Hepburn, Audrey
Nome d'arte di Edda van Heemstra Hepburn-Ruston, attrice teatrale e cinematografica, nata a Bruxelles il 4 maggio 1929, da padre inglese e madre neerlandese, e morta a Tolochenaz (Losanna) il 20 gennaio 1993. È stata una delle attrici più amate della storia del cinema, presa a modello da milioni di donne, sia in Europa sia negli Stati Uniti, per la grazia con cui seppe offrire un impareggiabile esempio di eleganza in un'epoca segnata dal trionfo delle maggiorate fisiche. Filiforme e androgina, e al tempo stesso squisitamente femminile, divenne indimenticabile per l'intenso sguardo in cui trapelavano un'innata allegria e una malinconia misteriosa. I ruoli interpretati, con cui contribuì a rinverdire i fasti della sophisticated comedy hollywoodiana, eccellendo però anche nel genere drammatico, la mostrarono di volta in volta sbarazzina e toccante, vulnerabile e indipendente, struggente e spiritosa. Seppe comporre una filmografia assai meditata e oscurata da pochi errori, lavorando complessivamente per un numero ristretto di registi (in particolare, tre volte con William Wyler, due con Billy Wilder e tre con Stanley Donen), che ne esaltarono il fascino, e ottenendo un Oscar nel 1954 per il suo primo film americano, Roman holiday (1953; Vacanze romane) di Wyler, e successivamente altre quattro nominations.
Bambina introversa e taciturna, allo scoppio del secondo conflitto mondiale dal Belgio riparò nei Paesi Bassi, dove studiò danza presso l'Arnheim Conservatory of Music. Sotto l'occupazione nazista, oltre a patire la fame e soffrire di una grave forma di anemia, vide il fratellastro rinchiuso in un campo di lavoro e lo zio e il cugino fucilati dagli invasori come nemici del Terzo Reich. Dopo la liberazione si recò con la madre a Londra, dove continuò gli studi di danza classica presso la scuola di M. Rambert. Qui esordì nel 1948 all'Hippodrome Theatre nello spettacolo High button shoes di Stephen Longstreet e nel 1949 recitò nella rivista Sauce tartare di Cecil Landeau, che andò in scena al Cambridge Theatre. Nel 1951 debuttò nel cinema come comparsa nel film One wild oat di Charles Saunders. Nello stesso anno rivestì il ruolo di una maliziosa sigaraia in Laughter in Paradise (Risate in paradiso) di Mario Zampi e fece una brevissima apparizione in The Lavender hill mob (L'incredibile avventura di Mr Holland) di Charles Crichton. Nello stesso periodo il regista Mervyn LeRoy la sottopose a un provino per la parte di Licia in Quo vadis (1951), preferendole tuttavia la più affermata Deborah Kerr; apprezzamenti le giunsero invece da parte della critica per l'interpretazione della ballerina Nora in Secret people (1951) di Thorold Dickinson. Nello stesso anno si era frattanto recata sulla riviera francese per girare un film in due versioni, francese e inglese, rispettivamente intitolate Nous irons à Monte-Carlo e Monte Carlo baby (Vacanze a Montecarlo), dirette entrambe da Jean Boyer e uscite nel 1952. Qui fu notata dalla famosa scrittrice Colette, che riconobbe in lei l'interprete ideale della versione musicale di Gigi, in allestimento a Broadway, e la segnalò tempestivamente ad Anita Loos, che aveva scritto l'adattamento teatrale del suo romanzo. Convocata a New York per un provino, ottenne il ruolo, dimostrando di saper recitare, cantare e danzare. Lo spettacolo si rivelò un autentico trionfo. La Paramount Pictures le offrì così di affiancare Gregory Peck in Roman holiday. Il ruolo della principessa Anne, tenera e commovente nella sua vana ribellione alla rigida etichetta di corte, risultò perfetto per lei. Raggiunta la fama internazionale, fu diretta da B. Wilder in Sabrina (1954), con cui ottenne l'anno seguente una seconda nomination all'Oscar e ove ribadì la sua capacità di miscelare effervescenza e disincanto interpretando la figlia di un autista contesa dai due rampolli di un magnate: uno fatuo (William Holden), l'altro burbero e scostante (Humphrey Bogart). Vestita dallo stilista Hubert de Givenchy, divenne l'emblema di un nuovo tipo di donna, insieme raffinato e semplice, assolutamente inconfondibile. Sempre nel 1954 trionfò nuovamente in teatro con Ondine di J. Giraudoux (che le valse un Tony Award), affiancata da Mel Ferrer che nello stesso anno divenne suo marito. King Vidor le propose poi d'impersonare la trepida Natasha in War and peace (1955; Guerra e pace), dall'omonimo romanzo di L.N. Tolstoj. Divenuta una delle dive più famose del mondo, danzò con Fred Astaire in Funny face (1957; Cenerentola a Parigi) di S. Donen, nel ruolo della commessa di una libreria del Greenwich Village. Ancora nel 1957 apparve insieme al marito nella versione televisiva di Mayerling di Anatole Litvak: nel tragico ruolo di Maria Vetsera, uccisa dall'amante Rodolfo d'Asburgo, poi morto suicida, riscosse per la prima volta critiche tiepide. Il successivo Love in the afternoon (1957; Arianna), ancora di Wilder (che l'apprezzò particolarmente, ricordandola nell'autobiografia per il suo senso dell'umorismo