LUZZATTO, Attilio Italico
Nacque a Udine il 6 dic. 1850 da Mario e Fanny Luzzatto.
La famiglia, di origine ebraica, nutriva forti sentimenti patriottici: il padre, oppositore del dominio austriaco, fu membro del governo provvisorio di Udine nel marzo-aprile 1848 e, essendosi rifiutato di firmare la resa, fu imprigionato a Josephstadt; il fratello maggiore Riccardo si arruolò diciottenne tra i Mille.
Intrapresi gli studi matematici, il L. passò poi a quelli giuridici, divenendo un avvocato promettente. Tuttavia, inserito come il fratello Riccardo negli ambienti democratici milanesi, si dedicò completamente all'attività giornalistica e, alla nascita de La Ragione (1875) di F. Cavallotti, B. Cairoli, G. Zanardelli e A. Bertani, ne divenne presto direttore. Il giornale doveva sollecitare il dialogo tra i settori più avanzati della Sinistra, specie lombarda, e la Sinistra estrema radicale. L'esperimento si esaurì nel 1883 e, il L. dopo l'esperienza milanese, si spostò a Roma per dirigere La Stampa, testata legata al ministero Depretis. Con l'uscita di Zanardelli dal governo, il L., che gli era particolarmente legato, si impegnò in una nuova impresa giornalistica che gli avrebbe garantito maggior successo e prestigio, divenendo direttore e poi anche proprietario de La Tribuna.
Il giornale romano fu fondato il 26 nov. 1883 come organo della "pentarchia", voluto in particolare da Zanardelli e da A. Baccarini. Il suo primo direttore era stato il deputato L. Roux: nonostante gli esordi polemici nei confronti del trasformismo, i risultati complessivamente poco brillanti del quotidiano e soprattutto le difficoltà finanziarie convinsero uno fra i principali azionisti, il principe M. Sciarra, ad assumerne nel 1887 l'intera responsabilità patrimoniale: questi affidò, quindi, la direzione del giornale al L., già caporedattore e forte azionista.
Con la nuova proprietà si attenuò la caratterizzazione politica de La Tribuna, che smise di avere un orientamento ben definito, pur mantenendosi fedele all'indirizzo laico e anticlericale delle origini. Sino alla metà degli anni Novanta il giornale ebbe una posizione politicamente incerta e altalenante, in virtù dell'eterogeneità del suo comitato direttivo e dell'influenza esercitata di volta in volta da Baccarini, Zanardelli e G. Nicotera.
La Tribuna seppe cavalcare meglio di altre testate i tentativi e i fallimenti dell'impresa africana per suscitare l'attenzione e il coinvolgimento dei lettori. La politica espansionista fu tra l'altro l'occasione per rinnovare la modesta struttura del giornale, che si avviava a diventare il principale organo di stampa di Roma e dell'Italia centrale: coll'impiego di grossi capitali il quotidiano si dotò di impianti redazionali moderni e organizzò servizi esclusivi dall'Africa orientale attraverso la penna di G. Gobbi-Belcredi. Un polemista come V. Morello (Rastignac) venne chiamato a tenere alto l'entusiasmo verso l'impresa coloniale. Tra le altre firme che in quegli anni diedero lustro al giornale va ricordato anche G. D'Annunzio, che accettò di essere redattore fisso per la cronaca mondana.
Salito al potere A. Starrabba marchese di Rudinì, la permanente vicinanza del giornale alle posizioni di Crispi si espresse in un acceso filellenismo che permise al quotidiano, nel 1897, di polemizzare apertamente con la scelta del governo italiano di sostenere la repressione della rivolta candiota, guardando nel contempo con simpatia agli arruolamenti volontari in favore della Grecia, che si richiamavano alla tradizione garibaldina.
La scelta di sostenere la prosecuzione dell'impresa coloniale anche dopo Adua creò qualche difficoltà al quotidiano, che riscosse invece un nuovo grande successo seguendo con attenzione le vicende legate all'affaire Dreyfus. A fine secolo, negli ultimi anni della felice gestione del L., il giornale raggiunse picchi di 160.000 copie, superando per esempio largamente Il Secolo di Milano.
La lunga fase della direzione de La Tribuna - guidata fino alla morte - coincise con il momento di maggiore visibilità pubblica del L., che dal 1892 alla sua scomparsa fu anche deputato del collegio di Montevarchi. Così come l'orientamento del suo giornale, la connotazione del suo impegno politico subì nel corso del tempo delle trasformazioni: pur continuando a militare nelle fila della Sinistra, da acceso radicale egli ripiegò su posizioni di moderato costituzionalismo, sostenendo la leadership di Crispi, e alla sua caduta tornò all'opposizione. Quando Zanardelli assunse il dicastero di Grazia e giustizia nel terzo ministero di Rudinì, l'ammirazione e la vicinanza personale nei suoi confronti, attenuarono il dissenso del L. verso il governo. A Montecitorio, nei discorsi e nelle interpellanze, si dedicò in particolare alle questioni finanziarie e agli aspetti giudiziari. Si espose anche su questioni di politica estera, in relazione alla posizione dell'Italia rispetto al conflitto greco-turco, cui dedicò, l'11 apr. 1897, il suo intervento di maggior respiro.
Il L. auspicò da parte del governo italiano una decisa presa di posizione in favore della Grecia, sia in nome delle radici risorgimentali e del principio di nazionalità, sia per la sfiducia in un concerto europeo, a suo dire incapace di affrontare e gestire dinamiche oramai inarrestabili.
Il L. morì improvvisamente il 12 maggio 1900 a Roma, subito dopo il ritorno da Parigi, dove aveva partecipato all'inaugurazione dell'Esposizione universale in qualità di commissario italiano.
I funerali si svolsero con solennità: il corteo funebre attraversò la capitale da piazza S. Silvestro alla stazione Termini: di lì la salma partì per Udine, dove ebbe luogo la cremazione.
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