Attività sanitaria e responsabilità penale
Dopo l’entrata in vigore della legge n. 24/2017, la responsabilità penale degli esercenti professioni sanitarie continua ad essere un laboratorio nel quale si fatica a trovare la formula utile a conseguire l’obiettivo di una disciplina sufficientemente certa e rispondente alle attese dei diversi attori. Tre interventi ravvicinati del giudice di legittimità, l’ultimo dei quali nella sua massima espressione, documentano la incapacità della formula legale di sciogliere i nodi più problematici, che oggi appaiono serrati più di quanto non lo fossero sotto la vigenza dell’art. 3, co. 1, d.l. n. 158/2012.
A poco meno di cinque anni dall’entrata in vigore del d.l. 13.9.2012, n. 158, convertito con modificazioni dalla l. 8.11.2012, n. 1891, il legislatore ha posto nuovamente mano alla responsabilità penale e civile degli esercenti una professione sanitaria per le lesioni e le morti cagionate svolgendo l’attività, adottando la l. 8.3.2017, n. 24. Il provvedimento intende apprestare strumenti per garantire “la sicurezza delle cure”, che l’art. 1 definisce “elemento costitutivo del diritto alla salute”. Protagonista è quindi il rischio correlato alla erogazione delle prestazioni sanitarie, affrontato attraverso diverse linee di intervento. Viene istituito in ogni regione il Centro per la gestione del rischio sanitario e la sicurezza del paziente, con il compito di raccogliere dalle strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private i dati regionali sui rischi ed eventi avversi e sul contenzioso e di trasmetterli annualmente all’Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità (art. 2). Quest’ultimo è insediato presso l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali; acquisisce i dati sopra indicati e, anche predisponendo linee di indirizzo con l’ausilio di società scientifiche ed associazioni tecnicoscientifiche delle professioni sanitarie, individua idonee misure per la prevenzione e la gestione del rischio sanitario, per il monitoraggio delle buone pratiche per la sicurezza delle cure nonché per la formazione e l’aggiornamento del personale esercente le professioni sanitarie (art. 3). Le menzionate società ed associazioni, iscritte in apposito elenco istituito e regolamentato con decreto del Ministro della salute, similmente ad enti e istituzioni pubblici e privati, possono elaborare le linee guida che, pubblicate nel proprio sito Internet dall’Istituto superiore della sanità, contengono le raccomandazioni alle quali gli esercenti le professioni sanitarie, nell’esecuzione delle prestazioni aventi finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale, devono attenersi, salve le specificità del caso concreto. All’ISS è assegnato l’importante compito di eseguire la previa verifica della conformità della metodologia adottata a standard definiti e resi pubblici dallo stesso Istituto, nonché della rilevanza delle evidenze scientifiche dichiarate a supporto delle raccomandazioni (art. 5). Nel disciplinare la responsabilità civile della struttura e dell’esercente la professione sanitaria, la legge prevede anche il tentativo obbligatorio di conciliazione di cui all’art. 696 bis c.p.c. (artt. 7 e 8). Inoltre detta regole in tema di azione di rivalsa e di responsabilità amministrativa nei confronti dell’esercente la professione sanitaria (art. 9); prevede l’obbligo per le strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private di provvedersi di copertura assicurativa o di altre analoghe misure per la responsabilità civile verso terzi e per la responsabilità civile verso prestatori d’opera anche per danni cagionati dal personale a qualunque titolo operante presso tali strutture (art. 10); pone un analogo obbligo in capo agli esercenti le professioni sanitarie; disciplina l’estensione temporale della copertura assicurativa (art. 11); regolamenta l’azione diretta del soggetto danneggiato (art. 12). L’art. 14 istituisce il Fondo di garanzia per i danni derivanti da responsabilità sanitaria. In questo quadro si inseriscono tre disposizioni di più diretta attinenza al diritto penale. Il primo comma dell’art. 6 introduce nel tessuto del codice penale l’art. 590 sexies. Il primo comma della disposizione scandisce che se i fatti di cui agli artt. 589 e 590 sono commessi nell’esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma. Il quale recita: «Qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando siano state rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto». Al secondo comma l’art. 6 dispone l’abrogazione del comma 1 dell’art. 3 del d.l. 13.9.2012, n. 158. Le altre previsioni dettano regole di natura procedurale. L’art. 15 tende a rafforzare l’attendibilità degli esperti che nei procedimenti civili e penali concernenti la responsabilità sanitaria possono essere chiamati a rendere un contributo, impegnando l’A.G. ad affidare l’incarico a un medico specializzato in medicina legale e a uno o più specialisti nella disciplina che abbiano specifica e pratica conoscenza di quanto oggetto del procedimento, scelti tra gli iscritti negli albi di cui ai commi 2 e 3 del medesimo articolo, e che non siano in conflitto di interessi nello specifico procedimento o in altri connessi. L’art. 16 reca la modifica dell’art. 1, co. 539, lettera a), della l. 28.12.2015, n. 208, il cui secondo periodo viene sostituito, con la previsione che i verbali e gli atti conseguenti all’attività di gestione del rischio clinico non possono essere acquisiti o utilizzati nell’ambito di procedimenti giudiziari2.
