AUGUSTA (ted. Augsburg; nell'alto Medioevo Augstburg; A. T., 56-57)
Città della Baviera, capoluogo del distretto di Svevia (Schwaben), è l'antica Augusta Vindelicum (Vindelicorum) fondata nel 15 a. C. dopo le vittorie di Druso sui Vindelici, e importante punto d'incrocio di molte vie romane. Posta su un terrazzo a monte della confluenza del Wertach nel Lech (che scende dalle Prealpi Bavaresi ed è affluente di destra del Danubio), alta sul mare 495 metri, ha perduto l'importanza commerciale che l'aveva fatta una delle città più ricche del sec. XVI e che era dovuta alla sua funzione di intermediaria tra l'Europa centrale e settentrionale e il Levante attraverso l'Italia (Monaco le si è sostituita quando nel secolo scorso il commercio attraverso Venezia ha ripreso importanza), ma si è accresciuta di recente in modo notevole per lo sviluppo industriale, specie tessile ("la Manchester tedesca"), che del resto era stato in auge anche nel passato, ma che ha avuto grande incremento per la possibilità di usufruire di copiose forze idriche.
La mancanza d'un piano regolare, che è invece comune alle città fondate dai romani al tempo di Augusto, ci fa supporre che esistesse già un centro precedente. La pianta della città del sec. XVI, che aveva il suo centro nel municipio e che è caratterizzata da strade piuttosto strette e da ricchi edifizî pubblici e privati, è ancora ben riconoscibile in quanto la città era circondata da mura e da fossati che nella parte orientale tuttora sussistono (da sud verso nord: Rotertor-, Jakober-, Oblatterwall), come pure sussistono le antiche porte (Roter, Jakober, Vogel, Stephinger Tor). Invece negli altri lati della città i bastioni sono stati sostituiti con strade (Kaiser, Fugger, Volkhart Strasse) e giardini. La città aveva forma piuttosto allungata nella direzione nord-sud, dovendosi adattare alla V formata dal Lech e dal Wertach. Le vie Carolina e Massimiliano dividevano nel senso della lunghezza la città in due parti quasi eguali. La parte antica è ben riconoscibile anche perché nel 1781 venne divisa in nove quartieri denominati dalle prime lettere dell'alfabeto (B, D, F sulla sinistra; A, C, E, G, H sulla destra); in essi la numerazione viene fatta per quartiere e non per via. Lo sviluppo edilizio successivo, connesso alla nuova vita industriale di Augusta, ha fatto estendere il piano di essa specialmente verso occidente: mentre infatti presso il Lech le vecchie mura chiudono ancora spazî deserti, dalla parte opposta la cinta fu distrutta e sono stati costruiti molti nuovi quartieri. In seguito sono stati aggregati alla città i sobborghi di Oberhausen, Pfersee, Meringerau, Lechhausen, Hochzoll, Kriegshaber. Queste nuove parti della città vengono abbreviatamente indicate West-End Sud-End, Ost-End, Nord-End a seconda della loro situazione. Sono riconoscibili anche perché in esse le vie hanno una numerazione propria. Mentre il piano topografico della città ha uno sviluppo continuativo, nelle cifre relative alla popolazione di Augusta troviamo dei forti sbalzi connessi alla storia economica non solo della città, ma di tutta Europa. Anche se prescindiamo dalla cifra di 10 mila abitanti, attribuitale dall'Ohlenschlager, nel sec. III, nel 1475 la città contava 18 mila abitanti, che erano già saliti a 55-60 mila un secolo dopo; il massimo deve essere stato raggiunto intorno al 1590, nel quale anno il numero degli operai addetti alla tessitura ascendeva a 11 mila. Dopo l'inizio della guerra dei Trent'anni, nel 1620, gli abitanti diminuiscono a 45 mila e successivamente, nel 1645, a 21.018. Nel 1703 il numero sale a 26.300, nel 1792 a 36 mila. Le guerre napoleoniche non mancano di far sentire la loro influenza: nel 1812 gli abitanti diminuiscono ancora a 27.800, nel 1818 sono 29.800. Da allora il loro numero è andato costantemente aumentando: nel 1871 sono già 50 mila, nel 1890 80 mila, nel 1910 (dopo l'aggregazione dei sobborghi) 147 mila. Il censimento del giugno 1925 ne ha contati 163.196. Per un terzo essi sono protestanti.
Mentre un tempo Augusta aveva importanza industriale e commerciale insieme, attualmente ha solo importanza industriale. Grandi edifici pubblici (la sala dorata del Municipio adornata nel 1615-20 è una delle più belle della Germania), ricche fontane (di Augusto, 1594; di Ercole, 1602), numerose belle chiese, case private dipinte anche esternamente (basti ricordare fra tutte la Fuggerhaus) sono le eredità del tempo in cui i banchieri di Augusta erano i più ricchi del mondo e Fugger prestava forti somme a Carlo V e costruiva una piccola città per i suoi operai (la Fuggerei, che è composta di 53 case con 106 abitazioni) e Welser armava una flotta per conquistare il Venezuela. La vita industriale odierna della città è basata su 70 grandi stabilimenti che si dedicano per buona parte alla tessitura del cotone e che sono localizzati in maggioranza nei quartieri posti a nord-est e sud-est della città. Il numero complessivo dei fusi si aggira sugli 800 mila, quello dei telai sui 12 mila. Le maggiori fabbriche sono le seguenti: Baumwollspinnerei am Stadtbach, Mechanische Baumwollspinnerei und Weberei, Spinnerei Wertach, Baumwollspinnerei Senkelbach, Mechanische Weberei Senkelbach, Haunstetter Spinnerei und Weberei. L'industria metallurgica ha origini del tutto recenti e consiste soprattutto in fabbriche di ghisa e di strumenti agricoli. La maggiore impresa è la Werk Augsburg della Maschinenfabrik Augsburg-Nürnberg che conta circa 6 mila operai.
Fra gli immediati dintorni è da ricordare Gögginger (con grande fabbrica di macchine da cucire) e il castello di Wellenburg (dei Fugger).
