Auditorium
Dove il progetto dello spazio sposa l'arte del suono
Le architetture per la musica di Renzo Piano
di Fulvio Irace
21 aprile
Si inaugura a Roma, con un concerto dell'orchestra e del coro di Santa Cecilia diretti dal maestro Myung-Whun Chung, alla presenza del presidente Ciampi, il Parco della Musica. Il complesso, progettato dall'architetto Renzo Piano e i cui lavori sono iniziati nel 1995, comprende tre sale - la più grande sarà ultimata in dicembre -, un anfiteatro all'aperto, un museo archeologico e una biblioteca multimediale. Roma non aveva più un suo auditorium dal 1937, quando venne demolito l'Augusteo per mettere allo scoperto i resti del Mausoleo di Augusto.
Musica e spazio architettonico
Il 2002 è stato un anno importante di progetti e di realizzazioni per Renzo Piano, ma soprattutto felice per il suo paese, che si è arricchito di due notevoli lavori, le architetture per la musica di Parma e di Roma. Per l'Italia non si è trattato solo del doveroso risarcimento verso un talento impegnato all'estero in prestigiose commesse come il museo Paul Klee a Berna o il grattacielo per il New York Times a New York, ma di un prezioso arricchimento del patrimonio costruito e della dotazione di infrastrutture significative nell'attuale società della cultura diffusa.
D'altra parte per Piano la cittadella della musica a Roma e l'auditorium Niccolò Paganini a Parma hanno costituito l'occasione per un cimento con il paesaggio storico delle città italiane e una conferma della sua peculiare sensibilità per il tema dello spazio consacrato alla musica che tanta parte ha assunto ormai nel complesso della sua opera. Nonostante il noto disdegno di Piano per ogni forma di specializzazione che non preveda l'anticonformismo creativo di una feconda trasgressione, non v'è dubbio che pochi altri architetti hanno avuto modo nel corso di tutto il 20° secolo di misurarsi con tanta sistematica frequenza sul tema dell'architettura musicale: l'IRCAM (Institut de Recherche et Coordination Acoustique/Musique) a Parigi, l'auditorium del Lingotto a Torino, quelli del Credito Industriale Sardo a Cagliari e della Banca Popolare a Lodi, il Centro Culturale Jean-Marie Tjibaou a Nouméa in Nuova Caledonia, il Teatro in Potsdamer Platz a Berlino, l'auditorium Paganini a Parma, il Parco della Musica a Roma segnano le tappe di una sequenza rigorosa e al tempo stesso avventurosa, il cui fondamento sta nella convinzione, più volte espressa dall'architetto, secondo cui "l'idea di spazio emotivamente parlando è come la musica. Immateriale".
Architettura come artigianato e tecnica
Così come non si può 'inventare' ogni volta una viola o un mandolino, ma perfezionare semmai la qualità del suono attraverso cambiamenti millesimali di alcuni elementi strutturali, Piano è convinto che una buona architettura sia sempre il frutto di un artigianato virtuoso, il risultato di una laboriosa ricerca di perfezione. Allo stesso tempo, però, crede fermamente in un'idea di creatività come 'progetto laterale'. Respingendo l'immagine lineare del progetto come processo unidirezionato dal generale al particolare, teorizza la necessità di uno scarto, l'importanza di una deviazione che sottrae l'esito alla banalità e apre il passaggio da una disciplina creativa all'altra. Inaugurata dal laboratorio sotterraneo dell'IRCAM, l''architettura musicale' di Renzo Piano insiste su un'analogia tra l'arte dello spazio e l'arte del suono, che rimanda a una concezione del progetto come espressione di una levità che toglie peso alle cose. La stessa concezione, non a caso, è condivisa da Luciano Berio a proposito dei materiali: "in architettura come in musica si scoprono materiali più leggeri, trasparenti. Io non credo che musica e architettura siano cambiate perché hanno inventato materiali nuovi. No, penso che quei materiali esistessero già e siano stati utilizzati perché c'è stata un'apertura nel pensiero musicale e in quello architettonico. Come nella musica elettronica, per esempio, che si è servita di strumenti già esistenti ma che avevano altre funzioni, come gli oscillatori o i generatori di suoni. Lo ha fatto perché il pensiero musicale voleva approfondire il controllo delle più piccole particelle musicali, e allora ha usato strumenti in grado di assicurare quel controllo. La musica si è trovata allora a poter coordinare l'estremamente piccolo e l'estremamente grande. Un po' come l'architettura che per essere buona deve legare il lavoro dell'artigiano con il martello in mano a quello dell'operaio che costruisce le pareti".
La tecnica svolge un ruolo cruciale nell'approccio di Piano alla progettazione: "quando sento suonare Maurizio Pollini o Salvatore Accardo - dice - capisco che possiedono tanta di quella tecnica da potersi persino permettere di dimenticarla. Chiudono gli occhi e suonano. Solo chi padroneggia la tecnica può permettersi di astrarsene". Arrivare a un automatismo della tecnica capace di consentire la liberazione dello spazio: forse è per questo che Piano si è concentrato con tanta tenacia sul tipo della boîte à chassures - poco frequente in Italia, ma consolidato all'estero da una lunga tradizione musicale, come dimostrano gli esempi dell'ottocentesco Neues Gewandhaus di Lipsia o dell'americana Boston Symphony Hall - offrendone come conferma tante declinazioni. Come l'esecuzione di una partitura è il frutto di un accanito esercizio di tecnica manuale, l'elaborazione spaziale è la verifica ininterrotta di pratiche parziali sul senso delle proporzioni, sui dettagli di alcune soluzioni, sulla varietà dei materiali ricondotti ad armonica unitarietà. "Riportare le strutture all'essenziale significa lavorare per sottrazione - ama ripetere Piano - togliere è una scommessa, un gioco. Quando cerchi la leggerezza, automaticamente trovi un'altra cosa preziosa, importantissima sul piano del linguaggio poetico: la trasparenza".
Come un compositore o uno scrittore, anche l'architetto dunque cela dietro la facilità del risultato la pensosità di un lavoro di sintesi e di limatura, ricorrendo alla tecnica della sottrazione come tramite per alleggerire l'opera dai cascami di una retorica troppo diretta o per determinare il tipo perfetto di un prototipo da 'tradire' nel suo innesto sulla specificità di un luogo.
Gli spazi per la musica di Renzo Piano
L'auditorium del Lingotto di Torino
Con la sua pianta allungata inserita nel cuore dello storico impianto industriale del Lingotto, l'auditorium di Torino (1983-85) stabilisce i fondamentali di una riflessione sulle trasmissioni del suono: inserita nella struttura preesistente e ingabbiata da travi di cemento, la sala è interamente rivestita di pannelli di legno mobili che ne assicurano la variabilità acustica e di conseguenza il tempo di riverberazione dei suoni, modificando l'invaso dello spazio. Assoggettata all'esterno alla rigorosa logica formale della fabbrica di Mattè Trucco, la sala del Lingotto sfrutta dunque la sorpresa di un ambiente prezioso per l'eleganza delle proporzioni e per l'accuratezza tecnica della cassa armonica, avallata dalla consulenza specialistica di Helmut Müller, che non a caso Piano ha voluto con sé sia a Parma sia a Roma. La stessa tipologia è riproposta a Cagliari, innestata nella base vetrata del Credito Industriale Sardo (1985-92): traguardando all'esterno grazie alle sue pareti trasparenti, anticipa tuttavia una variazione esemplarmente condotta a termine nell'auditorium Paganini a Parma.