Il tratto caratteristico della l. n. 24/2017 è quindi nell’organizzazione di un sistema vocato alla rilevazione e alla gestione del rischio sanitario. In particolare la gestione è in misura rilevante affidata allo strumento delle linee guida (e delle buone pratiche), che viene rafforzato attraverso l’opera di selezione e validazione dell’ISS, la esplicita previsione dell’obbligo dei sanitari di attenersi alle raccomandazioni in esse contenute (salva la necessità di discostarsene ove richiesto dalle specificità del caso concreto) e la definizione di una causa di non punibilità incardinata sul rispetto di esse, ove in concreto adeguate. Ne risulta la centralità dell’art. 590 sexies c.p., sul quale in ultima analisi grava il peso dell’effettività del sistema, condizionata dalla garanzia della non punibilità del sanitario che abbia conformato la propria attività alle raccomandazioni contenute nelle linee guida. Pertanto è decisivo, ai fini di una valutazione dell’attitudine del provvedimento a conseguire l’obiettivo, verificare se il legislatore è riuscito a sciogliere i nodi che, insediati nel vivo dello statuto penale dei sanitari, da qualche tempo sembrano inestricabili.
Il radicale mutamento intervenuto negli ultimi decenni nella relazione sanitariopaziente, frutto di un coacervo di cause ben esplorate dalla dottrina3, espone il primo ad un elevato rischio di contenzioso. Sorte che è ormai comune a molte professionalità; ma che in campo sanitario viene ritenuta foriera di distorsioni pregiudizievoli per lo stesso diritto alla salute. Il sanitario può optare per pratiche difensive, rifiutando di occuparsi di pazienti portatori di patologie ad elevato tasso di insuccesso (la medicina difensiva cd. negativa) o disponendo esami e terapie non strettamente necessarie alla diagnosi e alla cura ma in grado di ridurre al minimo il rischio di vedersi contestare una qualche omissione in caso di esito infausto (medicina difensiva positiva). Tali comportamenti risultano certamente incentivati dall’eventuale assenza di copertura assicurativa, poiché il professionista è esposto con il proprio patrimonio al rischio di dover risarcire danni ingentissimi. Ma risulta oltremodo incidente anche la percezione che sia indefettibile la censura a posteriori della condotta tenuta dal sanitario, stante l’assenza di regole di condotta che, predeterminate, abbiano valenza in ogni caso; e ciò a ragione della unicità di ogni situazione, resa tale dall’intreccio delle variabili della malattia e dell’organismo umano ma anche dell’oggettiva complessità dell’imputazione del fatto colposo nell’ambito del giudizio penale e della difficoltà di far emergere in esso la composita realtà entro cui si situa la specifica condotta4. Di qui il convincimento del legislatore di dover assicurare un maggior «equilibrio tra tutela del paziente, da un lato, e garanzia per l’operatore sanitario di svolgere la propria attività nelle migliori condizioni»5. All’art. 590 sexies il compito di offrire maggiori certezze al sanitario e di assicurargli risposte giudiziarie meno draconiane rispetto a quelle fornite dalla giurisprudenza dell’ultimo trentennio; evidentemente anche di quella formatasi nella vigenza della legge Balduzzi.
