attributo
Nella grammatica tradizionale il termine attributo indica un aggettivo che serve a determinare o caratterizzare un nome da cui dipende (Dardano & Trifone 1997: 127-129). In un’accezione più ampia (che è quella cui si fa qui riferimento) l’attributo è piuttosto una funzione che una varietà di elementi possono svolgere nella frase: è la funzione svolta da qualsiasi elemento che, dipendendo da una testa nominale, ne costituisca un’espansione (Marotta 1994b: 104), offra cioè informazioni supplementari al suo proposito.
Gli attributi possono dunque essere rappresentati da aggettivi (una ragazza bionda), genitivi attributivi (ingl. Mary’s mother, lat. Romanorum exercitus), complementi preposizionali (la ragazza con le trecce), nomi (una voce amica), frasi relative (il libro che ho comprato), participi (i libri consultati), apposizioni (il libro, un romanzo storico). In alcune lingue la funzione di attributo può essere assunta anche dall’avverbio (vedi il gr. ē ánō pólis, lett. «la città su», cioè «la città alta»; ói tóte ánthrōpoi «gli uomini di allora»). L’uso attributivo dell’avverbio si riscontra più raramente anche in inglese (the now generation «la generazione attuale») e nell’italiano colloquiale (i sedili davanti «i sedili anteriori»; i giorni no).
È possibile dunque distinguere tra attributi del soggetto,
(1) l’uomo probo è sempre sereno
dell’oggetto diretto,
(2) preferisco il vino bianco
e così via per gli altri ➔ complementi. L’attributo può anche riferirsi alla parte nominale di un predicato:
(3) il chianti è un vino rosso
Gli elementi attributivi possono avere funzione descrittiva o funzione restrittiva. Nel primo caso l’attributo specifica il referente indicato dal nome, aggiungendo un’informazione accessoria; gli attributi con funzione restrittiva invece determinano il nome, modificandone la referenza (Andorno 1999: 32-33; ➔ aggettivi):
(4) ho conosciuto le giovani sorelle di Giovanni
(5) ho conosciuto le sorelle giovani di Giovanni
In (4) l’attributo giovani apporta una qualifica al nome testa; in (5) invece concorre all’individuazione del referente, indicando che nella classe rappresentata dalle sorelle di Giovanni si è fatta conoscenza di quelle giovani (ma non di quelle di età più avanzata).
In quanto retti da un nome, gli elementi in funzione attributiva si contrappongono a quelli in funzione predicativa, i quali dipendono da un sintagma verbale (i fiori bianchi mi piacciono molto ~ i fiori sono bianchi).
Quella di attributo è una nozione piuttosto controversa (Lepschy & Lepschy 1999: 94). Nell’accezione grammaticale il termine compare nei trattati medievali, come la Dialectica Monacensis (XII secolo), dove è definito praedicatum appellationis. Come equivalente di predicato, si afferma a pieno titolo nella Grammaire (1660) e nella Logique di Port-Royal (1666; Goes 2001). Con tale valore il termine attributo è impiegato ancor oggi nella linguistica francese: per designare gli elementi dipendenti da un nome si ricorre invece al termine epithète (➔ epiteto).
Un’importante tappa nella distinzione tra attributo e predicato è rappresentata, nell’Ottocento, dalla riflessione del tedesco Karl F. Becker intorno ai «membri frasali». Secondo Becker mediante il predicato si esprime un giudizio, mentre l’attributo esprime un concetto (Graffi 1991: 164). Al tempo stesso Becker ipotizzava che la funzione attributiva, tipica degli aggettivi, sia realizzata anche da altri elementi, come il genitivo attributivo. Sebbene non sia sempre chiaramente definibile, specialmente a livello teorico (Marotta 1994a), il concetto di attributo trova molte applicazioni a livello empirico, soprattutto nella didattica (➔ analisi grammaticale; ➔ analisi logica).
In italiano gli aggettivi possono ricorrere in funzione attributiva (e dunque precedere o seguire un nome o un pronome) o in funzione predicativa (in questo caso l’aggettivo si colloca, in contesti non marcati, dopo il verbo).
La maggior parte degli aggettivi italiani possono ricorrere in entrambe le funzioni; alcuni però hanno solo quella attributiva. Sono aggettivi solo attributivi gli aggettivi di relazione (➔ relazione, aggettivi di), cioè i denominali del tipo presidenziale «relativo al presidente» o paterno «relativo al padre», i quali compaiono, con tale significato, soltanto in dipendenza da un nome:
(6) la decisione presidenziale si è fatta attendere
(7) * la decisione è presidenziale
Gli aggettivi attributivi si accordano, in genere e in numero, al nome cui si riferiscono. Un’oscillazione nelle regole di accordo sussiste in presenza di aggettivi attributivi che si riferiscono a due o più nomi coordinati. Se i due nomi sono entrambi maschili o entrambi femminili, l’aggettivo assume la forma plurale e il genere dei nomi cui è riferito. Se i due nomi hanno generi diversi, l’accordo è solitamente al maschile, ma sono possibili alcune eccezioni (➔ accordo).
