Renaudet, Augustin
Storico francese, nato a Parigi nel 1880 e ivi morto nel 1958. Tra i maggiori specialisti dell’Umanesimo e del Rinascimento nella sua generazione, gli si devono ricerche erudite e studi critici su Dante, Petrarca, Lorenzo il Magnifico, Erasmo da Rotterdam, e soprattutto sui precorrimenti e gli sviluppi della Riforma in Francia e in Europa. Soggiornò a lungo a Firenze presso l’Istituto francese; dal 1919 insegnò storia moderna e contemporanea nell’Università di Bordeaux e dal 1937 storia moderna alla Sorbona. Dal 1945 tenne la cattedra di histoire de la civilisation italienne presso il Collège de France.
Dopo i cenni puntuali nella sua tesi su Préréforme et Humanisme à Paris pendant les premières guerres d’Italie (1494-1517), pubblicata nel 1916, e quindi nella grande raccolta di fonti Le concile gallican de Pise-Milan. Documents florentins (1510-1512), del 1922, R. dedicò a M. un’organica monografia (Machiavel. Étude d’histoire des doctrines politiques, 1942, ed. rivista, da cui si cita, 1956), alla quale fecero seguito alcuni saggi dove tornava a considerare il Segretario fiorentino nel quadro generale dell’Umanesimo italiano (tra i più significativi Le problème historique de la Renaissance italienne, del 1946, e Humanisme, histoire et politique du Quattrocento, del 1955, poi raccolti in Humanisme et Renaissance, 1958, rispettiv. pp. 81-90 e 91-113).
Fondato su una larghissima conoscenza del contesto culturale italiano, pur non avendo un impianto erudito, il Machiavel di R. si presenta suddiviso in due parti: la prima impegnata da una caratterizzazione delle opere maggiori nello sviluppo della biografia intellettuale e politica di M.; la seconda da un esame sistematico delle dottrine condotto per grandi nuclei tematici. R. pone al centro della sua lettura, nel solco dell’interpretazione di Francesco De Sanctis, i termini del problema nazionale su cui M. si era travagliato. Forte di una comprensione del passato romano quale gli umanisti non avevano avuta (pp. 28 e segg.), M. elabora un proprio metodo che è storico, comparativo, sperimentale: si tratta di una scienza politica nuova, compiutamente e consapevolmente ‘positiva’, messa quindi al servizio di un progetto nazionale inteso a fare dell’Italia non più il dantesco giardino dell’impero, ma uno Stato moderno e nazionale tra gli Stati moderni e nazionali; uno Stato in grado di vincere – grazie a una riforma morale e religiosa (p. 86), oltre che politica e militare – il particolarismo municipale e la potenza disgregatrice della Chiesa di Roma. A questo problema M. si applicò con il realismo che gli proveniva dalla sua formidabile capacità di analizzare i fatti della politica, ma anche con la forza visionaria di una passione che lo portava a voler essere quel profeta armato che Girolamo Savonarola non seppe essere (p. 78). Da qui deriva per R. il carattere poetico e utopico dell’intera opera machiavelliana, e del Principe in particolare, che gli appare una sorta di «paradosso disperato» (p. 36) elaborato da un repubblicano convinto, per cultura e formazione; un repubblicano quasi necessitato ad aderire – poiché le circostanze altro non consentivano – alla tradizionale fiducia italiana, vitale fin dai tempi del Veltro dantesco e del Cola petrarchesco, nell’intervento di un uomo provvidenziale (cfr. pp. 90-91, 102, 114 e segg.).
In tale quadro si spiegano i non risolti dualismi e le tenaci illusioni, su cui molto R. insiste, di questo pensatore che la tradizione ha fatto passare per sommo realista: riprendendo critiche che già erano state di Francesco Guicciardini, R. si sofferma sui limiti di analisi politica e sulla mancanza di senso storico di M., il quale nel delineare il suo «progetto» non tenne conto del radicamento dei particolarismi italiani. Anche il complessivo ideale di politica repubblicana forgiato sul modello della Roma consolare e senatoriale, che poteva convenire alla città antica o al comune medievale, mal si adattava al progetto nazionale che M. perseguiva per l’Italia, e in ogni caso al profilo del moderno Stato territoriale (pp. 147 e segg.). Severa risulta nell’insieme l’analisi della dottrina di M., che R. paragona spesso al sistema assai più complesso e «maturo» di Montesquieu, nei cui confronti quello machiavelliano, pur propedeutico, gli appare troppo limitato, incompleto e con qualcosa di arcaico. Rimane che per R. la grandezza e anche la classicità di M. consistono nel non aver voluto trattare che dei principii, degli inizi assoluti, o delle riforme radicali, con un’opera che pertanto si rivolge ai fondatori e ai riformatori (p. 293).
Pur tra giudizi e conclusioni a volte difficilmente condivisibili, la monografia di R. si segnalava alla sua uscita per la finezza delle tante analisi condotte con scrupolo di aderenza ai testi, per la persuasività e la ricchezza di determinazioni con cui M. veniva opposto allo spirito dell’Umanesimo, e anche per l’impostazione assai personale e piuttosto remota dalle principali linee interpretative della coeva critica italiana e tedesca.
Bibliografia: Bibliographie des pubblications de M. Augustin Renaudet, «Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance», 1952, 14, pp. XXV-XXX.
Sul M. di R.: V. de Caprariis, rec. ad A. Renaudet, Machiavel. Étude d’histoire des doctrines politiques, «Rivista storica italia na», 1948, 60, pp. 287-89; G. Sasso, Recenti studi sul Machiavelli, «Rassegna di filosofia», 1952, 1, 2, pp. 140-54, in partic. pp. 140-44; D. Cantimori, Testimonianza per Augustin Renaudet (1959), in Id., Storici e storia, Torino 1971, pp. 197-212, in partic. pp. 208-09; E. Garin, Augustin Renaudet, «Rivista di letterature moderne e contemporanee», 1959, 1, pp. 5-17; L. Febvre, Au coeur religieux du XVIe siècle, Paris 19682, pp. 112-22 (le pagine su R. sono del 1943); C. Lefort, Le travail de l’oeuvre Machiavel, Paris 1972, pp. 178-90; E. Garin, Machiavelli fra politica e storia, Torino 1993, pp. 6-8.