Sin dai primi commenti, però, il testo del secondo comma della nuova disposizione è parso oscuro, a ragione della presenza di costrutti percepiti tra loro incompatibili. In particolare, il richiesto rispetto delle linee guida e delle buone pratiche adeguate alla specificità del caso concreto è stato ritenuto inconciliabile con il carattere imperito della condotta del sanitario. Ciò ha indotto la Corte di cassazione, nella prima pronuncia che si è impegnata nell’interpretazione della nuova disciplina, a formulare severi giudizi a riguardo della disposizione, in quanto portatrice di «incongruenze interne tanto radicali da mettere in forse la stessa razionale praticabilità della riforma in ambito applicativo». In realtà, nella stessa sentenza6 si ammette che l’aporia rinvenibile nella istituita relazione tra osservanza di linee guida adeguate alla specificità del caso concreto ed imperizia è superata da una interpretazione letterale, in forza della quale la non punibilità sarebbe garantita al «sanitario che, pur avendo cagionato un evento lesivo a causa di comportamento rimproverabile per imperizia, in qualche momento della relazione terapeutica abbia comunque fatto applicazione di direttive qualificate; pure quando esse siano estranee al momento topico in cui l’imperizia lesiva si sia realizzata». Ma tale interpretazione è parsa alla Corte impraticabile perché irragionevole, ingiustificatamente sperequativa a vantaggio dei sanitari e in contrasto con l’art. 32 Cost., oltre che con i principi fondamentali della responsabilità penale. La non punibilità di condotte gravemente imperite determinerebbe un cospicuo vuoto nella tutela della salute e della vita, reso ancor più profondo dalla relazione istituita dal legislatore tra disciplina penale e risarcimento del danno, tale da compromettere in modo irragionevole i rilevantissimi beni. Di conseguenza è stata ritenuta obbligata la via della interpretazione costituzionalmente conforme, che per la Corte ha significato limitare i casi di non punibilità alle ipotesi nelle quali la condotta del sanitario sia estrinsecazione di pertinenti linee guida adeguate al caso concreto. La formula qui utilizzata sintetizza un complesso di condizioni. In primo luogo, non può trattarsi di errore nella scelta delle raccomandazioni da seguire, perché ciò risulta espressamente escluso dalla necessità che le linee guida osservate siano adeguate alla specificità del caso concreto. Pertanto, il solo errore per il quale può ipotizzarsi l’applicabilità dell’art. 590 sexies è quello esecutivo. In secondo luogo, la condotta della quale si ipotizza la natura colposa deve trovare nelle linee guida (che si assume siano state) rispettate il proprio statuto regolativo; se esse non disciplinano nel dettaglio l’atto del sanitario che si ipotizza errato non possono venire in considerazione. In terzo luogo, l’atto esecutivo deve essere del tutto conforme alle raccomandazioni contenute nelle pertinenti linee guida. La qualificazione di imperizia, quindi, non indica un connotato reale della condotta rispettosa ma la prospettiva della contestazione mossa al sanitario: per il quale viene ipotizzato un comportamento imperito (e non negligente o imprudente), che tale in realtà non è. Nel complesso, la S.C. ha riproposto alcuni capisaldi della giurisprudenza formatasi sino all’introduzione della nuova disciplina (le linee guida non sono fonte di regole cautelari ed il sanitario è tenuto a discostarsene ove esse non siano adeguate al caso specifico), prendendo atto che l’errore nella scelta è stato totalmente attratto nella sfera del penalmente rilevante (laddove nel previgente regime poteva risultare lecita l’errata opzione a favore delle linee guida, se lieve la colpa) e circoscrivendo l’ambito della non punibilità alla sola attività esecutiva perfettamente conforme alla puntuale raccomandazione della linea guida adeguata al caso concreto.
