con La rosa bianca il tema della lode dell’amata, affrontava nuovamente i motivi dell’assenza e della rinascita alla luce dell’epifania e della visione al modo di Keats.
Nel 1935, abbandonati gli studi di legge, si iscrisse alla facoltà di lettere a Bologna. Ammesso al secondo anno, frequentò le lezioni di Roberto Longhi e divenne amico, fra gli altri, di Giorgio Bassani e Francesco Arcangeli. L’anno seguente prese in affitto una casa al n. 9 di via Pietro Giordani a Parma e, frequentando la Biblioteca Palatina, aiutò la fidanzata a preparare la tesi su Catullo, da lui amato al pari di Properzio e di Virgilio. Accentuò in questo periodo di «anteguerra / lento, torpido, senza scampo» (La Camera da letto, XXXI: Le scarpette di chevreau, vv. 33 s.) la sua anglofilia, coltivata attraverso la moda dei Burberry, delle camicie Allen Solly, dei cappelli Lock e attraverso il cinema.
Nel 1937, anno in cui si recò a Roma con Ninetta per i Littoriali nel ruolo di osservatore, con Bianchi fondò a Imola e a Parma i primi due cineclub d’Italia, mascherati da 'cineguf', in cui furono proiettati, alla vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia, i capolavori di registi ebrei come Fritz Lang e Charlie Chaplin e di autori russi. L’antivigilia di Natale di quell'anno un grave lutto colpì la famiglia: a soli 49 anni si spense l’amata madre Maria. Bertolucci, per colmare il vuoto, decise di sposarsi. Celebrato il matrimonio nell’ottobre 1938, dopo un breve periodo in città, si stabilì con Ninetta, che insegnava lettere nella scuola media di Guastalla, a Baccanelli con il padre e il fratello.
Il 1938 fu anche l’anno della laurea, che ottenne in autunno discutendo una tesi su Mario Pratesi (relatore Carlo Calcaterra), del primo incarico d’insegnamento di italiano e storia dell’arte nel convitto Maria Luigia e dell’incontro con Vittorio Sereni. A Parma negli anni 1937-38 ebbero le prime nomine come docenti Aldo Borlenghi, Mario Luzi, Enzo Paci e altri intellettuali, tanto che l’ambiente culturale si arricchì notevolmente. Nei caffè ci si incontrava e si parlava di cinema, di poesia e d’arte. Fu Paci a far conoscere a Sereni Sirio e Fuochi in novembre. Quella con il poeta di Luino fu un’amicizia profonda, testimoniata da un carteggio (Una lunga amicizia. Lettere 1938-1982), che si interruppe solo con la morte di Sereni nel febbraio 1983.
Nel 1939 Ugo Guandalini, titolare della casa editrice Guanda, affidò a Bertolucci la direzione della collana «La Fenice» che pubblicò, con testo a fronte e traduzione di specialisti, poeti stranieri antichi e moderni. Il 17 marzo 1941 nacque il figlio Bernardo. Durante l’estate, fu spesso raggiunto da Sereni, che, in bicicletta, scendeva da Felino, dove soggiornava. I volumi di Proust divennero oggetto di uno scambio tra i due poeti, ormai legati da grande confidenza e da comuni interessi. Fu a Sereni che il 3 ottobre Attilio partecipò con dolore la morte del fratello Ugo, avvenuta inaspettatamente per una peritonite. Benché sollecitato dagli amici, dopo i Fuochi, pubblicò poche liriche in rivista, accogliendo tuttavia l’invito di Luciano Anceschi a figurare nell’antologia Lirici nuovi con le poesie L’inverno e Al fratello, precedute da un’indicazione di poetica: «Un po’ di luce vera».
Pur essendo stato esonerato dal servizio militare per problemi cardiaci, fu chiamato alle armi e il 22 aprile 1942 venne inviato a Piacenza presso il Comando militare, riuscendo a ottenere il congedo per motivi di salute solo alla fine di settembre. Dopo l’armistizio, il 9 settembre 1943 decise di lasciare Baccanelli con la famiglia e di recarsi a Casarola. Accolta dapprima nell’abitazione di uno zio, sistemata poi nella loro casa, la famiglia trascorse i mesi dell’inverno e della primavera serenamente, finché il 2 luglio 1944 un rastrellamento da parte della divisione Hermann Goering mise a ferro e fuoco l’Appennino tosco-emiliano. Bertolucci – insieme con moglie, bambino, alcuni cugini e altri compaesani – trovò rifugio sulle pendici del Monte Navert, mentre perirono per mano dei tedeschi, che avevano trovato segni della presenza di partigiani, gli zii Nino Galeazzi e Lorenzo Notari, le cui case furono incendiate. Avendo saputo che i nazisti mitragliavano nelle macchie, i Bertolucci fecero ritorno nel paese devastato (La Camera da letto, XLI-XLIV: Nell’alta valle del Bràtica), dove furono rastrellati con altri abitanti e animali e condotti a piedi verso Parma, finché i tedeschi non si ritirarono, lasciandoli liberi.
