Attività della Corte internazionale di giustizia 2017-2018
Nella generale proliferazione di pronunce rese da organi giurisdizionali internazionali tra il 2017 e il 2018, s’inserisce anche la Corte internazionale di giustizia (CIG) che, nel periodo considerato, si è occupata, da un lato, di questioni come quelle confinarie sulle quali esiste una giurisprudenza consolidata e, dall’altro lato, ha avuto la possibilità di rendere pronunce relative a fattispecie sulle quali non si era mai espressa, con ciò contribuendo a fornire un supporto significativo a questioni lungamente controverse nel diritto internazionale1. Inoltre, nell’arco temporale indicato, la Corte si è pronunciata in tema di misure cautelari, con novità significative sul “plausibility test”.
Nel complesso, tra il 1°.1.2017 e il 10.10.2018, la Corte, presieduta dal 6.2.2018 dal giudice Abdulqawi Ahmed Yusuf (Somalia), ha depositato cinque sentenze2, ventotto ordinanze delle quali quattro relative all’applicazione delle misure provvisorie su controversie giuridiche con implicazioni, però, sullo scenario politico internazionale. In particolare, tra queste, la Corte ha adottato un’ordinanza sulle misure provvisorie nella controversia Repubblica islamica dell’Iran c. Stati Uniti3, nell’affare Qatar c. Emirati Arabi Uniti4, nella controversia India c. Pakistan5 e nel caso Ucraina c. Federazione russa6. Le altre ventiquattro ordinanze hanno riguardato la fissazione dei termini nel deposito delle memorie, una domanda riconvenzionale7 e un caso di cancellazione della causa dal ruolo8. L’incremento del numero di controversie deferite alla Corte internazionale di giustizia è segno del ruolo rilevante dell’organo giurisdizionale sia nella soluzione pacifica delle controversie, sia nella definizione di questioni giuridiche centrali nel diritto internazionale. Tra i nuovi ricorsi presentati, è da ricordare quello depositato il 28.9.2018 dallo Stato della Palestina c. Stati Uniti d’America che riguarda una controversia relativa a talune violazioni della Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 18.4.1961, a seguito della dichiarazione del Presidente degli Stati Uniti di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele e procedere al trasferimento dell’ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme9. Il 5.7.2018, invece, per la prima volta, è stato presentato un ricorso dal Bahrain, dall’Egitto, dagli Emirati Arabi Uniti e dall’Arabia Saudita avverso la decisione resa dal Consiglio dell’International Civil Aviation Organization10. L’ICAO, infatti, con decisione del 29.6.2018, aveva respinto le eccezioni preliminari degli indicati Stati i quali sostenevano la mancanza di competenza del Consiglio ICAO nel ricorso presentato dal Qatar, che aveva impugnato la decisione dei suddetti Stati di imporre restrizioni alla navigazione di compagnie aeree registrate in Qatar per ragioni di sicurezza nella lotta al terrorismo. Il 4.4.2018 è stato presentato un ricorso dalla Guyana c. Venezuela sul controllo della regione di Essequibo11, dopo il fallimento dei buoni uffici del Segretario generale dell’ONU. Nell’anno precedente (2017) è stato depositato il ricorso della Malesia c. Singapore sulla revisione e l’interpretazione della sentenza nell’affare Sovereignty over Pedra Branca/Pulau Batu Puteh, Middle Rocks and South Ledge (2.2.2017) che, però, il 1°.6.2018 è stato cancellato dal ruolo, nonché il ricorso del Costa Rica c. Nicaragua (16.1.2017) nell’affare Land Boundary in the Northern Part of Isla Portillos, che s’inserisce in una lunga serie di ricorsi che riguardano i confini relativi a questa zona e che ha condotto alla sentenza del 2.2.2018. Sempre nel 2017, quattro Stati hanno reso la dichiarazione di accettazione di competenza della Corte ai sensi dell’art. 36, par. 2 dello Statuto della CIG: si tratta della Guinea equatoriale (11.8.2017), dei Paesi Bassi (21.2.2017), del Pakistan (29.3.2017), della Gran Bretagna e Irlanda del Nord (22.2.2017). Per quanto riguarda la competenza consultiva della Corte, nel 2017, è stata presentata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, secondo quanto previsto dall’art. 96 della Carta, una richiesta di parere sulle conseguenze giuridiche della separazione dell’arcipelago di Chagos dalle Mauritius nel 196512. La richiesta riguarda aspetti legati al processo di decolonizzazione delle Mauritius. In particolare, si chiede alla Corte di chiarire se il processo di decolonizzazione delle Mauritius è stato legittimamente completato con il riconoscimento dell’indipendenza dal Regno Unito nel 1968 successivamente alla separazione dell’arcipelago di Chagos dalle Mauritius (1965) e quali conseguenze derivino dalla perdurante amministrazione delle isole Chagos da parte della Gran Bretagna e dell’Irlanda del Nord che impedisce alle Mauritius il reinsediamento dei propri cittadini di origine dell’arcipelago.