L'auditorium di Parma
Con la trasformazione di un luogo di lavoro in spazio di intrattenimento, il Lingotto è stato il primo esempio di riconversione industriale in Italia: l'operazione eseguita sull'ex zuccherificio Eridania a Parma (1997-2001) vi si ricollega idealmente, mentre se ne distacca visivamente per l'originaria declinazione del tema d'intervento. Situato all'interno di un parco urbano vicino al centro storico e cruciale nella memoria collettiva della Parma industriale, l'auditorium Paganini è un convincente paradigma della vocazione immateriale dell'architettura del nuovo secolo, trasformando il parallelepipedo produttivo dell'ex stabilimento per la produzione di zucchero in un'insolita boîte à musique, che di notte funziona come una surreale lanterna luminosa nel verde delle grandi alberature circostanti.
Se da un punto di vista tipologico la sala corrisponde alla genealogia del modello Lingotto, dal punto di vista del manufatto realizzato se ne discosta radicalmente. Inserita dentro il guscio preesistente, infatti, la sala se ne impossessa, stabilendo una perfetta coincidenza tra spazio interno e volume: invece di rimanere 'nascosta', si mostra da lontano, offrendo alla prospettiva degli sguardi la vasta trasparenza di tutto il suo vuoto musicale. Assegnando ai resti del passato la testimonianza materica di un'opacità caratteristica dell'era del muro e del pieno, Piano vi ha contrapposto la leggerezza e la trasparenza dell'era immateriale, sviluppando la metafora di una fabbrica di zucchero sublimata in fabbrica di suoni. Ha mantenuto gli spessi muri perimetrali del fabbricato che un tempo ospitava i macchinari per la produzione dello zucchero, sostituendo alle vecchie nuove capriate in acciaio e contrapponendo ai pesanti muri laterali due pareti trasversali integralmente vetrate. In tal modo, la 'camera chiara' nel parco mette in luce la semplicità del 'quasi nulla': consolidati nei loro variabili spessori, i muri d'ambito funzionano come schermi sagomati per le traiettorie dei suoni e allo stesso tempo come schermi di proiezione della memoria del recente passato produttivo. Aperto alle estremità verso la vegetazione del parco, l'auditorium dell'Eridania si qualifica come un interno rivolto all'esterno, con il duplice effetto di segnale luminoso di notte e di invaso trasparente di giorno: dall'applicazione inedita di una tipologia consolidata nasce dunque un'opera dai caratteri fortemente originali, riflessiva di quei valori del luogo e della tradizione collettiva che la fissano alla specificità di un'azione irripetibile. Rispetto agli esordi dell'IRCAM il passaggio è cruciale: inglobato il funzionalismo della meccanica sonora in un automatismo tecnico-scritturale, il testo architettonico può arricchirsi di delicate consonanze con il movimento del corpo, di allusioni poetiche alla natura del luogo.
L'allestimento effimero per il Prometeo di Nono
Se Luciano Berio, con Pierre Boulez, ha significato l'ingresso di Piano nel mondo della musica, Luigi Nono è stato il mentore della sua iniziazione al valore evocativo della suggestione scenica, chiamandolo a misurarsi con il corpo e con la storia nell'allestimento per l'esecuzione del Prometeo nell'aula della chiesa veneziana di San Lorenzo (1983-84). Posto di fronte al problema di esprimere in un'architettura effimera lo spirito dell'inedita proposta musicale di Nono, Piano trovava la soluzione nel ribaltamento degli schemi della sala tradizionale: come una cassa di violino sezionata, l''arca' offriva a musicisti e spettatori in movimento il supporto di uno scheletro leggero, capace di rispondere al tema dell'interazione della musica con lo spazio moltiplicando i punti di suono con il movimento dei musicisti. Organizzando la struttura dello spazio in funzione del movimento, l'architettura dell''arca' ammetteva la dinamicità del caso, aprendo alla possibilità di slittamenti di senso e di variazioni di spazi.
L'IRCAM di Parigi
Calato nel ventre del Marais, l'IRCAM (1974-77) è un laboratorio asettico per gli scienziati del suono: una macchina per la fabbricazione della musica, isolata dall'esterno e autosufficiente. Sottoterra, ha un vuoto ma non un volume: il suo spazio si percepisce per differenza più che per propria consistenza. A Venezia, invece, lo scafo trasparente del Prometeo doveva misurarsi con la preesistenza di un ambiente assai connotato e con l'imprevedibilità di un processo di integrazione 'mobile' tra produzione e ascolto del suono: "se costruisci una sala da concerto - scrive Piano in una nota del suo Giornale di bordo - non ti basta dare un'acustica perfetta: devi far partecipare tutti alla musica. Perché al concerto ti godi una sinfonia che, a casa, sentita con un hi-fi perfetto, magari, non ti direbbe niente? Perché partecipi: con il direttore d'orchestra sul podio, con i centoventi elementi che suonano, con altre cento, cinquecento, duemila persone che vivono la stessa emozione nello stesso momento".
L'auditorium di Lodi
Sostituendo progressivamente l'idea della fabbrica del suono con quella della cassa armonica, prende dunque corpo l'immagine del vuoto come scena e, progressivamente, il corpo del vuoto come volume nell'ambiente. A Lodi, per esempio, nel complesso della Banca Popolare insediato all'interno di un recinto industriale dismesso (1993-2001), il 'tamburo' dell'auditorium fa da perno asimmetrico al quartiere degli affari, esplorando le potenzialità simboliche di un volume che allude sempre più esplicitamente alla sagoma di uno strumento musicale o, ironicamente, a quella di un gonfio forziere: una fabbrica di soldi, insomma, che si tramuta in una fabbrica di note. Ancora una volta, il tipico e il fuori norma, il tettonico e il volumetrico si intrecciano, permettendo alla composizione canonica dello schema di ibridarsi nella messa a punto di una soluzione particolare.
Da questo punto di vista, tutta la più recente produzione di Piano sembra la dimostrazione della flessibilità di un approccio che ha imparato a non essere prigioniero della sua forma ideale. Peter Buchanan ha richiamato l'attenzione sul progressivo slittamento della poetica di Piano da una concezione stringatamente tettonica del progetto come montaggio di elementi finiti a una confidenza con l'idea di volume che si espande nello spazio. Ne risultano un'accentuazione dei valori figurali dell'architettura che accede per tale via al principio simbolico della rappresentazione metaforica e un'enfasi più avvertita per la determinazione dei valori plastici dello spazio interno.
Il Centro Culturale Tjibaou
Sottile linea d'ombra tra la specificità di saperi diversi se non addirittura conflittuali, il Centro Culturale Jean-Marie Tjibaou (1993-98) è un omaggio alla tradizione che non rinuncia alla consapevolezza della sua alterità culturale e dunque un progetto che lavora sulla peculiarità di uno spazio intermedio. L'assunzione dei codici e dei simboli delle popolazioni kanak si riflette nella loro metabolizzazione all'interno di una prospettiva esterna ma simpatetica, efficacemente riassunta dal sintagma della 'capanna' come cassa armonica o arpa abitata. Deformata nella scala grazie al ricorso alla tecnologia occidentale, la 'capanna' assume la leggerezza della tettonica indigena; assunta come unità di misura delle funzioni del programma, ne contrassegna nell'ambiente il portato simbolico di luogo musicale. Questo si prolunga nella presa d'atto di un'organicità del gesto espressivo che include la conformazione dell'invaso nella plastica dei grandi 'gusci', quasi statue ancestrali lungo la spiaggia di Nouméa.
