Abstract
Viene esaminato l’atto amministrativo transnazionale nel diritto dell’Unione europea, ossia l’atto amministrativo nazionale che, in forza di una norma europea, produce effetti giuridici nel territorio di altri Stati membri. Dopo aver descritto tre tipologie di atti amministrativi transnazionali e aver individuato quattro elementi che essi hanno in comune, ci si sofferma su alcune recenti norme che sembrano andare nella direzione del ridimensionamento di tale modello decisionale.
Il processo di integrazione europea ha determinato una sorta di apertura laterale degli ordinamenti statali che, detto in modo generico, consente il transito da uno Stato a un altro di norme, pronunce giurisdizionali e atti amministrativi nazionali (Cassese, S., Diritto amministrativo comunitario e diritti amministrativi nazionali, in Chiti, M.P.-Greco, G., a cura di, Trattato di diritto amministrativo europeo, pt. gen., I, II ed. Milano, 2007, 10 ss.). In questo contesto si può collocare l’atto amministrativo transnazionale, ossia l’atto amministrativo di uno Stato membro che, in forza di una norma europea, produce effetti giuridici anche nel territorio di altri Stati membri.
Se il fenomeno è noto anche nel diritto internazionale (es. la patente di guida in base all’art. 41 e all’allegato 7 della Convenzione di Vienna sulla circolazione stradale dell’8.11.1968; cfr. Biscottini, G., Diritto amministrativo internazionale, I, Padova, 1964), nella normativa europea derivata esso risulta piuttosto ricorrente ed è spesso oggetto di disposizioni analitiche. Infatti, nell’ambito delle politiche comunitarie volte a facilitare la libera circolazione di beni, servizi, capitali e persone, talvolta il legislatore europeo ha previsto, oltre che atti amministrativi della Commissione (o di altri organismi europei), anche provvedimenti amministrativi statali con effetti transnazionali. Per tale ragione nella normativa sul mercato comune si trovano il maggior numero di esempi di questo istituto; vi sono però settori in cui esso non si riferisce ad attività economiche (es. il visto uniforme di cui al regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio 12.7.2009, n. 810/2009, che istituisce un codice comunitario dei visti, vers. cons.).
L’atto amministrativo transnazionale nel diritto europeo può essere studiato unitamente al principio di origine giurisprudenziale del mutuo riconoscimento, vale a dire il principio in base al quale uno Stato membro deve di regola consentire la circolazione nel suo territorio di un bene (o di un servizio) quando esso sia legalmente commercializzato in un altro Stato membro (Möstl, M., Preconditions and Limits of Mutual Recognition, in Common Market Law Review, 2010, 406; Janssens, C., The Principle of Mutual Recognition in EU Law, Oxford, 2012). Tuttavia, la prospettiva analitica del diritto amministrativo consente di cogliere aspetti di tali normative che potrebbero invece sfuggire adottando un punto di vista più ampio.
In generale, il diritto europeo derivato ricorre al provvedimento transnazionale per contemperare due valori contrapposti: da un lato, la protezione di esigenze unitarie (es. l’unità del mercato comune e quindi l’esercizio unitario di una libertà fondamentale); dall’altro, la protezione delle competenze amministrative statali (art. 291 TFUE) o di rilevanti interessi pubblici degli Stati membri. Dato che tale bilanciamento non avviene in modo uniforme, ma varia nei singoli settori, si possono individuare diverse tipologie di provvedimenti transnazionali. Tre di esse sono alquanto diffuse nel diritto derivato e rappresentano un’utile base di partenza per una prima analisi giuridica (es. Röhl, H.C., Procedures in the European Composite Administration, in Barnes, J., a cura di, Transforming Administrative Procedure, Seville, 2008, 92 ss.).
