CABIATI, Attilio
Figlio di Aurelio e Clotilde Besca, nacque a Roma da una famiglia lombarda di origine ebraica il 18 ag. 1872. Compiuti gli studi secondari a Bergamo, concorse ad un posto nel collegio Ghisleri di Pavia e nello studio di quella città si laureò in giurisprudenza nel 1894, vincendo subito dopo una borsa di perfezionamento per Roma. Trasferitosi nella capitale, partecipò a tre concorsi nell'amministrazione statale riuscendo sempre primo, e alla fine optò per il posto di vicesegretario presso il ministero dell'Agricoltura, Industria e Commercio. Mentre seguiva la carriera amministrativa, che avrebbe poi abbandonato dopo quasi sette anni, continuò tuttavia a coltivare interessi scientifici, e fin dal 1897 iniziò a collaborare al Giornale degli economisti.
La formazione intellettuale e politica del C. fu quella tipica di tutta una generazionedi studiosi italiani di problemi economici e sociali cresciuta intorno alla fine del secolo. Studente universitario, le sue prime simpatie erano andate al movimento socialista e, come egli stesso ricorderà molti anni più tardi, era solito recarsi con amici e colleghi "per le pingui campagne della Bassa Lombarda ad organizzare i contadini contro i padroni ed i fittavoli". Fatto sta che tale simpatia per il movimento operaio non nasceva da alcuna adesione né al programma socialista né tanto meno alla teoria marxista, quanto piuttosto dallo sdegno che suscitava nelle migliori giovani leve intellettuali di quell'agitata fine secolo lo spettacolo di una classe politica che annaspava tra scandali bancari e paurosi disavanzi, tra propositi reazionari all'interno e avventure africane oltremare.
Nell'accendere e rinfocolare questo sdegno era in prima fila - è sempre il C. che ricorda - lo "scientifico e aristocratico Giornale degli Economisti, diretto allora da Pantaleoni, De Viti De Marco e Mazzola", con "le magnifiche, signorili 'Cronache mensili' del conte Papafava, le lettere del conte Giusso, gli articoli del Pareto". Fu proprio dal pugnace liberismo del Giornale degli economisti e del Mazzola, che fu suo professore di scienze delle finanze all'ateneo pavese e che dopo averlo iniziato allo studio dell'economia lo mise in contatto con la cerchia gravitante intorno alla redazione della rivista, che il giovane C. apprese, in una con la fede nei principî dell'economia liberale, il disprezzo per "la incorregibile pacchiana ignoranza di quella borghesia, rapace nel Settentrione, feudale nel Mezzogiorno, così lontana dalle consorelle dei paesi più civili". In fondo il favore del C., che non venne mai meno, per il movimento operaio - sempre beninteso nei limiti del più rigoroso pragmatismo riformista - significò proprio la speranza che un forte movimento operaio avrebbe messo in moto una sana dinamica sociale fondata sul fecondo scontro delle classi, rinnovando il clima morale del paese e facendo finalmente nascere per questa via una classe dirigente degna di tal nome. Fulcro di questa battaglia, al tempo stesso politica e civile, fu considerata dal C. la lotta contro il protezionismo e i malanni ad esso connessi alla quale si dedicò per tutta la vita con ardore instancabile.
Comunque, se egli condivise con non pochi liberisti la speranza che il partito socialista potesse rappresentare il grande esercito dell'alto comando antiprotezionistico, anche quando ciò alla lunga si rivelò illusorio, il C., a differenza di quello che avvenne per molti altri, continuò a mantenere un collegamento con il movimento operaio - pur nei limiti sopradetti - e a sentirsi in qualche modo ad esso vicino. Pertanto si batté sempre per la più incondizionata libertà di sciopero e di organizzazione, guardò con costante favore al movimento cooperativo e a qualsiasi tentativo di elevamento sociale delle classi lavoratrici, non fece mai mancare alla stampa socialista (soprattutto alla Critica sociale, come è ovvio) i suoi interventi, magari dissidenti, e la sua attività di conferenziere, fino a guadagnarsi l'epiteto - un po' esagerato certo ma non del tutto immotivato - di "socialista foderato di liberale".
