PARTESOTTI, Attilio
– Nacque a Mantova il 17 gennaio 1802, unico figlio di Gaetano Ippolito e Vincenza Dolcini.
Il padre, ricco orefice con negozio nella centrale piazza Purgo, apparteneva a una famiglia benestante proveniente da Suzzara, nella quale più di un esponente aveva militato nelle fazioni politiche sorte a Mantova tra Sette e Ottocento, durante gli anni della dominazione francese e della restaurazione austriaca. Vincenzo, uno zio paterno avvocato, già iscritto alla massoneria sotto i francesi, fu in seguito carbonaro e fiero oppositore del regime austriaco, allo stesso modo di un cugino farmacista, anch’egli di nome Vincenzo, schedato e tenuto sotto controllo dalla polizia asburgica.
Influenzato dalle idee dello zio e del cugino, Partesotti si indirizzò già durante gli anni degli studi universitari a Pavia verso idee liberali e repubblicane, prendendo parte all’insurrezione del 1821 che in Piemonte sembrò imitare la rivoluzione spagnola dell’anno prima. Agli inizi di marzo interruppe il primo anno del corso di giurisprudenza e giunse ad Alessandria, dove si iscrisse nell’elenco dei giovani universitari di Pavia, i quali, arruolati il 20 marzo 1821 nel corpo di studenti piemontesi e lombardi denominato dei Veliti italiani, partirono in armi verso Torino. Fallito il tentativo insurrezionale con la sconfitta di Novara dell’8 aprile, Partesotti si diresse con il resto del suo battaglione a Savona, dove si imbarcò per la Spagna. A luglio ritornò a Milano da dove, intesi gli arresti che si andavano eseguendo, si rifugiò in Svizzera anticipando così il decreto di arresto a suo carico emesso l’8 novembre. Alla fine del 1823 si presentò a Milano alla Direzione generale di polizia per discolparsi; sottoposto a processo insieme con altri studenti pavesi, gli furono inflitti in un primo tempo dieci anni, poi ridotti a cinque, infine, il 14 luglio 1824, fu condannato a solo tre mesi di reclusione a causa della sua ancora giovane età, essendo, all’epoca dei fatti che gli si contestavano, appena diciannovenne.
Negli anni che seguirono, sebbene sottoposto costantemente a una severa sorveglianza di polizia, prese parte ai movimenti di opposizione al regime asburgico nel Lombardo-Veneto condotti nell’ambito e con i metodi della Carboneria. Ciò non gli impedì di riprendere gli studi universitari, che portò a compimento addottorandosi in giurisprudenza; tuttavia, probabilmente per ragioni politiche, non gli fu mai permesso di esercitare la professione (Caggioli, 1866, pp. 133, 138).
Alla fine del 1830, fu di nuovo coinvolto in attività rivoluzionarie, questa volta a sostegno dell’azione capeggiata da Ciro Menotti. Il fallimento dell’insurrezione di Modena e l’arresto di Menotti non fermò i congiurati mantovani, tra i quali Partesotti, il conte Giuseppe Arrivabene e il marchese Odoardo Valenti Gonzaga, che da Mantova si attivarono per liberare il patriota modenese, detenuto nel carcere mantovano, dapprima tentando di corrompere il capo carceriere e poi organizzando un attacco al convoglio che conduceva il condannato nello Stato estense per essere sottoposto all’esecuzione capitale. Sfuggito alle conseguenze dei successivi primi controlli di polizia che interessarono direttamente Arrivabene e Valenti Gonzaga, Partesotti fu arrestato ai primi di marzo del 1834 e sottoposto nuovamente a processo nell’ambito del più generale contrasto delle autorità austriache agli ideali della Giovine Italia di Mazzini.
Dalle indagini e dalle testimonianze che seguirono, emersero proprio nei suoi confronti le accuse di affiliazione all’organizzazione mazziniana con il grado di capoprovincia del Mantovano, oltre al suo coinvolgimento nei fatti relativi al tentativo di fuga di Menotti. Le principali accuse nei suoi confronti, oltre al materiale compromettente requisito nella sua abitazione, derivarono dalle confessioni del capoprovincia milanese, Luigi Tinelli, e degli altri arrestati. Così com’era avvenuto dieci anni prima, anche durante questo procedimento Partesotti seppe destreggiarsi con abilità e astuzia, nonostante le pesanti accuse a suo carico e le dichiarazioni degli altri congiurati che lo chiamavano direttamente in causa. La sentenza emessa dal tribunale per delitto di alto tradimento il 13 ottobre 1835 fu dunque di sospensione del processo per difetto di prove; tuttavia la liberazione avvenne solo nella primavera del 1836 e Partesotti fu sottoposto a un’attenta sorveglianza di polizia che prevedeva il divieto assoluto di uscire dalle porte della città, sotto pena di arresto per tre mesi. La condotta determinata mantenuta durante gli interrogatori e l’esperienza di quella lunga detenzione terminata senza condanna gli valsero l’ammirazione di altri giovani mantovani che andavano allora avvicinandosi alle idee rivoluzionarie e favorirono la sua azione di proselitismo a favore della Giovine Italia, testimoniato dall’affiliazione proprio in quei mesi di Giuseppe Finzi, più tardi coinvolto nei processi ai martiri di Belfiore.