Il Teatro Marlene Dietrich di Berlino
Sperimentate ulteriormente nelle metafore della nave incagliata nel New Metropolis ad Amsterdam, dell'ala distesa nell'aeroporto di Kansai e delle vele spiegate nella torre dell'Aurora Place a Sydney, le esercitazioni sulle potenzialità delle superfici curve introducono l'architettura di Piano alla scoperta di un espressionismo freddo che nell'agnizione degli scompigliati 'colossi' di Hans Scharoun al Kulturforum berlinese ha trovato una sua significativa conferma. Affascinato dalla 'sfrontatezza geniale' del maestro tedesco, Piano si è sentito spinto a misurarsi con una controllata trasgressione, imprimendo alla sua ricerca un'accelerazione decisiva verso la torsione dell'architettura nello spazio. Costruito spalla a spalla della Neue Staatsbibliothek, il Teatro Marlene Dietrich al fondo della Potsdamer Strasse (1992-2000) risente della suggestione del maestro espressionista: non solo nell'agitata pelle dei pannelli metallici di rivestimento o nell'incassatura del volume al centro, ma anche nell'insolita gestualità delle facciate spigolose e angolate e nella determinazione delle coperture, ricondotte dalla tradizione ingegneristica delle volte leggere al dominio dell'espressione architettonica. Facendo continuare la piazza pedonale dentro l'immenso foyer in vetro, il teatro si qualifica come un magnete che fa corpo con la 'montagna incantata' di Scharoun alle sue spalle e prepara gli spettatori, con il gioco delle scale e delle balconate, alla vera sorpresa della sala degli spettacoli.
Il Parco della Musica di Roma
Ma la citazione più diretta dell'invenzione spaziale di Scharoun è offerta proprio a Roma dalla sala da 2800 posti nel Parco della Musica al Villaggio Olimpico: "Scharoun ha capito che in un edificio per la musica con 2800 posti occorre creare un senso di partecipazione del pubblico. - confessa Piano - Il segreto dell'orchestra al centro è di consentire al pubblico di vedere se stesso dall'altra parte della sala e di riconoscere con ciò la focalità dell'orchestra. Nel progettare l'auditorium ho sentito che l'esperienza di Scharoun non poteva essere messa da parte. Bisognava partire da lì. Per l'auditorium siamo partiti dall'esperienza di Berlino, ma all'impostazione semi-baricentrica dell'orchestra abbiamo aggiunto un lavorio molto attento sulla scocca di copertura, che di fatto diventa una cassa armonica".
Librando le tre sale richieste dal bando di concorso su una piattaforma che ha il suo epicentro nell'anfiteatro all'aperto e il suo sfondo nel verde del parco, Piano ha modellato uno skyline di gigantesche statue nella natura: come sulla barriera corallina di Nouméa, queste sono feticci e strumenti musicali al tempo stesso. Coleotteri, forse, come qualcuno ama descriverli, in sosta su una foglia, ma anche viole o casse di violino appoggiate in una pausa di lavoro sul piano teso della piastra dei servizi. Un'architecture parlante, insomma, alla maniera discreta di Piano, che introduce nello spazio amorfo dell'ex parcheggio ai piedi di Villa Glori e del Villaggio Olimpico la forza coagulante di un potente magnete.
Scelta più per motivi pratici che rappresentativi, infatti, l'area a disposizione dei concorrenti al concorso del 1992 era il classico terrain vague tra episodi di forte plasticità, come il blocco compatto del tessuto ottocentesco del quartiere Flaminio e i frammenti dispersi delle imponenti strutture di Nervi, di Libera, di Moretti. Un terreno che la città della musica ha fatto diventare un campo elastico d'aggregazione: in attesa del futuro Centro d'Arte Contemporanea di via Guido Reni, infatti, conforma la testa di un asse culturale che si innesta attraverso ponte Milvio nel cuore stesso della città consolidata. Da questo punto di vista, dunque, l'auditorium di Roma non è solo un complesso di edifici per la musica, ma un organico paesaggio urbano dove architettura e natura - grazie anche alla felice scelta della disarticolazione volumetrica delle tre sale - si integrano in un parco di circa 30.000 m2, a dotazione infrastrutturale della città. Concepite come strumenti musicali all'aria aperta, le tre sale si dispongono a ventaglio secondo l'ordine di grandezza - da 700, da 1200 e da 2800 posti - mettendo a fuoco la cavea di raccordo per 3000 spettatori. Concepite come scocche, figurano come icone: isolate su un podio, si porgono come sculture urbane che rammemorano anche da lontano la destinazione musicale del sito. Portando a maturazione la lunga esperienza di studio nel campo dell'acustica, le superfici curve di contenimento risolvono unitariamente spazio e volume in una cassa armonica dove tutto corrobora la funzionalità della riverberazione del suono, senza scarti costruttivi o sovrappeso di dettagli tecnici estranei allo schema. Non meno significativo il ricorso al rivestimento con lastre di piombo che le assimila da lontano al paesaggio di cupole della città storica: sempre più sensibile al contesto, il progetto di Piano mostra un notevole gesto di comprensione del sito. Così, il rivestimento in mattoni romani e le sottili bordature di pietra che ancorano gli edifici al terreno sottolineano l'orizzontalità delle costruzioni nel verde e si riallacciano alla memoria dell'edilizia romana, cui lo stesso fortuito ritrovamento della villa romana durante i lavori di scavo offre un prezioso sostegno che la sistemazione del Parco della Musica valorizza opportunamente al suo interno.
Inoltre, la disposizione delle sale in ordine di grandezza imprime alla composizione un intrinseco movimento a spirale, creando una gerarchia di pesi che il volume maggiore enfatizza come un crescendo spettacolare. La maggiore delle tre sale è anche quella dove più forte è la suggestione della mole berlinese di Scharoun: modulata al suo interno come una cavità 'intagliata', ricorda con il suo inviluppo di linee lo spazio 'a vigne' della Philharmonie. Se ne distacca tuttavia per la spiccata interpretazione del concetto di massa ondulata: agitata nella piana deserta del Kulturforum di Berlino la Philharmonie, sinuoso e leggero il Parco della Musica nel paesaggio romano.
repertorio
Teatri musicali e sale per musica
Il mondo antico
Le manifestazioni spettacolari primitive sono di carattere sacro. Nelle tribù il sacerdote, lo stregone, lo sciamano celebra un rito, interpreta un mistero o danza davanti a una folla che può disporsi in circolo attorno al celebrante, da cui l'origine del circo. Quando dalle elementari rappresentazioni misteriche si passò al dramma sacro, il 'tempio divino' si perfezionò in un complesso multiplo e monumentale dove avevano luogo feste, giubilei e riti funebri. In Grecia, nell'età omerico-micenea, riti dionisiaci e cori ditirambici si svolgevano in appositi recinti che l'archeologia indica con l'espressione 'area teatrale': fu qui che, nei secoli successivi, si enucleò l'edificio teatrale greco. Di teatro, nel senso specifico di luogo destinato a rappresentazioni (dove i ruoli dei convenuti sono rispettivamente di 'attori' e 'spettatori'), si può parlare soltanto a partire dal 6° secolo a.C., dopo che Pisistrato, riorganizzate le feste dionisiache, affidò a Tespi l'incarico di ordinarne lo svolgimento e di sistemare un recinto adeguato in corrispondenza dell'antica orchestra dionisiaca, adiacente al tempio di Dioniso Eleuterio. L'edificio teatrale greco si fondava su tre nuclei, orchestra, kòilon, skenè, sorti con autonome e precise destinazioni (azione, assise, servizi). Orchestra e pavimento della skenè costituivano le superfici di riflessione orizzontali, mentre la parte della scena posta dietro agli attori rifletteva il suono verticalmente; gli spazi parzialmente chiusi sotto il palco sul quale si muovevano gli attori fungevano da cassa di risonanza. Nei secoli successivi, la struttura del teatro greco fu perfezionata fino a raggiungere l'assetto unitario e monumentale degli esemplari alessandrini, i soli rimasti: Atene, Delfi, Epidauro, Eretria in Grecia, Efeso e Priene in Asia Minore, Taormina e Siracusa nella Magna Grecia. Davanti alla skenè venne sistemato il proskènion, pedana lignea alta dai 30 ai 60 cm destinata agli attori, che vi accedevano dalle tre porte aperte sulla facciata della skenè, mascherata da elementi scenografici e architettonici. Alla fine del 5° secolo a.C. e all'inizio del 4°, ai fianchi della skenè vennero situati due avancorpi avanzanti verso l'orchestra (paraskènia), insieme a quinte ed elementi per celare macchine per apparizioni e apoteosi. In età alessandrina, l'edificio non fu più ligneo ma in muratura. L'estensione della cavea anche ai lati dell'orchestra per accogliere un maggior numero di spettatori, insieme all'innalzamento della scena alle spalle degli attori, allora peraltro costruita in pietra, comportò un maggior contenimento del suono nello spazio teatrale.
