CAROSELLI, Augusto
Nato a Roma il 18 nov. 1833 da Giovanni e da Clara Mennini, dopo aver studiato con profitto presso il Pontificio seminario romano dal 1842 al 1850, entrò all'università frequentando i corsi di giurisprudenza e quelli di eloquenza latina e storia romana. Poté così assistere alle ultime lezioni dell'abate L. M. Rezzi, convinto classicista, prima che questi, nel 1851, venisse allontanato dall'insegnamento per l'attività politica di deputato al Parlamento romano del 1848. Divenuto intanto amico del poeta G. Maccari e di L. Parini, aveva cominciato con essi un quotidiano studio della "lingua e stile sui classici specialmente più antichi". Nel 1854 si laureò in giurisprudenza iniziando a far pratica d'avvocatura come segretario di Rota. All'inizio di quel periodo prese a frequentare al caffè Nuovo, sotto pal. Ruspoli, un gruppo di giovani letterati e poeti, tutti o quasi allievi del Rezzi e come lui classicisti, che furono conosciuti più tardi con il nome di Scuola romana. Appunto in una raccolta collettiva dei poeti della Scuola romana, la Strenna romana per l'anno MDCCCLVIII, il C.vide edite tre sue composizioni: Alla povertà, Ad uno scrittore di poesie amorose e L'ultimo canto di Torquato Tasso.
Nel 1860 la morte del padre, funzionario dell'amministrazione pontificia, imponeva al C. di provvedere alla numerosa famiglia. Il governo pontificio gli offrì il posto già del padre, ma il C. lo rifiutò per coerenza con le sue convinzioni di moderato liberale; ciò, unito al fatto che un suo fratello aveva lasciato Roma nel '59, per arruolarsi volontario nell'esercito piemontese, e alla necessità però di trovare un lavoro, lo spinsero a trasferirsi a Velletri. Dal 1863 al 1872 fu professore di belle lettere, al liceo cittadino, senza per questo abbandonare la professime dell'avvocatura; dopo il 20 sett. 1870 svolse per breve tempo le funzioni di procuratore del Regno presso il locale tribunale penale. Durante il soggiorno velletrano curò la pubblicazione di un suo Saggio di una nuova versione delle Odi di Orazio (Roma 1863) e dei suoi Versi (Imola 1870). Spinto dall'amico P. Cossa, poeta e drammaturgo, compose anche una tragedia lirica in versi, Isabella Orsini (Velletri 1871), tratta da un romanzo del Guerrazzi, che, musicata dal maestro E. Bribali fu rappresentata durante il carnevale di Velletri del 1871. Nel 1872, ottenuta la cattedra di italiano nelle scuole tecniche di nuova istituzione, ritornò a Roma. Quando però il governo rese obbligatorio l'esame di abilitazione all'insegnamento, il C. preferì abbandonare la scuola per dedicarsi interamente all'attività forense. Buon avvocato, fu collaboratore di P. S. Mancini in numerose cause; in politica sostenne il Crispi e fu per diverse volte presidente del suo comitato elettorale.
Benché preso dalla professione, mantenne i legami con quello che restava del gruppo, ormai quasi interamente disperso, della Scuola romana, e continuò anche a comporre e a lavorare con spirito non dilettantesco. Dal 1882 al 1887 collaborò, sia pure limitatamente, alla rivista La Scuola romana, pubblicata da P. E. Castagnola e G. Cugnoni, occupandosi in particolare delle recensioni; nel secondo anno di pubblicazione subentrò come condirettore in luogo del Castagnola. Arcade fin dal 1846, negli ultimi anni propugnò, con mons. Agostino Bartolini, custode generale d'Arcadia, l'istituzione di conferenze periodiche ad integrazione delle tornate poetiche.
Morì a Roma il 10 giugno 1899.
Ammiratore e studioso della grande letteratura italiana del '300 e del '500, il C. rimase fedele per tutta la vita al temperato purismo e classicismo della sua giovinezza; l'aver presto interrotto la vera e propria attività poetica gli impedì ogni evoluzione da queste posizioni iniziali. Dei moderni ammirava G. Leopardi - di cui si sentono numerosi echi nelle sue composizioni - e T. Mamiani, e molto fu influenzato dalla vena intimistica e grecizzante dell'amico G. Maccari. La sua produzione, assai limitata del resto, tratta, nei metri più vari, temi intimi e familiari, indulgendo ad una temperata e superficiale malinconia. Come critico ebbe una visione chiusa e limitativa della produzione artistica dell'epoca sua combattendo, coerentemente con la sua fede classicista, sia il gusto dell'eccezionale e dell'indefinito, e la "trascuratezza della forma" di cui incolpava i romantici, sia le pretensioni scientiste del naturalismo. Accurato e preciso traduttore di Orazio, sostenne la traduzione "in versi italiani" al modo di A. Caro e V. Monti, contro la nuova metrica "barbara" introdotta da G. Carducci.
Altri scritti: Quintus Horatius Flaccus, Odi, Velletri 1864; Nel patrio festeggiare il sesto cent. di Dante Alighieri, Firenze 1865, p. 47(poesia del C.); Mem. intorno la vita di G. B. Maccari, in Il Buonarroti, s. 2, IV (1869), pp. 9-17; Della vita e delle opere di Torquato Tasso, Roma 1876; Q. Orazio Flacco, Odiepodi carme secolare, Imola 1896.
Bibl.: Le notizie biografiche sono state tratte da documentazioni in possesso dei discendenti. R. De Cesare, Roma e lo Stato del papa…, Roma 1907, I, p. 317; D. Gnoli, I poeti della Scuola romana, Bari 1913, pp. 11, 17, 39, 45, 53-59; F. Picco, L. M. Rezzi maestro della Scuola romana, Piacenza 1917, pp. 51, 56, 65, 70, 72; I poeti della Scuola romana dell'Ottocento, a cura di F. Ulivi, Bologna 1964, pp. 129-38.