Attivita fisica
Attività fisica Con l'espressione attività fisica si designa ogni movimento del corpo prodotto dai muscoli scheletrici, che determina un incremento del dispendio energetico: quindi, oltre al lavoro produttivo e ai lavori domestici, tutte le attività che possono influire sul dispendio energetico quotidiano totale, in particolare quelle del tempo libero, intese come esercizio fisico, sport e attività all'aperto. Nella società contemporanea la riduzione dell'orario di lavoro e l'incremento di tempo libero, conseguenti alla rivoluzione tecnologica e informatica, si accompagnano alla valorizzazione del ruolo dell'attività fisica, considerata fondamentale per la tutela del corpo e della salute. I. Definizione Per attività fisica si intende tutto il complesso di gesti e di movimenti che l'uomo è in grado di compiere. Questa definizione comprende sia i movimenti spontanei o volontari del corpo negli spostamenti (per es., camminare o correre), per i quali sono necessari considerevoli dispendi energetici, sia gli atti motori elementari e fini, come per es. la flessione del pollice sull'indice. Non saranno considerati in questa sede i movimenti delle molecole all'interno delle cellule e dei tessuti del corpo umano: è sottinteso, tuttavia, che la vita intera nel suo complesso, a livello delle molecole, delle cellule, dei tessuti, degli organi o del sistema biologico, è movimento; ma non è necessariamente movimento nel senso degli atti motori volontari. Il movimento che ci interessa si svolge sotto il controllo consapevole dell'uomo: esso ha origine, prosegue nel suo corso, subisce correzioni nell'esecuzione ed è completato in base alle conoscenze e alla volontà di chi agisce. Questo tipo di movimento è basato su complessi meccanismi neuromuscolari, richiede solidi punti di appoggio, come quelli forniti dalle ossa e dalle articolazioni, ha bisogno di un flusso costante di informazioni per gli organi sensoriali sulla traiettoria del movimento, sulla sua finalità e sulle condizioni ambientali prevalenti, e può compiersi soltanto con un dispendio energetico considerevole. Gli elementi principali del dispendio energetico quotidiano sono il metabolismo basale a riposo, l'effetto termico del cibo e l'energia spesa per l'attività fisica. Quest'ultima componente è la più variabile nell'ambito del dispendio energetico quotidiano totale, il cui range nell'uomo è molto ampio: dai 5-6 MJ, consumati dalla persona anziana sedentaria o malata, fino ai 30-40 MJ degli atleti con alte prestazioni di resistenza.L'attività fisica ha svolto un ruolo fondamentale nell'evoluzione dell'Homo sapiens. Cacciare, raccogliere, fuggire e combattere furono le azioni principali dei nostri progenitori. Durante la loro vita, essi dovettero lanciare, sollevare, trasportare, arrampicarsi, camminare, correre e sviluppare tutte le abilità motorie di base; non avrebbero raggiunto l'età della riproduzione se avessero avuto una scarsa resistenza, non fossero stati veloci e forti e fossero stati limitati nei movimenti. In altre parole, la sopravvivenza e la riproduzione per decine di migliaia di anni hanno richiesto che i nostri progenitori fossero fisicamente attivi e capaci di buone prestazioni. In tutte le epoche successive della storia umana l'attività fisica è stata presente come elemento fondamentale nell'ambito del lavoro produttivo e domestico, dei rituali religiosi, delle guerre, dei giochi, della danza e di altre forme di espressione artistica, dell'esplorazione di terre sconosciute. Nel 20° secolo il mondo dell'attività fisica si è sviluppato in misura notevole: dopo aver dedicato molte energie per eliminare lo sforzo fisico dalla sua esistenza attraverso le macchine e la tecnologia, l'uomo si è progressivamente reso conto di essere stato concepito per muoversi e agire con il proprio corpo. Con la diffusione della consapevolezza che uno stile di vita troppo sedentario comporta seri rischi per la salute e con l'avvento della civiltà del tempo libero nelle società più avanzate, si è verificata una diffusione della pratica motoria e sportiva in tutti gli strati della popolazione. Lo straordinario progresso dei mezzi di comunicazione e delle telecomunicazioni ha ulteriormente accentuato la penetrazione dell'attività fisica nella popolazione generale, attraverso forme sempre più diversificate, con un successo in forte crescita nella scala delle occupazioni umane. 