Atto lecito dannoso e condominio
Una controversia sulla limitazione della proprietà esclusiva discendente dall’esecuzione di lavori di consolidamento di un fabbricato, imposti dalla pubblica amministrazione, consente alla Corte di cassazione di affermare un principio inedito sulla responsabilità per fatto lecito dannoso in tema di condominio. Se in precedenza la fonte di obbligazione dell’atto lecito dannoso era stata rinvenuta in una disposizione di legge che riconosce l’indennizzabilità della pretesa, con la sentenza 16.12.2015, n. 25292 si enuclea un principio generale del diritto all’indennizzo in caso di lesione scaturente da un atto lecito. Si tratta di un principio dalla forza espansiva al di fuori della materia condominiale?
SOMMARIO 1. La ricognizione 2. La focalizzazione 2.1 Gli atti leciti dannosi: un inventario 2.2 Gli orientamenti della giurisprudenza sull’analogia iuris 2.3 Cass. n. 25292/2015: l’atto lecito dannoso ‘‘atipico’’ 3. I profili problematici
Una vicenda singolare, riguardante la limitazione della proprietà esclusiva discendente dall’esecuzione di lavori di consolidamento di un fabbricato, imposti dalla pubblica amministrazione attraverso un’ordinanza di esecuzione, consente alla Cassazione di affermare un principio inedito sulla responsabilità per fatto lecito dannoso in tema di condominio1.
Per giungere alla soluzione del caso, la pronuncia, con una lettura sistematica, fa applicazione dell’art. 1173 c.c. sulle fonti delle obbligazioni attraverso l’istituto dell’analogia iuris.
Il risultato è la creazione di una nuova categoria giuridica, quella dell’atto lecito dannoso atipico.
Un condominio – a seguito dell’emissione di un’ordinanza di esecuzione di lavori d’urgenza – realizza l’intervento necessario per il consolidamento del fabbricato riducendo la fruibilità di un immobile in proprietà esclusiva di uno dei condomini. Tale cespite, su cui vi era stata la maggiore incidenza dei lavori, pur avendo mantenuto l’idoneità all’uso, aveva subito una riduzione di fruibilità a causa della perdita di superficie, di altezza e di luce tra i pilastri, oltre a un danneggiamento della pavimentazione.
La Corte d’appello di Firenze, escludendo la sussistenza di un fatto illecito, aveva tuttavia ritenuto integrata un’ipotesi di responsabilità per fatto lecito dannoso a carico del condominio, facendo applicazione del principio del contemperamento di esigenze diverse tutelate dall’ordinamento, ovvero l’interesse della pubblica incolumità e le ragioni della proprietà privata. Il sacrificio imposto alla proprietà esclusiva del singolo faceva pertanto sorgere un’obbligazione d’indennizzo ex artt. 42 Cost. e 844 c.c. nell’interesse comune del consolidamento della struttura del fabbricato condominiale.
Le limitazioni della proprietà imposte dalla pubblica amministrazione sono di regola indennizzabili dal soggetto pubblico nel cui interesse vengono realizzate. Si pensi alle espropriazioni e al diritto all’indennità prevista non solo per l’asservimento del fondo mediante decreto ablatorio e che trova causa nel procedimento espropriativo, ma anche per i danni che possano derivare al privato, rimasto estraneo al procedimento, in conseguenza della legittima realizzazione di un’opera pubblica2. In tale evenienza il fondamento del ristoro poggia sul principio di giustizia distributiva, per cui non è consentito soddisfare l’interesse generale attraverso il sacrificio del singolo senza che quest’ultimo ne sia indennizzato3.
Tutto è “relativamente” semplice nel caso in cui vi sia una previsione di legge che riconosca l’indennizzabilità della pretesa.
La peculiarità del caso di specie risiede nel fatto che l’indennizzo richiesto per la menomazione delle facoltà del diritto dominicale non è espressamente previsto dalla legge e la relativa pretesa è avanzata nei riguardi del condominio che ha disposto i lavori e non del soggetto pubblico che ha imposto l’intervento nell’interesse generale.
La dottrina prevalente4 riconosce che gli atti leciti dannosi possono rappresentare fonti di obblighi di riparazione. Esempio tipico è quello delle fattispecie contemplate dagli artt. 843 c.c. sull’acceso al fondo, 924 c.c. sugli sciami d’api inseguiti sul fondo altrui e 925 c.c. sugli animali mansuefatti. Indennità per la limitazione del diritto di proprietà sono altresì previste in caso di servitù di acquedotto (artt. 1038 e 1039 c.c.) e di passaggio (1052 c.c.).
Dottrina minoritaria, al contrario, esclude l’esistenza di una categoria autonoma dell’atto lecito dannoso, rinvenendo, in ogni ipotesi, un fatto riconducibile all’illecito civile5.
