Augustale
Senza dubbio una delle monete più famose e più belle del Medioevo europeo. Fu introdotto nel 1231; l'ordinanza di coniazione non è nota, ma Riccardo di San Germano registrò in fine anno la notizia che "nummi aurei, qui augustales vocantur, de mandato imperatoris in utraque sycla Brundusii et Messane cuduntur" (1936-1938, p. 176); nel Liber Constitutionum (v.), redatto nell'estate, si fa continuo riferimento agli augustali, che dovettero quindi essere stati progettati e prodotti nell'estate, contestualmente alle nuove costituzioni, quale adeguata moneta di riferimento alla quale era affidata anche la diffusione del volto imperiale all'interno e all'esterno dei confini del Regno.
Sul dritto presenta un busto laureato volto a destra, con legenda "CAES AVG IMP ROM"; sul rovescio un'aquila ad ali spiegate con la testa a destra, e legenda "FRIDERICVS".
Il volto dell'imperatore su questa moneta, accompagnato dalla titolatura ufficiale, consentiva ai sudditi di contemplare "la serenità del volto imperiale" (Historia diplomatica, V, 2, pp. 796-797; Tramontana, 1999, p. 351). Non si tratta tuttavia di un ritratto fisionomico, ma di un'immagine ispirata all'ideale classico.
Le monete d'oro del Regno di Sicilia prima dell'augustale erano i tarì, di qualità aurea inferiore, e soprattutto più leggeri (ca. 1 g) e con caratteri cufici progressivamente deformati. La produzione di monete d'oro più pesanti e di peso regolare come gli augustali poté essere influenzata dalle monetazioni auree mediterranee che Federico II ebbe modo di osservare durante la crociata in Terrasanta; la scelta iconografica, tuttavia, è del tutto originale e mostra la forte personalità di Federico, i suoi gusti e la sua autocoscienza, e può essere vista in parte anche in risposta a un episodio monetale particolare, come il progetto di papa Gregorio IX di battere monete a Gaeta con il proprio ritratto nel 1229 (Travaini, 2002, p. 376). Nessuna moneta a quel tempo recava l'immagine del pontefice, mentre le monete del Regno fino ad allora avevano scarso impatto visivo: il progetto papale in territorio sottratto a Federico, quindi, conteneva un potenziale messaggio politico estremamente forte, al quale poco dopo l'imperatore rispose diffondendo in tutto il Regno la propria immagine sul magnifico supporto aureo che l'augustale offriva.
Il peso è di 5,25 g con un fino aureo di 20 carati e mezzo (pari a 85,5 per cento d'oro, legato con argento e rame), pari a 4,44 g di oro puro.
Il valore monetale era fissato in un quarto di oncia siciliana, pari a 7 tarì e mezzo (oncia di 30 tarì, ciascuno di 20 grani), ma il peso dell'augustale corrispondeva a un quinto dell'oncia (ossia 6 tarì-peso, considerando che il tarì-peso era di 0,89 g). In realtà però l'oncia di augustale valeva leggermente meno dell'oncia di tarì, e forse anche per questo poco dopo la prima distribuzione degli augustali a San Germano (oggi Cassino), nel giugno 1232, Federico II dovette imporre che in tutte le transazioni si spendessero gli augustali, pur senza abolire l'uso dei tarì ("[…] novam monetam auri, que augustalis dicitur […] distribuendam […] ut ipsa monetam utantur homines in emptionibus et venditionibus suis, iuxta valorem ei ab imperiali providentia constitutum, ut quilibet nummus aureus recipiatur et expendatur pro quarta uncie, sub pena personarum et rerum in imperialis litteris […]"; Riccardo di San Germano, 1936-1938, pp. 181-182).
Secondo alcuni il titolo aureo di 20 carati e mezzo avrebbe preso a modello l'oro transahariano de Pagliola, che tuttavia variava da 20 a 22 carati; secondo altri invece il modello più probabile sarebbe stato quello dell'iperpero d'oro dell'imperatore bizantino Alessio I, introdotto con la riforma del 1092, preso a modello già da Alfonso VIII di Castiglia per il suo alfonsino battuto dal 1180 (Grierson-Travaini, 1998, p. 176).
Gli augustali non recano il nome della zecca di produzione, ma l'analisi dei conii ha dimostrato che il segno che differenziava i prodotti di Brindisi e Messina era l'assenza o presenza di due globetti ai lati della testa dell'aquila sul rovescio; quelli senza globetti sono stati attribuiti a Messina.
La zecca di Brindisi aveva sede nella "domus Margariti", di cui alcuni locali erano stati concessi nel 1215 all'Ordine teutonico. Nel 1229 Federico li tolse all'Ordine e probabilmente avviò la riorganizzazione della zecca al fine della produzione delle nuove monete d'oro (dal 1248 si trova esplicito riferimento all'organizzazione separata in due zecche parallele, una per l'argento e una per l'oro: una "sicla denariorum", anche detta "sicla argenti", e una "sicla auri"; Acta Imperii inedita, I, a. 1248, p. 707).