2. Attività fisica e salute Numerose ricerche hanno dimostrato che il livello di attività fisica abituale influenza direttamente molti elementi determinanti della fitness (v.) e della salute (tab. 1): in particolare la composizione corporea, la densità ossea, la pressione sanguigna, il profilo lipidico e lipoproteico nel sangue e il metabolismo del glucosio e dell'insulina.a) Composizione corporea e obesità. In teoria si può facilmente accettare l'idea che l'aumento del dispendio energetico, conseguente a un'attività fisica regolare, influenzi positivamente il bilancio energetico, ma nella pratica questo rapporto è molto difficile da dimostrare. I determinanti principali del bilancio energetico possono essere riuniti in tre categorie: l'apporto energetico, il dispendio energetico e la scomposizione dei nutrienti (fig. 1). È molto difficile misurare con precisione le tre classi di fattori in individui lasciati liberi di comportarsi secondo il loro abituale stile di vita; infatti si ottiene un errore tecnico (cioè la deviazione standard di misurazioni ripetute) pari a circa il 10% del valore medio, quindi elevatissimo. Inoltre, l'apporto energetico e il dispendio energetico variano di giorno in giorno: la deviazione standard dell'apporto energetico, valutato per una data persona su numerosi giorni, raggiunge infatti circa i 1000 kJ al giorno, indicando in tal modo un'estrema variabilità della misura. Poiché l'attività fisica incide solo per il 20% circa sul dispendio energetico quotidiano, è improbabile che un incremento lieve dell'attività fisica abituale possa influire fortemente sulla quantità totale di energia spesa e, di conseguenza, sul bilancio energetico. Inoltre, un incremento del livello di attività può essere accompagnato da un corrispondente incremento dell'apporto energetico. Entrambi questi fattori verosimilmente nascondono gli effetti di un incremento lieve dell'attività fisica regolare sul bilancio energetico. è possibile rilevare notevoli influenze sul bilancio energetico in presenza di un aumento sostanziale del dispendio energetico come risultato di un più alto livello di attività fisica abituale. Da un punto di vista pratico, un'attività fisica quotidiana, che porti a un surplus di dispendio energetico di circa 800-1000 kJ al giorno o di circa 5,5-7,0 MJ a settimana, dovrebbe essere sufficiente a provocare un deficit energetico significativo. Vi sono prove sperimentali che un deficit energetico di tale grandezza, sostenuto per parecchi mesi, causi una perdita sostanziale del contenuto di energia corporea. Quando un bilancio negativo di tale grandezza è generato da un'attività fisica regolare, piuttosto che da una riduzione della quantità di calorie assunta, la perdita di peso che deriva è imputabile quasi completamente alla perdita di grasso corporeo; mentre, quando il bilancio energetico negativo è causato da un ridotto apporto energetico, si perde una quantità significativa di tessuti magri, che può rappresentare fino al 50% della perdita di peso.Sembra che un bilancio energetico negativo, come risultato di un livello più elevato di attività fisica abituale, venga raggiunto più facilmente dagli uomini che dalle donne, verosimilmente a causa di un incremento dell'assunzione di energia che si verifica acutamente come risposta all'esercizio nelle donne ma non negli uomini, analogamente a quanto osservato nei roditori maschi e femmine sottoposti a esercizio fisico regolare. Un'altra differenza fra i due sessi nella risposta a un'attività fisica regolare associata a un bilancio energetico negativo riguarda la sede di mobilizzazione del grasso: infatti, negli uomini viene soprattutto interessato il grasso localizzato nella parte superiore del corpo e quello addominale (sedi di accumulo tipicamente maschili). Questo dato riveste una notevole importanza per l'impatto metabolico del grasso di queste sedi e per l'osservazione che esiste un'associazione fra la riduzione del grasso delle sedi tipicamente maschili e un netto miglioramento del metabolismo del glucosio e di quello lipidico in seguito a esercizio aerobico effettuato con regolarità.b) Densità ossea. Con l'avanzare dell'età diminuisce il contenuto minerale delle ossa, con un corrispondente