Mentre in altre lingue l’aggettivo attributivo appare in una posizione fissa (di solito prima del nome in inglese: a beautiful girl), la situazione dell’italiano è più articolata.
In molti casi la posizione rispetto al nome dipende dalla funzione, descrittiva o restrittiva, che l’attributo svolge. La posizione postnominale, a differenza di quella prenominale, attiva una lettura restrittiva dell’aggettivo:
(8) la ragazza bionda uscì dalla sala
(9) la bionda ragazza uscì dalla sala
In (8) l’aggettivo restrittivo consente di individuare la ragazza di cui si sta parlando; in (9), invece, l’aggettivo non esprime una proprietà ritenuta distintiva, bensì descrive, connotandolo mediante l’aggiunta di una qualità, un referente già identificato.
Gli aggettivi che denotano una qualità costitutiva o definitoria del nome cui si riferiscono sono anteposti e hanno perlopiù un valore esornativo:
(10) a. la bianca neve
b. i rossi papaveri
c. il dolce miele
Alcuni aggettivi hanno significato diverso a seconda della posizione in cui occorrono:
(11) a. un vecchio amico ~ un amico vecchio
b. un povero malato ~ un malato povero
Gli aggettivi posposti selezionano un significato concreto e letterale; quelli anteposti sono impiegati invece in senso traslato.
Oltre che da questioni semantiche, la posizione dell’aggettivo dipende anche da fattori sintattici. Gli aggettivi che reggono altri complementi sono sempre posposti (➔ reggenza):
(12) è una ragazza ricca di doti ~ * è una ricca di doti ragazza
Nella lingua poetica, soprattutto tra Sette e Ottocento, vari fenomeni di “tmesi”, possono però determinare l’anteposizione dell’aggettivo e dei suoi complementi («le gravi per molto adipe dame»: Giuseppe Parini, “La notte”, in Il giorno, 268).
Occupano una posizione pressoché fissa rispetto al nome gli aggettivi denominali di relazione:
(13) a. il latte materno ~ * il materno latte
b. il mercato italiano ~ * l’italiano mercato
Sono tuttavia possibili varie eccezioni. Alcuni aggettivi di relazione possono infatti estendere il significato e essere usati per designare particolari qualità o atteggiamenti, tanto da poter essere persino graduati (es. 15):
(14) la materna governante accudiva i bambini con tenerezza
(15) Natale per tutti, e per tutti i gusti. Partendo da un coltello da dolce per l’italianissimo rito del taglio del panettone («Corriere della sera» 28 novembre 2009)
Inoltre, nella lingua poetica, l’anteposizione dell’aggettivo di relazione è documentata ancora nel Novecento:
(16) Altre vi sono cose ch’erano già nella materna casa (Umberto Saba, “La vetrina”, vv. 7-8)
Sono normalmente preposti gli aggettivi numerali cardinali (due litri, ma euro mille nell’uso commerciale e burocratico), i numerali ordinali (il primo palazzo, ma opera prima), i possessivi (il mio cappello ma, nel centro-sud, il cappello mio) e gli indefiniti (mangio un’altra fetta di torta, ma un paese altro).
Risultato di fenomeni di ➔ conversione (o transcategorizzazione), i nomi attributo non hanno funzione referenziale (non indicano cioè un oggetto della realtà extralinguistica), ma assegnano una particolare caratteristica a un altro elemento nominale:
(17) una voce bambina
(18) una donna femmina
Il significato dei nomi in funzione attributiva non corrisponde pienamente a quello dello stesso nome usato in maniera referenziale, ma deriva dalla scelta di un tratto ritenuto particolarmente rappresentativo di quella data entità (una voce bambina indica dunque «una voce giovane»). A seconda del contesto il nome attributo può inoltre assumere varie connotazioni: una donna femmina può indicare una donna particolarmente sensuale o dalla femminilità esagerata.
Alcuni riconoscono un valore attributivo anche ai nomi propri che accompagnano un altro nome (la famiglia Rossi); in passato questi nomi potevano essere accordati al nome testa (la famiglia Arcimbolda, dal cognome Arcimboldi; Serianni 19912: 206).