Alla fine del 1944 Bertolucci fu raggiunto dalla notizia della morte di due alunni: Ottavio Ricci e Giacomo Ulivi. Commosso, dedicò a entrambi nella Gazzetta del 18 maggio 1945 una lirica (Per Ottavio Ricci e Per Giacomo Ulivi), ricordando che prima di morire il diciannovenne Ulivi aveva consegnato a chi riuscì a salvarsi un foglietto su cui aveva scritto, ricordata a memoria, la poesia Insonnia: «Quando lo seppi, mi sembrò, per la prima volta, che quell’inutile cosa che è la poesia potesse qualche volta essere utile» (Cherin, 1980, p. 40).
A partire dall’autunno riprese l’insegnamento al convitto e la collaborazione alla Gazzetta, sia in terza pagina, con rubriche d’arte (firmate Cennino), di letteratura (Barbablù) e di cinema (Il Portoghese), sia in cronaca, dove recensiva i film in programma in città. Scendeva da Baccanelli a Parma nel pomeriggio, talvolta portando con sé il figlio Bernardo, assistendo anche a due, tre film. Al ritorno era solito dettare le sue cronache al telefono con immediatezza e competenza. Cinefilo raffinato, conoscitore del mezzo cinematografico sin dalle origini, attento al prodotto di qualità ma capace di apprezzare anche i B-movies, era convinto che il cinema fosse arte popolare da diffondere attraverso la scuola e seppe costantemente alimentare quella poesia delle immagini che andava piegando alla propria visione poetica. Lentamente, a partire dal dicembre, riprese a comporre e a pubblicare su Il Mondo poesie d’ispirazione domestica (In memoriam, per il fratello, Per B. e At home), ma allontanò il pensiero di un libro, già promesso ad Alberto Mondadori (lettera a Sereni, 25 ottobre 1945: Una lunga amicizia…, 1994, p. 94). Tradusse invece Verdi colline d’Africa di Ernest Hemingway e la Ragazza dagli occhi d’oro di Honoré de Balzac.
Il 27 febbraio 1947 nacque il secondogenito Giuseppe. Durante l’anno apparvero sul numero VI di Poesia otto liriche su temi familiari e stagionali. Altri versi furono pubblicati l’anno seguente sul primo numero di Botteghe Oscure, mentre sul numero IX di Poesia pubblicò versioni da Wordsworth. Nel settembre, inviato dalla Gazzetta di Parma alla Biennale d’arte di Venezia, descrisse con efficacia il panorama artistico internazionale. Dopo aver illustrato, sempre per la Gazzetta, la mostra veneziana del 1949 su Giovanni Bellini, fu nuovamente inviato alla XXV Biennale del 1950, meritando di entrare nella redazione di Paragone, rivista fondata da Longhi e da Anna Banti.
Nel 1951 uscì la sua terza raccolta di versi, La capanna indiana (Firenze, insignita con il premio Viareggio), in cui erano confluite con alcune eccezioni (vi apparvero solo sei liriche da Sirio) le poesie di Fuochi in novembre e tutte le poesie edite sin allora con altre inedite. Fu anche un anno di grandi mutamenti nella vita di Bertolucci: nell’aprile infatti, «quasi senza ragione a metà della vita» (La Camera da letto, XLVI: La partenza), lasciò Parma per Roma. Dapprima vi si recò solo, dopo aver interrotto l’insegnamento per collaborare, come già faceva dal 1948, ai documentari dell’amico Antonio Marchi, col quale – insieme con Luigi Malerba – aveva trovato una sistemazione in via del Tritone 111 e dove fu raggiunto da Bassani con Pier Paolo Pasolini, che aveva recensito La capanna indiana: «Aveva capito tutto, ero commosso e quasi spaventato. Prima di lui avevano parlato soltanto di idillio, lui parlava acutamente di nevrosi» (Primo e ultimo incontro con Pier Paolo, in Opere, 1997, p. 1135). In settembre, superato il concorso e ottenuta la cattedra di storia dell’arte presso il liceo Virgilio, fu raggiunto dalla moglie, mentre i figli restarono a Baccanelli, affidati al nonno.