incremento del rischio di fratture. Lo squilibrio fra riassorbimento e produzione di tessuto osseo conduce progressivamente a uno stato patologico noto con il nome di osteoporosi (v.), che è semplicemente una condizione di debolezza delle strutture ossee derivante da perdita di tessuto osseo. Prevenire l'osteoporosi implica soprattutto il mantenimento di una densità e di una solidità ossea elevate. Benché non vi siano certezze al riguardo, si ritiene che l'osteoporosi sia una patologia multifattoriale e che fra i vari fattori implicati rivesta un ruolo importante l'attività fisica. Il fatto che l'attività fisica regolare svolga una funzione protettiva della massa minerale e della resistenza dell'osso è avvalorato da numerose evidenze cliniche e sperimentali, malgrado si registrino anche risultati contraddittori. Una perdita ossea a livello della colonna vertebrale di quasi l'1% alla settimana è stata osservata in casi di riposo a letto e di perdita di peso. Gli atleti, peraltro, hanno generalmente un contenuto minerale osseo maggiore delle persone sedentarie di uguale età e sesso. Studi di intervento in popolazioni anziane di sesso maschile e femminile dimostrano che la perdita di tessuto osseo può essere prevenuta e che, in determinate condizioni, la massa ossea può aumentare. In altre ricerche, d'altra parte, si osserva che lo scheletro potrebbe essere leggermente sovraccaricato dalle forze meccaniche generate in corso di attività fisica.c) Pressione sanguigna. L'ipertensione (v. pressione sanguigna) rappresenta uno dei principali problemi di sanità pubblica. Un'elevata pressione arteriosa sistolica o diastolica è associata a un rischio più elevato di sviluppare scompenso cardiaco, cardiopatia coronarica, accidenti cerebrovascolari, insufficienza renale e vasculopatie periferiche, sia negli uomini sia nelle donne. Il rischio di questi eventi si raddoppia quando la pressione del sangue supera i 140/90 mmHg, e arriva a triplicarsi quando si raggiunge il valore di 160/95 mmHg o valori superiori. La prevalenza dell'ipertensione prima dei 65 anni è più elevata negli uomini, dai 65 anni in poi è maggiore nelle donne. All'incirca il 15% degli adulti dei paesi occidentali soffre di ipertensione. L'ipertensione rappresenta una condizione eterogenea e anche la popolazione degli ipertesi è eterogenea per quanto riguarda la risposta a misure preventive e terapeutiche. Importanti fattori di rischio per l'ipertensione sono soprattutto l'obesità (in particolare quella cosiddetta androide) e l'iperinsulinemia, condizioni spesso associate, e l'assunzione di elevate quantità di alcol e di cloruro di sodio. La riduzione del peso corporeo, dell'assunzione di alcol e di sale determinano, in taluni casi, una riduzione dei livelli pressori. L'ipertensione essenziale è il risultato di un'alterazione funzionale a carico del volume ematico, della gittata cardiaca, delle resistenze periferiche e della regolazione delle funzioni renali. Qualsiasi situazione alteri i meccanismi di regolazione di questi sistemi e di queste funzioni può indurre un aumento cronico della pressione arteriosa. Senza considerare in dettaglio tutti gli aspetti particolari della biologia dell'ipertensione, ci si può intuitivamente aspettare che l'attività fisica regolare possa ridurre, in alcuni individui, la pressione del sangue. Molte ricerche epidemiologiche hanno infatti dimostrato la presenza di una relazione inversa tra il livello di attività fisica abituale e la pressione arteriosa a riposo. Studi di intervento hanno evidenziato che nei soggetti con ipertensione essenziale l'attività fisica regolare può determinare una riduzione della pressione arteriosa sistolica e diastolica di circa 10 mmHg, peraltro clinicamente rilevante. Benché l'effetto positivo non sia ottenibile in tutti i casi e l'attività fisica da sola non sia generalmente sufficiente a normalizzare la pressione, i dati attualmente disponibili suggeriscono che un'attività di resistenza, regolarmente effettuata, di intensità tra il 40 e il 60% del consumo massimale di ossigeno (V·o₂ ) è sufficiente a ottenere riduzione della pressione arteriosa anche in soggetti anziani. In soggetti normotesi, l'attività fisica regolare non determina una riduzione della pressione; peraltro, studi epidemiologici su vasta scala indicano che un