Nel 1902, per incarico del senatore Della Torre e dell'onorevole Montemartini, studiò l'organizzazione da dare all'istituendo Ufficio del lavoro di Milano; nel 1904 assunse la direzione torinese della Cassa mutua cooperativa italiana per le pensioni e in tale veste elaborò in collaborazione con il matematico Peano il progetto di una Cassa di riassicurazione e di una Cassa di soccorso, allo scopo di ovviare all'inconveniente che il socio, morendo prima dell'inizio del godimento della pensione, perdesse interamente il capitale versato. Il 1904 fu anche l'anno in cui il C. incominciò a Torino la carriera dell'insegnamento con la nomina a professore di economia presso l'istituto tecnico Sommeiller; nel 1914 ottenne poi la cattedra, sempre di economia politica, presso l'Istituto superiore di scienze economiche e commerciali di Torino.
Legatosi intanto d'amicizia con Luigi Einaudi, nel 1901, aveva iniziato a collaborare alla Riforma sociale, e nello stesso anno, assieme all'economista piemontese, scrisse una serie di articoli per la Critica sociale sulla questione ferroviaria, sostenendo l'inopportunità di una gestione pubblica del servizio.
In breve la collaborazione del C. con Einaudi e con la Riformasociale si fece assai assidua, e per tutto il periodo giolittiano la rivista torinese fu la principale tribuna dalla quale egli venne trattando i vari problemi della vita economica del tempo. La battaglia contro le tariffe doganali - soprattutto contro quelle del grano e degli zuccheri - lo vide sempre in primissima linea, e così pure la polemica contro i fenomeni di accordi e di trust fra le imprese (ancora oggi si legge con interesse un suo saggio, pubblicato nel 1913, sull'Istitutocotoniero italiano e la crisi); non mancò tuttavia di intervenire su molte altre questioni, dalla municipalizzazione dei servizi pubblici ai problemi dell'industria serica, dal monopolio delle assicurazioni alla questione della nominatività dei titoli al portatore. Nel 1914, quasi a coronamento della sua lunga battaglia, affrontò in due importanti articoli di carattere teorico il problema del dumping, cercando di dimostrare sia l'impossibilità che il dumping praticato dai siderurgici tedeschi potesse distruggere la nostra industria nazionale, sia che la risposta da dare ad esso dovesse necessariam essere un aumento del dazio da parte dell'Italia. Nel 1913, infine, era stato tra i promotori della Lega antiprotezionistica.
L'attività saggistica svolta in questi anni dal C., che fu polemista acuto anche se non scintillante, va annoverata insieme agli scritti contemporanei di Einaudi, Salvemini, Giretti e Borgatta tra quanto di meglio seppe dare il gruppo dei liberisti. Le caratteristiche dei suoi interventi rispecchiano compiutamente i pregi che furono comuni a tutto il gruppo: la chiarezza dell'esposizione, la ricchezza dei dati, lo scrupolo scientifico, l'anelito al rinnovamento civile.
Scoppiata la guerra in Europa, il C. si dichiarò favorevole alla neutralità, svolgendo la tesi che qualsiasi futuro equilibrio europeo sarebbe stato per l'Italia più sfavorevole di quello presente e che - fatta salva l'annessione del Trentino comunque sempre ottenibile per via diplomatica - convenisse in eventuali trattative con l'Intesa puntare sulla richiesta della Corsica, di Malta o di una colonia sull'Atlantico piuttosto che su Trieste o su altre rivendicazioni in Adriatico.