Tale interpretazione è stata da molti giudicata eccessivamente restrittiva; anzi, restrittiva al punto da risultare nella sostanza una interpretazione abrogativa7. Alla prima occasione se ne è allontanata la stessa IV Sezione, che in diversa composizione ha optato proprio per quella lettura testuale che era stata messa da parte per i dubbi di costituzionalità che ne derivavano8. I giudici di legittimità hanno sostenuto che la nuova legge intende attenuare il giudizio sulla colpa medica, introducendo una causa di esclusione della punibilità per la sola imperizia; la sua operatività è subordinata alla condizione che l’esercente la professione sanitaria abbia rispettato le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge, ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico assistenziali, e che dette raccomandazioni risultino adeguate alla specificità del caso concreto. Il legislatore ha scelto di prevedere in relazione alla colpa per imperizia nell’esercizio della professione sanitaria un trattamento diverso e più favorevole rispetto alla colpa per negligenza o per imprudenza – consolidatosi in una causa di esclusione della punibilità – e la Corte si è astenuta dall’apprezzare la coerenza di tale opzione con l’art. 3 Cost. per mancanza di rilevanza nel caso di specie. Il risultato di tale interpretazione è che risulterebbe non punibile qualsiasi atto sanitario imperito occorso nel contesto di un’attività informata all’applicazione delle raccomandazioni contenute in linee guida adeguate alla specificità del caso concreto. Ancora una volta un errore nell’applicazione delle raccomandazioni, ma senza alcun limite alla rilevanza della imperizia ai fini della non punibilità.
Un così radicale contrasto ha indotto alla sollecita rimessione della questione alle Sezioni Unite, che lo hanno risolto non già avallando l’una o l’altra delle posizioni già espresse dal giudice di legittimità ma definendo una terza lettura della previsione legale. Per il S.C., infatti, la condivisibile preoccupazione di non dare campo ad una interpretazione in conflitto con l’art. 32 Cost. porta da un lato a ripudiare l’interpretazione letterale e dall’altro a limitare il campo di applicazione della causa di non punibilità alle sole ipotesi di imperizia lieve. L’approdo è raggiunto attraverso un denso percorso ricostruttivo. Le S.U. in primo luogo delimitano il campo entro il quale può porsi il tema della non punibilità del sanitario. Da un canto ne risultano esclusi i reati diversi da quelli di lesioni colpose e di omicidio colposo (e a tale delimitazione i giudici assegnano un ruolo nel giudizio di ragionevolezza del più favorevole trattamento riservato ai sanitari); dall’altro ne resta fuori tanto l’operato non informato a linee guida (o a buone prassi) “istituzionali” quanto la condotta che, pur facendo applicazione di quelle validate dall’ISS, le abbia erroneamente scelte perché inadeguate alle specificità del caso concreto. Allo stesso modo, non possono aspirare alla non punibilità le condotte negligenti e quelle imprudenti. In secondo luogo le S.U. rinvengono lo spazio proprio entro il quale il rispetto delle linee guida può coesistere con l’imperizia: è la fase dell’attuazione delle raccomandazioni, sicché l’imperizia caratterizza la condotta esecutiva. A questo punto, però, le S.U. avvertono «l’esigenza di individuare opportuni temperamenti che valgano a non esporre la conclusione a dubbi o censure sul piano della legittimità costituzionale, per irragionevolezza o contrasto con altri principi del medesimo rango». Il fattore di conformazione della nuova disciplina alla Carta viene identificato nella contrazione della operatività della causa di non punibilità alle sole ipotesi di imperizia lieve. Tanto viene giustificato attraverso una ricognizione dei lavori preparatori, della giurisprudenza costituzionale e di legittimità nonché della legislazione (segnatamente l’art. 2236 c.c.), dalla quale si trae il conclusivo giudizio che «la norma in esame continui a sottendere la nozione di ‘colpa lieve’ …». In breve: ad avviso delle S.U. l’art. 590 sexies non trova applicazione a) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da negligenza o imprudenza; b) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali; c) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia nella individuazione e nella scelta di linee-guida o di buone pratiche clinico assistenziali non adeguate alla specificità del caso concreto; d) se l’evento si è verificato per colpa “grave” da imperizia nell’esecuzione di raccomandazioni di linee-guida o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle speciali difficoltà dell’atto medico.
