ATTONE di Vercelli
Di famiglia longobarda (dichiara egli stesso: "professus sum ex natione mea lege vivere Langobardorum"); che fosse figlio di un signore Aldigerio e discendente dal re Desiderio è notizia inaccettabile, perché data da un documento falso qual è il suo testamento del 945. Il Pasteris pensa che si recasse "fuori d'Italia a farvi studi di esegesi biblica e probabilmente in Francia, dove fioriva il famoso esegeta Remigio di Auxerre" (p. 34); ma la frase di A., su cui tale affermazione è basata, potrebbe riferirsi soltanto alla vocazione religiosa, che fece lasciare ad A., "propter gustuin huius vitae sanctae Scripturae gentem patriamque", il mondo cioè, per farsi ecclesiastico. Divenuto vescovo di Vercelli nel 924, ebbe relazioni con Berengario II, con Ugo e Lotario II, dai quali ottenne privilegi e donazioni per la sua diocesi: che fosse insignito della carica di arcicancelliere del Regno, come per lo più si dice, non si conosce da alcuna fonte certa.
Ad istanza di A., re Lotario donava il 14 giugno 948, alla Chiesa ed ai canonici di Parma, le corti Nirone, Vilzacara e Roncaria; l'8 agosto dello stesso anno, sempre per interessamento di A., concedeva alla Chiesa di Trieste il "districtus", nonché il diritto di placitare entro la città e per un raggio di tre miglia. A. e Manasse arcivescovo di Milano inducevano ancora Lotario, il 31 maggio 950, a Pavia, a donare alla Chiesa di Como le chiuse ed il ponte di Chiavenna con i diritti fiscali.
Dal testamento del 948, se autentico, risulta che ebbe sostanze nelle valli Bellenica e Levantina, e strette relazioni col clero milanese, cui donava quelle sostanze.
Morì certo prima del 964, quando è documentato il suo successore Ingone; che morisse invece il 31 dic. 961 è affermato dallo Schultz, ma su basi incertissime.
Addottrinato nelle scienze canoniche e scritturali, conoscitore anche del greco, A. è scrittore efficace ed elegante, che sa adoperare il ritmo prosaico; a lui si deve forse il rifiorire, a Vercelli, di un centro scrittorio, cui poterono appartenere i due chierici Vercellinus e Tetebertus, che ci hanno conservato le sue opere. A. compose una Expositio in epistulas Pauli. Ci sono pervenuti altresì diciotto sermoni e undici lettere. Un trattato sul sacerdozio è il suo Capitulare, che raccoglie le antiche disposizioni conciliari contro il nicolaismo e la simonia: per combattere il concubinato dei sacerdoti, diffuso nella sua diocesi (cfr. anche la lett. 9), egli vuole imporre loro il giuramento di castità e insieme una disciplina inteflettuale, consapevole del legame tra la rozza depravazione dei costumi e l'ignoranza della scienza della fede. Nel De pressuris ecclesiasticis libellus, composto intorno al 940 e certo prima del 943, egli tratta della simonia, adoperando per primo, per chi vende e per chi compra la dignità episcopale, il termine "haeresis"; sottolinea come l'intervento del potere laico nell'elezione, non mantenendosi nel limite del "consensus" nei confronti dell'eletto, sia causa spesso di scelte indegne. Per questa polemica A. occupa un posto di primo piano, nel movimento di "riforma episcopale" che avrebbe, secondo il Fliche, preparato la riforma gregoriana. Ma certo A., pur essendosi reso conto della gravità del problema della mondanizzazione della gerarchia ecclesiastica, che sa rappresentare, nei suoi vizi, con una pungente realistica evidenza, non propone misure nuove per rompere l'abbraccio temporale. A Valdone, vescovo di Como, insorto contro la prepotenza del suo signore, ricorda in una lettera, che ripete la linea della letteratura carolingia e le posizioni di un Giona di Orléans e di un Incinaro di Reims, l'impegno di obbedienza al re il cui potere viene da Dio; e perciò, mentre vuole riformati i costumi degli ecclesiastici, secondo la disciplina del loro ufficio e del loro stato, pur rendendosi conto nettamente delle cause della corruzione, di fronte agli abusi del potere temporale non sa consigliare che rassegnazione e preghiera.
Tra le opere di A. fu inserito, fin dal secolo X, il Polipticum quod appellatur Perpendiculum (come il "perpendiculum" serve a far esatti i muri, così questa satira vuole regolare i costumi): ma questo scritto (interessante perché, tra l'altro, vi si condannano coloro che sono disposti ad allearsi con lo straniero a danno dei loro concittadini, per ambizione, con spunti polemici contro Tedeschi e Borgognoni in Italia), secondo il suo più moderno editore G. Goetz, contro l'opinione dello Schultz e del Pasteris, per persuasive considerazioni, non pare che possa essere ritenuto attoniano.
Fonti e Bibl.: Dopo le edizioni di Dom D'Achéry (1723), del Mansi (1761), di C. L. Buronzo del Signore (1768) e del Mai (1832), la edizione del Migne, Patr. Lat., CXXXIV, costituisce una raccolta completa delle opere pervenuteci di Attone. Sulla sua vita e i suoi scritti si vedano: I. Schultz, Atto von Vercelli, Göttingen 1885; G. Goetz, Attonis qui fertur Polipticum auod appellatur Perpendiculum, in Abhandlungen der philologisch-historischen Klasse der Sachsischen Akademie der Wissenschaften, XXXVII, 2 (1922); A. Fliche, La Réforme grégorienne, I: La formation des idées grégoriennes, Louvain-Paris 1924, pp. 60-74; E. Pasteris, Attone di Vercelli ossia il più grande vescovo e scrittore italiano del sec. X. Vita, opere, prose ritmiche, Milano 1925; Id., Attone il Grande, in Medioevo Vercellese, Vercelli 1926, pp. 41-69; P. Pirri, Attone di Vercelli, in La Civiltà cattolica, LXXVIII, vol. I (1927), pp. 27-42; Encicl. Cattolica, II, coll. 361-362.
Per i diplomi di Lotario, in cui A. compare, cfr. I diplomi di Ugo e di Lotario, di Berengario II e di Adalberto, a cura di L. Schiaparelli, in Fonti per la Storia d'Italia, XXXVIII, Roma 1924, cfr. Indice dei nomi.