Tra le diverse pronunce, giova soffermarsi sulla sentenza di merito relativa al risarcimento dei danni all’ambiente, nonché su alcune ordinanze rese in fase di cognizione incidentale sulle misure provvisorie, considerando, a tal proposito, le condizioni che la Corte ritiene indispensabili ai fini dell’applicazione dell’art. 41 dello Statuto. La Corte, infatti, ha potuto chiarire talune questioni legate alla competenza prima facie, al “plausibility test”, all’esistenza del rischio di pregiudizio irreparabile e al requisito dell’urgenza.
Le conseguenze di atti illeciti e la responsabilità internazionale per danni all’ambiente di natura transfrontaliera hanno portato la Corte, per la prima volta, a pronunciarsi sul risarcimento dei danni ambientali. Se, in passato, la Corte ha già avuto modo di intervenire con alcune importanti pronunce e pareri su aspetti legati alla tutela dell’ambiente, chiarendo che sussiste l’obbligo di «full reparation for the damage caused by a wrongful act», la Corte non si era mai pronunciata sulla quantificazione del risarcimento per tali tipi di danni. Con la sentenza del 2.2.2018 nell’affare su certe attività condotte dal Nicaragua nell’area di confine, risarcimento dovuto dal Nicaragua al Costarica (Costarica c. Nicaragua), la Corte, dopo aver accertato la commissione di un illecito da parte dello Stato convenuto con la sentenza del 16.12.2015, ha precisato alcuni importanti aspetti sull’onere della prova, sulla quantificazione del danno all’ambiente e sulla metodologia seguita per determinarlo13. Per quanto riguarda il primo aspetto, la Corte ha individuato l’esistenza di un regime particolare nei casi di danni all’ambiente perché, se la regola generale è che lo Stato che sostiene di aver subito un illecito deve provarne l’esistenza, nel caso del danno ambientale, in ragione delle difficoltà legate alle caratteristiche stesse di questa tipologia di danno, è previsto un approccio flessibile sia perché lo Stato convenuto può trovarsi in una situazione migliore per stabilire determinati fatti (par. 33), sia per le difficoltà legate al rapporto causa-effetto e per l’esistenza di cause concomitanti in grado di produrre effetti diretti o indiretti sull’insorgenza del danno. In ragione di quanto detto, la Corte ha stabilito di dover decidere se «there is a sufficient causal nexus between the wrongful act ad the injury suffered» (par. 34), riconoscendosi il potere, in taluni casi, pur in assenza di prove adeguate, di decidere secondo equità. Per quanto riguarda il secondo profilo, ossia l’individuazione e la quantificazione dei danni da risarcire, è stato stabilito che il risarcimento dovuto dallo Stato autore dell’illecito include non solo le spese che lo Stato leso ha dovuto sostenere, ma anche la diminuzione o la perdita della capacità dell’ambiente di fornire beni e servizi (par. 42). Sotto il profilo della metodologia, la Corte, tenendo conto dell’assenza, sul piano internazionale, di obblighi relativi ai metodi di valutazione da utilizzare, rinvia a una valutazione legata alle specifiche circostanze di ciascun caso, pur decidendo, alla fine, di applicare una “overall valuation”. La Corte ha valutato, così, tra gli altri, i danni ambientali dovuti alla rimozione di 300 alberi e altre azioni compiute dal Nicaragua sulla vegetazione, rilevando che queste azioni hanno avuto un impatto significativo sui beni e i servizi in materia di ambiente e prodotto un danno sulla vegetazione. La Corte ha proceduto a un apprezzamento del danno ambientale da una prospettiva che considera l’ecosistema nel suo insieme, con una valutazione globale della diminuzione o della perdita di beni o servizi ambientali prima della fase di recupero, senza attribuire, così, un valore specifico alle singole categorie (par. 78). Inoltre, la Corte sottolinea che l’assenza di certezza sull’estensione del danno non preclude necessariamente la concessione di un risarcimento che consideri in modo approssimativo il valore della diminuzione o la perdita di beni o servizi ambientali.