Nel 1952 tutta la famiglia si riunì in via Carini 45. A Roma conobbe Pietro Citati e Giorgio Manganelli; frequentò Alberto Moravia, Elsa Morante, i loro amici e divenne intimo di Enzo Siciliano. Sempre interessato al cinema, ne scrisse sul Giovedì dal 1952 alla fine del 1953 e collaborò al terzo programma radiofonico RAI sia con interventi di critica cinematografica (nella rubrica L’osservatore dello spettacolo, poi La rassegna), sia con cicli di trasmissioni (I sentieri della poesia, Letture poetiche, La poesia inglese contemporanea), sia con inchieste.
Nell’aprile 1953 ottenne il premio Villa d’Este consistente in un mese a Parigi, dove scese nell’allora famoso Hôtel Lutétia, che trovò triste, poco pulito e mal frequentato. Ma fu esaltante il viaggio in automobile a Illiers-Combray, nei giorni pasquali, sulle tracce dei luoghi cari a Proust.
In estate fu tra gli sceneggiatori del film diretto da Marchi e Malerba, Donne e soldati, ma la sequenza da lui scritta non fu utilizzata. Maturava intanto la decisione di abbandonare l’insegnamento, cosa che avvenne nel 1954, quando divenne consulente di Livio Garzanti promuovendo la pubblicazione di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda e di Ragazzi di vita di Pasolini.
Alla fine di settembre 1954 informò Sereni di aver avviato «quella cosa lunghissima che è tutto per me ora» (Una lunga amicizia…, 1994, p. 203), primo annuncio del poema-romanzo, che più tardi, nel 1979, intitolò La camera da letto. Pur affranto per la morte del padre, avvenuta il 9 novembre, si dedicò a quest’opera, cui pensava «di continuo» e alla quale voleva applicarsi nell’estate (lettera a Sereni, primavera 1955: Una lunga amicizia…, 1994, p. 207).
Mentre usciva la seconda edizione della Capanna indiana arricchita da una nuova sezione (In un tempo incerto), prese forma il progetto di Enrico Mattei, presidente dell’Ente nazionale idrocarburi (ENI), di una rivista aziendale, la cui direzione fu affidata a Bertolucci. Nel mese di luglio nacque così Il Gatto selvatico, rotocalco mensile dedicato agli eventi dell’azienda, ma anche alla cultura contemporanea. Molte pagine furono ispirate all’attualità, all’informazione e all’educazione dei lettori in vari campi del sapere. Per la rivista, gestita in totale autonomia, Bertolucci coinvolse alcuni tra gli scrittori più autorevoli del tempo, da Gadda a Bassani a Giorgio Caproni, da Anna Banti a Carlo Cassola a Giovanni Comisso, e propose testi di autori come Proust, Eliot e Joyce. A partire dal gennaio 1956 decise di sviluppare, sulla controcopertina di ogni numero, una storia dell’arte italiana, europea e americana attraverso i secoli. Le tavole furono terminate nel dicembre 1964, qualche mese dopo la morte di Mattei e l’abbandono della direzione da parte del poeta.
Continuavano nel frattempo le estati in famiglia nella casa di Casarola, ristrutturata nel 1956, dove Bertolucci compose La teleferica, dedicata a Bernardo, che aveva girato, con il fratello e due cugine come protagonisti, il suo primo film. La teleferica, con altre poesie ispirate al paesaggio montano, apparve in Palatina, periodico che ebbe vita a Parma dal gennaio 1957 per opera di Roberto Tassi e dello stesso Bertolucci, che ne fu l’ispiratore. Ma il 1957, pur confermando qualità e versatilità della scrittura poetica, fu l’anno in cui affiorarono i segni premonitori di una grave crisi depressiva che si manifestò con forza l’anno seguente, obbligando il poeta a un soggiorno in clinica.