Bibl.: J. Grassmann, Entwicklung der Augsburger Industrie, Augusta 1894; Probst e Müllegger, Augsburg in Bild und Wort, Augusta 1897; Riehl, Augsburg, Lipsia 1903.
Monumenti. - Augusta Vindelicorum, munita dai Romani di un castello, fu grande colonia civile, ma dei suoi edifizî non esiste nessun avanzo; invece, copiosi oggetti di scavo sono raccolti nel museo. Durante le invasioni barbariche la città fu occupata dagli Alemanni. La parte più antica della città medievale occupava il sito dell'antico castello intorno al duomo. Questo edificio basilicale a pilastri, costruito negli anni 994-1065 e appartenente perciò alla prima epoca romanica, in origine probabilmente aveva due cori, con cripta e transetto a ponente, e due torri a levante; il coro di ponente fu ricostruito nel 1286, quello di levante per opera dei Parler dal 1331 in poi. La chiesa è notevole anche per diverse opere d'arte importanti, quali i battenti della porta, in bronzo, del principio del sec. XI; il seggio episcopale nel coro di ponente; le cosiddette "finestre dei profeti" nel lato meridionale della navata maggiore, esempio cospicuo dell'antica pittura tedesca su vetro (circa 1065); e le porte del coro, riccamente decorate con sculture degli anni 1343 e 1365. Pale d'altare di Holbein il vecchio e dello Stocker, trasportate da chiese vicine, sono state collocate nella navata maggiore. Immediatamente a nord del duomo si trova il chiostro, con gran numero di tombe dal sec. XIV al XVI. Altri edifizî religiosi notevoli sono: St. Peter am Perlach (1182), chiesa romanica a logge; all'estremità meridionale della città, il gran convento benedettino di S. Ulrico, con la chiesa ricostruita da Burkhardt Engelberg dal 1474 al 1500 in stile gotico avanzato, e dove si notano anzitutto le tre immense pale d'altare di Johann Degler (1604-1607), e, nella cappella della Lumaca (Schneckenkapelle), i quadri della leggenda di S. Ulrico, opera del sec. XV; Sant'Anna (1321-1497), col coro fatto costruire dai Fugger e decorato principalmente da Adolf Paucher e Joerg Breu, e con la cappella degli Orefici riccamente dipinta circa il 1400; la chiesa dei Domenicani, con due navate di eguale altezza (1512-1515); la chiesa della Croce, di tarda epoca gotica, anch'essa a tre navate di uguale altezza, rimodernata da Herkomer (1716-1719) in stile barocco, con pitture di Bergmüler; e San Maurizio, costruzione della metà del Quattrocento.
L'impressione che si riceve oggi dalla città interna è data soprattutto dai grandi fabbricati moderni, opera dell'architetto municipale di Augusta, Elias Holh quali il Rathaus (Palazzo di città) costruito dal 1615 al 1620, grande edificio cubico con due frontoni, due torri, e, dentro, la ricca Sala d'Oro; il Berkenhaus, lo Zeughaus (l'arsenale), il Neuer Bau (Palazzo Nuovo), ecc. Anche le porte della città furono in gran parte ricostruite dal Holl; ed esiste ancora la cosiddetta Porta Rossa. La vecchia città di Augusta, presso la quale scorrono alcuni bracci del Lech, è ancora ben conservata.
Ma la vecchia casa dei Fugger, nella Maximiliansstrasse, ha l'esterno rimodernato con affreschi di F. Wagner (1860-1863).
Augusta possiede tre musei principali. La Staatliche Gemäldegalerie (nella chiesa di S. Caterina), che contiene una notevole raccolta di opere della vecchia scuola tedesca (specialmente di H. Holbein il vecchio e di H. Burgkmair) ed una di pitture dei piccoli maestri fiamminghi, mentre un cospicuo nucleo di dipinti di scuola italiana (Jacopo de' Barbari, Francesco Torbido, Jacopo Bassano, Parmigianino, Tintoretto) sono stati portati nella Pinacoteca di Monaco. Lo Städtische Maximilians-Museum ha raccolte di oggetti di scavo; di pitture e sculture, tra le quali quelle barocche della Svevia settentrionale; di disegni, medaglie e sigilli; ma specialmente di oggetti di arti industriali e soprattutto di oreficeria, che prosperò in Augusta tanto nel Rinascimento che nel Sei e Settecento. A questo è unito il Museo diocesano che custodisce ricchi tesori di chiese. E finalmente la Städtische Barocksammlung da poco ordinata nella chiesa dei Domenicani.
Storia. - Detta da Tacito (Germ., 41) splendidissima Raetiae provinciae colonia. Importante centro commerciale sull'incrocio delle strade provenienti da Campodunum (oggi Kempten), da Trento per il Brennero e da Vindonissa (oggi Windisch, sulla Reuss) verso Salisburgo, A. ottenne il diritto di cittadinanza dall'imperatore Adriano. Specialmente la via Claudia Augusta, costruita da Druso e ampliata da Claudio, attraverso il passo di Resia, e la strada del Brennero costruita da Settimio Severo, contribuirono al suo sviluppo.
Augusta fu la base strategica per la linea del Danubio, la testa di ponte fortificata a guardia dei passi alpini. La via Claudia Augusta proseguiva fino al Danubio, sul quale i castelli erano collegati da una strada trasversale, fatta sotto Caracalla, la via iuxta amnem Danuvium dal Neckar a Günzburg e oltre, per Ratisbona, fino a Passau. Il praefectus imperiale, quindi il procurator provinciae Raetiae e più tardi il praeses ebbero la loro residenza in Augusta, che non aveva però una guarnigione importante. Numerosi avanzi e scavi offrono testimonianza dell'arte romana (specialmente le pietre sepolcrali nel museo); le indicazioni delle epigrafi permettono di ricostruire una lista degli antichi templi pagani; il Campidoglio era presso la chiesa dei SS. Ulrico e Afra, il Foro presso il duomo. L'odierno tracciato delle strade conserva qualche segno dell'antica struttura della città; sono stati ritrovati anche alcuni resti delle mura romane che rivelano la configurazione irregolare della pianta.
