Bertolucci, Attilio
Poeta, nato a San Lazzaro (Parma) il 18 novembre 1911 e morto a Roma il 14 giugno 2000. Uno dei massimi scrittori italiani del 20° sec., padre dei registi Bernardo e Giuseppe. Con il cinema ebbe un rapporto di fascino e di passione. Persino la luce, uno dei temi chiave della sua lingua concreta e paesaggistica, confessa una complicità diretta con lo sguardo cinematografico: quel gioco di sogno e di veglia (lo 'specchio mobile', la naturalezza di B.) tipico della visionarietà del cinema. L'interesse di B., condiviso negli anni Trenta con Pietro Bianchi e Cesare Zavattini, fu innanzi tutto per il cinema muto, che viene inteso come una forma compiuta di classicità: "Giovanna d'Arco di Dreyer, La febbre dell'oro di Chaplin, Aurora di Murnau, La folla di Vidor, segnano il suo ingresso nella modernità" (Palli Baroni 2000, p. 443).
Dopo aver conseguito la laurea in lettere presso l'università di Bologna e insegnato storia dell'arte, dal 1948 al 1951, firmando saltuariamente sulla "Gazzetta di Parma" la rubrica Lanterna magica (spesso con lo pseudonimo 'il portoghese'), B. iniziò una fervida attività recensoria (nel 1953 collaborò anche alla scrittura del film in costume Donne e soldati, 1954, diretto da Luigi Malerba e Antonio Marchi). Tale attività avrà seguito, sempre negli anni Cinquanta, anche su altri periodici come "Paragone", "Palatina", "Letteratura" e "Il giovedì" di G. Vigorelli, "L'illustrazione italiana", la rivista dell'ENI "Gatto selvatico", di cui fu responsabile dal luglio 1955 al settembre 1963 (la collaborazione, sempre fertile, di B. alle riviste culminò nella condirezione di "Nuovi argomenti", dal 1975 al 1980). I suoi 'pomeriggi al cinema' B. li trascorreva insieme ai film di grandi registi quali John Ford, Jean Renoir, Henri-George Clouzot, René Clair, André Cayatte e Luis Buñuel; ma anche immerso negli echi del maggiore splendore di Hollywood, quello che per lui era il tempo dei giovani Charlie Chaplin ed Erich von Stroheim, l'età del vecchio Douglas Fairbanks, di Gloria Swanson e della prima Joan Crawford. Le sue letture avevano un che di nervosamente prudente e insieme di preciso. Mai pretestuose: sempre e solo nutrite dal gusto, che è tutto il contrario della genericità impressionistica. Come un 'impunito lettore' del mondo, B. cercava le ragioni poetiche, il valore prima esistenziale che culturale del cinema. Con l'eleganza conversativa del passo giornalistico, percepiva di un film quella verità di rêverie offerta o promessa, alla fine accettata persino lungo il limite di fallimento e di delusione possibile in ogni spettacolo, in qualsiasi forma d'arte (come raccontò, in uno struggente autoritratto del critico cinematografico, in Poeta al cinema del 1955). "Cinema muto e sogno sono una cosa sola" (Greta e Marlene, in "La Repubblica", 8 giugno 1980, poi in Opere, 1997, p. 1255). B. non si allontanò mai da questa infanzia nuda, intangibile, non sradicata. Se, a proposito di 8 ¹/₂ (1963) di Federico Fellini, pensò nel 1963 a un'immagine del regista che esiste come "poeta entro il metteur en scène"; se descrisse, in un articolo del 1980, il titanico contrasto fra Greta Garbo e Marlene Dietrich (gli 'occhi' contro le 'gambe') come il turbamento e la memoria dell'educazione sentimentale di molti, era perché per B. il cinema "restava e resta, forse, un fatto personale legato alla mia poetica" (L'amico Pietrino Bianchi, in Opere, 1997, p. 1149). Non un'occasione a latere o una semplice cura professionale, ma un profondo sentimento dell'esistenza.Una parte cospicua della critica cinematografica dello scrittore è stata raccolta in due volumi: il primo, Aritmie, edito nel 1991 e il secondo, Ho rubato due versi a Baudelaire, pubblicato postumo nel 2000.
F.S. Gérard, Autoritratto del poeta da giovane critico cinematografico, in "Berenice", 1987, 20; G. Palli Baroni, Le ali della prosa, in A. Bertolucci, Ho rubato due versi a Baudelaire, Milano 2000.