E tuttavia, proprio in quel drammatico 1958, uscirono i cartoni preparatori della Camera (un primo capitolo, Da un romanzo in versi, in Paragone di marzo; un secondo, Giovanni Rossetti, nel numero de L’Approdo letterario di ottobre-dicembre); uscì anche da Garzanti, per sua cura, l’antologia Poesia straniera del Novecento (Milano), in cui confluirono molte sue versioni con quelle di traduttori illustri (e sue furono anche le brevi ma illuminanti biografie dei poeti tradotti). Ristabilitosi dalla malattia, accettò di stendere (sempre per Garzanti) le prefazioni a Umoristi del Novecento (Milano 1959), Umoristi dell’Ottocento (ibid. 1960) e Gli umoristi moderni (ibid. 1961, in collab. con Citati), convinto che l’umorismo, se autentico, dovesse rappresentare un aspetto non trascurabile nella storia della cultura.
Collaborò (per la parte figurativa) con Pasolini e Moravia all’antologia Scrittori della realtà dall’VIII al XIX secolo (Milano 1961). Fu molto contento naturalmente dell’invito fatto da Pasolini al diciannovenne Bernardo affinché fosse suo assistente durante le riprese del film Accattone e ancor più quando Bernardo girò La commare secca, presentato alla Mostra di Venezia del 1962. Riconobbe con orgoglio la propria influenza pedagogica sulle scelte dei figli, entrambi attratti da quel cinema che l’aveva nutrito, quasi per «una sorta di fatalità», e fu fiero della collaborazione che più tardi si instaurò tra loro nelle riprese di Strategia del ragno.
Nel marzo 1963 iniziò a scrivere per Il Giorno articoli di varia natura, tenne una rubrica («Transistor») e acconsentì, su invito del direttore Italo Pietra, a visitare dal 28 giugno 1963 al 23 marzo 1964 botteghe antiquarie di città italiane (poi Viaggio fra gli antiquari, in Ho rubato due versi a Baudelaire…, 2000, pp. 341-449). Mentre pubblicava ancora qualche pezzo nel Gatto selvatico, che si avviava ormai alla chiusura (aprile 1965), progettò con Citati e Manganelli per Garzanti una collezione di letteratura. Per alcuni di quei volumi stilò le schede critiche (Fratelli e sorelle di Ivy Compton-Burnett, Paesaggio e morte di Anthony Powell, i Racconti di Antonio Delfini, La Brughiera di Thomas Hardy), rivelando finezza e gusto del racconto biografico. Ritornò al suo amato Proust (Alla ricerca di Marcel Proust) in uno special trasmesso il 26 maggio 1966 dalla rubrica televisiva L’Approdo, che diresse fino al 1967, proponendo documentari e interviste a filosofi e scrittori. «Napoleone delle vacanze» lo definì argutamente Gadda per la tendenza a fare lunghi soggiorni estivi, che, dal 1966, lo videro anche a Tellaro, dove acquistò un appartamento.
Nel 1969 fu venduto l'amato podere di Baccanelli; poco dopo uscì Viaggio d’inverno (Milano 1971), i cui versi proposero forse l’immagine più originale, per contenuto e stile, del suo autore, diviso tra il «buio» della nevrosi e la «luce» della speranza.
Quasi contemporaneamente uscì nel numero di ottobre-dicembre di Conoscenza religiosa un altro frammento del romanzo in versi. Benché segnato dalla depressione (iniziò a emergere da un nuovo attacco nell’estate del 1973), non abbandonò il progetto che tuttavia, arrivato a 9000 versi e non ancora terminato, subì un rallentamento, prima di giungere nel 1977 a 12.000 versi, poi ridotti a 9400, grazie a una capillare opera di revisione. Sul finire del 1975 la prima parte poteva dirsi conclusa, quando Bertolucci fu raggiunto dalla notizia dell’assassinio di Pasolini. Lo sostituì, invitato da Moravia e Siciliano, nella condirezione (tenuta fino al 1980) di Nuovi Argomenti. Nell’agosto seguente, lasciato Il Giorno, dette inizio a una collaborazione con la Repubblica, che mantenne fino al 1994.
Seguiva intanto l’opera dei figli e fu al Festival di Cannes, in cui concorse Novecento di Bernardo. Pur essendo viaggiatore timoroso del volo, affrontò un viaggio a Londra, occasione propizia per un itinerario in automobile nei luoghi in cui vissero Jane Austen e Thomas Hardy. All’uscita nelle sale cinematografiche di Novecento, ricevette una telefonata fortemente critica di Zavattini. Ne derivò uno scambio epistolare teso e appassionato nella difesa del film «impetuosamente liricamente politico» del figlio. L’incrinatura tra i due amici fu presto sanata, grazie alle parole di Za: «Che libro, Lettere per il figlio, che libro, ti ho guardato scriverle dall’altissimo, invidiandoti» (in Un'amicizia lunga una vita…, 2004, 26 gennaio 1977). Tra il 25 ottobre 1981 e il 17 aprile 1983 pubblicò sul settimanale L’Espresso 13 pezzi sul tema Viaggio a. Tempo ritrovato (poi Cartoline illustrate).