Appartengono a questo gruppo, ad esempio, l’autorizzazione all’immissione in commercio delle acque minerali (direttiva n. 2009/54/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18.6.2009 sull’utilizzazione e la commercializzazione delle acque minerali naturali) e l’autorizzazione all’esercizio dell’attività di assicurazione diretta o di riassicurazione (art. 14, direttiva n. 2009/138/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25.11.2009 in materia di accesso ed esercizio delle attività di assicurazione e di riassicurazione, vers. cons.). In questi casi il beneficiario del provvedimento può esercitare un’attività al di fuori del Paese origine (ossia del Paese cui appartiene l’amministrazione che ha emanato l’atto) senza dover ottenere il consenso della corrispondente autorità dello Stato ospitante. Questa tipologia di atto transnazionale rappresenta il recepimento nella normativa derivata della giurisprudenza della Corte di giustizia in materia di reciproco riconoscimento (es. C. giust., 22.1.2002, C-390/99, Canal Satélite Digital SL c. Adminstración General del Estado, EU:C:2002:34) e presuppone generalmente un elevato livello di armonizzazione delle legislazioni interne.
Il fatto che un ruolo attivo spetti solo all’amministrazione di origine significa che il legislatore attribuisce un peso preponderante all’esercizio unitario di una libertà fondamentale. L’effetto transnazionale è quindi particolarmente incisivo per l’autorità di destinazione che è tenuta ad accettare l’atto e a consentire al destinatario di esercitare la connessa attività. Per utilizzare una nozione del diritto internazionale privato, si può affermare che, a prescindere da eventuali adempimenti conoscitivi (es. comunicazioni), l’autorizzazione transnazionale assume rilevanza indiretta nell’ordinamento ospitante: qui non viene in rilievo il provvedimento di un altro Stato, ma solo la situazione giuridica cui lo stesso si riferisce; situazione che può allora essere svolta in modo continuativo nei Paesi coinvolti (Biscottini, G., op cit., 25 ss. e 70 ss.; Rossolillo, G., Mutuo riconoscimento e tecniche conflittuali, Padova, 2002, 236 ss.).
Tuttavia a tutela di determinati interessi pubblici (es. la salute, l’ambiente), la competente autorità del Paese di destinazione può, in alcuni casi, adottare provvedimenti che possono giungere alla sospensione dell’attività autorizzata (art. 11, dir. n. 2009/54; art. 154, dir. 2009/138). Tali misure (c.d. misure di salvaguardia) sono comunque precedute o seguite da contatti con l’amministrazione di origine (ed eventualmente con la Commissione o altre autorità europee) per giungere a una soluzione condivisa del problema.
La decisione comune è un’autorizzazione nazionale, frutto di un procedimento composito al quale prendono parte, con funzione decisionale, più amministrazioni nazionali e, a volte, anche la Commissione. Quali esempi si possono citare l’autorizzazione all’immissione in commercio di prodotti contenenti organismi geneticamente modificati non destinati all’alimentazione (artt. 13 ss., direttiva n. 2001/18/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 12.3.2001 sull’emissione deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente modificati, vers. cons.) e l’autorizzazione alla spedizione dei rifiuti destinati allo smaltimento o al recupero (artt. 4 ss., regolamento n. 1013/2006/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 14.6.2006 relativo alle spedizioni di rifiuti, vers. cons.).
Questo modello decisionale si fonda su un’intensa collaborazione procedurale (v. infra § 3.2). Ad esempio, in base alla dir. 2001/18 l’autorità statale competente (quella dello Stato nel quale il prodotto sarà immesso in commercio per la prima volta) deve condurre l’istruttoria e predisporre una proposta di decisione da sottoporre a tutte le altre amministrazioni nazionali e alla Commissione (art. 14); se la proposta ottiene l’assenso unanime, l’autorità nazionale può rilasciare l’autorizzazione che ha effetti transnazionali; se invece vengono sollevate obiezioni, la questione è decisa dalla Commissione secondo le regole della comitologia (procedura di esame: artt. 18 e 30 dir. cit.; v. anche infra § 4.2).
In tal modo tutti i Paesi sono coinvolti nel processo decisionale, potendo incidere sul contenuto del provvedimento, ancorché esso sia poi emanato da una sola amministrazione statale. Soluzione procedurale questa resa necessaria dalla delicatezza di tali settori, che richiedono scelte il più possibile condivise. In definitiva il procedimento è finalizzato a compensare il policentrismo amministrativo con l’unicità della decisione (in generale, cfr. Cassese, S., L’arena pubblica. Nuovi paradigmi per lo Stato, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 2001, 648).