Il cristianesimo penetrò presto in Augusta, già prima di Costantino Magno, come dimostra il martirio di Santa Afra. La comunità cristiana e il suo vescovado non scomparvero con la conquista alemanna. L'opinione, prima prevalente, che la città fosse stata distrutta, è oggi screditata: il dominio passò pacificamente verso il 500 dai Romani ai conquistatori germanici, che a poco a poco si fusero con la popolazione romana della città.
Che il vescovado di Augusta sia sorto già al tempo dei Romani, è provato dal fatto che esso fin poco prima del 591 dipese da Aquileia e soltanto allora venne a contatto con la chiesa dello stato franco (Mansi, X, 466; e cfr. Hauck, Kirchengeschichte Deutschlands, I, 95, nota 3). Dopo il 536 gli Alemanni della Rezia, che da Teodorico in poi facevano parte del regno degli Ostrogoti, furono, in seguito ad accordo, attribuiti al regno dei Franchi. Venanzio Fortunato, che visitò Augusta nel 567, attesta la venerazione di cui era oggetto Santa Afra (Vita S. Martini, IV, 640-643; Mon. Germ., Auct. Ant., IV, 368). Nella prima series episcoporum che abbiamo (Mon. Germ., SS., XIII, 334) e che è del sec. XI mancano i nomi più antichi dell'epoca romana; al vescovo Zosimo (circa 582) segue il nome germanico Perewelf. Il vescovado avrebbe subito un'interruzione dopo la conquista (secondo Krusch, in Neues Archiv, XXVIII, 574 seg.). Il nome germanizzato del castellum romano, Augustburg (nel quale burg = castellum come in Regensburg, Strassburg, ecc.) compare per la prima volta nell'874. Anche quello di Augusta è uno dei vescovadi riorganizzati da Bonifazio d'intesa con Carlomanno, poiché Carlo Martello aveva abolito il ducato alemanno e aveva finito col porre quel popolo alla diretta dipendenza dello stato franco (verso il 740; cfr. Th. Breysig, Karl Martell, Lipsia 1869, p. 60). Le terre del vescovado erano considerevoli (circa 1400 mansi secondo il Capitulare 128, c. 9, Mon. Germ., Cap., I, 252), sebbene normalmente i vescovadi fossero superati dalle grandi abbazie (Lorsch 2000 mansi, S. Gallo 4000, Fulda parecchio di più, St. Germain des Prés 10.000 servi, St. Martin de Tours 20.000).
Augusta fu punto d'appoggio di Carlo Magno nella sua spedizione contro il duca Tassilone di Baviera (787). Il vescovo Witgar (dopo l'862-887) fu prima cancelliere di Lodovico il Germanico e nell'887 fu a capo della cancelleria di Carlo III (il Grosso); il suo successore Adalberto (887-907) fu consigliere di Arnolfo e precettore di Lodovico il Fanciullo. La figura più eminente fra i vescovi di Augusta è quella di Udalrich (Ulrico, 923-973), che fu il primo santo canonizzato da un papa (Giovanni XV, 993). Egli fece cingere di mura la spopolata A., che già Eginardo designa come civitas, ma che comprendeva allora soltanto una parte della città romana; e per questo poté resistere a due assedî degli Ungari, nel 926 e nel 955. La chiesa di Sant'Afra fuori le mura, distrutta dagli Ungari nel 955, fu fatta ricostruire da Ulrico, che vi fu poi sepolto e insieme con Sant'Afra vi fu venerato come compatrono. Quando il duca Liudolfo, figlio di Ottone I il Grande, si ribellò, Ulrico, quasi solo fra i magnati svevi, stette dalla parte di Ottone; Augusta fu allora saccheggiata dai ribelli. Ulrico si distinse specialmente nell'occasione dell'assalto degli Ungari contro Augusta (955), la quale fu liberata da un esercito imperiale condotto da Ottone I. Questi ricompensò la fedele città con speciali segni di favore; ai vescovi conferì il diritto di batter moneta e forse addirittura la signoria della città. I successori di S. Ulrico presero parte ai grandi avvenimenti politici, alcuni in favore, altri contro la politica imperiale. Così Bruno (1006-1029), il fratello di Enrico II e precettore di Enrico III, rimase fedele a Corrado II contro il suo duca, l'infelice Ernesto di Svevia; da questi contrasti Augusta ebbe a soffrire gravi danni, dai quali però presto si riebbe. In quel tempo si attendeva alla ricostruzione della cattedrale crollata nel 994. Più gravi colpi Augusta ricevette nella lotta per le investiture. Nel 1081 Augusta fu assediata inutilmente dal pretendente Ermanno, ma nel 1084 fu presa e guastata, e anche più gravemente nel 1088: e poi altre volte ancora i Bavaresi assalirono Augusta, la presero o ne misero a fuoco i sobborghi. Frattanto dava i primi segni di attività indipendente la borghesia cittadina; essa, come nelle grandi città renane, è partigiana dell'imperatore e sostiene il vescovo Sigfrido (1077-96) nominato da Enrico IV, come, dopo che si furono estinti i Salici, sostiene, contro il nuovo signore Lotario III, gli Hohenstaufen quali continuatori della politica imperiale. L'odio accumulato dai nemici dell'impero contro i fedeli Augustani ebbe modo di sfogarsi allorché il capo dell'opposizione prese la corona. Il vecchio vescovo Ermanno si dolse di una soperchieria dei cittadini contro i suoi diritti, quando l'imperatore Lotario, avviandosi alla sua seconda spedizione in Italia (1132), entrò in Augusta; così successe lo scontro: Lotario fece fare strage dei cittadini e abbandonò Augusta al saccheggio e alla distruzione. Ci volle parecchio, prima che la città riacquistasse l'antica floridezza, ma gli Hohenstaufen, che giunsero al potere nel 1138, la favorirono largamente. In Augusta ebbero luogo importanti convegni e cerimonie: nel 1185 lo sposalizio di Enrico VI con Costanza, erede del trono di Sicilia; nel 1197, nel vicino borgo di Gunzenlê, le nozze del futuro re Filippo di Svevia con la principessa greca Irene. Augusta fu tra le città che sostennero fedelmente Federico II anche dopo la seconda scomunica (1239). Dopo il sec. XII la cittadinanza, fino allora soggetta al vescovo, si era organizzata in una comunità indipendente. Probabilmente Enrico IV conferì ad Augusta una costituzione, che è la fonte del suo più antico statuto comunale, scritto nel 1156: il governo è ancora esercitato da funzionarî del vescovo, e le diverse classi sociali non si sono ancora unite in una comunità, ma nel 1167 Federico I avocò a sé l'ufficio della Vögtei (advocatia) e insediò gli avvocati. I diritti dell'impero si affermavano contro quelli del vescovo. Augusta è chiamata nel 1231 urbs regia. Come le altre città vescovili, anche Augusta sostenne varie lotte contro i suoi vescovi per sottrarsi al loro potere; il vescovo Hartmann di Dillingen (1248-1286) stipulò un accordo nel 1251, e nel 1257 compare un consiglio cittadino (consules). Estintisi nel 1268 gli Hohenstaufen, la città passò sotto la protezione del duca Ludovico di Baviera. Rodolfo di Asburgo avocò nuovamente a sé la Vögtei e nel 1276 dichiarò Augusta città dell'impero, mentre le elargiva il secondo più completo statuto. Augusta rimase costantemente fedele a Ludovico di Baviera nella lotta contro la casa d'Asburgo. Dopo il 1351 la città dovette sostenere duri contrasti col suo vescovo Marquardo di Randegg; frattanto si sviluppava e si rafforzava la sua costituzione cittadina.