La CIG nel periodo considerato ha adottato quattro ordinanze sulle misure provvisorie. Tra queste, la più significativa è quella depositata il 19.4.2017 nella controversia Ucraina c. Federazione russa relativa all’applicazione della Convenzione internazionale per la repressione del finanziamento del terrorismo e della Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale14. Ed invero, la Corte ha potuto chiarire anche le modalità applicative del “plausibility test” ritenuto dalla stessa Corte condizione necessaria per l’indicazione delle misure cautelari ai sensi dell’art. 41 dello Statuto. Ed invero, è stato evidenziato che il potere di indicare tali misure, che servono a proteggere i diritti delle parti in attesa della decisione sul merito, può essere esercitato solo se la Corte ritenga quanto meno plausibile l’esistenza dei diritti invocati dalla parte, come stabilito anche nell’ordinanza del 7.12.2016 nella controversia tra Guinea equatoriale c. Francia. La CIG, accertata la sussistenza prima facie della propria giurisdizione, sia con riguardo alla Convenzione per la repressione del finanziamento del terrorismo (art. 24), sia in base alla Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale (art. 22), pur accordando all’Ucraina talune misure provvisorie per impedire un aggravamento della controversia, non ha ritenuto che il “plausibility test” fosse stato superato in ordine a talune richieste15. In particolare, per quanto riguarda le misure collegate all’applicazione della Convenzione sulla repressione del finanziamento del terrorismo, con riferimento anche all’abbattimento dell’aereo della Malesia Airlines (volo MH117), la Corte, proprio perché non è stato superato il test di plausibilità, non ha accolto l’istanza dell’Ucraina che ha richiamato la violazione dell’art. 18 della Convenzione sulla lotta al terrorismo in base al quale gli Stati devono adottare tutte le misure necessarie per prevenirne il finanziamento. Per la Corte, infatti, l’Ucraina può avvalersi della norma in esame per ottenere misure provvisorie solo se è “plausibile che gli atti in causa possano costituire degli illeciti ai sensi dell’art. 2 della Convenzione”, circostanza che non si è verificata perché l’Ucraina non ha fornito elementi sufficienti per concludere che sussistano le condizioni applicative di cui all’art. 2 della Convenzione ossia l’intenzione e la consapevolezza di commettere atti di terrorismo. La Corte, invece, ha accordato le misure provvisorie con riguardo alla Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale ritenendo sussistente, prima facie, la giurisdizione e plausibile che gli atti contestati costituiscano comportamenti vietati ai sensi dell’indicata Convenzione. Con riguardo alla messa al bando della Mejlis e delle restrizioni sui diritti all’istruzione degli ucraini in Crimea, la Corte ha accertato il rispetto delle condizioni per l’applicazione delle misure provvisorie ritenendo altresì presente il rischio di un danno irreparabile a causa delle indicate azioni discriminatorie. Pertanto, sono state accordate le misure provvisorie richieste dall’Ucraina: la Russia, quindi, deve astenersi dal mantenere o imporre restrizioni a danno della comunità dei tatari di Crimea e consentire l’educazione nella lingua ucraina. Entrambi gli Stati, poi, devono astenersi dall’adottare ogni misura che possa portare a un aggravamento della situazione. Il 3.10.2018 la Corte si è pronunciata, con ordinanza, sull’applicazione di misure provvisorie nel caso Iran c. Stati Uniti relativo alla controversia sulla violazione del Trattato di amicizia sui rapporti diplomatici, le relazioni economiche e i diritti consolari, adottato il 19.8.1955 e in vigore dal 16.6.1957. L’Iran, che ha basato il ricorso presentato il 16.7.2018 sull’art. XXI, par. 2 del Trattato, ha sostenuto che l’adozione delle sanzioni unilaterali decise con il National Security Presidential Memorandum dell’8.5.2018 dal Presidente degli Stati Uniti Donald Trump costituiscono una violazione del Trattato e ha chiesto alla Corte l’adozione di misure provvisorie come l’immediata