Anche in questo caso le singole amministrazioni statali possono emanare misure di salvaguardia a tutela di rilevanti interessi pubblici. Secondo la dir. 2001/18, l’esercizio di tali poteri comporta, oltre che la sospensione (temporanea e limitata allo Stato interessato) dell’attività assentita, l’avvio di una procedura, partecipata da tutte le amministrazioni statali e dalla Commissione, finalizzata a verificare se l’autorizzazione debba essere modificata o revocata (art. 23, par. 1). Analogamente, ogni autorità nazionale, che disponga di nuove informazioni sui rischi di un prodotto immesso in commercio, può avviare un procedimento, improntato alla regola del contrarius actus, per modificare o revocare la precedente misura (art. 20, par. 3).
Questo modello decisionale, utilizzato anche nel diritto internazionale, è composto da due o più provvedimenti emanati in diversi Stati membri: il primo atto è efficace nel solo Paese di origine, il secondo consente al primo di produrre effetti anche nell’ordinamento di destinazione (si è perciò parlato di autorizzazioni consecutive: cfr. Schmidt-Aßmann, E., Verwaltungskooperation und Verwaltungskooperationsrecht in der Europäischen Gemeinschaft, in Europarecht, 1996, 300). Ad esempio, appartiene a questo gruppo il riconoscimento di alcuni titoli di studio (direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio n. 2005/36/CE del 7.9.2005, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, vers. cons.).
L’effetto transnazionale agisce qui all’interno del procedimento condotto dall’amministrazione di destinazione. La quale deve valutare (senza poterle ripetere: cfr. es. C. giust., 17.12.1981, C-272/80, Frans-Nederlandse Maatschappij voor biologische Producten, EU:C:1981:312) le risultanze dell’istruttoria ed esaminare le informazioni sottese al primo provvedimento, per determinare gli effetti sostanziali attraverso l’atto di riconoscimento. Dal punto di vista strutturale l’amministrazione di origine sostituisce quindi quella di destinazione nell’esecuzione di ampia parte dell’attività istruttoria (Biscottini, G., op. cit., 117 ss.). Dal punto di vista funzionale, queste normative danno spazio a esigenze di differenziazione che caratterizzano determinati settori, consentendo alla seconda autorità di adattare gli effetti del primo atto alle specificità del proprio ordinamento nazionale (Armstrong, K.A., Mutual Recognition, in Barnard, C.-Scott, J., a cura di, The Law of the Single European Market, Oxford e Portland, 2002, 241). Dato che il provvedimento soggetto a riconoscimento ha rilevanza diretta nel secondo ordinamento, le situazioni giuridiche private sono caratterizzate da un basso grado di continuità nei diversi Paesi coinvolti.
A volte il legislatore ha innestato su questo modello di base alcune varianti. Ad esempio la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio n. 83/2001/CE del 6.11.2001 (recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano, vers. cons.) esclude che un’amministrazione nazionale possa unilateralmente rifiutare il riconoscimento di un’autorizzazione all’immissione in commercio di un farmaco emanata da un altro Stato: se manca l’accordo, è prevista una fase di negoziazione (tra le autorità coinvolte) in seno a un apposito gruppo di coordinamento (art. 27); in caso di fallimento della trattativa, il potere decisionale si trasferisce in capo alla Commissione che deve agire secondo le regole della comitologia (procedura di esame), previo parere di organismi tecnici (artt. 29 ss.). Si tratta allora di norme che limitano l’autonomia delle amministrazioni nazionali e le conseguenti possibilità di differenziazione.
Nonostante queste differenze, tali modelli decisionali presentano alcuni elementi in comune.