L'edificio teatrale romano venne in uso negli ultimi anni della Repubblica. Il primo costruito a Roma fu quello di Pompeo (55 a.C.). L'intero edificio continuò a organizzarsi attorno all'orchestra (platea). Le gradinate della cavea avevano una capacità proporzionata al numero degli abitanti della regione. La platea fu ridotta a semicerchio. La cavea, tutta in muratura, sfruttava, ove conveniente, un pendio naturale e veniva appoggiata a robuste costruzioni consistenti in un sistema di corridoi semicircolari, sovrapposti su più piani. La parte interna di tale sistema serviva da sostegno ai gradoni divisi in settori orizzontali (ima, media, summa cavea). La parete esterna, in opus caementicium, veniva decorata con una cortina marmorea a tre ordini di arcate. Le gallerie interne comunicavano tra loro mediante un sistema di scalette che sboccavano nelle aperture (vomitoria), le quali davano accesso ai singoli settori della cavea. Il teatro di Fiesole aveva 3000 posti; 15.000 quello di Siracusa. In corrispondenza dell'ima cavea poggiavano le tribune delle autorità e della giuria (tribunalia). Sul fondo del palcoscenico, in luogo della skenè, si alzava la frons scaenae, dietro la quale si costruì il post scaenium destinato ad attori e macchinisti. Anfiteatro è invece termine che significa doppio teatro ed è indicativo della struttura architettonica: una doppia cavea teatrale unita in modo da creare uno spazio adatto ai ludi, di origine sacrale. L'edificio teatrale romano, più compatto sebbene si tratti ancora di uno spazio aperto, consentiva una minore dispersione del suono rispetto a quello greco. La tettoia sovrastante il palcoscenico, inclinata verso la platea, rifletteva la voce degli attori verso le gradinate, mentre l'aggiunta di una galleria a coronamento della summa cavea tratteneva e rifletteva verso l'interno il suono.
Nel De architectura, Vitruvio descrive il sistema dei vasi risonanti, vasi di bronzo costruiti di dimensioni proporzionate a quelle dell'edificio e in proporzione matematica fra di loro, che una volta eccitati da una vibrazione sonora possono produrre una serie di note a intervalli di quarta, quinta, sino a due ottave. Collocati in nicchie tra le gradinate del teatro, capovolti e sollevati da un nucleo, essi avrebbero permesso alla voce, proveniente dal palco, di acquistare forza e chiarezza.
L'odeon. Presso i Greci era in uso anche l'odeon, un tipo di piccolo teatro destinato ad audizioni musicali e poetiche in genere; architettonicamente ripeteva le forme del teatro, ma era più spesso caratterizzato da un accentuato sviluppo verticale, dalle modeste proporzioni della scena e, soprattutto, dalla presenza di un tetto che lo copriva quasi interamente. Il più noto, e uno dei più antichi, fu quello fatto edificare da Pericle, ad Atene, verso il 442 a.C.: costruito a imitazione della tenda regale di Serse, bottino ateniese a Platea, l'odeon aveva forma quadrangolare (63 m circa di lato), con doppio ordine di colonne e tetto conico, costruito con gli alberi delle navi persiane; distrutto nell'86 a.C. da un incendio, fu ricostruito nel 52 a.C. dagli architetti Gaio e Marco Stallio; ne sono state riconosciute le vestigia a est del teatro di Dioniso. Precedentemente un odeon era stato edificato nell'agorà, sulla via che sale all'acropoli. Un altro fu costruito ad Atene dopo il 160 d.C. da Erode Attico, ed è ben conservato nell'alzato: la pianta non differisce da quella di un comune teatro romano, tuttavia l'edificio era in parte coperto. Erode Attico ricostruì in marmo l'odeon di Corinto; ben conservato è anche l'odeon di Patrasso. Gli altri odeon che ci sono pervenuti erano coperti: quelli romani di Pompei (databile al 75 a.C.), di Gortina, di Efeso, di Epidauro, di Aosta; ve ne erano anche a Taormina, Nicopoli d'Epiro, Smirne, Patara di Licia, Canatha nell'Auranitide, Cartagine.
L'età medievale
I teatri romani furono utilizzati fino al 4° secolo d.C. Vi fu poi un declino nell'interesse per gli spettacoli pubblici, determinato dall'atteggiamento delle autorità, soprattutto religiose, e in uguale misura dalla mancanza di manutenzione, tanto che come monumenti i teatri, al pari degli anfiteatri e dei circhi, furono abbandonati e ridotti a cave di materiale da costruzione. Se ne iniziò la spoliazione delle parti ornamentali e la devastazione, con conseguenti crolli delle possenti ossature murarie. Soltanto nel Quattrocento furono riproposti, attraverso lo studio del De architectura di Vitruvio, come modello agli architetti rinascimentali. Anche dopo il 9° secolo, quando con il fiorire del dramma liturgico si rilanciò sulle basi della dottrina cristiana l'idea della rappresentazione come momento collettivo, edificante e didattico, non si sentì la necessità di un luogo spettacolare diverso da quello del culto in seno al quale era nato il ludus, bastando all'azione mistica gli spazi e la connotazione simbolica della liturgia: il sacrario con l'altar maggiore, il coro o la schola cantorum, la navata centrale, il sepolcro stabile (Aquileia) o provvisorio del Venerdì Santo. Per migliorare l'acustica delle basiliche romaniche e gotiche, furono ampiamente utilizzati i vasi risonanti descritti da Vitruvio. Tali vasi, che potevano anche essere di terracotta, erano collocati nelle mura dietro il coro o in un'intercapedine sotto il pavimento o ancora in prossimità degli angoli delle mura perimetrali della chiesa. Essi svolgevano anche, ove necessario, una funzione di assorbimento del suono, e in tal caso l'imboccatura veniva chiusa con uno strato di pietra traforata o con una specie di coperchio di legno.
Con l'andare del tempo, caduto il monopolio clericale, la rappresentazione sacra corrispose a un momento collettivo diverso, quello della festa pubblica e religiosa, divenendo un fenomeno cittadino, promosso dalle confraternite laico-religiose o dalle corporazioni delle arti e dei mestieri, da effettuarsi nelle piazze e nei luoghi di mercato con l'appoggio delle amministrazioni cittadine. Sorsero teatri provvisori, anche adeguabili alla diversa topografia delle città, che si avvalsero di elementi scenografici detti 'luoghi deputati', costituiti da scene riconoscibili quali Paradiso, Bocca dell'Inferno, Calvario, mare, case, sorta di edicole stilizzate che potevano cambiare rapidamente connotazione mediante minimi mutamenti di arredi. Due tipi fondamentali ricorrono con una certa regolarità: 'alla francese', con i luoghi deputati posti l'uno accanto all'altro su un'unica fronte e sopra un unico palcoscenico che poteva occupare tutto il lato di una piazza, e 'alla tedesca', in cui ogni luogo deputato disponeva di un palco o pedana indipendente. L'itinerario drammatico andava dall'Inferno al Paradiso, dalla Porta alla Croce, ed era visibile dai quattro lati sia dal pubblico che seguiva l'azione in piedi nel parterre sia dagli spettatori delle tribune (o gradinate) sistemate intorno alla piazza. In Cornovaglia è segnalato un terzo tipo di teatro all'aperto, il plen an gwary ("pianura del teatro"), consistente in un vasto spazio circolare (plen), circondato da un terrapieno anch'esso circolare (hill) scavato a gradoni destinati al pubblico. L'azione sacra si svolgeva nel plen. I luoghi deputati venivano collocati sulla sommità del hill, assai distanziati l'uno dall'altro e collegati da una sorta di camminamento che correva tutto attorno, in cima al terrapieno.