La storia degli studi dimostra il grande interesse suscitato da questa moneta già ai suoi tempi: di certo l'augustale fu creato come moneta di grande rappresentanza e impatto visivo, e non per questo ebbe una circolazione limitata come alcuni ritengono. È possibile che sia divenuto ben presto oggetto di collezione e fin dal sec. XVI lo si trova nei repertori dei ritratti di uomini illustri.
Lo studio più dettagliato è quello pubblicato da Heinrich Kowalski nel 1976, dopo il quale si sono precisati alcuni aspetti particolari, specialmente in relazione all'organizzazione delle zecche e al rapporto con le altre monete del Regno.
Si è molto discusso sull'effettiva diffusione dell'augustale, e alcuni studiosi ancora recentemente lo hanno considerato moneta di scarsa circolazione, ritenendo che Federico avesse limitato le emissioni in oro privilegiando quelle dei denari imperiales, ma è vero invece che le due produzioni continuavano parallele ed erano due facce della stessa politica monetaria (v. Monetazione). A lungo si è ritenuto inoltre che gli augustali avessero soppiantato i tarì, ma la ricerca numismatica recente ha dimostrato che queste monete continuarono a essere prodotte, anche dopo la morte di Federico. Kowalski (1976) recensì un totale di non meno di trecentotrentaquattro esemplari, individuandone anche i conii in numeri tali da confermare una notevole produzione. Oltre ai numeri giunti fino a noi, sono importanti le parole di Ricordano Malispini secondo il quale "questa moneta ebbe grande corso al suo tempo" (Storia Fiorentina, 1816, p. 102), parere confermato tra l'altro anche dalla persistente presenza dell'augustale nelle liste di monete dei trattati di aritmetica e dei libri di mercatura. È stata inoltre rilevata la presenza certa di augustali d'oro, come moneta effettiva, nella documentazione lombarda nel 1256 (Chiavenna) e nel 1266 (Bergamo). Sembra evidente che la sottovalutazione economica degli augustali sia dovuta soprattutto a una prospettiva storiografica orientata dalla successiva affermazione del fiorino d'oro, introdotto soltanto nel 1252. Gli esemplari oggi noti di augustale sono molto numerosi, se si considera che furono prodotti in un periodo relativamente limitato: si vedano a tal fine i ritrovamenti di augustali nei tesori di Pisa-Logge dei Banchi, occultato nel 1266 ca. (Lenzi, 1978), di Trapani, 1270, e di Gela, dopo il 1278 (Grierson-Travaini, 1998; Travaini, 1996).
Il successo degli augustali è sottolineato anche dall'esistenza di falsi augustali d'epoca, realizzati con tondelli di rame dorati in superficie; sono stati individuati anche falsi moderni.
Si conoscono diverse forme del nome in volgare: "agostari" compare nel testo poetico siciliano di Cielo d'Alcamo; le liste di monete contenute in trattati di aritmetica e libri di mercatura tra Due e Trecento registrano gli augustali come "agostani", "angostani dello inperadore", "agostantini".
Si conoscono due tipi anomali di augustale. Il primo è noto in tre esemplari, più un mezzo augustale; le legende sono le stesse del tipo principale, ma il busto è coronato invece che laureato, e l'aquila ha la testa volta a sinistra invece che a destra. Originariamente fu ritenuto un prototipo, forse una prova, ma dovrebbe essere invece considerato successivo per motivi di stile, e probabilmente identificabile con gli "augustarii", la cui battitura fu ordinata a Pisa dall'imperatore Enrico VII nel 1311-1312 (Kowalski, 1976; Grierson-Travaini, 1998). Il secondo è noto in un unico esemplare (Huillard-Bréholles, 1861) montato come pendente: le lettere delle legende sono molto imprecise e confuse rendendo la lettura controversa; secondo alcuni sarebbe stato emesso per celebrare Enrico VI nel ventesimo anniversario delle nozze con Costanza; secondo altri sarebbe un ornamento monetale ispirato dall'augustale ma realizzato con legende scorrette (Grierson-Travaini, 1998, p. 174).
fonti e bibliografia
Storia Fiorentina di Ricordano Malispini col seguito di Giacotto Malispini dalla edificazione di Firenze sino all'anno 1286, a cura di V. Follini, Firenze 1816.
Historia diplomatica Friderici secundi, V, 2; Acta Imperii inedita, I; Riccardo di San Germano, Chronica, in R.I.S.2, VII, 2, a cura di C.A. Garufi, 1936-1938.
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