In primo luogo, il provvedimento transnazionale presuppone l’effettività della divisione dei compiti tra le diverse amministrazioni. Per tale ragione, l’autorità di destinazione non può contestare unilateralmente la validità o l’opportunità di un atto rilasciato in un altro Stato membro, ma è tenuta ad accettarlo e a connettervi le conseguenze previste dal diritto europeo, potendo al più, se previsto, elevare un conflitto (v. infra § 3.3). Questa parte dell’effetto transnazionale può essere denominato “vincolo inter-amministrativo” e opera in modo diversificato: esso è più ampio nel provvedimento con efficacia transnazionale automatica (quando l’amministrazione di origine gode di autonomia decisionale), mentre è più ridotto nella decisione comune e nell’atto soggetto a riconoscimento (ossia quando vi è un “intreccio decisionale”). In sostanza, vi è una relazione inversa tra l’ampiezza del vincolo inter-amministrativo e la tutela degli interessi del Paese di destinazione.
Dal punto di vista strutturale, nel provvedimento con efficacia transnazionale automatica e nella decisione comune l’effetto transnazionale ha due componenti: la prima è sostanziale e consente al privato di esercitare una libertà fondamentale nei Paesi di destinazione; la seconda è organizzativa (il vincolo inter-amministrativo) e impedisce alle amministrazioni dei Paesi ospitanti di porre in essere verifiche definitive sulla validità o l’opportunità del provvedimento transnazionale; essa ha una posizione strumentale rispetto alla componente sostanziale. Nel provvedimento soggetto a riconoscimento detto vincolo ha invece natura solo procedurale, perché l’autorità di destinazione non può contestare (autonomamente) o ripetere l’istruttoria condotta dal Paese di origine in vista del rilascio del primo provvedimento. In questa ipotesi quindi la tutela delle libertà fondamentali avviene solo all’interno del procedimento di riconoscimento.
In secondo luogo, al pari di ogni forma di esecuzione del diritto europeo, il provvedimento transnazionale si fonda su molteplici meccanismi di cooperazione. I quali possono essere informativi (scambio di informazioni tra diversi corpi amministrativi), procedurali (apporti che un’amministrazione fornisce in un procedimento condotto da un altro ufficio, nazionale o europeo) e istituzionali (organi collegiali composti da rappresentanti delle autorità nazionali ed europee afferenti a un dato settore). L’insieme di queste tecniche, che è variamente combinato nei singoli settori, assolve una pluralità di compiti: ad esempio assicurare azioni coordinate, efficienti e omogenee; garantire il reciproco controllo e l’instaurarsi di un clima di reciproca fiducia tra gli attori pubblici coinvolti (es. Kahl, W., Der Europäische Verwaltungsverbund: Strukturen – Typen – Phänomene, in Der Staat, 2011, 353-387).
Una funzione della cooperazione è particolarmente importante nel provvedimento transnazionale: compensare l’amministrazione di destinazione della mancata possibilità di provvedere (o comunque della riduzione dei suoi poteri), attraverso modi alternativi di coinvolgimento nel processo decisionale (Sydow, G. Verwaltungskooperation in der Europäischen Union, Tübingen, 2004, 17 ss.). Ciò spiega, da un lato, perché tale autorità può intervenire in diversi momenti di vita dell’atto transnazionale a tutela di rilevanti interessi pubblici (es. attraverso le misure di salvaguardia) e, dall’altro, perché sono previsti meccanismi procedurali per comporre in forma deliberativa problemi che di volta in volta insorgono (cfr. in generale Joerges, C.- Neyer, J., From Intergovernmental Bargaining to Deliberative Political Processes: The Constitutionalisation of Comitology, in European Law Journal, 1997, 273; v. infra § 3.3).
In terzo luogo, le normative sul provvedimento transnazionale, presupponendo l’interazione di una pluralità di attori pubblici, devono fare i conti con possibili divergenze di opinioni tra gli stessi (causate, ad esempio, dalla diversa interpretazione delle norme rilevanti, da scontri tra interessi). Si pensi a un’amministrazione statale che emani una misura di salvaguardia in relazione a un bene autorizzato da un altro Stato membro, che si opponga al rilascio di una decisione comune o che non riconosca un provvedimento di un altro Stato membro. In principio questi conflitti potrebbero essere risolti in sede giurisdizionale; invece in molti casi il legislatore europeo ha istituito specifici procedimenti amministrativi di composizione: ad esempio la negoziazione (art. 15, par. 1, dir. 2001/18), la mediazione (art. 11, dir. 2009/54), la decisione vincolante della Commissione o di altri soggetti europei (es. art. 19, regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio n. 1093/2010, del 24.11.2010, che istituisce l’Autorità europea di vigilanza, Autorità bancaria europea).