In Germania, come in Italia, le città da principio sono governate dalle alte classi aristocratiche. Queste, che in Germania si chiamarono patrizî o Geschlechter (casati), si formarono dai ministeriali del vescovo (gli antichi ufficiali del governo della città) e dai ricchi mercanti. Più tardi le classi democratiche delle arti cercarono di partecipare al governo cittadino. In Augusta quest'opposizione delle arti comincia sul principio del sec. XIV, ma raggiunge il suo intento soltanto nel 1368 con una sommossa. Come in Firenze, le 18 arti così costituite diventano organi politici. E in seguito la città, essendo stata dispensata dall'imperatore Sigismondo anche dalla soggezione ai Vögte imperiali, inaugura col sec. XV una fase di grande sviluppo economico, cui presto segue il periodo aureo dell'arte augustana.
Quei tempi però erano tutt'altro che pacifici. Le città della Svevia cercavano di far fronte agli stati territoriali, che andavano formandosi, e all'impero mediante la lega delle città sveve, alla quale Augusta aderì nel 1379., Del sec. XV è noto il dramma dell'augustana Agnese Bernauer, l'amante del duca Alberto di Baviera, che fu fatta affogare dal padre di lui, duca Ernesto (1435); e non meno nota è l'esecuzione capitale del prepotente e dispotico borgomastro Ulrico Schwarz (1478). L'imperatore Massimiliano ebbe particolari simpatie per Augusta, e dal 1504 in poi venne quasi tutti gli anni a farvi soggiorno. Il nome di Augusta va strettamente connesso con la riforma; qui ebbe luogo il colloquio di Lutero col cardinale Gaetano (1518); in seguito qui si tennero le diete del 1530 (presentazione della Confessio Augustana) e del 1547-48 (Interim augustano), e la dichiarazione della pace religiosa (1555: v. oltre). La città si era convertita nel 1534 alla dottrina luterana e nella guerra di Smalcalda (1546-47) si dichiarò apertamente contro Carlo V, al quale il capitano generale della città, Sebastiano Schärtlin di Burtenbach, voleva tagliare la strada del Brennero; ma la fiacca politica del consiglio cittadino portò alla capitolazione. Lo spietato Asburgo punì duramente Augusta; il governo delle arti, aderenti alla riforma, fu abolito e fu ristabilito quello dei patrizî; e per giunta furono imposti tributi straordinarî. La controriforma condotta dal vescovo Ottone Truchsess di Waldburg creò nuovamente una maggioranza cattolica nella città, dove già il 90% era di protestanti. Nella guerra dei trent'anni, Augusta cadde nelle mani degli Svedesi (1632-35) poi fu assediata da Wrangel nel 1646 senza successo. In questa città fu conchiusa nel 1686 la lega, detta per ciò di Augusta, tra l'Impero, la Spagna, l'Olanda, la Svezia e varî principi tedeschi, chiamata poi la Grande Alleanza, che condusse alla guerra del 1689-1697 (v. alleanza, Guerra della Grande -). Nella guerra per la successione di Spagna cadde in potere dei Bavaresi (1703-4), ma soltanto dopo le vittorie di Napoleone I contro l'Austria e con la conseguente pace di Presburgo (1805) perdette definitivamente il suo carattere di città dell'impero e fu unita alla Baviera.
Augusta si distinse fra tutte le città della Germania del sud per l'attività industriale e commerciale, finché Norimberga non le tolse il primato. Le grandi case di commercio Fugger (v.) e Welser (v.) hanno notorietà universale; queste ed altre case minori ebbero relazioni d'affari con tutta l'Europa occidentale e centrale e, in un primo tempo, anche col Nuovo Mondo. Case di Augusta ebbero le prime piantagioni di zucchero nella Canarie, a San Domingo e nel Venezuela, a cui esse dettero il nome (la piccola Venezia). Ma soprattutto erano interessate nelle operazioni di credito a sovrani o a principi, in parte sostituendosi a banchieri italiani, e larghissima parte ebbero nello sfruttamento delle miniere di argento, rame, piombo, mercurio in Tirolo, Carinzia, Slesia, Spagna.
Augusta fu per un certo periodo centro delle relazioni commerciali con l'Italia e con l'Oriente, relazioni che favorirono l'arte e la scienza. Corrado Peutinger (1465-1547), che dette il nome alla Tabula Peutingeriana (carta stradale romana del sec. III), segretario della città e amico di Massimiliano I, e lo storico Marco Welser (1558-1614) furono i più eminenti umanisti di Augusta; fra i pittori primeggiano Burgkmair e i due Holbein. Dopo la scoperta dell'America e della via marittima per l'India, la prosperità economica e con essa l'attività culturale, dopo un ultimo periodo di rigoglio, cominciarono a decadere, non tanto come conseguenza di questi fatti d'ordine geografico, quanto per le grosse perdite di capitali in Francia, in Spagna, in Olanda, mentre proprio gli Olandesi diventavano i vittoriosi rivali del commercio e del capitale tedesco in generale e di Augusta in particolare. La città riprese nel sec. XIX un fervido sviluppo. Il vescovado fu secolarizzato nel 1803, fu ristabilito nel 1817, e poi definitivamente nel 1821.