Il Rinascimento e il 17° secolo
Il teatro rinascimentale si sviluppò in maniera estemporanea e varia. Le rappresentazioni si tenevano in coincidenza con il Carnevale e particolari occasioni festive. L'aspetto teatrale dipendeva dagli ambienti in cui si organizzavano gli spettacoli. Nel teatro di piazza furono i comici dell'arte a prodursi prima sui 'banchi', poi al coperto nelle stanze. Il teatro da torneo ebbe ampia area con un camp centrale attorno al quale erano innalzate tribune digradanti a uso di cavea. Il teatro da sala, con il quale comincia la diffusione delle prime sale stabili, a partire dal 1530 circa, poté profittare dell'interesse delle corti e delle accademie, come anche delle compagnie festaiole di studenti, letterati e borghesi. I generi spettacolari si allargarono con balli, mascherate, farse, intermezzi, mentre le commedie e le tragedie necessitavano di scene costruite, anche se inizialmente fisse. La prima e più frequente soluzione, sia a corte sia nei luoghi di festa, fu la sala con scena rialzata e assise su gradoni rettilinei, disposti frontalmente rispetto alla scena. Il modello di S. Serlio, proposto nel Secondo libro dell'architettura (edito nel 1545 ma concepito prima del 1539), consisteva in una cavea semicircolare di ispirazione classica; il palcoscenico era diviso in due parti: in primo piano si trovava il proscenio, largo 22 m e profondo 4, in secondo piano il declivio (profondo 5 m) sul quale si elevava la scena. Alla metà del 16° secolo, apparve tra sala e proscenio il prospetto scenico, sorta di tramezza lignea dipinta con finte architetture, al centro della quale si apriva una grande boccadopera incorniciata dall'arco scenico e dai suoi portanti. Diverse erano le esigenze cui rispondeva la sua presenza: segnare una demarcazione tra sala e scena, essere il supporto di tutta una serie di lumi o fiaccole che davano luce alla scena, e chiudere infine entro una cornice scenica la prospettiva, convogliando su di essa l'attenzione e lo sguardo degli spettatori. In questo tipo di soluzione rientrano i teatri di ispirazione classica, costante obiettivo di accademici e architetti rinascimentali: ne resta esempio insuperato l'Olimpico di A. Palladio a Vicenza, completato da V. Scamozzi (1580-85), accanto al quale deve essere ricordato anche il teatro di Sabbioneta, dello Scamozzi (1589). Si è ormai definitivamente affermata la tripartizione dello spazio tipica del teatro moderno: auditorio, scena e palcoscenico (intermedio tra i primi due). Anche a causa delle loro piccole dimensioni, questi edifici erano adatti soprattutto alla recitazione oppure a esecuzioni musicali con un numero limitato di strumenti.
Un altro tipo di teatro quattro-cinquecentesco, in uso sia a corte sia in piazza (per es. nelle feste carnevalesche a Venezia), era richiesto da spettacoli ad azione centrale. Le assise facevano perno sul palco assegnato alle autorità, e la disposizione delle gradinate variava nel numero e nella composizione. Nel Quattrocento, quando gli spettacoli a carattere itinerante richiedevano l'impiego di carri piuttosto che la presenza di un palcoscenico rialzato, i gradoni potevano occupare solo due lati dell'ambiente (con sistemazione frontale oppure a squadra), poi anche tre o quattro lati, con o senza soluzione di continuità. Nel Cinquecento il teatro si stabilizzò in una pianta con gradinate su tre lati, e un palcoscenico di tipo serliano sul quarto.
In Inghilterra e in Spagna i teatri all'aperto erano derivati da architetture preesistenti che sfruttavano la pianta tipica dei cortili interni e la presenza delle balconate. Gli interluders inglesi organizzavano le loro rappresentazioni nei cortili delle locande, che avevano pareti percorse in ogni singolo piano da ballatoi di legno, oppure in arene per combattimenti di animali. Il teatro elisabettiano ebbe pianta anulare, o poligonale con pareti esterne lisce, aperte solo da qualche finestra e dall'ingresso, e quelle interne articolate in un sistema di gallerie sovrapposte e intercomunicanti mediante scale interne. In corrispondenza della scena erano palchi riservati, mentre il pubblico comune prendeva posto in un cortile centrale scoperto (circa 17 m di diametro). In alternativa a questo tipo di edifici vi erano sale chiuse o 'teatri privati', costretti all'inattività dopo l'instaurazione del governo puritano, e dopo la restaurazione (1660) sostituiti con strutture diverse che riprendevano i modi del teatro barocco 'all'italiana'.
I corrales o patios de comedias iberici erano all'aperto, situati in cortili circondati da quattro corpi di fabbricati civili, spesso abitazioni, con pianta regolare e quadrilatera. I grandi balconi e le balconate continue rimasero i posti degli spettatori più qualificati; il grosso del pubblico veniva sistemato nel cortile in appositi settori, mentre il pubblico popolare rumoroso e turbolento prendeva posto in uno spazio libero attrezzato con panche.
L'evoluzione del teatro all'italiana
L'evoluzione del teatro da sala italiano (che si impose alla fine del 18° secolo) avvenne nei primi anni del Seicento, allorché si affermò il dramma per musica. Inizialmente, poiché esso era prerogativa dello spettacolo privato, cortigiano o accademico, fu il palcoscenico a risentire maggiormente delle novità del nuovo genere che includeva, insieme alla mutazione a vista delle scene, vistosi effetti di apparizioni e sparizioni, voli e apoteosi. Le strutture semplici e razionali del palco cinquecentesco si triplicarono in tutte le dimensioni a tutti i livelli - sottopalco, piano scenico, soffitta - per fare spazio alle macchine per le apparizioni e ai dispositivi per il cambiamento delle scene: binari fissi, a intervalli regolari, per lo scorrimento dei telari, intagliati (cavetti) o in rilievo (gargami), sul piano del palco e un sistema elementare ma ingegnoso per la loro manovra. Non mutò invece l'impianto di fondo della sala, salvo nel caso di pianta 'ad azione centrale'.
Nei primi esempi di opera, la musica aveva un ruolo secondario rispetto al testo, che doveva essere chiaramente compreso dal pubblico, e l'orchestra, o per meglio dire il gruppo strumentale, era a volte collocata al di là delle scene. Il Teatro Farnese di G.B. Aleotti, a Parma (1618-19), costruito in legno e con alcune parti di stucco, fu il primo a essere provvisto di una scena fissa con un'arcata in funzione di boccascena, che separava l'ambiente del pubblico da quello in cui avveniva lo spettacolo. Questo frazionamento dello spazio, inevitabile date le proporzioni strette e lunghe della pianta a U, non era ideale dal punto di vista acustico. Per ovviare a ciò, Aleotti utilizzò il legno, frammentò le pareti laterali con divisioni e sovrastrutture di tipo classico in modo da ridurre l'azione riflettente delle pareti parallele; optò per una copertura a capriate lignee molto ampie, che contribuivano a ridurre le riflessioni dei due piani inclinati del soffitto; aggiunse poi al di sopra delle gradinate due corridoi loggiati che aumentavano l'assorbimento e la diffusione dell'energia sonora incidente. Nonostante tutti questi accorgimenti, il tempo di riverberazione rimaneva molto alto.
Il Teatro di S. Cassiano e dei SS. Giovanni e Paolo a Venezia (1637-38), con la sostituzione delle file di gradinate con diversi ordini di palchi, segna un momento decisivo nella definizione del modello di teatro all'italiana. Il pubblico prendeva posto in piedi nell'ampia area al piano terra di fronte al palcoscenico, mentre i palchi erano riservati all'aristocrazia (quelli di proscenio ai musicisti). Il tempo di riverberazione era breve e, in uno spazio abbastanza esiguo e con soffitto più alto (che funge da riflettore sonoro), le possibilità d'eco erano ridotte al minimo; a ciò contribuiva il potere assorbente dei palchi e del pubblico nella platea.