Una volta comunque entrata l'Italia in guerra, il C. ebbe modo di meditare sul futuro assetto dell'Europa in un volumetto redatto verso la fine del 1916, ma uscito solo nel 1918, scritto in collaborazione con l'industriale Giovanni Agnelli (Federazione europea o Lega delle Nazioni?, Milano 1918).
Nel libro gli autori auspicavano, in alternativa ai troppo vaghi progetti di "società delle nazioni", la nascita di uno stato federale europeo; gli argomenti portati in appoggio alla nuova costruzione politica erano soprattutto di carattere economico, e conciliavano i principi liberisti del C. con l'aspirazione di Agnelli a più vasti mercati. Un'Europa federale, infatti, avrebbe significato, insieme con una più economica divisione del lavoro e una migliore ripartizione delle materie prime, la caduta delle barriere doganali, e quindi la creazione di nuovi mercati con la relativa possibilità di diminuzione dei prezzi e di aumento della produzione. Per questa via si sarebbero potute finalmente eliminare quelle rivalità di carattere economico che erano state la vera causa del conflitto.
Nel 1918 fu chiamato a Roma dal ministro Ferraris con l'incarico di organizzare l'Ufficio studi dell'Ente per la ricostruzione economica del dopoguerra e per il collocamento degli operai reduci. Già in precedenza, nel 1912, aveva collaborato con i ministri Tedesco e Facta alla redazione di alcuni progetti di riforma tributaria e qualche anno più tardi studiò per conto dei ministri interessati il problema dei cantieri navali e alcune questioni di finanza e di credito.
Sempre durante la guerra il C. cominciò a svolgere la funzione di commentatore dei fatti economici del giorno per conto del Secolo di Milano, funzione che tenne fino agli ultimi mesi del 1921; nel dicembre di quell'anno, infatti, prese a collaborare alla Stampa di Torino dove rimase fino al novembre del 1926 allorché, iniziatasi la fascistizzazione del giornale per opera del nuovo direttore Andrea Torre, questi, dopo una serie di articoli del C. contrari alla rivalutazione della lira, pretese il suo allontanamento dall'Agnelli, divenuto da poco proprietario del quotidiano.
Nel periodo della sua collaborazione giornalistica al Secolo e alla Stampa il C.non solo diede voce ai temi ormai classici della polemica liberista (contro le pretese dei siderurgici in particolare) ed in genere a quei principi di austerità finanziaria e di sana amministrazione che sembravano travolti dalle vicende belliche e postbelliche, ma dimostrò un particolare interesse per i problemi dell'occupazione operaia - proponendo più volte forme indirette di intervento statale a suo sostegno -, per la questione delle riparazioni, del risanamento della situazione finanziaria internazionale, del problema dei cambi e della stabilità monetaria.
Cessata con il consolidamento della dittatura fascista qualsiasi partecipazione alla pubblicistica impegnata politicamente, iniziò il periodo più fecondo dell'attività scientifica del C.abiati.
Dopo essersi occupato nel periodo precedente la guerra di alcune questioni specifiche (oltre i molti scritti sul problema ferroviario vanno ricordati La municipalizzazione dei pubblici servizi in Inghilterra e negli Stati Uniti, Torino 1908, e Il monopolio di Stato della assicurazione sulla vita, Roma 1911) e aver tracciato le prime linee di una teoria del dumping, il principale contributo scientifico dato dal C. in questi anni è rappresentato dall'identità da lui sostenuta, riprendendo analoghe tesi di Pareto e Barone, tra i criteri di investimento in un'economia di mercato e quelli in un'economia comunistica, stante la libertà da parte dei consumatori di distribuire il proprio reddito e di scegliere la propria occupazione.