sufficiente livello di attività fisica abituale può essere protettivo nei confronti dell'aumento della pressione che si riscontra con l'avanzare dell'età nelle società occidentali.d) Lipidi e lipoproteine del plasma. Nel decennio a cavallo degli anni Novanta è stato dato grande impulso alle ricerche sulle influenze dell'attività fisica regolare o, al contrario, di uno stile di vita sedentario sui lipidi e sulle lipoproteine del plasma, soprattutto grazie all'osservazione che il profilo lipidico e lipoproteico costituisce uno dei più forti fattori predittivi della cardiopatia coronarica e di altre complicanze d'organo dell'aterosclerosi (v. arteriosclerosi). è ampiamente riconosciuto che l'attività fisica regolare produce effetti positivi su diversi aspetti del metabolismo lipidico e può anche essere utilmente impiegata nel trattamento non farmacologico di alcune dislipoproteinemie. Confronti trasversali tra atleti e soggetti molto attivi, da una parte, e soggetti sedentari della stessa età e dello stesso sesso, dall'altra, hanno permesso di individuare sostanziali differenze, a favore dei soggetti attivi, nel profilo dei lipidi e delle lipoproteine del plasma. Tuttavia, sebbene gli studi di intervento abbiano confermato questi dati, l'entità delle modificazioni ematiche e delle lipoproteine ottenute con attività fisica regolare è minore di quella suggerita dai confronti trasversali. In sintesi, l'attività fisica regolare determina una riduzione dei trigliceridi plasmatici in soggetti con elevati livelli iniziali, ma non in soggetti con livelli normali di partenza. In generale, l'attività fisica regolare induce un aumento del colesterolo HDL, in particolare l'HDL₂, e anche dell'apolipoproteina AI, la principale apolipoproteina delle particelle HDL (v. colesterolo). In alcuni casi, specie in soggetti ipercolesterolemici, l'attività fisica regolare è associata a riduzioni del colesterolo totale, del colesterolo VLDL e LDL. Numerosi rapporti di lipidi e lipoproteine del plasma sono abitualmente impiegati per valutare il rischio globale di malattie aterosclerotiche e tutti risultano favorevolmente influenzati dall'attività fisica regolare. Così, il rapporto tra colesterolo totale e colesterolo HDL, tra colesterolo HDL₂ e colesterolo HDL₃ e tra apolipoproteina AI e apolipoproteina B sono più alti nei soggetti molto attivi rispetto a quelli sedentari e aumentano dopo periodi di esercizio regolare. La tab. 2 presenta le differenze caratteristiche tra i livelli lipidici misurati in soggetti di mezza età molto attivi (fondisti) e sedentari. Molti studi hanno osservato che l'azione dell'attività fisica sui livelli lipidici è mediata da un incremento dell'attività della lipoproteinlipasi e una riduzione dell'attività della lipasi epatica. Il risultato netto di queste due azioni è un incremento del colesterolo HDL.Il quadro fin qui tracciato costituisce, indubbiamente, una rappresentazione ottimistica degli effetti dell'attività fisica regolare sui lipidi e sulle lipoproteine del plasma. Prima di valutare pienamente gli effetti specifici dell'attività fisica regolare, devono però essere considerati diversi altri fattori di confondimento. Per es., alcuni cambiamenti del metabolismo delle lipoproteine possono essere legati a modificazioni della massa corporea e del grasso corporeo. Confronti trasversali tra soggetti attivi e soggetti inattivi possono essere influenzati da differenze fra i due gruppi nell'indice di massa corporea e nella composizione corporea. Altri confondenti, che possono alterare le ricerche trasversali o longitudinali, comprendono la quantità di grasso della parte superiore del corpo e quella del grasso viscerale addominale, il fumo, il colesterolo e i grassi della dieta, e il consumo di alcol.e) Metabolismo del glucosio e dell'insulina. La ridotta utilizzazione ossidativa o non-ossidativa del glucosio in presenza di insulina riflette una condizione di insulino-resistenza nei tessuti periferici, in particolare nel muscolo scheletrico. Un decremento dell'inibizione, mediata dall'insulina, della produzione epatica del glucosio si verifica quando il fegato diventa resistente all'azione dell'insulina. Entrambi i fenomeni sono associati in vario grado alla comparsa di una ridotta tolleranza del glucosio, che determina ipersecrezione compensatoria di