Verso la metà del Seicento, quando lo spettacolo musicale passò dal privato al pubblico, con un numero di spettatori assai più numeroso e di diversa estrazione sociale, si dovettero creare nuove strutture che sostituissero quelle, ormai altrettanto inadeguate, del teatro da sala e delle vecchie 'stanze' pubbliche della commedia dell'arte: grandi cameroni di diversa forma e spazio, più o meno confortevoli, con palcoscenici improvvisati e platee organizzate con panche e posti in piedi. I nuovi teatri per musica si rifecero a quelli cortigiani e accademici, dal teatro di sala ripresero le strutture architettoniche e scenotecniche del palcoscenico e la pianta allungata, dal teatro per torneo mutuarono l'idea delle assise sistemate con più ordini sovrapposti di gallerie.
La diversificazione e caratterizzazione della sala 'all'italiana' è la disposizione dei palchetti ad alveare, con ordini che andavano da 3 a 5, e palchi da 20 a 30 per ogni ordine, con in più un loggione senza divisioni nell'ordine superiore. In tal modo sala e palcoscenico erano corpi indipendenti, con accessi, servizi e strutturazione degli spazi autonomi, il prospetto scenico con il sipario e la fossa orchestrale ai piedi del proscenio. La sala, grazie alla verticalità delle assise, consentiva il massimo sfruttamento dello spazio disponibile. La divisione delle gallerie in palchi, con accessi indipendenti, permetteva di ospitare un pubblico indiscriminato, senza precludere la tradizionale separazione di spettatori di diversa classe sociale. I vari ingressi, l'organizzazione delle scale e dei corridoi di accesso ai palchi agevolavano l'afflusso degli spettatori. In tal modo, per oltre tre secoli, la 'sala all'italiana' fornì all'architettura teatrale in Europa le strutture di base, rimaste pressoché inalterate nella loro funzionalità specifica, anche se, con il passare del tempo, mutò per certi aspetti la loro tipologia, allorché interferirono particolari generi drammatici, tradizionali o nazionali, mentre mutavano gli stili architettonici e si imponevano nuovi problemi di acustica e di visibilità.
Alla fine del 17° secolo la platea, condizionata dal giro dei palchi, era passata dalla primitiva pianta a U (un semicerchio raccordato in fondo sala da due pareti rette proseguenti, parallele o divergenti verso il palcoscenico) a quella mistilinea, in cui il semicerchio di fondo non si innestava direttamente nelle pareti laterali, ma mediante due raccordi minori frontali alla scena.
Nel Settecento la pianta mistilinea si trasformò in quella a campana adottata dai Bibiena e si modificò in quella a ferro di cavallo, che corrisponde geometricamente a un 'ovato' troncato. Agli stessi principi fondati su problemi di acustica risponde la pianta ellittica. Queste piante diedero origine a sale più lunghe che larghe. C. Fontana, nella ricostruzione del Teatro di Tordinona di Roma (1699), definì la pianta ellittica della sala con il boccascena in posizione ortogonale rispetto all'asse maggiore dell'ellisse. Su questo modello, o comunque sulle varianti con pianta a ferro di cavallo o a campana, furono edificati il Teatro Regio (1738) e il Carignano (1752) di Torino, il Teatro Argentina (1732) di Roma, il San Carlo (1737) di Napoli, il Teatro dei Quattro Cavalieri (1771-73) di Pavia, La Scala (1778) di Milano, La Fenice (1792) di Venezia, il Teatro Scientifico (1767) di Mantova. Nell'Essai sur l'architecture théatrale (1782) P. Patte sostenne l'eccellenza acustica della pianta ellittica, mentre P. Landriani propugnava quella a ferro di cavallo.
Per quanto riguarda la committenza, la costruzione di teatri in Italia fu spesso dovuta all'iniziativa di società di nobili, che concorrevano alle spese in cambio della proprietà di un certo numero di palchi. L'assetto di gran lunga prevalente restò quello ad alveare, adottato anche nei paesi di lingua tedesca e slava, dove i teatri dipendevano direttamente dalla corte o da funzionari amministrativi e dove lavorarono a lungo architetti italiani. Avversi alla sistemazione a palchetti furono invece gli architetti francesi, che limitarono il numero dei palchi a favore delle gallerie e adottarono la struttura dell'amphithéâtre, comoda gradinata non a livello della platea ma su un piano rialzato. Popolari rimasero il loggione e la platea, con posti in piedi e file di panche. A partire dalla metà del 18° secolo l'efficienza complessiva degli edifici teatrali migliorò. Il palcoscenico conservò una posizione centrale e la distribuzione degli spazi restò divisa in sottopalco, scena, soffitta, con foyers non necessariamente a livello del palcoscenico, oltre che laboratori e depositi.
Le prime sale da musica
Nella seconda metà del 18° secolo cominciarono a diffondersi edifici appositamente progettati per l'ascolto di musica, senza rappresentazioni sceniche. La prima sala da concerto tuttora esistente (fu restaurata nel 1959) è l'Holywell Music Room di Oxford (1748). Lunga 21 m, larga 10 e alta 9, ha forma rettangolare, se si esclude una parte circolare all'estremità dietro ai musicisti. Il tempo di riverberazione alle medie frequenze, con l'auditorio al completo (circa 300 posti), è di circa 1,5 s. A causa delle piccole dimensioni della sala, le onde sonore riflesse sono forti e immediate, dando al suono una tonalità chiara e potente.
L'Altes Gewandhaus di Lipsia (1780), demolito nel 1894, aveva anch'esso pianta rettangolare piuttosto stretta (lunga 23 m, era larga 11,5 m e alta 7,4 m), con le estremità curve, e poteva ospitare circa 400 spettatori. Le pareti erano interamente rivestite di sottili pannelli di legno che, insieme al palco e al pavimento, anch'essi in legno, rispondevano all'esigenza di assorbire il suono a bassa frequenza, completando l'assorbimento, da parte del pubblico, delle medie e alte frequenze. L'effetto doveva essere quello di ottenere un breve tempo di riverberazione (circa 1,3 s alle medie frequenze con la sala al completo) e di consentire all'orchestra di farsi udire con grande chiarezza e, grazie all'esiguo volume del locale, con notevole forza dinamica. Questa sala divenne famosa per la sua acustica in particolare durante la direzione di F. Mendelssohn, dal 1835 al 1847.
La Redoutensaal nell'Hofburg di Vienna (1740) è stata fino al 1870 la principale sala da concerto della capitale austriaca. Qui ebbero luogo, per es., le prime esecuzioni dell'oratorio Le Stagioni di J. Haydn, nel 1801, e della Settima Sinfonia di L. van Beethoven. Anche questo auditorium rispondeva alla tipologia preferita dagli autori del periodo classico, che richiedevano un ascolto basato il più possibile sul suono diretto piuttosto che su quello riflesso. All'inizio del 19° secolo, l'incremento degli organici orchestrali indirizzò le scelte costruttive verso sale molto più ampie, nelle quali i tempi di riverberazione fossero decisamente più lunghi.