Bibl.: Fonti: C. Meyer, Urkundenbuch der Stadt A. (fino al 1399), voll. 2, Augusta 1874-78; Chroniken der deutschen Städte, IV, V, XXII, XXIII, XXV, Lipsia 1865, 1866, 1892, 1894, 1896; Annales Augustenses, in Mon. Germ., SS., III. Storie generali: C. Jäger, Geschichte von A., 2ª ed., Augusta 1862; L. Werner, Geschichte der Stadt A., Augusta 1900; C. Meyer, Geschichte der Stadt A., Tubinga 1907. Per l'età romana: Pauly-Wissowa, Altertumswiss., II, col. 2348, seg.; F. Ohlenschlager, Römische Überreste in Bayern, I-III, Monaco 1903-10; W. Cartellieri, Die römischen Alpenstrassen über den Brenner, Reschen-Scheideck und Plöckenpass, in Real-Encycl. d. class. Philologus, suppl. vol. XVIII, Lipsia 1926, fasc. 1° (su Augusta v. pp. 50-51, 150-56); F. Wagner, Die Römer in Bayern, 2ª ed., Monaco 1927.
Sulla continuità della vita in Augusta sotto gli Alemanni: A. Dopsch, Wirtschaftliche und soziale Grundlagen der europäischen Kulturentwicklung aus der Zeit von Caesar bis auf Karl den Grossen, 2ª ed., I, Vienna 1923, pp. 164-67.
Sul vescovado: A. Hauck, Kirchengeschischte Deutschlands, I, 3ª-4ª ed., Lipsia 1904; P. Braun, Geschichte der Bischöfe von A., voll. 4, Augusta 1813-29; A. von Steichele e A. Schröder, Das Bisthum A. historisch u. statistisch beschrieben, voll. 6, Augusta 1861-1903; Streber, in Wetzer e Welte, Kirchenlexikon, 2ª ed., I, Friburgo in B. 1882, pp. 1618-1642; Vita S. Udalrici, in Monumenta Germ., SS., IV.
Sulla costituzione: F. Keutgen, Urkunden zur städtischen Verfassungsgeschichte, voll. 2, Berlino 1899-1901; C. Meyer, Das Stadtbuch von A. insbesondere das Stadtrecht von 1276, Augusta 1872; E. Berner, Zur Verfassungsgeschichte der Stadt A., Breslavia 1879.
Sulla Riforma, l'Umanesimo, l'arte e il commercio in Augusta: F. Roth, Augsburgs Reformationsgeschichte 1517-27, voll. 2, 2ª ed., Monaco 1901-03; 1555 und 1648, Tubinga 1896; A. Buff, Augsburg in der Renaissancezeit, Bamberg 1893; C. Meyer, Eine deutsche Stadt im Zeitalter des Humanismus und der Renaissance, in Sammlung gemeinverständlicher wissenschaftlicher Vorträge, Neue Folge, s. 6ª, Amburgo 1891, fasc. 122; Kempf, Alt Augsburg, in Stätten der Kultur, 3ª ed., Lipsia, 1924; B. Riehl, Augsburg, in Berühmte Kunststätten, Lipsia 1903; A. Schröder, Die Domkirche zu Augsburg, Augusta 1900; J. M. Friesenegger, Die St. Ulrichs-Kirche in Augsburg, Augusta 1900; P. Braun, Geschichte der Kirche und des Stiftes der heiligen Ulrich und Afra in Augsburg, Augusta 1817; A. Kleinschmidt, Augsburg, Nürnberg und ihre Haindelsfürsten im XVI und XVII Jahrhundert, Kassel 1881; J. Kulischer, Allgemeine Wirtschaftsgeschichte, voll. 2, Monaco e Berlino 1928-1929, specialmente II, pag. 244-249.
Confessione di Augusta. - Sotto questo nome va intesa la redazione degli articoli fondamentali della dottrina luterana.
L'occasione fu data, nel 1530, dalla necessità in cui si trovò l'imperatore Carlo V di dare una sistemazione provvisoria ai rapporti con i dissidenti, in attesa che potesse essere convocato e tenuto con fermezza e sicurezza quel concilio generale, che appariva essere il rimedio migliore all'aggrovigliata e pericolosa situazione, sebbene più difficile ad attuarsi. Era stata indetta per ciò una dieta imperiale ad Augusta per l'8 aprile, e, in conseguenza, Giovanni elettore di Sassonia, il più notevole, politicamente, tra i dissidenti, s'era rivolto a Lutero, Melantone, Bugenhagen e Jonas, cioè ai capi spirituali maggiori del movimento evangelico, perché gli preparassero entro un certo termine - il 20 marzo - a Torgau un elenco dei punti sostanziali delle opinioni della Riforma. Questo fu fatto, con alcuni giorni di ritardo, e ne vennero i cosiddetti articoli di Torgau (Torgauer Artikel), 15 in tutto; i quali, se in origine e nello spirito con cui furono composti dovevano servire per l'uso personale dell'elettore di Sassonia, diventarono invece la base sulla quale Melantone, il più dotto tra i riformatori, fu incaricato di elaborare l'elenco definitivo da presentarsi all'imperatore. Il che fu fatto tenendo presenti anche altri elementi: vale a dire i cosiddetti articoli di Marburgo (Marburger Artikel) e gli articoli di Schwabach (Schwabacher Artikel), rispettivamente 15 e 17 di numero. I primi erano stati preparati per essere tenuti presenti nel colloquio avvenuto a Marburg il 1-3 ottobre 1529, gli altri nella riunione di Schwabach del 16 ottobre dello stesso anno: l'uno e l'altro convegni preparatorî della riunione generale indetta dall'imperatore ad Augusta, apertasi definitivamente solo il 20 giugno 1530, a causa di ritardi sopravvenuti da parte di Carlo V.