Nel 1984 decise di dare alle stampe Romanzo famigliare al modo antico, primo libro della Camera da letto (Milano) che constava di 29 capitoli e di 6303 versi. Sul risvolto di copertina, era riprodotta parte del diario manoscritto di un avo, dal quale il poeta aveva tratto ispirazione per le origini famigliari. Il romanzo in versi fu accolto con sorpresa, ma anche con ammirazione. L’Università di Parma gli conferì la laurea ad honorem il 15 novembre e, nel 1987, Bertolucci ottenne la «penna d’oro» dalla Presidenza del Consiglio. Il secondo libro (3097 versi, suddivisi in 17 capitoli), uscì nel 1988 (ibid.). Un terzo libro, che avrebbe dovuto raccontare gli anni romani del protagonista, fu appena iniziato, ma subito interrotto.
Dopo aver raccolto in un unico volume tutte le poesie (Le poesie, ibid. 1990: premio Librex-Guggenheim 1991), fu protagonista in un cortometraggio, Il Correggio ritrovato, del figlio Giuseppe; raccolse parte delle sue prose in Aritmie (ibid. 1991), tracciando la propria autobiografia intellettuale e donò manoscritti all’Archivio di Stato di Parma nel 1992.
Ma, sollecitato da versi ritrovati, unì liriche nuove a liriche inedite in Verso le sorgenti del Cinghio (1993); raccolse le versioni poetiche in Imitazioni (1994) e infine dette alle stampe nel 1997 La lucertola di Casarola, libro nuovo e antico (Versi negli anni) e libro d’addio (Canzone triste in tre parti).
Negli ultimi anni fu insignito col premio per l’opera omnia dell’Accademia nazionale dei Lincei e da un invito a Montecitorio (6 marzo 1995). Apparve infine nel 1997 il «Meridiano» mondadoriano delle Opere che sancì la parabola dello scrittore.
Pur malato, seguì l’antologia Dagli Scapigliati ai Crepuscolari (2000), alla quale affidò la scelta dei poeti italiani che avevano contribuito alla sua formazione, e le prose e divagazioni di Ho rubato due versi a Baudelaire (2000), che rivelò ancora una volta l’ampiezza e la varietà della sua cultura.
Morì a Roma il 14 giugno 2000 e, dopo i funerali religiosi, fu sepolto a Parma nel cimitero della Villetta.
Raccolte poetiche: Sirio, Parma 1929, ibid. 1979; Fuochi in novembre, ibid. 1934, a cura di G. Palli Baroni, Genova 2004; La capanna indiana, Firenze 1951 e 1955, Milano 1973; Viaggio d’inverno, ibid. 1971 e 1984; La camera da letto. Libro primo, ibid. 1984; Libro secondo, ibid. 1988; La camera da letto. Libri primo e secondo, ibid. 1988; Le poesie, ibid. 1990; Aritmie, ibid. 1991; Verso le sorgenti del Cinghio, ibid. 1993; Imitazioni, ibid. 1994; La lucertola di Casarola, ibid. 1997. Tutte le raccolte citate, con aggiunta la sezione Schizzi e abbozzi, sono confluite nel «Meridiano» delle Opere, a cura di P. Lagazzi - G. Palli Baroni, ibid. 1997.
