ATTRITO (fr. frottemmt; sp. attrición; ted. Reibung; ingl. friction)
S'indicano in meccanica col nome di attriti le forze che si esercitano tra due corpi, o due parti di un corpo che scorrono o rotolano una sull'altra. Tali forze sono sempre dirette in senso tale da opporsi al movimento e costituiscono perciò delle resistenze passive in quanto che effettuano sempre un lavoro negativo (poiché la forza ha direzione opposta allo spostamento), cioè consumano energia meccanica. Tale energia meccanica si trasforma in calore ed ha per effetto un riscaldamento delle parti che scorrono tra di loro. Le leggi dell'attrito sono differenti nei corpi solidi e nei fluidi.
Attrito nei corpi solidi. - Si abbiano due corpi solidi A e B (fig.1), i quali si appoggino uno sopra l'altro in uno o più punti e si muovano uno rispetto all'altro. Per fissare le idee supporremo che il corpo A sia fermo e che B si muova rispetto ad esso. Il corpo B potrà rotolare oppure strisciare su A. Nel primo caso il punto o i punti di contatto di B con A hanno velocità nulla; nel secondo invece essi hanno una velocità diversa da zero. Se per es. si pensa ad una ruota che gira lungo una strada, il punto in cui la ruota tocca la strada ha in ogni istante velocità nulla (rotolamento). Se però ad un certo momento si frena fortemente la ruota in modo da impedirle completamente di girare, il punto di contatto della ruota con la strada prende una velocità eguale a quella del centro della ruota e si ha lo strisciamento.
Corrispondentemente alle due possibilità dello strisciamento e del rotolamento, l'attrito si distingue in attrito radente e attrito volvente.
Consideriamo per semplicità un corpo C che si appoggia ad un piano (fig. 2): se indichiamo con F la risultante delle forze applicate al corpo, possiamo decomporre F in una componente Fn normale al piano, la quale tende a spingere il corpo contro il piano e che chiameremo perciò pressione di appoggio, e in una componente Fp parallela al piano, la quale tende invece a far strisciare il corpo lungo il piano. L'attrito radente ha l'effetto di opporsi a un tale strisciamento ed esso può rappresentarsi con una forza R (reazione di attrito) applicata ai punti di contatto del corpo col piano. Tale forza ha orientazione opposta a quella in cui striscia il corpo e la sua grandezza è, in prima approssimazione, proporzionale alla pressione d'appoggio Fn; il coefficiente di proporzionalità f, che prende il nome di coefficiente d'attrito radente, dipende dalla natura delle due superficie in contatto, ed è invece indipendente dal modo in cui il corpo si appoggia sul piano, risultando lo stesso sia se il corpo ha uno o più punti a contatto col piano, sia se l'appoggio avviene sopra un'intera porzione della superficie del corpo. Si può dunque scrivere:
Secondo che la componente Fp della forza F che tende a far strisciare il corpo è maggiore o minore della reazione d'attrito R, si avrà oppure no lo strisciamento. La condizione perché si abbia strisciamento può dunque scriversi:
Se con ϑ s'indica l'angolo della risultante F con la normale al piano d'appoggio si ha:
e quindi alla (2) si può dare la forma:
Si chiama angolo d'attrito un angolo ϑ0 (compreso tra 0 e 90°) la cui tangente è eguale al coefficiente d'attrito. Si ha cioè:
Per mezzo di tale angolo, alla (3) si può dare la forma semplicissima
Troviamo cioè: la condizione perché un corpo appoggiato a un piano strisci lungo esso è che la risultante F delle forze applicate al corpo abbia sulla normale al piano un'inclinazione maggiore dell'angolo d'attrito.
Si vede immediatamente di qui che l'angolo d'attrito rappresenta anche la massima inclinazione che si può dare ad un piano inclinato perché un corpo pesante appoggiato su di esso non scivoli.