Il Festspielhaus. Un cambiamento notevole si ebbe nel 1876, quando Wagner realizzò nel Festspielhaus di Bayreuth, insieme all'architetto O. Brückwald, un teatro concepito non più come luogo di incontro mondano ma quasi come sede di un rito: aboliti i palchi, e quindi il concetto di un uditorio privilegiato, la platea, di forma trapezoidale, restò l'unico spazio destinato al pubblico. La fossa orchestrale fu sostituita da un golfo mistico che sparisce sotto il proscenio e occulta l'orchestra: celando al pubblico la fonte stessa della musica, si ottenne quella separazione tra 'realtà e idealità' che era alla base della mistica wagneriana. Dal punto di vista acustico, le caratteristiche principali sono le grandi quinte che sporgono all'interno della sala e degradano verso il boccascena, con funzione riflettente del suono, e la parete sulla quale si aprono palchi e gallerie, con funzione assorbente. Il golfo mistico, che si articola su sei piani tutti sotto il livello della platea e sul più alto dei quali vi è il podio del direttore, ha le superfici interne rivestite di stucco duro, materiale altamente riflettente. All'ideale wagneriano di offrire al pubblico un ambiente continuo in cui raccogliersi come una comunità omogenea, evitando la dispersione in vari ordini di posti, rispondevano anche il Grosses Schauspielhaus di H. Poelzig a Berlino (1919), il teatro della Werkbund Ausstellung di Colonia (1914) e il teatro dell'esposizione di Parigi del 1925. Al teatro all'italiana si rifacevano invece l'Academy of Music di Filadelfia (1857), il cui modello era il Teatro alla Scala di Milano, e il Teatro dell'Opera di Parigi (1869-75) di C. Garnier, la cui ottima acustica, per riconoscimento dello stesso architetto, fu dovuta soltanto al caso.
Il 20° secolo e le esperienze più recenti
Nel 1895, completata la costruzione del Fogg Art Museum dell'Università di Harvard, la grande sala per le conferenze a forma di anfiteatro risultò avere, contro ogni aspettativa, un'acustica molto scadente. Le autorità universitarie si rivolsero allora alla facoltà di Fisica, che incaricò il suo professore più giovane, W.C. Sabine, di studiare una possibile soluzione. Fu subito chiaro che l'inconveniente era dovuto a un'eccessiva riverberazione, che confondeva il suono. Sabine dedicò quindi le sue ricerche e i suoi esperimenti, durati due decenni, all'elaborazione di una formula matematica che consentisse di stabilire in anticipo, dato il volume di un ambiente e la capacità di assorbimento sonoro del materiale costruttivo, il tempo di riverberazione. Un primo passo avanti fu proprio la definizione di tempo di riverberazione come il tempo che un suono impiega, dopo il suo spegnimento, per ridursi a un milionesimo del suo valore iniziale, cioè per decrescere di 60 dB di livello di intensità.
Assegnato a ciascun materiale edile un coefficiente di assorbimento, rapportando secondo una frazione l'area del materiale a un'area di 'finestre aperte' che avrebbe dato lo stesso valore dell'assorbimento sonoro in una stanza (essendo la finestra equivalente a un'area con valore dell'assorbimento eguale a 1), Sabine fu in grado di esprimere il tempo di riverberazione (RT) mediante un'equazione matematica:
Le teorie di Sabine furono messe alla prova nella progettazione di un auditorio, la Symphony Hall di Boston (1900), che resta ancora oggi una delle sale da concerto con la migliore acustica al mondo. Il modello fu quello del Gewandhaus di Lipsia, il cui tempo di riverberazione era di 2 s alle medie frequenze, ma la nuova sala doveva ospitare 2600 posti, circa il 70% in più dei 1560 dell'auditorio di Lipsia, e inoltre prevedeva due e non una balconata, con un soffitto più alto e un volume maggiore. Sabine riuscì comunque a ottenere ottimi valori di riverberazione (1,8 s) adottando opportuni accorgimenti: le balconate erano poco profonde per evitare riflessioni sonore, mentre il soffitto profondamente cassettonato e le nicchie aperte sulle pareti aiutavano la diffusione.
Nel 1923 F.R. Watson, in Acoustics of buildings, esponeva le conclusioni dei suoi studi: a suo parere, praticamente tutti i difetti acustici degli auditori erano dovuti al suono riflesso, e quindi era raccomandabile, nella progettazione, ridurlo fino ad avvicinarlo ai valori misurabili all'aperto. Inoltre, occorreva adottare superfici riflettenti vicine, che consentissero ai musicisti di 'ascoltarsi'. Sulla base delle teorie di Watson furono progettate molte delle grandi sale da concerto nordamericane degli anni Trenta e Quaranta, come la Severance Hall di Cleveland (1930) o l'Auditorium dell'Indiana University di Bloomington (1941).
Negli anni Venti e Trenta i progettisti europei ritenevano che tutte le superfici, sia le pareti sia il soffitto, dovessero rinforzare efficacemente il suono diretto con la riflessione, e utilizzavano un diagramma geometrico per studiare la forma della sala in modo che il suono si 'allargasse' verso le ultime file. Questo modello di auditorio dal 'suono condotto', con il suo profilo svasato sullo stesso principio della tromba dei primi fonografi, pur mancando di risonanza - dal momento che il suono veniva incanalato direttamente verso il pubblico fonoassorbente - garantiva una qualità sonora piuttosto buona, 'viva' ad alta fedeltà, paragonabile al risultato prodotto da un buon altoparlante in una stanza con le pareti foderate di tappezzeria.
La prima sala realmente costruita sul principio del 'suono condotto' fu la Salle Pleyel di Parigi (1927), che si rivelò però un disastro (anche se nel 1928 i difetti acustici furono in parte ridotti con opportuni accorgimenti): il suono veniva incanalato in modo così efficiente dalle pareti levigate e svasate e dal soffitto verso le ultime file, che i musicisti non riuscivano a sentirsi tra di loro; inoltre, la parte anteriore della sala riceveva un suono debolissimo. Infine, la parete di fondo e le parti anteriori delle balconate riflettevano il suono, indirizzandolo verso la parte anteriore della sala: i musicisti, quindi, udivano il loro stesso suono, che aveva percorso circa 80 m, con un ritardo di oltre un quinto di secondo e cioè sotto forma di eco.
Altre due grandi auditori progettati sul principio del 'suono condotto' restano invece, ancora oggi, fra le migliore sale da concerto: la Philarmonic Hall di Liverpool (1939) e la Kleinhans Music Hall di Buffalo (1940). Entrambe, sebbene il tempo di riverberazione sia veramente molto breve, hanno un'acustica piacevole e intima, ad alta fedeltà.
La prima grande sala da concerto costruita dopo la Seconda guerra mondiale fu la Royal Festival Hall di Londra (1951), concepita come un uovo in un contenitore di vetro. La struttura esterna, oltre a creare spazio per il foyer, funge da barriera acustica contro il rumore del traffico. La scarsa riverberazione causava un'estrema chiarezza musicale priva di pienezza tonale. Questa acustica piuttosto 'dura' era adatta alla musica da camera ma si prestava molto meno alle grandi orchestrazioni dei compositori tardo-romantici. Negli anni Sessanta, dunque, fu aggiunto un impianto regolabile di amplificazione elettronica, che aumentò il tempo di riverberazione fino al 50%.
Gli studi in campo acustico si indirizzarono sempre più verso la ricerca di soluzioni architettoniche che consentissero di aumentare la riverberazione, mantenendo però un'ampia percentuale di suono diretto (o riflesso una sola volta) per tutti i posti a sedere. Uno degli esempi più riusciti è il Tanglewood Music Shed di Lenox, Massachusetts (1959), il cui progetto originale, poi modificato, si deve all'architetto E. Saarinen. Il soffitto a pannelli sospesi, che sovrasta l'orchestra e il primo terzo della sala, è studiato in modo da risolvere gli sbilanciamenti acustici fra i vari elementi dell'orchestra. Questo auditorio, costruito per l'ascolto di musica sinfonica, da camera e corale, ha una pianta a ventaglio molto sviluppata in larghezza.
Lo stesso modello di pianta a ventaglio allargato, anche se di proporzioni minori, è tipico della produzione del finlandese A. Aalto, uno degli architetti del dopoguerra più coinvolto in progetti di sale da musica. I suoi auditori, come la Kultuuritalo (1957) e la Finlandia Concert Hall (1967-71) di Helsinki, hanno una buona acustica, nonostante i problemi posti dal fatto che le pareti laterali strombate dirigono il suono riflesso verso il fondo e richiedono perciò l'adozione di un soffitto basso, che rifletta le onde sonore, ma che determina anche un volume modesto della sala e di conseguenza un breve tempo di riverberazione.