genuino e spesso salace), non ebbe lo stesso impatto di Sabrina, forse per la presenza di un Gary Cooper troppo invecchiato, che pure arricchisce di segrete sfumature d'amarezza l'innamoramento di una ragazza romantica per un attempato e cinico uomo di mondo. Due anni dopo commise l'errore di farsi dirigere da Mel Ferrer in Green mansions (Verdi dimore), nel ruolo di Rima, diafana creatura dei boschi: il film si rivelò infatti un insuccesso artistico e commerciale. La H. però si prese ben presto la rivincita ottenendo una terza candidatura all'Oscar per The nun's story (1959; Storia di una monaca) di Fred Zinnemann, in cui è Gabrielle, una giovane belga che si fa suora, per poi opporsi alle soffocanti regole del suo ordine. Fu quindi al fianco di Burt Lancaster nel western The unforgiven (1960; Gli inesorabili) di John Huston, nel tormentato ruolo di Rachel, indiana Kiowa raccolta dai bianchi e costretta, in un'indimenticabile sequenza, a sparare al fratello pellerossa che vorrebbe strapparla alla sua famiglia adottiva. La quarta nomination all'Oscar e un successo immenso giunsero con la commedia dolceamara Breakfast at Tiffany's (1961; Colazione da Tiffany) di Blake Edwards, in cui è l'amorale ma incantevole Holly Golightly, ideata da T. Capote. Questo personaggio è rimasto il più emblematico tra quelli interpretati dall'attrice per la sua capacità di immedesimarvisi e di delineare con perfetta sensibilità la personalità di un'orfana dal passato difficile, che paga la propria ansia di libertà con una dolorosa solitudine, tuffandosi in un'esistenza fatua e inconcludente quasi a rafforzare i pregiudizi maschili sulla sua spregiudicatezza. Fu quindi Karen, dallo sguardo limpido e severo, ignaro oggetto d'amore dell'amica Martha (Shirley MacLaine) in The children's hour (1961; Quelle due) di W. Wyler, tratto dall'intenso dramma teatrale di L. Hellman. Nelle vesti di Regina Lampert, giovane vedova in pericolo, formò una coppia d'assoluta armonia con Cary Grant in Charade (1963; Sciarada), felice contaminazione di commedia e thriller, diretta da Donen. L'anno successivo tornò a recitare con William Holden, già suo partner in Sabrina, nel movimentato Paris when it sizzles (Insieme a Parigi) di Richard Quine, rifacimento del più riuscito La fête à Henriette (1952) di Julien Duvivier, di cui viene replicata la formula del 'film nel film'. Studiò quindi a fondo il dialetto cockney per interpretare in modo credibile la fioraia Eliza Doolittle destinata a divenire una raffinata signora per opera del professor Higgins (Rex Harrison) in My fair lady (1964) di George Cukor, dalla commedia musicale di F. Loewe e A.J. Lerner ispirata a Pygmalion di G.B. Shaw. Tornò in seguito a farsi dirigere da Wyler in How to steal a million (1966; Come rubare un milione di dollari), ma la critica rimase fredda. Rifiutato un film di Alfred Hitchcock, preferì apparire in Two for the road (1966; Due per la strada), ancora di Donen, in cui offrì una delle sue più intense interpretazioni, quella di una moglie in crisi, la cui disillusione è così convincente da far sospettare che vi affiorino elementi autobiografici. Fu poi la volta di Wait until dark (1967; Gli occhi della notte), efficace thriller prodotto da Mel Ferrer e diretto da Terence Young, in cui è una non vedente, Susy, minacciata da un bieco criminale, film che le fruttò la quinta candidatura all'Oscar. Stabilitasi a Roma per vivere accanto al secondo marito, tornò a lavorare per il cinema solo occasionalmente. Nel 1976 interpretò Robin and Marian (Robin e Marian) di Richard Lester, con Sean Connery, entrambi perfetti nel disegnare i due amanti, invecchiati tra cinismo e rimpianti. Recitò poi in un altro thriller di Young, Bloodline (1979; Linea di sangue), che uno sfavillante cast, comprendente anche Romy Schneider e Ben Gazzara, non salvò dall'insuccesso. Tornò a Hollywood per interpretare il ruolo di Angela in They all laughed (1981; …e tutti risero) di Peter Bogdanovich, in cui appare stanca e delusa, con lo sguardo velato e dolente. Indossò infine le vesti di un angelo in Always (1989; Always ‒ Per sempre) di Steven Spielberg, con cui disse addio al cinema. Dal 1988 al 1993, anno della sua morte, fu ambasciatrice dell'UNICEF e si recò spesso in Africa. La fine dell'attrice suscitò sincera commozione in tutto il mondo: da allora il suo mito non cessa di esercitare il proprio richiamo e migliaia di visitatori continuano a rendere omaggio al piccolo museo a lei intitolato, nei pressi di Losanna.
S. Viotti, Britain's Hepburn, in "Film and filming", November 1954.
N. Stresau, Audrey Hepburn: ihre Filme, ihr Leben, München 1985.
I. Woodward, Audrey Hepburn, Thorndike (ME) 1985.
D. Maychick, Audrey Hepburn: an intimate portrait, Seacus (NJ) 1993.
G.W. Harris, Audrey Hepburn: a biography, Accord (MA) 1994.
D. Hofstede, Audrey Hepburn: a bio-bibliography, Westport (CN) 1994.
R. Karney, A star danced: the life of Audrey Hepburn, London 1994.
B. Parry, Audrey Hepburn, New York 1996.