La giurisprudenza di legittimità riconosce l’esistenza di casi di responsabilità al di fuori del fatto illecito.
In materia di rapporti di vicinato, la Corte6 ritiene che la previsione dell’art. 843 c.c. – secondo cui il proprietario è tenuto a permettere l’accesso o il passaggio nel suo fondo al fine di consentire al vicino lo svolgimento di opere necessarie alla manutenzione del muro dell’immobile di sua proprietà – configuri un’obbligazione propter rem, cui corrisponde l’obbligo di versare un’adeguata indennità, da liquidare in via equitativa e anche in assenza di prova del danno, fermo restando l’obbligo di ripristinare lo stato dei luoghi ad opera finita.
Nei rapporti condominiali, ma con un diverso significato, è prevista l’indennità di sopraelevazione, dovuta dal proprietario dell’ultimo piano di un edificio condominiale, ai sensi dell’art. 1127 c.c., non solo in caso di realizzazione di nuovi piani o nuove fabbriche, ma anche per la trasformazione dei locali preesistenti mediante l’incremento delle superfici e delle volumetrie, indipendentemente dall’aumento dell’altezza del fabbricato7. Tale indennità trae fondamento dall’aumento proporzionale del diritto di comproprietà sulle parti comuni conseguente all’incremento della porzione di proprietà esclusiva e, in applicazione del principio di proporzionalità, si determina sulla base del maggior valore dell’area occupata ai sensi dell’art. 1127, co. 4, c.c.
Al di fuori della disciplina dei diritti reali, la Cassazione ha variamente ricondotto all’ambito delle obbligazioni, diverse dal contratto o dal fatto illecito, derivanti da altri atti o fatti idonei a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico (art. 1173 c.c.), l’obbligazione ex lege dell’equa riparazione8, la categoria della responsabilità “da contatto sociale”9 o il caso delle plurime cessioni successive a catena del contratto di locazione10.
Riguardo all’analogia iuris11, nel settore civile, Cass., 21.1.2014, n. 117212, al fine di determinare il termine di prescrizione per irrogare una sanzione disciplinare a carico degli psicologi, in assenza di una esplicita previsione di legge, ha fatto ricorso a quanto è previsto per le altre professioni.
In ambito processuale, nel caso in cui la stessa causa, in ragione di un’incertezza dell’indicazione dell’ufficio giudiziario adito nella citazione e, quindi, della sua nullità, venga iscritta a ruolo avanti a due giudici diversi, rispettivamente dall’attore e dal convenuto, la Cassazione13 ha stabilito, in assenza di altri criteri, che la litispendenza dev’essere individuata, per analogia iuris, dando rilievo al momento di efficacia dell’attività processuale successiva alla notificazione originaria, cioè alla costituzione in giudizio e, quindi, attribuendo la prevenzione a quella fra le due costituzioni che risulti avvenuta per prima.
Il ricorso all’analogia è stato escluso da Cass., S.U., 26.8.1997, n. 805114, in tema di previdenza notarile, riguardo al riscatto del periodo corrispondente alla durata del corso legale di laurea e del periodo di praticantato, non previsto dalla normativa. Come precisato dalla Corte, la analogia iuris può trovare applicazione quando non opera l’argomento a contrario (ubi lex voluit dixit, ubi tacuit noluit). Tale tipo di interpretazione esclusiva si ritiene giustificata quando l’enunciato procede per enumerazione che si ha ragione di ritenere tassativa, con la conseguenza che i casi non enumerati diventano la fattispecie complementare esclusiva. Nel caso di specie, avendo la normativa espressamente previsto in quali casi, ai fini del calcolo della pensione, si può tenere conto di elementi diversi dall’anzianità di servizio, la Corte ha escluso che si potessero considerare le ulteriori ipotesi dei periodi di studio e praticantato.
Il richiamo all’analogia iuris, ai sensi dell’art. 12, co. 2, delle preleggi, è utilizzato anche da Cass., 18.8.1994, n. 743715 per equiparare, con riguardo all’art. 179, lett. f), c.c. – ricorrendo identità di ratio – al prezzo, che è costituito da denaro, il denaro che, anziché ricavato dalla vendita di un bene donato o ereditato (art. 179, lett. b, c.c.) sia stato direttamente acquisito a titolo gratuito da uno dei coniugi e poi investito nell’acquisto dei beni.