Contrazione dello spazio operativo e nodi irrisolti minacciano di prolungare l’accidentato cammino verso una disciplina sufficientemente stabile e condivisa.
Nella interpretazione fornitane dalle S.U., l’art. 590 sexies riduce il novero dei comportamenti non punibili rispetto a quanto ricavabile dall’abrogato art. 3 d.l. n. 158/2012. Innanzitutto esso si indirizza ai soli delitti previsti dagli artt. 589 e 590 c.p. In secondo luogo la nuova previsione non attrae nel proprio cono d’azione l’errore nella scelta delle linee guida: osservare linee guida inadeguate è sempre penalmente rilevante. Inoltre essa limita la valenza della causa di non punibilità ai soli casi di imperizia. Nel complesso, la nuova disciplina risulta meno favorevole all’imputato rispetto alla previgente quando al sanitario venga contestato di aver rispettato una linea guida inadeguata o di aver tenuto una condotta negligente o imprudente. Negli altri casi le discipline risultano sovrapponibili; ma la disposizione abrogata è destinata ancora ad essere preferita nell’applicazione, ai sensi dell’art. 2, co. 4, c.p., perché esita nell’assoluzione perché il fatto non sussiste, che in linea tendenziale esclude la condanna al risarcimento dei danni, laddove la declaratoria di non punibilità ex art. 590 sexies è compatibile con tale statuizione9. In conclusione la soluzione rinvenuta dalle Sezioni Unite va ben poco incontro a quanti speravano in un più cospicuo diversivo dalla giustizia penale. Inoltre restano sul tavolo i dubbi che già si agitavano vigente la legge Balduzzi: è davvero ragionevole assegnare ai sanitari un salvacondotto che non vale per gli altri professionisti pure impegnati nella soluzione di problemi di particolare complessità? Ed è ragionevole favorire l’imperizia lieve di chi ha osservato linee guida adeguate e non anche quella di chi non può rinvenire linee guida o a buone prassi adeguate al caso specifico (problema oggi drammatizzato dalla valorizzazione delle sole linee guida istituzionali)? Come distinguere imperizia da imprudenza e negligenza in termini che non si prestino ad opache ricostruzioni giudiziarie? Davvero è sufficiente, come sembrano credere le Sezioni Unite, che le regole del processo siano la soluzione al problema? Si tratta di interrogativi che chiamano in causa il legislatore e che sostengono il ragionevole dubbio che la messa a punto dello statuto penale dei sanitari c’est pas fini.
Anche per ciò che attiene al consolidamento del verbo nomofilattico, vi è più di un’incognita. Come si è già scritto, l’interpretazione operata dal S.C. restringe lo spazio operativo della causa di non punibilità all’imperizia lieve, pur a fronte di una lettera della legge che, a detta degli stessi giudici di legittimità, renderebbe lecita anche l’imperizia grave. Le Sezioni Unite hanno avuto ben presente la incerta linea di confine lungo la quale si sono poste. Emblematica, al riguardo, la puntualizzazione secondo la quale dall’art. 12, co. 1, delle preleggi «si evince un solo vincolante divieto per l’interprete, che è quello riguardante l’andare ‘contro’ il significato delle espressioni usate», mentre «non gli è invece vietato andare ‘oltre’ la letteralità del testo», specie se questo lascia aperte più soluzioni e quella adottata «sia l’unica plausibile e perciò compatibile col principio della prevedibilità del comando». Esibendo le credenziali dell’interpretazione costituzionalmente orientata le Sezioni Unite asseriscono quindi di scegliere uno dei significati possibili della disposizione. Ed è qui la chiave di volta dell’intero edificio, perché solo riconducendo al legislatore la volontà di limitare l’ambito di applicazione della causa di non punibilità alle ipotesi di colpa lieve è possibile sottrarsi al sospetto di aver adottato una originaria interpretazione in malam partem, che finirebbe per negare in radice la coerenza a Costituzione della lettura adottata. Ma quell’affermazione ha una persuasività che andrà verificata; già sono emerse perplessità, osservandosi a riguardo del ricorso allo strumento della