La Beethovenhalle di Bonn (1959) presenta come particolarità il soffitto costituito da 1760 elementi acustici in rilievo (con sezioni prevalentemente triangolari e semicilindriche), atti non solo a diffondere il suono, ma anche ad assorbirlo.
La Sydney Opera House, con i due auditori affiancati che si stagliano sullo spettacolare sfondo dell'Harbour Bridge, si deve al progetto del danese J. Utzon, vincitore del concorso tenuto nel 1955-56. L'architetto si dimise nel 1965, con i problemi strutturali ormai risolti e l'esterno quasi terminato, travolto dalle polemiche per l'enorme lievitare dei costi rispetto al preventivo. I lavori per il completamento dell'interno portarono a un risultato molto diverso dal progetto originale; l'acustica è comunque di buona qualità.
Nel 1956 prendeva il via il progetto del Lincoln Center for the Performing Arts di New York, voluto dal presidente D. Eisenhower e nel quale furono coinvolti i maggiori architetti del momento. Il complesso accoglie una serie di moderni edifici neoclassici disposti in modo regolare attorno a una piazza aperta: la Metropolitan Opera House (1962-66), la Philarmonic Hall (1962), il New York State Theater (1962-64), il Vivian Beaumont Theater (1965) e la Julliard School of Music (1968). La Philarmonic Hall, la cui progettazione acustica fu affidata, tra gli altri, a L. Beranek (il quale espose le ricerche condotte sulle migliori sale da concerto del mondo in un libro divenuto poi un classico: Music, acoustics and architecture, New York, 1962), fu il primo edificio a essere completato e quello che presentò più problemi: il concerto inaugurale si rivelò un disastro dal punto di vista dell'acustica. Dopo una serie di inutili modifiche, l'interno fu totalmente rifatto in base alle indicazioni acustiche di C.M. Harris, e l'auditorio fu riaperto nel 1976 come Avery Fisher Hall, una tipica sala da concerto moderna ad alta fedeltà dell'America Settentrionale.
Gli auditori ad acustica modificabile. - Nel corso del 20° secolo, le esigenze economiche non hanno soltanto provocato un ingrandimento degli auditori, specialmente negli Stati Uniti, ma hanno anche richiesto che fossero utilizzati il più spesso possibile. La loro acustica è stata perciò ulteriormente modificata dalla necessità di servire a diversi scopi, conciliando linguaggio e musica di ogni tipo: concerti sinfonici, lirica, musica da camera, jazz, conferenze, riunioni, discussioni pubbliche, cinema ecc. Inoltre il pubblico, con la diffusione del fonografo, diveniva sempre più esigente dal punto di vista della qualità acustica. Soprattutto negli anni Sessanta invalse l'uso di adottare espedienti di vario genere per trasformare estemporaneamente la resa acustica delle sale da musica, adattandola ai diversi stili: se il teatro d'opera settecentesco richiedeva tempi di riverberazione di poco superiori a 1 s, la musica sinfonica ottocentesca rendeva al meglio con un tempo di riverberazione di 2 s. La variabilità di resa acustica veniva ottenuta o meccanicamente, usando, singolarmente o insieme, buratti o tendaggi fonoassorbenti retrattili e superfici riflettenti modificabili; oppure elettronicamente, utilizzando un sistema di altoparlanti. Il primo grande auditorio multiforme polivalente degli Stati Uniti fu la Jesse H. Jones Hall for the Performing Art di Houston (1966). L'adattabilità acustica di sale più tarde è stata ottenuta in modo più semplice e sfruttata più facilmente: nella Royal Concert Hall di Nottingham (1982) è stato montato, sopra il palcoscenico, un gigantesco pannello fonoassorbente retrattile; nella Roy Thomson Hall di Toronto (1982), il tempo di riverberazione è modificabile da 2,5 a 1,5 s per mezzo di una serie di cilindri di feltro collocati in scanalature radiali del soffitto tra barre di acciaio inossidabile tese come i raggi della ruota di una bicicletta che sostengono un mozzo centrale dove sono collocati l'illuminazione e gli sbocchi dell'aria condizionata. A posteriori, comunque, si può senz'altro affermare che la variabilità delle sale miste è stata in realtà molto poco o per niente utilizzata per migliorare, sia pure lievemente, la resa acustica dei diversi tipi di musica.
Gli auditori a pianta centralizzata. - L'introduzione dei diversi mezzi tecnologici di registrazione e riproduzione della musica ha portato all'esigenza di individuare nuove motivazioni per valorizzare l'esecuzione dal vivo, tra le quali la possibilità di un contatto 'intimo' con gli esecutori. Questo principio trova la sua espressione nella pianta del teatro o dell'auditorio 'a tutto tondo', dove l'orchestra è circondata da ogni parte dal pubblico. La prima sala di questa tipologia fu la Philharmonie di Berlino (1956-63), seguita per es. dal Musickcentrum Vredenburg di Utrecht (1977). Lo svantaggio degli auditori a pianta centralizzata è che il suono che giunge agli spettatori seduti dietro all'orchestra non è equilibrato, data la natura direzionale di alcuni strumenti, come per es. la tromba oppure la stessa voce umana.
Gli ambienti per la sperimentazione musicale. - Alcuni compositori contemporanei hanno utilizzato l'elemento tridimensionale dello spazio nella loro musica. Un esempio notissimo è quello del Padiglione della Germania Occidentale alla Fiera Mondiale di Osaka, costruito appositamente, su puntuali indicazioni dell'artista, per eseguirvi la musica di Karlheinz Stockhausen, una musica 'multidirezionale'. L'auditorio aveva una struttura sferica, un pavimento acusticamente trasparente appoggiato al centro della sfera, e cinquanta altoparlanti che circondavano il pubblico da ogni parte, anche da sotto il pavimento. Un congegno azionato manualmente costringeva il suono a passare da un altoparlante all'altro, dando la sensazione del suono che ruota attorno al pubblico in circoli orizzontali, verticali o diagonali, in senso orario o antiorario, che si avvolge a spirale attorno all'edificio. Nella costruzione sferica di Stockhausen, i suoni si muovono nello spazio attorno all'ascoltatore seduto sulla sua sedia, dandogli una sensazione liberata e fluttuante quando percettivamente si collega e si muove con i suoni: l'ascoltatore cessa di avere un unico punto di vista nei confronti della musica.
L'Espace de projection dell'IRCAM (Institut de Recherche et Coordination Acoustique/Musique) di Parigi, realizzato su progetto di R. Piano e R. Rogers (1974-77) e aperto nel 1978, è stato concepito per comunicare al pubblico i risultati del lavoro e delle esperienze acustiche realizzate nei cinque dipartimenti che costituiscono l'IRCAM stesso. La sala ha forma di parallelepipedo di base 27x15 m e di altezza 15 m ed è situata sotto il livello della piazza Beaubourg, per garantire un ottimale isolamento acustico. L'interno può essere completamente trasformato e assume le forme più varie grazie alla mobilità delle pareti laterali, del soffitto e del pavimento in funzione acustica: la loro diversa posizione, oltre a mutare la volumetria della sala, introduce materiali differenti attraverso l'utilizzo di prismi girevoli. Le tre facce di ogni prisma corrispondono a: una superficie piana, che riflette il suono; una superficie concava, che riflette e diffonde il suono; e una superficie predisposta per l'installazione di diversi tipi di pannelli acustici assorbenti (per le basse oppure per le alte frequenze). Le combinazioni acustiche sono multiple, se si tiene conto delle sette possibili posizioni che può assumere ogni prisma a seconda delle direzioni in cui si orienta, e di tutte le altre varianti offerte dalla mobilità del soffitto; in questo modo, ogni singola composizione musicale può trovare in questo spazio la sua propria acustica.