Funzione attributiva è svolta anche dalle apposizioni (➔ apposizione). Si tratta infatti di unità sintattiche, composte da nomi e altri elementi, che si riferiscono a un sintagma nominale cui assegnano una determinata qualità o proprietà. La grammatica tradizionale colloca tra le apposizioni:
(a) i nomi indicanti un titolo professionale, una carica, un’onorificenza, forme appellative di cortesia, nomi che precedono un nome geografico (l’avvocato Agnelli, il fiume Po);
(b) costrutti formati dall’aggettivo dimostrativo quello + preposizione di + N: quel bel tipo di Luca;
(c) nomi e aggettivi, eventualmente accompagnati da altri complementi, che non ricorrono nello stesso sintagma del nome cui si riferiscono, ma che compaiono in un’unità sintattica (e intonativa) autonoma, isolata nello scritto mediante virgole o altri segni interpuntivi:
(19) La nonna non drammatizzava nemmeno certe piccole débauches a cui ogni tanto lui – il disappetente – si abbandonava, certo più che altro per spirito di avventura (Lalla Romano, Le parole tra noi leggere, p. 80).
Una relazione attributiva può anche istituirsi tra i due membri di un composto (➔ composizione): infatti nei cosiddetti composti attributivi, caratterizzati dalla struttura A(ggettivo) + N(ome) o N + A, A funziona come attributo di N (Scalise & Bisetto 2008: 131-133):
(20) A + N: altopiano, bassorilievo, gentiluomo, gentildonna, libero arbitrio, terzordine;
N + A: camposanto, cassaforte, girotondo, pellerossa
Come risulta dagli esempi, i composti attributivi – al pari di quelli coordinativi (cassapanca, attore-regista, ragazza-madre) e subordinativi (capostazione, portalettere) – possono essere sia endocentrici (21) sia esocentrici (22):
(21) cassaforte = «cassa che è forte» (cassa cui si attribuisce la qualifica di forte)
(22) pellerossa = «X che ha la pelle rossa» e non «pelle che è rossa»
Nei composti endocentrici il nome rappresenta la testa del composto; nei composti attributivi esocentrici invece la testa non è individuata da nessuno dei due membri del composto.
Sono attributivi anche alcuni composti N + N in cui uno dei due nomi – generalmente il secondo in linea con la tendenza dell’italiano a far seguire il determinato dal determinante – agisce da modificatore:
(23) N + N: auto civetta, pescepalla, scolaro modello, uccello mosca, famiglia tipo, presidente fantoccio, caso limite, parola fantasma, guerra lampo, giallo limone
I composti attributivi N + N (chiamati anche composti appositivi: Scalise & Bisetto 2008: 131) sono costituiti da un nome con funzione referenziale e da un altro nome che si comporta come attributo. Ad es., un pescepalla è un pesce e non una palla: il nome attributo del composto trasferisce sul determinato la qualità «rotondo, sferico».
In altri casi l’interpretazione del composto deriva dalla selezione di un significato figurato del nome attributo. Il composto candidato civetta, ad es., non indica un candidato che somiglia fisicamente a una civetta, ma rimanda alla pratica di presentare un candidato fittizio alle elezioni, in modo tale da scoprire il gioco dei partiti avversari e poter poi far eleggere il vero candidato. Il nome civetta è impiegato in questo caso in senso figurato per indicare qualcosa che funge da esca.
L’alta produttività dei composti N + N, in parte dovuta all’influsso dell’inglese, dipende anche dalla loro capacità di fornire etichette per designare fenomeni complessi. In composti particolarmente frequenti nella stampa come effetto serra, sistema Paese, emergenza immigrati, rischio cambio, il nome attributo istituisce con il determinato un rapporto di ‘intitolazione asindetica’: ad es. effetto serra può essere parafrasato come «effetto simile a quello prodotto da una serra e quindi denominabile ‘serra’» (Lombardi Vallauri 2008).
Svolgono funzione attributiva anche i complementi preposizionali retti da un nome:
(24) il padre di Mario è architetto
(25) la ragazza con le trecce uscì dalla sala
(26) i fiori nell’aiuola non possono essere colti
Le relative (➔ relative, frasi) che dipendono da un sintagma nominale (antecedente) svolgono nella frase un ruolo simile a quello degli aggettivi.
Le relative possono avere sia una funzione restrittiva sia una funzione descrittiva (o appositiva):
(27) gli studenti della quinta che non hanno la sufficienza saranno bocciati
(28) gli studenti della quinta, che non hanno la sufficienza, saranno bocciati
Nella frase in (27) la relativa individua nell’ambito della classe degli studenti proprio quelli che non hanno la sufficienza. La relativa di (28) invece aggiunge un’informazione a proposito di un antecedente che è già determinato (e che corrisponde a tutti gli studenti della quinta).