interpretazione costituzionalmente conforme, che «vi è da interrogarsi se il giudice possa avvalersene persino al di là dei limiti del tenore letterale della norma: se cioè, come nel caso di specie, sia consentito spingersi oltre un testo (l’art. 590 sexies c.p.), nel quale si è tradotta – seppure con formulazione tecnicamente infelice – la discutibile ma ‘precisa scelta’ di riconoscere un trattamento di minore severità sanzionatoria alle condotte mediche connotate da imperizia, abbandonando qualsivoglia gradazione»10 (enfasi dell’Autore). Su un piano più generale occorrerà attendere di veder realizzato il Sistema Nazionale delle Linee Guida (SNLG) per comprendere se ancora merita di essere ripetuta la litania dell’alterità delle linee guida rispetto alle regole cautelari. Non che ci sia da attendere una validazione delle stesse in ragione del contenuto; i criteri adottati con il d.m. del 27.2.2018 guardano giustamente ad altro11. Ma è ben possibile che la autorevole selezione delle linee guida suggerisca di concettualizzare quel che oggi viene praticato ma non affermato: ovvero che per i giudici esse entrano nel giudizio sull’imputazione colposa come e se esprimono regole cautelari. E ciò nonostante la giurisprudenza di legittimità, ancora sino alla sentenza n. 50078/2017, abbia ripetutamente negato che nelle linee guida siano mai rinvenibili regole cautelari. Il refrain è che esse mancano di vincolatività e che il sanitario non può approcciarle con atteggiamento burocratico12. Una breccia nell’orientamento tradizionale sembrano aprirlo le stesse S.U., che seppure con qualche tentennamento13 paiono ammettere la natura eventualmente cautelare delle raccomandazioni contenute nelle linee guida. Ove fosse valorizzato tale spunto, almeno alcuni dei temi posti dall’art. 590 sexies c.p. potrebbero essere riguardati sotto una nuova luce. Anche la giurisprudenza potrebbe avviarsi nell’esplorazione della prospettiva del concorso di regole cautelari; proposta da parte della dottrina, essa promette di fornire almeno una traduzione penalistica del modus operandi del sanitario più aderente alla realtà concreta14. Questi, infatti, il più delle volte è chiamato a definire il proprio comportamento alla luce di una pluralità di regole cautelari, la cui convergenza per la identificazione della condotta perita può essere reale o meramente apparente. Andrà sperimentato se un’analisi così condotta sia in grado di dare indicazioni ben più concrete del comportamento doveroso. Di certo garantirebbe la “riconciliazione” tra la teoria della colpa e lo statuto penale dell’attività sanitaria. Non può passare inosservato che anche le Sezioni Unite, come già la sentenza Cantore15, più che descrivere le fattezze di una condotta che sia al tempo stesso osservante le linee guida ed imperita, abbiano esaltato il profilo culturale e deontologico dell’operatore non punibile. Il rispetto delle linee guida si traduce, nella ricostruzione delle pronunce menzionate, nell’essere il sanitario incline a conformare il proprio agire al sapere consolidato in quelle fonti ricognitive. Verrebbe da dire, parafrasando un’espressione ben nota ai penalisti e volgendola nel suo contrario, che si premia una “innocenza d’autore”. Ma ciò non corrisponde alla precisa descrizione della condotta che si imputa al sanitario perché causa dell’evento infausto. Anche le parole che le S.U., hanno dedicato all’art. 2236 c.c. rischiano di rendere il quadro più incerto. A tale norma esse si richiamano per dimostrare che è già nel sistema la limitazione del rimprovero penale alle sole condotte dei sanitari connotate da colpa grave. Si è osservato, al riguardo, che la decisione marca «un ulteriore (e creativo?) passo avanti …», perché non sarebbe sufficiente che la colpa consista in imperizia e sia lieve; occorrerebbe altresì che la prestazione implichi la soluzione di problemi di speciale difficoltà16. Si condivida o meno una simile lettura, è certo che d’ora in avanti anche il tema dei rapporti tra le due disposizioni codicistiche sarà annoverato tra quelli controversi.