Ricorre, inoltre, all’applicazione dell’analogia iuris in tema di separazione, Cass., 17.3.1994, n. 257416 per consentire al giudice, sulla base della disciplina all’epoca vigente, di attribuire la casa coniugale al coniuge non proprietario (in correlazione a quanto disposto dall’art. 11 l. 6.3.1987 n. 74 in tema di divorzio), nel caso in cui in essa continuino a convivere l’altro coniuge e i figli comuni, i quali, ancorché maggiorenni al momento dell’instaurazione del giudizio di separazione, vi abbiano vissuto anche quando erano minori e abbiano ancora un ragionevole bisogno di conservare l’habitat domestico.
Seguendo tale linea interpretativa in tema di analogia, la Corte di cassazione provvede a coniare una nuova categoria giuridica, derivata dall’atto lecito dannoso, quella dell’atto lecito dannoso “atipico”, grazie alla formula aperta contenuta nell’art. 1173 c.c. sulle obbligazioni che derivano «da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico».
La Cassazione conferma la decisione della Corte d’appello di Firenze, specificando che il riconoscimento di un obbligo indennitario, a carico del condominio, per il sacrificio imposto, nell’interesse della collettività condominiale, al diritto dominicale del comunista discende dal principio di giustizia distributiva.
In base a tale principio, l’onere necessario alla produzione di un’utilità collettiva nell’interesse di tutti i condomini deve essere proporzionalmente distribuito tra tutti i comunisti e non gravare esclusivamente sul singolo condomino, la cui proprietà esclusiva sia risultata menomata per effetto della realizzazione delle opere dirette a consolidare l’edificio condominiale pericolante. Facendo riecheggiare il principio della giustizia distributiva – già affermato ad esempio in tema di espropriazione – la Suprema Corte afferma che in questo modo l’ordinamento giuridico contempera e compone i due interessi in contrasto, nessuno dei quali appare interamente sacrificabile all’altro.
Al riferimento costituzionale della protezione della proprietà privata (art. 42 Cost.), la Corte affianca – nella corretta prospettiva dell’integrazione dell’ordinamento italiano con quello scaturente dal diritto convenzionale – l’art. 1 del protocollo addizionale alla CEDU, emendato dal protocollo n. 1117.
Accanto a tali indicazioni di sistema, la pronuncia richiama la clausola generale di cui all’art. 2041 c.c. sull’ingiustificato arricchimento, che costituisce una norma di chiusura, cui è possibile far ricorso in assenza di altra specifica azione, e che si oppone agli spostamenti patrimoniali non giustificati.
Fatta questa premessa d’ordine generale sul principio di giustizia distributiva, la Corte indica, quali esempi di condotte lecite che determinano uno squilibrio nei rapporti patrimoniali dei soggetti coinvolti e le cui previsioni di indennizzo intendono riequilibrare, le ipotesi dell’indennizzo di cui all’art. 843 c.c., nel caso di accesso al fondo, e all’art. 1127 c.c., nell’ipotesi di costruzione sopra l’ultimo piano dell’edificio.
A fronte di un atto senz’altro lecito ma certamente dannoso, in assenza di un’espressa previsione di legge, la Corte rinviene nell’applicazione in via analogica del principio di giustizia distributiva, così come desumibile dall’ordinamento nelle disposizioni richiamate, lo strumento per riconoscere l’obbligo di indennizzare il condomino danneggiato dall’esecuzione dell’opera compiuta nell’interesse comune.
La corte d’appello non è dunque incorsa in un’arbitraria dilatazione delle ipotesi di obbligazioni derivanti dalla legge.
Se in precedenza la fonte di obbligazione dell’atto lecito dannoso era stata rinvenuta in una disposizione di legge che riconosce l’indennizzabilità della pretesa (artt. 843, 924 e 925 c.c.; l. 24.3.2001, n. 89 in tema di equa riparazione), e finendo quindi per essere legata alla tipicità della fattispecie, con la pronuncia in esame si giunge, per il tramite della giustizia distributiva, all’enucleazione di un vero e proprio principio generale del diritto all’indennizzo in caso di lesione scaturente da un atto lecito, ogniqualvolta vi sia la coesistenza di due diritti, la necessità di tutelarli entrambi e l’esercizio di uno provochi la menomazione dell’altro. In tale evenienza, al soggetto danneggiato deve essere accordato un compenso equivalente al sacrificio sopportato, al fine di evitare che il peso del pregiudizio gravi interamente sulla sua sfera giuridica.
L’enucleazione dei confini dell’obbligazione scaturente da un atto lecito dannoso richiede senz’altro ulteriori approfondimenti.