Saggistica: A. Bertolucci - V. Sereni, Una lunga amicizia. Lettere 1938-1982, a cura di G. Palli Baroni, prefaz. di G. Raboni, Milano 1994; Alla ricerca di Marcel Proust, a cura di G. Ungarelli, Roma 1995; All’improvviso ricordando. Conversazioni (con P. Lagazzi), Parma 1997; Ho rubato due versi a Baudelairele. Prose e divagazioni, a cura di G. Palli Baroni, Milano 2000; Dagli Scapigliati ai Crepuscolari, a cura e con un saggio di G. Palli Baroni, Roma 2000; Il viaggio di nozze, a cura di G. Palli Baroni, disegni e acquerelli di C. Mattioli, Parma 2004; A. Bertolucci - C. Zavattini, Un'amicizia lunga una vita. Carteggio 1928-1984, a cura di G. Conti - M. Cacchioli, Parma 2004; Scritti inediti, in Dossier Bertolucci, a cura di G. Palli Baroni, in il Caffè illustrato, 2004, n. 18 (maggio-giugno); Cartoline illustrate, a cura di G. Palli Baroni, tavole di W. Xerra, Parma 2006; Riflessi da un paradiso. Scritti sul cinema, a cura di G. Palli Baroni, Bergamo 2009; La consolazione della pittura. Scritti sull’arte, a cura di S. Trasi e con prefaz. di P. Lagazzi, Torino 2011; Lezioni d’arte, con introd. di G. Palli Baroni, Milano 2011.
Traduzioni: H. de Balzac, La ragazza dagli occhi d’oro, Parma 1945, Milano 1990; E. Hemingway, Verdi colline d’Africa, Torino 1948; T.L. Peacock, L’abbazia degli incubi, Parma 1952; Poesia straniera del Novecento, a cura di A. Bertolucci, Milano 1958; Ch. Baudelaire, I fiori del male, Milano 1975.
I manoscritti e l'epistolario sono conservati presso l’Arch. di Stato di Parma, Arch. Attilio Bertolucci, s. I-VI, e presso gli eredi; il manoscritto della Capanna indiana è conservato presso la Biblioteca nazionale di Roma. G. Debenedetti, Proust, in Il Baretti, II (1925), 6/7, aprile; poi in Id., Rileggere Proust e altri saggi proustiani, prefaz. di G. Raboni, Milano 1994, pp. 83-101; G. De Robertis, Altro Novecento, Firenze 1951, pp. 481-483; P.P. Pasolini, Elegia?, in Paragone, dicembre 1955; poi B., in Id., Saggi sulla letteratura e sull’arte, a cura di W. Siti - S. De Laude, I, Milano 1999, pp. 1149-1157; G. Raboni, Dissanguamento e altre metaofre nella poesia di B., in Paragone, n. 262, dicembre 1971, pp. 119-124, poi in. Id., La poesia degli anni Sessanta, Roma 1976, pp. 232-238, e da ultimo in Id., La poesia che si fa, a cura di A. Cortellessa, Milano 2005, pp. 94-105; G. Palli Baroni, Tra luce e buio una «sosta», in Nuovi Argomenti, n.s., 1974, n. 38-39 (marzo-giugno), pp. 188-206; Poeti italiani del Novecento, a cura di P.V. Mengaldo, Milano 1978, pp. 567-572; S. Cherin, I giorni di un poeta, Milano 1980; P. Lagazzi, Rêverie e destino, Milano 1993; Officina parmigiana. La cultura letteraria a Parma nel ’ 900, a cura di P. Lagazzi, Parma 1994, ad ind.; G. Palli Baroni, Il Gatto selvatico. A. B. dirige il mensile aziendale dell’ENI, in Letteratura e industria. Atti del XV congresso A.I.S.L.L.I., Torino… 1994, I-II, a cura di G. Bàrberi Squarotti - C. Ossola, Firenze 1997, pp. 929-934; S. Giovannuzzi, Introduzione alla lettura di A. B., Milano 1997; G. Contini et al., Per A. B., in Nuovi Argomenti, s. 4, 2000, n. 11 (luglio-settembre) pp. 50-127; Fotobiografia. Conversazione con Ninetta Bertolucci, a cura di G. Palli Baroni, in Dossier B., in Il Caffè illustrato, 2004, cit. pp. 58-65; C. Indini, Viaggio nella prosa di A. B., Lecce 2006; P. Citati, La malattia dell’infinito. La letteratura del Novecento, Milano 2008, pp. 484-492; P. Lagazzi, La casa del poeta, Milano 2008; G. Palli Baroni, Il romanzo in versi di A. B.: La camera da letto, in Atlante dei movimenti culturali dell’Emilia-Romagna, II, a cura di P. Pieri - L. Weber, Bologna 2010, pp. 179-185; G. Palli Baroni, A. B. poeta giornalista, in Parola di scrittore. Letteratura e giornalismo nel Novecento, a cura di C. Serafini, Roma 2010, pp. 403-419; B. Bertolucci, La mia magnifica ossessione, a cura di F. Francione - P. Spila, Milano 2010; G. Bertolucci, Cosedadire, Milano 2011.