Queste norme perseguono insomma la finalità di mantenere il conflitto in ambito amministrativo, assicurandone la gestione secondo regole che consentono agli apparati interessati di trovare una soluzione condivisa. Esse tentano cioè di trasformare il conflitto in cooperazione (De Lucia, L., Conflict and Cooperation within European Composite Administration (Between Philia and Eris), in Review of European Administrative Law, 2012/1, 43 ss.).
Il provvedimento transnazionale può porre alcuni problemi per quanto riguarda la tutela giurisdizionale dei privati (cfr. in termini generali C. giust., 17.9.2014, C-562/12, Liivimaa Lihaveis c. Eesti-Läti programmi 2007-2013 Seirekomitee, EU:C:2014:2229). Se il diretto interessato può impugnare l’atto transnazionale lesivo innanzi al giudice amministrativo del Paese di origine (salvo che lo stesso sia emanato in esecuzione di una decisione della Commissione: es. C. giust., 30.1.1997, C-178/95, Wiljo v Belgische Staat, EU:C:1997:46; in dottrina, cfr. Marchetti, B, Il sistema integrato di tutela, in De Lucia, L.-Ead., a cura di, L’amministrazione europea e le sue regole, Bologna, 20115, 179 ss.), più complessa è la posizione dei terzi stabiliti nel Paese di destinazione. Per costoro la competenza del giudice amministrativo del Paese di origine può nei fatti comportare una limitazione del principio di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale: tra l’altro a causa delle differenze linguistiche, delle differenze relative alla legittimazione ad agire o dei maggiori costi di un processo in un altro Paese (es. Bassi, N., Mutuo riconoscimento e tutela giurisdizionale, Milano, 2008). Questi potenziali limiti di accesso al giudice amministrativo sono però compensati dalla pienezza della cognizione del giudice ordinario del Paese ospitante. Il terzo può, infatti, agire direttamente nei confronti del beneficiario del provvedimento amministrativo, non dovendo il giudice civile (si ripete: del Paese di destinazione) verificare la legittimità dell’atto emanato in un altro Paese e potendo limitarsi a valutare la condotta del danneggiante in relazione al danneggiato (es. Cons. St., IV, 15.6.2004, n. 3993).
Molte di queste norme impongono del resto al destinatario del provvedimento di rispettare determinati interessi pubblici e di salvaguardare la sfera giuridica dei terzi adottando cautele ulteriori rispetto a quelle previste nell’atto transnazionale (es. art. 20, par. 2, dir. 2001/18; art. 104, par. 2, dir. 2001/83). In sostanza, negli ordinamenti diversi da quello di origine, l’atto ha una valenza bipolare, perché rileva solo nei rapporti di natura amministrativa (ossia a tutela dell’interesse pubblico); mentre le controversie private sono consegnate al diritto civile, senza che il provvedimento assuma alcun ruolo.
A fronte di discipline così complesse e articolate, nella normativa più recente si registra la tendenza a ridimensionare l’utilizzo o la portata del provvedimento transnazionale. Essa assume due forme contrapposte.
In primo luogo, in alcuni settori il provvedimento transnazionale è stato sostituito da decisioni della Commissione o di altri organismi europei.
Si pensi, ad esempio, alla nuova disciplina delle autorizzazioni allo svolgimento delle attività creditizie. Come noto, il regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio, del 15.10.2013 (che attribuisce alla Banca centrale europea compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi) ha attribuito alla Banca Centrale Europea la competenza a rilasciare tali autorizzazioni per gli enti creditizi dell’eurozona. Atti questi che in precedenza erano rilasciati dagli Stati membri e che producevano automaticamente effetti transnazionali (cd. “european passport”: direttiva 2006/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14.6.2006, relativa all’accesso all’attività degli enti creditizi ed al suo esercizio). Allo stesso modo il regolamento (UE) 2016/796 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11.5.2016 (che istituisce un’Agenzia dell'Unione europea per le ferrovie) ha attribuito all’Agenzia europea per le ferrovie una serie di funzioni autorizzatorie che in precedenza spettavano alle amministrazioni nazionali e che si traducevano in atti con effetti transnazionali (cfr., per altri esempi, De Lucia, L. From Mutual Recognition to EU Authorization: The Decline of Transnational Administrative Acts?, in It. Journal of Public Law, 1/2016).