Melantone ebbe pertanto tutto il tempo e l'agio di compiere la sua redazione con cura. Essa risultò nelle linee essenziali composta sulle basi date dagli articoli di Torgau, con qualche elemento tratto e accomodato dalle altre due redazioni particolari di Marburg e di Schwabach e altri elementi ancora. Il lavoro parve corrispondere in pieno ai desiderî e alle vedute dei Riformati, tanto che fu deciso ch'esso non doveva più servire al solo elettore di Sassonia, ma divenire, su richiesta degli stati e delle città, l'espressione comune della credenza evangelica. Donde la mutazione del primo nome di Apologia, con il quale era stata definita quella dichiarazione, nell'altro più generale e rispondente di Confessione (Bekenntniss), e l'importanza grandissima assunta dall'opera di Melantone. Approvata da Lutero, che attendeva a Coburgo, e sottoscritta il 25 giugno, ad Augusta, da sette principi (fra cui l'elettore di Sassonia, l'elettore di Brandeburgo, il langravio d'Assia, ecc.) e da due città imperiali (Norimberga e Heilbronn) in due testi, uno latino e uno tedesco, la Confessione di Augusta, sulla quale l'imperatore si riservò di esprimere più tardi il suo parere, si distingueva per una grande mitezza di espressioni, per un linguaggio attinto alla vita comune, chiaro e facile, e per un evidente desiderio di ridurre al minimo i punti di dissenso. Là dove la credenza cattolica e quella evangelica concordavano, Melantone aveva curato di avvicinarsi quanto più era possibile, ma sempre con grande chiarezza, alla stessa dizione ufficiale: tuttavia rimanevano sempre alcuni punti irriducibili, chiaramente espressi, che costituiscono la sostanza vera e propria della dottrina evangelica.
La Confessione risulta composta di due parti: la prima di 21 articoli, la seconda di 7. Gli articoli della prima parte sono redatti assai schematicamente, e solo due, gli ultimi, hanno una redazione alquanto più larga: gli articoli della seconda parte invece sono assai più lunghi. Gli articoli della prima parte hanno per iscopo di dimostrare che gli evangelici deviavano solo per restaurare l'insegnamento puro e primitivo della dottrina cristiana: e sono i seguenti: Dio, Peccato originale, Figlio di Dio, Giustificazione per la fede, Predicazione, Obbedienza, Chiesa, Che cosa è la Chiesa, Battesimo, Cena, Confessione, Penitenza, Uso dei sacramenti, Reggimento della Chiesa, Dell'ordine ecclesiastico, Polizia e reggimento secolare, Del ritorno di Gesù Cristo al Giudizio universale, Libero arbitrio, Origine del peccato, Delle buone opere, Del servizio dei santi. La seconda parte, che tratta degli abusi rifiutati dai protestanti, contiene i seguenti articoli: Doppia natura dei sacramenti, Del matrimonio dei preti, Della messa, Confessione, Comunione, Voti claustrali, Potere dei vescovi.
La Confessione, nonostante la cura con cui si era cercato di smussare gli angoli e il suo tono conciliativo, non poteva tornar gradita ai cattolici: anzi lo stesso Carlo fece preparare dai suoi teologi una Confutatio pontificia in data 3 agosto, che a sua volta fu attaccata da Melantone. Con tutto questo, e a parte l'esito particolare della dieta, la Confessione doveva rimanere il documento più importante e la base della dottrina anche nel suo ulteriore svolgimento. Essa ha avuto dopo la sua formazione una curiosa storia, nei riguardi della sua diffusione per le stampe. Già nell'anno stesso della sua composizione apparvero, senza autorizzazione alcuna, sei edizioni tedesche ed una latina, onde Melantone dovette comporre e stampare la editio princeps, in tedesco e in latino, 1530, nella quale già furono apportate alcune lievi modificazioni. Sennonché a questa prima successero sino al 1540 molte altre edizioni, ognuna delle quali aveva qualche variante apportata dallo stesso Melantone; lievi dapprima; poi nel 1540 con qualche ritocco perfino dogmatico, allo scopo di conciliare le vedute di Calvino e di Lutero e di mantenere unito il blocco dei protestanti. Specialmente variati furono gli articoli 4, 5, 6, 18, 20, 21, e più di tutti il 10. Lutero rimase silenzioso dinanzi a questa che fu chiamata Editio variata, ma in complesso essa fu ritenuta autentica dai teologi luterani.
Solo a cominciare dal 1560, ossia dal colloquio di Weimar, si manifestano due tendenze in contrasto, che più o meno, variando nei modi o nelle forme, sono durate sino ad oggi: l'una, quella degli ortodossi, volle rifarsi alla Editio princeps, ma nel sostenere la sua tesi non ha tralasciato di attaccare violentemente, anche con calunnie, lo stesso Melantone; l'altra, allo scopo di trovare e mantenere punti di contatto o anche di fusione tra le varie sette degli evangelici e non rinserrarsi in un rigido esclusivismo luterano, si è attaccata alla Variata. Il vero è che, essendo scomparsi i due originali della Confessione presentati ad Augusta all'imperatore nelle due lingue, manca una base indiscussa. Oggi dei varî testi quello latino è il più vicino al pensiero originale di Lutero e di Melantone; di quelli tedeschi l'edizione più vicina a questo pensiero e migliore è quella curata dal Tillmann.
Bibl.: Una buona edizione della Confessio è quella edita da T. Kolde, Die Augsburgische Konfession, Gotha 1896, con il testo tedesco e latino, gli articoli di Marburgo, di Schwabach e di Torgau, la Confutatio pontificia e la Variata; cfr. poi Weber, Krit. Gesch. d. Augsburger Konf., Francoforte 1785; Förstemann, Urkundenbuch zur Geschichte des Reichstags zu Augsburg, I, Halle 1830; O. Zöckler, Die Augsburgische Confession als symbolische Lehrgrundlage der deutschen Reformationslehre, Francoforte 1870; Rinn, Die Entstehung der Augsburgischen Confession, Halle 1888; L. Pastor, Gesch. der Päpste, V, Friburgo 1910.