insulina e iperinsulinemia. Questi sono i tratti caratteristici dell'eziologia del diabete mellito non-insulino dipendente (DMNID), che si sviluppa principalmente negli adulti di sesso maschile e femminile, obesi in circa l'85% dei casi, con un profilo androide di distribuzione del grasso (v. diabete). Il diabete rappresenta un potente fattore di rischio non soltanto di cardiopatia coronarica, ma anche di malattie vascolari periferiche, nefropatia, retinopatia e altre condizioni morbose. Si ritiene che l'attività fisica regolare produca effetti positivi sul metabolismo del glucosio e dell'insulina nei soggetti non diabetici o in pazienti con DMNID. Una conseguenza dell'esercizio fisico regolare è rappresentata dal miglioramento della sensibilità del fegato, del muscolo scheletrico e del tessuto adiposo all'azione dell'insulina. Come indicano molte ricerche epidemiologiche, l'attività fisica regolare può contribuire a mantenere la normoglicemia e la sensibilità all'insulina anche nei soggetti che non siano diabetici.Non è stato ancora chiaramente definito, tuttavia, il contributo specifico dell'attività fisica rispetto alle modificazioni ottenute attraverso la dieta o la perdita di peso e riscontrate generalmente nell'ambito di un regime di esercizio regolare. Un'importante questione consiste nello stabilire se i miglioramenti osservati nel metabolismo del glucosio e dell'insulina rappresentino gli effetti durevoli dell'ultimo episodio di esercizio, o se siano il risultato di adattamenti a lungo termine e di incrementi della fitness. è, peraltro, ampiamente riconosciuto che l'attività fisica regolare produce effetti benefici sui pazienti affetti da DMNID, che sono predisposti alle complicanze dell'aterosclerosi, fondamentalmente attraverso la normalizzazione dei livelli dei trigliceridi e delle lipoproteine. La prevenzione del DMNID rappresenta uno degli ambiti nei quali l'attività fisica può essere utilmente impiegata. Tre studi prospettici hanno esaminato le relazioni tra esercizio fisico regolare e incidenza del DMNID in uomini e donne adulti (tab. 3). Secondo le conclusioni unanimi di questi studi, le persone attive hanno meno probabilità di diventare diabetiche con l'età, con una riduzione del rischio di circa il 20% e più in presenza di attività pesanti. Inoltre, gli effetti protettivi dell'esercizio fisico regolare sono maggiori negli obesi e nei soggetti a più elevato rischio di sviluppo del DMNID.f) Malattie vascolari. Numerosi dati indicano che l'attività fisica regolare può avere effetti benefici nella prevenzione e nel trattamento dei tre principali tipi di malattie vascolari, cioè le vasculopatie periferiche, la cardiopatia coronarica e gli accidenti cerebrovascolari. L'occlusione progressiva di natura aterosclerotica dei vasi periferici non è un fenomeno raro, poiché circa il 10% della popolazione adulta finirà con il manifestare forme di claudicatio periferica. L'attività fisica regolare può rappresentare uno dei metodi di scelta per la prevenzione dei sintomi clinici associati alla claudicatio e per il trattamento degli stadi iniziali della malattia, anche se non sono stati ancora del tutto chiariti i meccanismi attraverso i quali l'attività fisica regolare produce questi effetti. Nel caso degli accidenti cerebrovascolari, le relazioni sono meno evidenti: alcuni dati epidemiologici indicano che il rischio è minore negli individui attivi, ma non è chiaro se la riduzione del rischio sia dovuta ai fattori di rischio convenzionali, come l'ipertensione arteriosa, il sovrappeso o l'obesità. Non si può, peraltro, escludere la possibilità che l'esercizio regolare influisca positivamente sui vasi cerebrali e il flusso del sangue, sulla coagulazione e la fibrinolisi e su altri importanti aspetti della circolazione cerebrale. Negli ultimi quarant'anni sono state prodotte numerose ricerche sul rapporto tra attività fisica regolare e incidenza di cardiopatia coronarica. K.E. Powell e collaboratori hanno pubblicato un'ampia rassegna di 43 ricerche, contenenti dati sufficienti per calcolare il rischio relativo di cardiopatia coronarica per differenti livelli di attività fisica (Powell et al. 1987). Gli autori hanno concluso che si può osservare una costante relazione inversa tra attività fisica e incidenza di coronaropatie. Inoltre, hanno