Queste innovazioni legislative non costituiscono però indizi di uno sfavor generalizzato verso il provvedimento transnazionale. Il legislatore europeo ha piuttosto inteso semplificare la regolamentazione di alcuni segmenti del mercato unico; disciplina in precedenza alquanto complessa e farraginosa anche a causa di un eccesso di pluralismo amministrativo (e di diversità nelle prassi nazionali). Coerentemente con la giurisprudenza della Corte di giustizia, l’attribuzione di competenze alle amministrazioni europee (a scapito di quelle nazionali) ha sinora riguardato solo provvedimenti che producono effetti per tutto il mercato europeo e che presuppongono accertamenti tecnici complessi (es. C. giust., 6.12.2005, C-66/04, Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord c. Parlamento europeo e Consiglio dell’Unione europea, EU:C:2005:743, par. 45). Sino a oggi, il legislatore non invece è intervenuto in modo così drastico sui sistemi decisionali complessi fondati su atti transnazionali che riguardino relazioni tra due o tre Stati (es. il trasporto transfrontaliero dei rifiuti o l’immissione in commercio dei farmaci). Non si deve poi trascurare che tali normative di accentramento, pur semplificando il processo decisionale, continuano a fondarsi su articolate tecniche di collaborazione con le autorità statali. In sostanza, esse non hanno soppresso il pluralismo amministrativo, ma lo hanno razionalizzato, lasciando peraltro ferme tecniche deliberative di decisione.
In secondo luogo, si assiste a una tendenza legislativa e giurisprudenziale, inversa alla precedente, che va nella direzione del depotenziamento dell’effetto transnazionale (e delle connesse esigenze unitarie).
Al riguardo, si può innanzitutto ricordare la giurisprudenza della Corte di giustizia sulle patenti di guida che in passato rappresentava un esempio tipico di provvedimento amministrativo con efficacia transnazionale automatica (art. 1, par. 2, direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio n. 2006/126/CE, del 20.12.2006): secondo la Corte di giustizia le autorità dello Stato di destinazione non potevano controllare la sussistenza dei presupposti prescritti per il rilascio della patente (e segnatamente il requisito della residenza) emessa in un altro Paese membro (es. C. giust., 19.4.2004, C-476/01, Kapper, EU:C:2004:261). Negli anni successivi però lo stesso giudice, per arginare il c.d. “turismo delle patenti di guida”, ha riconosciuto alle amministrazioni di destinazione più ampi poteri di controllo circa la sussistenza di tali requisiti, consentendo loro di verificare da questo punto di vista la legittimità della singola patente (es. C. giust., 26.6.2008, Funk, C-329/06 e C-343/06, EU:C:2006:660; per una sintesi della giurisprudenza, cfr. Ruffert, M., Verwaltungsrecht im Europäischen Verwaltungsverbund, in Die Verwaltung, 2015, pp. 547, spec. 551-555). A maggiore tutela della sicurezza stradale la Corte ha fatto venir meno un limite derivante dal vincolo inter-amministrativo. Ne è emerso, in conseguenza, un diverso modello decisionale: il provvedimento nazionale con efficacia transnazionale subordinata a controllo (Schmidt-Aßmann, E., op. cit., 300 ss.).
Un altro esempio di depotenziamento dell’effetto transnazionale riguarda l’immissione in commercio di prodotti contenenti OGM e si trova nella direttiva (UE) 2015/412 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11.3.2015 (che modifica la direttiva 2001/18/CE per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di organismi geneticamente modificati sul loro territorio). In base alla nuova disciplina gli Stati, oltre a poter sollevare un’obiezione all’immissione in commercio di un OGM, attraverso un sistema piuttosto complesso, possono fare in modo che il loro territorio, o parte di esso, sia escluso dalla coltivazione del prodotto candidato per motivi, tra l’altro, di politica ambientale, di pianificazione urbana e territoriale, di impatto socio economico (Porpora, M., Gli OGM e la frammentazione della governance nel settore alimentare, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2016, 1661 ss. spec. 1678 ss.). In sostanza, ciascuno Stato può oggi sottrarsi all’effetto transnazionale, senza che ciò dia luogo a un conflitto amministrativo e che quindi la Commissione possa emanare una decisione vincolante in merito (De Lucia, L. From mutual recognition, cit.).