Interim di Augusta. - È il celebre accordo fatto conchiudere da Carlo V, nei primi del 1548, per una provvisoria pacificazione coi protestanti. Dopo la libertà di movimenti raggiunta in seguito all'ultima guerra contro il re francese Francesco I, conchiusa con la pace di Crépy, 1544, l'imperatore, che per più di dieci anni aveva seguito una politica di accordi o di tregue coi dissidenti religiosi, avendo bisogno assoluto di vedere la Germania pacificata, si era deciso per l'offensiva contro i protestanti. Svoltasi questa in un primo tempo nel 1546, con l'aiuto del papa, e poi con le sole forze cattoliche della Germania nell'anno seguente, la lega protestante di Smalcalda (v.) n'era uscita battuta nella battaglia di Mühlberg. Se non che, per quanto questa vittoria fosse stata militarmente e politicamente completa, Carlo V, sentendo che tuttavia i protestanti avrebbero potuto resistere ancora a lungo, e ciò essendo assolutamente contrario ai suoi interessi nei riguardi della politica generale, pensò di sfruttare i vantaggi ottenuti per conseguire una pacificazione di fatto e di diritto che, per quanto provvisoria, potesse tuttavia durare abbastanza da permettere al Concilio generale di svolgersi in maniera più conforme ai suoi desiderî e di giungere a sicure conclusioni. Il Concilio, veramente, che per lunghi anni era stato considerato dai cattolici come l'unico rimedio atto a risolvere la crisi religiosa, era sì stato convocato a Trento nel dicembre 1545, ma aveva dato piuttosto occasione a conflitti di vario ordine tra l'imperatore e la S. Sede, e alla fine era stato trasferito a Bologna, marzo 1547, e di qui si avviava ad essere sospeso. Carlo V, pertanto, ritornava alla politica seguita antecedentemente alla guerra contro la lega di Smalcalda, mosso da un doppio ordine di ragioni: ossia dalla necessità di tener tranquilla la Germania, e quindi di trovar un modo di far coesistere le varie dottrine, e dal bisogno di definire intanto, insieme coi suoi rapporti verso la S. Sede, allora assai tesi, la questione del Concilio, perché questo non sfuggisse alla sua sorveglianza e non gli pregiudicasse con una linea troppo intransigente la sua posizione in Germania. Di qui l'incarico dato in Augusta ai cattolici tedeschi Giulio Pflug, Michele Helding e al dissidente Giovanni Agricola di incontrarsi e formulare un abbozzo di accordo. Ne uscì un testo che nella sostanza accontentava poco i protestanti, poiché esso trattava la materia, in fondo, in senso quasi del tutto cattolico, ad eccezione di soli due punti, ossia del matrimonio da concedersi ai preti e del significato da darsi alla Cena. L'imperatore accettò il testo, contro l'opposizione dei rappresentanti pontifici che avevano sollevato alcune obiezioni di forma e di sostanza, e nel recesso della Dieta, ad Augusta, impose ai protestanti l'osservanza del nuovo patto. Esso, entrato in vigore come legge il 30 giugno 1548, avrebbe dovuto avere, naturalmente, un valore del tutto temporaneo, in attesa di una definitiva soluzione.
Se non che, se i cattolici erano poco soddisfatti, ben maggiore fu l'opposizione dei dissidenti, i quali si considerarono in parte traditi. Specialmente forte fu la resistenza nella Germania settentrionale; ma più o meno dappertutto si può dire che lo scopo venne a mancare, poiché l'esecuzione dell'Interim fu ovunque ostacolata. Un aspetto speciale assunse la questione in Sassonia, dove il duca Maurizio, divenuto elettore dopo i suoi accordi csn l'imperatore, fu costretto, benché luterano, per obbedire al sovrano, a tentare ogni sforzo per fare accettare e applicare, nei riguardi dei protestanti, l'accordo di Augusta. Per questo egli invitò Melantone, le cui tendenze conciliative erano ben note, a trattare coi vescovi di Meissen e di Naumburg in un convegno che ebbe luogo a Pegau, nell'agosto 1548, e in un colloquio a Kloster Zelle nel novembre dello stesso anno. Ne risultò un nuovo accordo a conferma del primo, valido per la Sassonia, formulato e accettato in un Landtag a Lipsia nel dicembre: nel quale è notevole che, in fondo, le concessíoni al cattolicesimo si possono considerare anche maggiori, sebbene velate da un frasario pieno di ambiguità. Nessuna meraviglia quindi che la resistenza da parte dei luterani fosse non meno aspra che per l'Interim di Augusta, e specialmente da parte della frazione rigida, ossia degli oppositori di Melantone. Per alcuni anni si ebbero in conseguenza conflitti e repressioni: poi nel trattato di Passavia, 1552, quando Maurizio di Sassonia compì la sua evoluzione antimperiale, abbandonando Carlo, anzi attaccandolo, i due Interim persero valore.
Come precedente dell'Interim di Augusta del 1548, gli storici ricordano il tentativo avvenuto nel 1541, ma che non condusse veramente ad alcun decreto. Si tratta del più importante dei tentativi di conciliazione fatti in Germania, all'epoca della dieta di Ratisbona nel 1541. Allora tre cattolici, Giovanni Eck, Giovanni Gropper, Giulio Pflug, e tre dissidenti, Melantone, Martino Butzer e Giovanni Pistorius, si accordarono in una formula, che aveva a base un abbozzo elaborato dal Gropper e che va noto sotto il nome di Libro di Ratisbona. Il tentativo fallì, specialmente per l'opposizione dei cattolici e indirettamente della S. Sede; perchè, sebbene le disposizioni fossero più che favorevoli, non fu possibile l'intesa in un punto essenziale: l'eucaristia.
Bibl.: S. Issleib, Das Interim in Sachsen, in Neues Archiv für sächsische Geschichte, XIII (1892), e XV (1894); Bleeck, Das Augsburger Interim in Strassburg, 1894; L. Pastor, Geschichte der Päpste, V, Friburgo in B. 1910; C. Capasso, Paolo III, I, Messina 1925.