sottolineato che tale associazione possedeva le caratteristiche per essere definita causale (v. rischio), in quanto biologicamente graduata, in sequenza temporale, e coerente con le conoscenze esistenti. Molte altre conferme a questa relazione inversa sono state ottenute in numerose altre popolazioni. Una metanalisi, effettuata su studi riguardanti la relazione fra attività fisica e la prevenzione di coronaropatie, ha concluso che il rischio relativo per un soggetto sedentario, rispetto a un individuo attivo, è pari a 1,9. Inoltre, un'attività fisica regolare rappresenta uno strumento utile nella prevenzione di nuovi infarti in soggetti che già hanno manifestato un primo episodio coronarico.Un'attività fisica regolare influenza la predisposizione all'ischemia attraverso vari meccanismi. Fra questi rivestono particolare importanza: attenuazione degli altri fattori di rischio, effetti antitrombotici, accresciuta vascolarizzazione e funzionalità miocardica, migliore stabilità elettrica del cuore. Un problema dibattuto riguarda l'intensità e l'entità dell'attività fisica necessarie per raggiungere questi effetti benefici. Alcuni studi hanno indicato che è sufficiente una moderata quantità di attività fisica, mentre altri hanno proposto un regime più intenso. Si tratta di un'area di ricerca che richiede studi ulteriori per il suo impatto potenzialmente enorme sulla salute della comunità, in quanto la cardiopatia coronarica rappresenta ancora la prima causa di morte nelle società occidentali. Considerando che l'inattività fisica costituisce un importante fattore di rischio per la cardiopatia ischemica, può essere utile confrontarla con gli altri fattori di rischio conosciuti. In un'importante ricerca americana è stato stimato che la relazione esistente fra cardiopatia coronarica e inattività fisica è simile a quella osservata con l'ipercolesterolemia, l'ipertensione e il fumo di sigarette. Come risulta dalla fig. 2, quasi il 10% della popolazione adulta americana è iperteso, un ulteriore 10% presenta elevati livelli di colesterolo; il 20% di questa popolazione adulta è costituito da fumatori, ma almeno il 60% è classificato come inattivo. In base a questi dati, l'analisi del rischio attribuibile di popolazione indicherebbe che, poiché è così frequente, l'inattività fisica rappresenta un fattore di rischio più importante degli altri tre sommati insieme (U.S. Department of health and human services 1987).g) Altri effetti biologici. L'attività fisica regolare può avere altri effetti sul corpo umano, che possono contribuire anche in modo significativo alla prevenzione di vari tipi di disturbi o alla riabilitazione in diverse condizioni disabilitanti. Senza soffermarsi sui dettagli, in generale si può affermare che l'attività fisica può esercitare un'influenza benefica su alcuni aspetti del sistema immunitario e della risposta immune e può essere aggiunta utilmente nel trattamento delle limitazioni della flessibilità articolare, dell'artrosi e dei dolori del dorso. Esercizi specifici sono usati nel trattamento di pazienti con pneumopatie croniche ostruttive e di pazienti con insufficiente controllo della vescica. Una mole crescente di dati conferma che l'attività fisica regolare può influenzare positivamente il tratto gastrointestinale e svolgere anche una funzione protettiva nei confronti del cancro del colon e del cancro al seno. Un interesse crescente è stato rivolto al rapporto rischi-benefici di attività fisica regolare, in particolare dell'allenamento intensivo, sulla funzione riproduttiva maschile e femminile. È evidente che vi sono considerevoli differenze individuali nella predisposizione alle disfunzioni riproduttive indotte dall'allenamento, e questa è un'osservazione valida per entrambi i sessi. Un'attività fisica vigorosa può provocare disfunzioni di entità variabile del ciclo mestruale, e la riduzione del volume e dell'intensità dell'allenamento è spesso sufficiente per alleviare il problema. Alcune ricerche indicano che tali scompensi si verificano anche tra gli uomini, ma non è ancora chiaro se si traducano in disfunzioni riproduttive clinicamente manifeste. È generalmente riconosciuto che i disturbi della funzione riproduttiva indotti dall'attività fisica, sia negli uomini sia nelle donne, sono reversibili con la conclusione del regime di allenamento.