cessazione delle sanzioni, predisposte dopo la decisione degli Stati Uniti di porre termine alla partecipazione al Joint Comprehensive Plan Action (JCPOA) concluso il 14.7.2015. La Corte, accertata la giurisdizione prima facie in ragione della circostanza che la controversia tra le parti riguarda l’interpretazione o l’applicazione del Trattato del 1955, ha ritenuto superato il “plausibility test” con riguardo all’importazione e all’acquisto di beni necessari per bisogni umanitari, per i medicinali e i supporti sanitari, per i prodotti alimentari e agricoli di base, per i beni e i servizi richiesti per la sicurezza dell’aviazione civile e, quindi, ha concesso all’Iran le misure cautelari richieste anche in ragione del rischio di conseguenze irreparabili sui diritti in oggetto. La Corte ha valutato l’urgenza nell’applicazione delle misure tenendo conto, altresì, che gli Stati Uniti erano in procinto di adottare una serie di misure addizionali il 4.11.2018. Entrambi gli Stati, inoltre, devono astenersi da ogni azione che possa aggravare o ampliare la controversia o renderne difficile la soluzione. Sull’accertamento del requisito dell’urgenza come condizione nell’adozione di misure provvisorie, la CIG si è pronunciata nel ricorso India c. Pakistan nel caso Jadhav. L’India, che aveva depositato il ricorso l’8.5.2017 sostenendo che il Pakistan aveva violato l’art. 36 della Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari, a causa della detenzione, il processo e la sentenza di condanna a morte di un proprio cittadino, ha anche avanzato richiesta di misure cautelari. Il Pakistan ritenendo, altresì, che l’indicata Convenzione non fosse applicabile ai casi di soggetti sospettati di spionaggio per finalità terroristiche – aspetto sul quale la Corte, con ordinanza del 18.5.2017, non ha ritenuto di doversi pronunciare in questa fase – aveva rilevato l’assenza del requisito dell’urgenza in considerazione della circostanza che il condannato poteva presentare una richiesta di clemenza. Tuttavia, la Corte ha ritenuto che il solo fatto che fosse stata disposta la pena di morte dimostra l’esistenza di un grave rischio, anche se il condannato può presentare richiesta di clemenza o se l’esecuzione non è stata ancora fissata, raggiungendo così una conclusione diversa rispetto al caso Avena in cui la Corte (ordinanza del 5.2.2003, Messico c. Stati Uniti) aveva ritenuto di applicare le misure provvisorie con riguardo ai condannati la cui esecuzione della pena capitale era stata già programmata. Pertanto, la Corte ha ordinato al Pakistan di non procedere all’esecuzione della pena capitale fino alla decisione di merito della CIG.
Dai casi giurisprudenziali indicati, risulta evidente che, in via generale, gli Stati ricorrenti, nel presentare la domanda di soluzione di una specifica controversia alla Corte, ritengono necessario richiedere in modo quasi automatico l’applicazione di misure provvisorie. Tale automaticità presenta il rischio di un uso “abusivo” delle misure cautelari, rischio che ha spinto la CIG a determinare con maggiore precisione taluni parametri, considerati come condizione essenziale per l’adozione di dette misure. Ed invero, proprio sui requisiti per l’indicazione di tali misure, nell’arco di tempo considerato, si è sviluppata una giurisprudenza di particolare interesse che mostra, a differenza dei primi anni di operatività della Corte16, un orientamento nell’individuare i criteri per stabilire la sussistenza prima facie della competenza anche attraverso il criterio della plausibilità – condizione fissata per la prima volta nel caso Belgio c. Senegal (ordinanza del 28.5.2009) – che impone un collegamento tra i diritti considerati violati e le misure richieste. Proprio nel 2018, per la prima volta, la Corte ha respinto la richiesta di misure provvisorie, su una parte dell’istanza ucraina proprio non era stato rispettato il requisito della plausibilità, con il rischio di spingere le Parti, già nella fase cautelare, a fornire prove sulla fondatezza delle proprie pretese piuttosto che limitarsi a provare il fumus non mali juris17.