La giurisprudenza ha infatti sin qui negato che un’attività lecita e legittima possa essere fonte di responsabilità al di fuori delle ipotesi tipizzate. Cass., 12.3.2012, n. 387618, ad esempio, in tema di risarcimento del danno e obbligo giuridico di impedire l’evento dannoso, ha cassato la sentenza di merito che aveva ritenuto il convenuto responsabile delle infiltrazioni di acqua piovana causate dalla rimozione di una tettoia di copertura, posta all’interno di un’area di sua proprietà esistente nello spazio fra i fabbricati abitativi delle due parti, escludendo che si potesse considerare in sé atto lesivo l’esecuzione di detta opera astrattamente legittima, né rimproverare il proprietario dell’area prima coperta, in assenza di eventuali specifici obblighi, per la mancata adeguata impermeabilizzazione del relativo pavimento.
L’atto lecito dannoso atipico, tuttavia, si pone nell’alveo dell’art. 1173 c.c., al di fuori dell’art. 2043 c.c.
Sul versante del quantum, inoltre, potrebbe aprirsi la questione della misura del ristoro, potendo contribuire l’affermazione del principio a incrinare ulteriormente la dicotomia risarcimento/indennizzo, i cui steccati si sono progressivamente ridotti, non rispondendo più il risarcimento alla necessaria integralità del ristoro della lesione e potendo l’indennizzo tendere al valore effettivo del bene leso.
Note
1 Cass., 16.12.2015, n. 25292, in Foro it., 2016, I, 1315.
2 Art. 46 l. 25.6.1865, n. 2359, ora art. 44 d.P.R. 8.6.2001, n. 327.
3 Cass., 25.11.2015, n. 24042; Cass., 23.11.2015, n. 23865; Cass., 11.6.2003, n. 9341, in Foro it. Rep., 2003, voce Espropriazione per p.i., n. 173.
4 Rubino, D., La fattispecie e gli effetti giuridici preliminari, Milano, 1939, 205 ss.; Tucci, G., La risarcibilità del danno da atto lecito nel diritto civile, in Riv. dir. civ., 1967, I, 229 ss.; Di Majo, A., Obbligazione: I) Teoria generale, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1990, 17; Giacobbe, G., Gli atti leciti dannosi nella teoria della responsabilità civile, in Scognamiglio, C.Figone, A.Cossu, C.Giacobbe, G.Monateri, P.G., Illecito e responsabilità civile, Torino, 2005, 100 ss.
5 Torregrossa, G., Il problema della responsabilità da atto illecito, Milano, 1964, 200 ss.; Astone, A., L’autonoma rilevanza dell’atto illecito. Specificità dei rimedi, Milano, 2012, 71 ss., evidenzia che l’atto lecito dannoso ripropone lo schema dell’illecito nella sua interezza: comportamento, danno e nesso causale. Il quid novi è la presunzione legale dell’ingiustizia del danno.
6 Cass., 27.1.2009, n. 1908, in Foro it. Rep., 2009, voce Proprietà, n. 17.
7 Cass., 18.11.2011, n. 24327, in Foro it. Rep., 2012, voce Comunione e condominio, n. 205; Cass., 30.7.2007, n. 16794, ivi, 2007, voce cit., n. 187.
8 Cass., 5.9.2011, n. 18150, in Foro it. Rep., 2009, voce Diritti politici e civili, n. 252.
9 Cass., 11.7.2012, n. 11642, in Foro it. Rep., 2009, voce Responsabilità civile, n. 236.
10 Cass., 20.4.2007, n. 9486, in Foro it. Rep., 2009, voce Locazione, n. 246.
11 Sul tema dell’analogia, quale argomento interpretativo per colmare le lacune dell’ordinamento, Tarello, G., L’interpretazione della legge, Milano, 1980, 350 ss. e Bobbio, N., L’analogia nella logica del diritto, Milano, 2007.
12 In Foro it., 2014, I, 1868.
13 Cass., ord. 11.5.2006, n. 10943, in Foro it. Rep., 2006, voce Competenza civile, n. 95. Nel caso di specie non si poteva determinare la prevenzione ex art. 39, co. 1, c.p.c. sulla base dell’anteriorità della notifica della citazione, atteso che vi era stata una sola notificazione, e del pari si escludeva – in base all’art. 164, co. 2, c.p.c. nel testo vigente ex l. n. 353 del 1990 – che, in caso di ordine di rinnovo della citazione all’attore, la notificazione da assumersi agli effetti della litispendenza fosse quella eseguita in esecuzione di quell’ordine e non l’originaria notifica della citazione nulla.
14 In Foro it. Rep., 1998, voce Notaio, n. 124.
15 In Foro it. Rep., 1994, voce Famiglia (regime patrimoniale), n. 35.
16 In Foro it. Rep., 1994, voce Separazione di coniugi, n. 58.
17 Sul rilievo esponenziale dei profili legati al diritto convenzionale, Protocollo d’intesa tra Corte di cassazione e Corte europea dei diritti dell’uomo, in Foro it., 2016, V, 49.
18 In Foro it. Rep., 2012, voce Responsabilità civile, n. 238.