è noto anche che l'attività fisica regolare influenza le donne in gravidanza e il feto. Benché sembri che non produca importanti benefici, ma nemmeno causi seri problemi alla futura madre e al feto, è d'obbligo la cautela, perché vi è comunque la preoccupazione che un'attività fisica troppo intensa possa essere collegata alla nascita prematura o a un minore peso del bambino alla nascita. Perciò alle donne in gravidanza sembra prudente consigliare un esercizio a bassa intensità e in quantità moderate, soprattutto per quelle gestanti che non siano allenate in precedenza. 3. Mortalità e longevità Non è facile produrre dati convincenti per rispondere alla domanda se l'attività fisica regolare aumenti la speranza di vita e diminuisca la mortalità per tutte le cause o per cardiopatia ischemica, o, in altre parole, se uno stile di vita attivo aumenti effettivamente la durata dell'esistenza o prevenga la morte prematura. Vi è, tuttavia, una certa quantità di dati a favore di effetti positivi associati alla pratica regolare dell'attività fisica. Molti studi epidemiologici hanno dimostrato che alti livelli di dispendio energetico sul lavoro sono associati a una frequenza di eventi coronarici più bassa e con attacchi cardiaci meno gravi e meno spesso fatali. Andamenti analoghi sono stati riportati per l'attività fisica del tempo libero. Fra le persone attive nello sport o in altre pratiche fisiche si osserva un tasso di cardiopatia ischemica e di attacchi cardiaci fatali inferiore rispetto a quello relativo ai non attivi. L'effetto è graduato, nel senso che il rischio si riduce progressivamente man mano che aumenta il livello dell'attività fisica abituale; esso, infatti, diminuisce in maniera quasi lineare con un dispendio energetico settimanale, dovuto all'attività fisica, compreso tra 2100 e 12.500 kJ. In altri termini, un basso livello di attività fisica abituale comporterà soltanto un effetto limitato, ma livelli maggiori ridurranno di molto il rischio. Vi sono anche alcune prove che il livello di efficienza cardiopolmonare, misurato mediante cicloergometro, correlato negativamente sia negli uomini sia nelle donne con la mortalità per tutte le cause e per cardiopatia coronarica, sia influenzato dal livello di attività fisica regolare e di fitness, con effetti significativi e graduati sulla mortalità, a parità di altri fattori di rischio convenzionali, come l'indice di massa corporea, la pressione arteriosa, il fumo, la colesterolemia, la storia familiare. Riguardo agli effetti sulla durata totale di vita vi sono due studi di particolare interesse: il primo, finlandese (Pekkanen et al. 1987), ha esaminato 636 uomini, di età compresa tra i 45 e i 64 anni, per un arco di venti anni; i decessi sono stati 287 e il 39% del campione è stato classificato 'altamente attivo'; i soggetti attivi tra le persone morte hanno vissuto 2,1 anni più a lungo degli inattivi, a parità di età, fumo, pressione arteriosa, colesterolo e indice della massa corporea. Sulla base del secondo studio, R.S. Paffenbarger e altri studiosi sono arrivati alla stima che tre o quattro ore di esercizio la settimana allunghino la vita di 1 anno e mezzo (Paffenbarger-Hyde-Wing 1990). Si noti, tuttavia, che sono stati analizzati e discussi gli effetti di uno stile di vita attivo in termini di influenza media sulla mortalità e la speranza di vita, ma in effetti alcuni individui ne beneficeranno di più, altri di meno, per via dell'individualità biologica e di altri fattori. 4. Rischi connessi con l'attività fisica La maggior partecipazione alle attività fisiche del tempo libero in quasi tutti i paesi del mondo, nel corso degli ultimi venti anni del 20° secolo, ha prodotto benefici indiscutibili sul piano della salute fisica e mentale. Non bisogna però dimenticare che la pratica fisica comporta anche dei rischi. Questi ultimi si possono dividere in due categorie: il rischio di disturbi cardiovascolari e il rischio di lesioni muscoloscheletriche.