Pace di Augusta. - La pace di A., conchiusa nel 1555, mise fine, di fatto, al lungo periodo della rivoluzione protestante in Germania e segnò per un certo tempo l'inizio, entro l'impero, di un'era di tranquilli rapporti. Legalmente essa costituì solo un patto provvisorio e quindi può essere considerata come l'ultimo di tutti i varî tentativi di accordi e di sistemazioni in materia di relazioni religiose e politiche che ebbero luogo in Germania. Sostanzialmente non molto vi è di differente nella materia e nella forma dai diversi accordi tentati in precedenza: onde l'importanza deriva, in fondo, dal fatto di aver posto fine ad un periodo di agitazioni, perché, a differenza dai primi tentativi, essa fu osservata. Sei volte, infatti, era stata confermata dal 1534 al 1545 la cosiddetta pace di Norimberga dell'anno 1532, ossia l'accordo raggiunto allora dopo molte e gravi difficoltà: poi era sorta guerra aperta nel 1546-47, seguita da un assetto provvisorio, l'Interim di Augusta (v. sopra), che non aveva per altro accontentato e che era stato vivamente ostacolato nella sua applicazione dai protestanti. Sino a che, alla vigilia dell'ultimo sforzo della Spagna e dell'Impero contro la Francia, si ottenne, con molta difficoltà e dopo lunghe trattative (la dieta fu aperta ad Augusta il 5 febbraio 1555 dal re Ferdinando), la desiderata tranquillità in Germania col compromesso approvato il 25 settembre 1555.
Il patto di Augusta sanzionava nel suo insieme lo stato di fatto, quale si presentava in quel momento, e prevedeva, prima o poi, una revisione delle relazioni che per il momento si regolavano. Vale a dire che i cattolici e l'Impero sottintendevano logicamente un possibile ritorno, sia pure con la forza delle armi o dei trattati, dei protestanti al cattolicesimo, molto ancora sperando dalle possibilità che poteva dare il Concilio ecumenico, già convocato a Trento e poi sospeso, ma non disciolto e che quindi poteva riaprirsi in condizioni migliori per gl'interessi cattolici. I protestanti a loro volta erano perfettamente consapevoli di questo stato d'animo, ma miravano ad assicurarsi le posizioni acquistate, lasciando al futuro la cura di risolvere la questione in loro favore. Da questo contrasto d'intenzioni e di spirito, il quale d'altra parte era il risultato dei rapporti che s'erano venuti costituendo, hanno origine le contraddizioni, le riserve e le ambiguità del trattato conchiuso ad Augusta.
La clausola principale, rispondente direttamente alla situazione del momento, stabiliva che nessuno stato e nessun suddito dell'impero poteva essere perseguitato a causa della religione. Ciò equivaleva, nella pratica, ad ammettere le condizioni che si erano determinate, e quindi la libertà di vivere secondo la religione che si professava. E poiché in ogni stato esistevano sudditi professanti l'una o l'altra dottrina diversa da quella del capo dello stato stesso, fu riservato a ciascuno il permesso del libero esodo a causa di religione. In realtà, dunque, vera libertà religiosa era riservata soltanto ai capi dello stato, non ai singoli cittadini, in omaggio al principio ubi anus dominus, ibi sit una religio. Con la libertà di emigrazione s'intendeva impedire la costrizione possibile ad opera di stati o di autorità sui singoli individui. Finalmente un terzo punto che manifesta, esso pure, la preoccupazione di evitare conflitti, stabiliva che ove sorgessero dissensi o in alcun luogo non potesse essere mantenuto o raggiunto l'accordo su materie religiose, ciò non dovesse essere affatto un motivo di rompere la pace. Questa disposizione era, praticamente, molto importante; in quanto il pericolo derivava precisamente dalla coesistenza negli stessi luoghi, molte volte, degli elementi e degli interessi delle due confessioni. Altro punto importantissimo della pace, benché non incorporato nella pace stessa, ma voluto come allegato dal re Ferdinando, fu il cosiddetto reservatum ecclesiasticum. Contemplava la possibilità che signori ecclesiastici passassero anche in avvenire al protestantesimo; nel qual caso dovevano perdere dignità e feudo, che ritornava all'Impero.
Oltre, poi, al fatto che la pace di Augusta non risolveva tutte le questioni, avendone lasciate molte, specialmente patrimoniali, in sospeso, vi erano alcuni punti che per l'ambiguità delle espressioni o per il silenzio che mantenevano su alcune parti dei problemi che trattavano dettero luogo ben presto a discussioni e a divergenze. Tra questi punti, sempre in linea pratica, il più notevole fu quello della sorte riservata ai sudditi evangelici dei principi tedeschi ecclesiastici i quali erano rimasti cattolici. Valeva per essi o non valeva la libertà della propria religione, accordata invece ai sudditi degli stati laici? La questione parve subito assai poco chiara, perché, mentre i protestanti si appellavano alle disposizioni riferite più sopra come a principio generale, i principi ecclesiastici non intendevano accedere a questa opinione. Si presentò quindi il caso previsto dall'articolo sopra riferito, che non si dovesse procedere con la forza a turbare la pace di fatto, anche se non si potesse mantenere l'accordo, e pertanto la questione fu agitata. Vi intervenne all'ultimo Ferdinando d'Austria, imperatore dopo l'abdicazione di Carlo V, suo fratello: ed è notevole ch'egli proponesse una soluzione provvisoria conciliante. Questo spirito finì nel complesso per prevalere ovunque, e in tal modo la pace di Augusta regolò le relazioni per un buon numero di anni: sino a che dai problemi da essa lasciati insoluti nacque la situazione che provocò la guerra dei Trent'anni.
Bibl.: Il testo critico della pace è edito da K. Brandi, Der Augsburger Religionsfriede, Monaco 1896; cfr. poi M. Ritter, Der Augsburger Religionsfriede, Lipsia 1882; G. Wolf, Der Augsburger Religionsfriede, Stoccarda 1890; K. Brandi, Passauer Vertrag und Augsburger Religionsfriede, in Historische Zeitschrift, XCV (1908), p. 206; L. Pastor, Geschichte der Päpste, VI, Friburgo 1921.