1 Le pronunce e le ordinanze della Corte sono reperibili nel sito www.icjcij.org.
2 Si tratta delle sentenze del 1°.10.2018 (merito), Obligation to Negotiate Access to the Pacific Ocean (Bolivia c. Cile), del 6.6.2018 (eccezioni preliminari), Immunities and Criminal Proceedings (Guinea equatoriale c. Francia), del 2.2.2018 (merito), Maritime Delimitation in the Caribbean Sea and the Pacific Ocean and Land Boundary in the Northern Part of Isla Portillos (Costa Rica c. Nicaragua), del 2.2.2018 (risarcimento), Certain Activities carried out by Nicaragua in the Border Area – Compensation owed by the Republic of Nicaragua to the Republic of Costa Rica (Costa Rica c. Nicaragua), del 2.2.2017 (eccezioni preliminari), Maritime Delimitation in the Indian Ocean (Somalia c. Kenya).
3 Alleged violations of the 1955 Treaty of Amity, Economic Relations, and Consular Rights, ricorso presentato dall’Iran il 16.7.2018.
4 Application of the International Convention on the Elimination of All Forms of Racial Discrimination, ordinanza del 23.7.2018.
5 Jadhav Case, ordinanza del 18.5.2017.
6 Application of the International Convention for the Suppression of the Financing of Terrorism and of the International Convention on the Elimination of All Forms of Racial Discrimination, ordinanza del 19.4.2017.
7 Si tratta dell’ordinanza del 15.11.2017 nell’affare Alleged Violations of Sovereign Rights and Maritime Spaces in the Caribbean Sea (Nicaragua c. Colombia).
8 Ordinanza del 29.5.2018 su Request for Interpretation of the Judgment of 23 May 2008 in the case concerning Sovereignty over Pedra-Branca/Pulau Batu Puteh, Middle Rocks e South Ledge, Malesia c. Singapore.
9 Relocation of the United State Embassy to Jerusalem.
10 Appeal Relating to the Jurisdiction of the ICAO Council under Article 84 of the Convention on International Civil Aviation.
11 Arbitral Award of 3 October 1899.
12 Legal consequences of the separation of the Chagos Archipelago from Mauritius in 1965.
13 Rudall, J., Certain Activities Carried Out by Nicaragua in the Border Area, in AJIL, 2018, 288 ss.
14 Cfr. Marchuk, I., Ukraine’s Dashed High Hopes: Predictable and Sober Decision of the ICJ on Indication of Provisional Measures in Ukraine v Russia, in EJIL: Talk!, 2017, in www.ejiltalk.org; Marotti, L., Ancora in tema di plausibility: l’ordinanza sulle misure cautelari nel caso Ucraina c. Russia, in Ordine internazionale e diritti umani, 2017, 244 ss.
15 Si veda Lando, M., Plausibility in the Provisional Measures Jurisprudence of the International Court of Justice, in Leiden Journal of International Law, 2018, 641 ss.; Marotti, L., “Plausibilità” dei diritti e autonomia del regime giuridico di responsabilità nella recente giurisprudenza della Corte internazionale di giustizia in tema di misure cautelari, in Riv. dir. int., 2014, 771 ss.
16 Cfr. Starace, V., La competenza della Corte internazionale di giustizia in materia contenziosa, Bari, 1989, 269 ss.
17 Cfr. il giudice Sepúlveda-Amor, nell’opinione separata annessa all’ordinanza dell’8.3.2011 sulle misure cautelari nel caso Costa Rica c. Nicaragua (par. 12), nonché il giudice Pocar, nell’opinione separata nell’affare Ucraina c. Federazione russa, par. 7.