Si tratta di elementi funzionalmente affini alle frasi relative (➔ participio), tanto da esserne considerati il corrispettivo implicito (Cinque 20012: 513-514):
(29) bisogna affrontare la questione riguardante i finanziamenti [= «che riguarda i finanziamenti»]
(30) gli oggetti trovati incustoditi [= «che sono stati trovati incustoditi»] saranno ispezionati dal personale.
Molti participi presenti sono ormai confluiti nella categoria degli aggettivi (ridente, ardente, abbondante), tuttavia in funzione attributiva possono mantenere l’originario valore verbale (è quanto avviene in 29, dove il participio presente regge l’argomento i finanziamenti). Tale uso è piuttosto frequente nell’italiano burocratico (le persone aventi diritto). Se coniugati al passato possono avere funzione attributiva i participi passivi (come quello già visto in 30) e i participi dei verbi intransitivi inaccusativi (con l’ausiliare essere):
(31) i concorrenti arrivati in ritardo non sono stati ammessi alla gara
Non possono invece comparire in funzione attributiva i participi passati:
(a) dei verbi copulativi essere e sembrare (* gli studenti stati/sembrati indisciplinati, ma coloro risultati vincitori);
(b) dei verbi riflessivi che nella forma attiva intransitiva selezionano avere (* gli unici telefonatisi di recente siamo noi);
(c) dei verbi riflessivi che presentano un oggetto espresso (* le signore compratesi la pelliccia sono loro).
I participi passati attributivi possono svolgere soltanto funzione restrittiva. Infatti, nelle frasi in cui la lettura restrittiva non è ammessa:
(32) i miei oggetti, trovati incustoditi, sono stati ispezionati dal personale
il participio sembra comportarsi come un avverbiale (= «poiché erano incustoditi»), tanto da poter essere estratto dal sintagma nominale e collocato all’inizio di frase (trovati incustoditi, i miei oggetti sono stati ispezionati dal personale).
In italiano antico le sequenze N + A in funzione attributiva si caratterizzano per una maggiore libertà nella posizione degli aggettivi (Alisova 1967; Ambrosini 1978).
Ben documentata è l’anteposizione degli aggettivi di relazione:
(33) Ben provide Natura al nostro stato, / quando dell’Alpi schermo / pose fra noi et la tedesca rabbia (Francesco Petrarca, Rerum vulgarium fragmenta CXXVIII, 33-35, p. 175)
In questo esempio l’aggettivo prenominale attua una funzione restrittiva, identificando il nome che precede.
Il ricorso ad aggettivi di relazione anteposti al nome raggiunge la massima frequenza in presenza di parole dotte e ➔ cultismi, il che farebbe supporre che il fenomeno sia dovuto all’influsso dei modelli latini. Occorre inoltre tener conto del fattore ritmico: l’anteposizione dell’aggettivo realizza infatti un ritmo discendente.
Nelle sequenze di due o più attributi coordinati un modulo piuttosto frequente consiste nel collocare il nome tra i due aggettivi:
(34) Gravi cose e noiose sono i movimenti varii della fortuna (Boccaccio, Dec. II, 3)
Specialmente nella lirica duecentesca, si osserva l’ampio ricorso a complementi preposizionali, che ricalcano genitivi di qualità del latino:
(35) Poi che di doglia cor [cuore dolente] conven ch’ i’ porti / e senta di piacere ardente foco (Guido Cavalcanti, Rime XI, 1-2, p. 504)
(36) cotanto d’umiltà donna [donna umile] mi pare (Cavalcanti, Rime IV, 7, p. 495)
Il settore dei composti attributivi non è molto sviluppato in italiano antico: si registrano composti attributivi A + N (malavoglia, mezzogiorno, vanagloria). Nelle opere di ➔ Dante tali forme sono usate spesso come nomi propri (Malacoda, Barbariccia, Falsembiante). Nei trattati scientifici in volgare espressioni composte da un nome e da un aggettivo, come febbre cerebrale, dolore renale, mostrano una certa solidarietà sintagmatica, tanto da poter essere considerate parole polirematiche (➔ polirematiche, parole). Più rari sono i composti attributivi N + N (strada maestra).
Da segnalare infine il più ampio ricorso al participio presente con valore attributivo:
(37) Anche fu omo moito scarzo e retenente dello tesauro della Chiesia (Anonimo romano, Cronica VII, 3, p. 28)
(38) sì che pervenne allo spirito dello imperatore dormente (Anonimo romano, Cronica XVIII, 59, p. 176).
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