È bene osservare che la legge (1) dell'attrito non è una legge molto precisa: si trova infatti che il coefficiente d'attrito f non ha sempre esattamente lo stesso valore; ed anzi dipende in modo essenziale da circostanze difficilmente definibili, come p. es. lo stato di levigatezza delle superficie in contatto. In particolare la reazione d'attrito che si esercita al momento in cui incomincia lo scorrimento delle due superficie (attrito al distacco) è sempre alquanto maggiore della resistenza che ha luogo mentre le due superficie scorrono l'una sull'altra.
L'attrito volvente, il quale si oppone al rotolamento dei corpi l'uno sull'altro, obbedisce a leggi che sono simili a quelle dell'attrito radente.
Riferiamoci per semplicità al caso di un cilindro che rotoli sopra un piano (fig. 3). Sia O la traccia dell'asse del cilindro e A la traccia della generatrice di contatto tra il cilindro e il piano. Indichiamo ancora con Fn la pressione di appoggio del cilindro sul piano. Si trova che l'attrito volvente si può rappresentare come una coppia di momento M che tende ad opporsi al rotolamento del corpo. Il momento M risulta approssimativamente proporzionale alla pressione d'appoggio Fa, per modo che si può scrivere:
dove il coefficiente k che dipende soltanto dalla natura delle due superficie in contatto, prende il nome di coefficiente di attrito volvente.
Se quindi al cilindro è applicata una coppia motrice di momento M, questa potrà produrre il rotolamento soltanto se sia:
Se p. es. le forze applicate al cilindro possono ridursi all'unica risultante F applicata al punto O dell'asse, e se Fp è la componente di F parallela al piano, il suo momento rispetto al punto A è Fp r (r essendo il raggio del cilindro), e quindi la condizione perché avvenQa il rotolamento si scrive:
Attrito nei fluidi o viscosità. - Consideriamo un fluido in movimento e supponiamo dapprima che la velocità di tutte le sue particelle sia parallela ad una direzione x e che tutte le particelle di uno strato z = z0 (fig. 4) abbiano la stessa velocità, per modo che la velocità ven [qa ad essere una funzione
della sola z. Se consideriamo le due zone I e II del liquido sottostante e soprastame al piano z = z0, queste due zone scorrono una sull'altra. L'effetto di questo scorrimento nei fluidi reali è di produrre nello strato z = z0 una tensione tangenziale che tende ad opporsi allo scorrimento. Così se p. es. la velocità degli strati fluidi va crescendo con la quota, la porzione I del fluido sarà sollecitata dalla tensione tangenziale a seguire la II nel suo moto più rapido; mentre la porzione II verrà invece trattenuta. La tensione tangenziale di attrito τ, che prende anche il nome di attrito interno, risulta proporzionale a dv/dz; per modo che si ha:
η è un coeffiiciente caratteristico del fluido che prende il nome di coefficiente d'attrito interno o di viscosità.
Naturalmente più il fluido è scorrevole e più η risulta piccolo.
Nel caso che il moto del fluido sia un moto qualsiasi, si trova che l'effetto della viscosità può rappresentarsi come una forza agente sopra tutti gli elementi di volume dτ del fluido; le componenti di questa forza risultano:
La misura del coefficiente di viscosità dei liquidi può farsi misurando la portata di un sottile condotto capillare a sezione circolare. Si trova infatti che se si indica con Q il volume del liquido che traversa il capillare in un secondo, con P e p (P> p) le pressioni del fluido alle due estremità del capillare, con l ed r la lunghezza e il raggio del capillare, si ha:
Misurando direttamente r, l, P − p, Q, si deduce da questa formula il coefficiente di viscosità.
La misura del coefficiente di viscosità dei gas ha particolare importanza perché permette di dedurre il valore del cammino libero medio delle molecole e porta quindi ad una determinazione delle grandezze molecolari. Nei gas si trova precisamente:
dove λ è il cammino libero medio, ρ la densità del gas e u la velocità media d'agitazione termica delle molecole.