Sul punto si deve evidenziare che queste innovazioni sembrano rappresentare la risposta a specifici problemi di singoli settori. Sarebbe perciò improprio volerne trarre indicazioni di carattere generale circa il futuro del provvedimento transnazionale.
Art. 291 TFUE; direttiva n. 2001/18/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 12.3.2001 (sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati), vers. cons.; direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio n. 83/2001/CE, del 6.11.2001 (recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano), vers. cons.; direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio n. 2005/36/CE, del 7.9.2005 (relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali), vers. cons.; direttiva 2006/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14.6.2006 (relativa all’accesso all’attività degli enti creditizi ed al suo esercizio); regolamento n. 1013/2006/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 14.6.2006 (relativo alle spedizioni di rifiuti), vers. cons.; direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio n. 2006/126/CE del 20.12.2006 (sulle patenti di guida); direttiva n. 2009/54/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 18.6.2009 (sull’utilizzazione e la commercializzazione delle acque minerali naturali); regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio 12.7.2009, n. 810/2009 (che istituisce un codice comunitario dei visti), vers. cons.; direttiva n. 2009/138/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25.11.2009 (in materia di accesso ed esercizio delle attività di assicurazione e di riassicurazione), vers. cons.; regolamento (CE) n. 1093/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio del 24.11.2010 (che istituisce l’Autorità europea di vigilanza, Autorità bancaria europea), vers. cons.; regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio, del 15.10.2013 (che attribuisce alla Banca centrale europea compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi); direttiva (UE) 2015/412 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11.3.2015 (che modifica la direttiva 2001/18/CE per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di organismi geneticamente modificati sul loro territorio); regolamento (UE) 2016/796 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11.5.2016 (che istituisce un’Agenzia dell’Unione europea per le ferrovie).
Armstrong, K.A., Mutual Recognition, in Barnard, C.-Scott, J., a cura di, The Law of the Single European Market, Oxford e Portland, 2002, 242 ss.; Bassi, N., Mutuo riconoscimento e tutela giurisdizionale, Milano, 2008; Biscottini, G., Diritto amministrativo internazionale, Padova, I, 1964; De Lucia, L. Amministrazione transnazionale e ordinamento europeo, Torino, 2009; Id., From mutual recognition to authorization: The decline of transnational administrative acts, in It. Journal of Public Law, 1/2016; Gerontas, A.S., Deterritorialization in Administrative Law: Exploring Transnational Administrative Decisions, in Columbia Journal of European Law, 2013, 423 ss.; Janssens, C., The Principle of Mutual Recognition in EU Law, Oxford, 2012; Marchetti, B, Il sistema integrato di tutela, in De Lucia, L.- Marchetti, B., cura di, L’amministrazione europea e le sue regole, Bologna, 2015, 179 ss.; Möstl, M., Preconditions and Limits of Mutual Recognition, in Common Market Law Review, 2010, pp. 405-436; Röhl, H.C., Procedures in the European Composite Administration, in Barnes, J., a cura di, Transforming Administrative Procedure, Seville, 2008, 92 ss.; Rossolillo, G., Mutuo riconoscimento e tecniche conflittuali, Padova, 2002; Ruffert, M., Der transnationale Verwaltungsakt, in Die Verwaltung, 2001, 453 ss.; Id., Verwaltungsrecht im Europäischen Verwaltungsverbund, in Die Verwaltung, 2015, pp. 547 ss.; Schmidt-Aßmann, E., Verwaltungskooperation und Verwaltungskooperationsrecht in der Europäischen Gemeinschaft, in Europarecht, 1996; Sydow, G. Verwaltungskooperation in der Europäischen Union, Tübingen, 2004.