È chiaro che il rischio di un infarto o di un disturbo coronarico aumenta con la partecipazione ad attività fisiche di alta intensità. Da una sintesi di vari studi emerge che, per es., nel caso dello jogging si verifica circa un decesso all'anno su 15.000 praticanti con livelli variabili di condizione fisica. Questo tasso aumenta con l'età dei partecipanti, ma varia anche in funzione del grado di allenamento o di sedentarietà: così il rischio di morte improvvisa sale di 5 volte per uno sforzo fisico intenso tra soggetti attivi, mentre aumenta piu di 50 volte a parità di intensità di esercizio per persone abitualmente inattive. In generale si può osservare che le donne sono meno a rischio di morte improvvisa durante l'esercizio fisico. Le statistiche fanno riflettere sul rapporto tra i benefici e i rischi rispetto alla durata della vita nella partecipazione alle attività fisiche. Sulla base dei risultati di studi in questo settore, l'aumento transitorio del rischio di morte improvvisa durante l'esercizio fisico è annullato dalla diminuzione del rischio di morte in altri momenti del giorno. Infatti, secondo le ormai numerose ricerche epidemiologiche che hanno messo a confronto la mortalità per tutte le cause o quella per attacchi cardiaci tra le persone abitualmente attive e quelle abitualmente sedentarie, tenendo conto di altri fattori di rischio (ipertensione, obesità, fumo ecc), il tasso di mortalità dei soggetti attivi o allenati raggiunge solo il 50% di quello dei soggetti sedentari, per ogni classe di età tra gli adulti, anche considerando il fatto che nei periodi di attività fisica il rischio aumenta in modo passeggero. In altre parole, le persone allenate sono colpite da arresti cardiaci meno frequentemente delle persone sedentarie, sebbene corrano un rischio leggermente superiore durante i periodi di allenamento.Se il rischio di un evento cardiaco è basso in soggetti attivi, i rischi di lesioni muscoloscheletriche sono, invece, molto più consistenti. Bisogna in primo luogo considerare gli inconvenienti che derivano dalla pratica intensa, per un lungo periodo, di un'attività molto specializzata e dall'allenamento connesso: sembra che si verifichi un fenomeno di 'usura' (overuse), particolarmente a livello delle strutture articolari. Esempi classici di questo fenomeno riguardano il gomito del tennista, le spalle dei nuotatori, la mano e la spalla dei lanciatori di baseball, il ginocchio dei calciatori, il ginocchio e le caviglie degli sciatori, nonché il dolore lombare dei ginnasti. Per le ossa e per gli altri tessuti, inoltre, vi è anche il rischio di traumi per cadute, collisioni, colpi o gesti mal eseguiti. Incidenti di questo tipo provocano fratture ossee, strappi muscolari, rotture dei tendini e dei legamenti, lacerazioni della pelle e talora fratture aperte, ferite al viso (occhi, denti ecc.) o alla testa. Non esistono dati statistici adeguati sull'incidenza o la prevalenza di ferite dovute alla partecipazione alle attività fisiche. Secondo alcune stime, tuttavia, almeno 3 milioni di persone all'anno negli Stati Uniti si feriscono soltanto in conseguenza della pratica di attività sportive. La maggioranza di queste ferite scompare con la diminuzione della pratica e sembra perciò causata da un esercizio troppo intenso. Sembra che fra coloro che praticano jogging, quanti aumentano la distanza quotidiana di corsa senza una progressione moderata costituiscano un gruppo particolarmente soggetto a questo tipo di ferite e, quindi, più esposto al rischio. Soltanto una piccola percentuale, dal 5 al 10% circa, di queste ferite cosiddette sportive richiede cure mediche.Bisogna comunque osservare che per essere in condizioni di sicurezza la pratica di qualsiasi attività richiede delle precauzioni, e questo è un principio valido in ogni caso. È importante sapere, in questa nostra epoca di promozione dell'attività fisica, che gli anziani e i soggetti inattivi da parecchi anni sono le persone più vulnerabili in assoluto e che i fumatori, gli obesi, gli ipertesi e coloro che hanno un tasso ematico di colesterolo elevato devono essere particolarmente prudenti soprattutto nei primi mesi di un programma di recupero della forma fisica. Le statistiche sui fattori di rischio non sono complete, ma sono abbastanza eloquenti per suggerire la prudenza a chi desidera trarre dalle attività fisiche del tempo libero distensione e benefici per la salute. bibl.: c. bouchard, Heredity and the path to overweight and obesity, "Medicine and Science in Sports and Exercise", 1991, 23, pp. 285-91; Exercise, fitness and health: a consensus of current knowledge, ed. C. 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