Nel periodo postbellico le questioni relative agli scambi internazionali e all'ordinamento monetario rappresentarono il suo pressocché esclusivo campo di indagine. Da buon liberista egli era convinto che "l'economia fosse una scienza precisa la quale obbedisce a leggi naturali e la legge "naturale" che regolava il commercio tra gli Stati era il teorema ricardiano dei costi comparati; su questo principio basilare egli fondò tutto il suo edificio teorico e analitico, deducendo, come è ovvio, che qualsiasi ostacolo al movimento internazionale rappresenta sempre una distruzione di ricchezza per la collettività. L'aspetto centrale dell'attività scientifica del C. consistette per l'appunto nel tentativo di dimostrare quali e quanti fenomeni potessero essere fatti rientrare nell'ambito di applicazione del teorema ricardiano.
Primo di ogni altro il fenomeno monetario. Convinto, sulla scorta dei classici, che le vicende monetarie fossero solo un "velo" dietro cui si celavano fenomeni ben più profondi, dedicò in particolare la sua attenzione al problema dei cambi, sostenendo che "i corsi dei cambi esprimono il momento in cui comincia, e quello in cui cessa la convenienza di importare e di esportare un dato valore"; in questo campo fu strenuo sostenitore del gold standard, senza il quale - scrisse - "si è condotti logicamente alla chiusura dei mercati", e avversario delle politiche deflazionistiche.
Profondo conoscitore dei problemi creditizi, il C. fu direttore sin dalla sua fondazione (1920), e per molti anni, della Rivista bancaria, collaboratore della Rivista mensile della Banca commerciale, nonché delle principali pubblicazioni scientifiche italiane e straniere, soprattutto tedesche. Scrisse anche sulla Rivistadi storia economica e sulla Cultura.
Già dal 1918 titolare all'università di Genova e all'università Luigi Bocconi di Milano della cattedra di economia politica, nel 1924 venne chiamato dall'università di Bologna, dove però restò solo pochissimi mesi non volendo dividersi tra troppi incarichi. Nel 1925 e nel 1926 la facoltà di giurisprudenza dell'università di Milano gli offrì ripetutamente la cattedra di economia politica, cui il C. fu tuttavia costretto a rinunciare a causa della violenta ostilità dimostratagli dall'organizzazione studentesca fascista. Per la stessa ragione gli fu giocoforza abbandonare l'insegnamento alla Bocconi. Dopo la promulgazione della legislazione antisemita, infine, venne allontanato anche dalla cattedra presso l'università di Genova.
Colpito da una grave malattia sul finire della guerra, il C. si spense a Torino, dove risiedeva da molto tempo, il 13 ottobre del 1950.
Opere: Non esiste una bibliografia completa dell'opera del C., la cui redazione del resto presenterebbe non poche dffficoltà stante il numero enorme di articoli e saggi che egli venne pubblicando nel corso della sua vita su vari giornali e riviste; ci limitiamo perciò a indicare qui di seguito i titoli delle opere più importanti: Politica commerciale e legislazione doganale, Torino 1914; Problemi finanziari della guerra, ibid. 1915; Problemi commerciali e finanziari dell'Italia, Milano 1920; Principi di politica commerciale. La teoria generale degli scambi internazionali, Genova 1924; Il ritorno all'oro, in Annali di economia dell'università Luigi Bocconi, II (1925), pp. 183-275; Scambi internazionali e politica bancaria in regime di moneta sana e avariata, Torino 1929; 1919-1929,da Versailles all'Aja. Il Piano Young, Torino 1930; Crisi del liberalismo,o errori di uomini?, ibid. 1934; Fisiologia e patologia economica negli scambi della ricchezza fra gli Stati, ibid. 1937; Ilsistema aureo e il fondo conguaglio dei cambi, ibid. 1940; Il finanziamento di una grande guerra, ibid. 1941.
Bibl.: L. Federici-O. D'Alauro, A. C. "inmemoriam", in Giornale degli economisti, n.s., X (1951), (con bibliografia parziale); A. Cajumi, Ricordo di A. C., in L'Industria, 1951, 3, pp. 406-17 (con bibliografia parziale).