Alla fine del 1838, in occasione dell’incoronazione del nuovo imperatore, sopravvenne l’indulto; ne beneficiò anche Partesotti, che nell’aprile del 1840 poté trasferirsi a Milano e riprendere i legami con gli affiliati milanesi dell’organizzazione mazziniana, i quali favorirono la sua fuga in Svizzera, a Lugano, il 27 maggio. Nel 1842 era segnalato a Parigi dove, sebbene ben inserito nella Legione italiana, comprendente numerosi fuoriusciti affiliati alla Giovine Italia, era assillato da gravi problemi pecuniari, sorti in seguito al tracollo finanziario del padre, che fino allora lo aveva sostenuto economicamente.
Nell’estate di quell’anno, considerata la sua vicinanza e la fiducia che in lui era posta dai responsabili del comitato francese della Giovine Italia e dallo stesso Mazzini, con il quale Partesotti si era più volte incontrato, fu avvicinato da emissari austriaci incaricati dall’ambasciatore imperiale a Parigi, conte Antal Rudolf Apponyi, di assoldare collaboratori e confidenti per l’Austria tra le fila dei profughi italiani che cospiravano contro il regime asburgico. Dopo aver opposto il proprio rifiuto alle offerte ricevute, Partesotti cedette a causa dell’aggravarsi della sua situazione economica e divenne confidente austriaco dietro compenso di un assegno mensile di 200 franchi e il rimborso delle spese sostenute. Lo stesso Metternich alla fine del 1842 approvò il contratto di assunzione, sollecitando la sede diplomatica parigina a intensificare l’invio dei rapporti, che non tardarono a giungere. In essi Partesotti si vantava di avere sotto controllo tutto quanto avveniva in ambito mazziniano a Parigi, a Malta, a Marsiglia e altre località: «Mazzini, Lamberti e Franzini hanno tanta fiducia nella mia attività e salute che da tutti loro sono stato proclamato viaggiatore della Giovane Italia e della Legione italiana» (Sandonà, 1926, p. 163).
Nel luglio del 1843, su invito di Siro Antonio Franzini, si recò dapprima a Lione e poi a Ginevra per essere messo al corrente di un piano di azione rivoluzionaria in Lombardia e dei nomi delle persone che dovevano prepararlo e mantenere i contatti con la Romagna. Le sue delazioni provocarono l’arresto in Italia di numerose persone e il rinvio dell’insurrezione inizialmente prevista nell’autunno di quell’anno. Lo stesso Mazzini, alla fine di dicembre, convocò Partesotti a Londra per comunicargli il piano di azione posticipato per la primavera del 1844; il 21 gennaio 1844, di ritorno da Londra, egli riferì dettagliatamente ogni particolare del progetto mazziniano che comprendeva un’insurrezione in marzo o ai primi di aprile in Romagna e nel Regno delle Due Sicilie, con sbarco di uomini armati provenienti da Malta e dalla Corsica, dove avrebbe dovuto recarsi anche Partesotti. Le informazioni del confidente provocarono la repressione da parte degli Stati italiani interessati; furono così vanificati i tentativi insurrezionali messi in atto dai seguaci di Mazzini, compresa la spedizione dei fratelli Bandiera tra il giugno e il luglio del 1844.
Le delazioni di Partesotti proseguirono, senza destare nessun sospetto fra i mazziniani, fino alla fine di agosto; le ultime, scritte con mano malferma perfino dal letto di un ospedale parigino, denunciano la malattia che lo aveva improvvisamente colpito e che lo condusse a morte l’11 settembre 1844.
Alcuni giorni dopo, la donna che viveva con Partesotti si rivolse agli altri mazziniani a Parigi chiedendo loro un sostegno economico, confessando ingenuamente di non avere più da vivere dopo che erano cessati gli assegni mensili dell’ambasciata austriaca. Nell’abitazione di Partesotti fu rinvenuto il suo compromettente copialettere con gli agenti austriaci e l'ondata di sdegno tra i patrioti in Italia e all’estero lambì lo stesso Mazzini, chiamato in causa per non avere saputo riconoscere la vera natura del traditore.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Mantova, Delegaz. provinc., Atti riservati, 75, 77; Archivio di Stato di Milano, Processi politici, 140, 142, 145, 149, 151, 155, 158; Mantova, Archivio storico del Comune, Anagrafe antica, 1830-33, reg. 25; A. Caggioli, Un anno di prigione in Milano, Bergamo 1866, pp. 131-140, passim; A. Luzio, Giuseppe Mazzini. Conferenza, Milano 1905, pp. 13-16, 123-127; A. Sandonà, Contributo alla storia de’ processi del ’21 e dello Spielberg, Milano 1911, ad ind.; Id., L’evasione dei fratelli Bandiera dalla flotta austriaca e il loro preteso traditore, in Rivista d’Italia, giugno 1912, pp. 993-996, 998-1001; Id., I moti del 1844 ed il carteggio di A. P. e di altri confidenti dell’Austria, in Nuova antologia, 1926, n. 1312, pp. 160-170, passim; Mantova. La storia, a cura di L. Mazzoldi et al., III, Mantova 1963, ad ind.; R. Giusti, Il movimento settario nel Mantovano e la «Giovine Italia» (1831-38), in Critica storica, V (1966), 2, pp. 184, 186-210, 212, 214, 217; F. Della Peruta, Mazzini e i rivoluzionari italiani. Il partito d’azione 1830-1845, Milano 1974, ad indicem.