1 A riguardo del quale Blaiotta, R., Colpa grave e responsabilità del medico, in Libro dell’anno del Diritto 2014, Roma, 2014; Cupelli, C., Colpa medica, in Libro dell’anno del Diritto 2017, Roma, 2017. Per un quadro d’insieme, Brusco, C., La colpa penale e civile. La colpa medica dopo la legge 8 marzo 2017, n. 24 (Legge Gelli-Bianco), Milano, 2017.
2 Incidente sull’assetto amministrativo è la modifica dell’art. 1, co. 540, della l. 28.12.2015, n. 208, in tema di coordinamento dell’attività di gestione del rischio sanitario.
3 Caputo, M., Colpa penale del medico e sicurezza delle cure, Torino, 2017, 5 ss.
4 Caputo, M., Colpa penale del medico, cit., 149 ss.
5 Gelli, F., Prefazione, in Lovo, M.Nocco, L., La nuova responsabilità sanitaria. Le novità introdotte dalla Legge Gelli, Milano, 2017, 4.
6 Cass. pen., 20.6.2017, n. 28187.
7 Il giudizio è stato formulato dalle Sezioni Unite, nella sentenza che si citerà a breve.
8 Cass. pen., 19.10.2017, n. 50078.
9 Cass. pen., 7.1.2015, n. 11090.
10 Cupelli, C., L’art. 590-sexies c.p. nelle motivazioni delle Sezioni Unite: un’interpretazione “costituzionalmente conforme” dell’imperizia medica (ancora) punibile, in Dir. pen. cont., 2018, fasc. 3, 257. Parla di interpretazione creativa Brusco, C., Responsabilità medica penale: le Sezioni Unite applicano le regole sulla responsabilità civile del prestatore d’opera, in Dir. pen. proc., 2018, 650.
11 Il decreto stabilisce che l’Istituto superiore di sanità provvede alla valutazione delle linee guida e all’inserimento delle stesse nel Sistema nazionale linee guida, previa verifica della conformità della metodologia adottata agli standard e ai criteri di valutazione delle evidenze scientifiche dichiarate a supporto delle raccomandazioni contenute nelle linee guida definite dallo stesso istituto.
12 Anche in dottrina si sostiene che le linee guida non recano regole cautelari che darebbero luogo a colpa specifica in caso di loro violazione perché è manchevole il carattere di precettività. Altri convengono che può trattarsi di regole cautelari. A dar credito ad un’approfondita analisi della colpa penale (Castronuovo, D., La colpa penale, Milano, 2009, 284 ss.) l’ostacolo è ben poca cosa perché le regole cautelari non hanno i caratteri delle norme giuridiche e devono essere osservate non perché valide ma in quanto efficaci. Ciò spiegherebbe perché una regola cautelare positivizzata può essere disattesa ove non risulti più adeguata allo scopo preventivo.
13 Rilevato ad esempio da Caputo, M., Le Sezioni Unite alle prese con la colpa medica: nomofilachia e nomopoiesi per il gran ritorno dell’imperizia lieve, in Riv.it. med. leg., 2018,
349.
14 Per la compiuta trattazione del tema si veda Vallini, A., Linee guida e colpa medica nel quadro teorico del concorso di regole cautelari. Un’interpretazione teleologica, e conforme alla lettera, dell’art. 590 sexies c.p., in www.lalegislazionepenale.eu, 7.12.2017.
15 Cass. pen., 29.1.2013, n. 16237. Si tratta della pronuncia con la quale la Corte di cassazione ha plasmato il diritto vivente scaturito dal ‘decreto Balduzzi’.
16 Brusco, C., Responsabilità medica penale, cit., 652.