DUCHOQUÉ-LAMBARDI, Augusto
Figlio di un colonnello belga dell'esercito napoleonico, Alexandre Duchoqué di Tournai, e di Teresa Rutigni di Portoferraio, nacque il 5 luglio 1813 a Portoferraio (isola d'Elba), dopo che il padre, il 28 maggio, era caduto in combattimento al comando di un reparto di soldati toscani. In seguito fu adottato da Pasquale e Francesca Lambardi di Portoferraio, che lo avviarono agli studi e lo lasciarono poi loro erede. Studente di giurisprudenza a Pisa, vi si laureò il 14 giugno 1834.
Pochi anni dopo, il 5 luglio 1838, fu iscritto all'albo degli avvocati toscani; ma, anziché esercitare la libera professione, preferì entrare nell'amministrazione pubblica del Granducato. Con motuproprio del 24 febbr. 1839 fu nominato terzo commesso nella segreteria della R. Consulta. Il 27 apr. 1840 sposò Clarice Fortini, figlia di Cesare, generale dell'esercito toscano. Negli anni seguenti proseguì nella carriera con successi che premiavano la sua notevole preparazione di giurista.
Il 20 genn. 1840 fu incaricato della funzione di pubblico ministero al tribunale di prima istanza di Firenze; il 2 febbr. 1841 nominato segretario della commissione per la compilazione del codice civile; il 6 maggio 1846 promosso secondo segretario aggiunto della Consulta; il 31 maggio 1847 divenne membro della commissione per la compilazione di quel codice civile che, nonostante le buone intenzioni granducali, non si riusciva mai a realizzare. Infine, con motuproprio del 30 ag. 1847, fu nominato primo segretario del ministero di Giustizia e Grazia.
Durante questi anni l'attività del D. fu quella di un intelligente e ben preparato funzionario dello Stato toscano che godeva di larga stima anche negli ambienti estranei al governo. Ma, sebbene non manchino indizi di una sua simpatia per le idee liberali, del resto ben tollerate nella Toscana del tempo, non si hanno testimonianze di una sua diretta partecipazione alla vita politica.
Egli ebbe invero una qualche parte nelle vicende politiche solo negli anni tra il 1848 e il 1849 che, anche in Toscana, furono segnati da gravi crisi. Quando, dopo la rivolta livornese dell'agosto del 1848 e il fallimento del tentativo di repressione operato da Leonetto Cipriani, si tentò di ripristinare l'ordine nella città, con la nomina di un nuovo governatore, nella persona di Ferdinando Tartini Salvatici, il D., con decreto del 27 settembre, fu nominato secondo consigliere del governo di Livorno. Ma né il governatore, né i suoi consiglieri riuscirono a raggiungere Livorno, ormai completamente in mano ai "democratici".
Il D. riprese le sue funzioni amministrative, che continuò a svolgere anche sotto il governo di F. D. Guerrazzi e la sua breve dittatura. Ma è significativo dei suoi rapporti con gli ambienti moderati liberali che la commissione di governo, costituitasi durante la sommossa antiguerrazziana di Firenze e che il 12 apr. 1849 assunse le redini del governo in nome del granduca, lo incaricasse, il giorno seguente, del portafoglio di Giustizia e Grazia e degli Affari ecclesiastici. Tale incarico egli tenne sino alla costituzione del nuovo governo granducale, avvenuta il 26 maggio.
Come altri membri della commissione, il D. aveva sperato che il ritorno del granduca potesse risparmiare alla Toscana l'occupazione austriaca e salvare lo statuto. Sicché la vanificazione di queste speranze lo indusse, durante la seconda restaurazione, a tenersi estraneo ad ogni partecipazione al governo. Riprese però le su.c normali funzioni di alto burocrate di cui furono riconosciute le particolari e indubbie capacità. Il 31 dic. 1849 gli fu concessa la conimenda dell'Ordine di S. Stefano di lettera D; più tardi, il 21 nov. 1857, fu nominato regio procuratore generale alla Corte dei conti e soprintendente all'Ufficio generale delle revisioni e dei sindacati. Il 15 sett. 1858 divenne consigliere di Stato in servizio straordinario, destinato, il 2 dicembre successivo, come supplente alla sezione di Giustizia e Grazia.
Non si hanno notizie relative a una sua partecipazione diretta agli eventi politici del 1859. Si sa però che, per l'alta considerazione in cui era tenuto sia negli ambienti governativi, sia in quelli liberali, fu tra coloro che nell'aprile del 1859 vennero sollecitati a convincere il granduca della necessità di rinunciare alla neutralità e di allearsi col Regno di Sardegna. A noto che tale proposito fu particolarmente perseguito da alcuni dei più importanti rappresentanti del moderatismo liberale, come don Neri Corsini, marchese di Laiatico, e dall'avvocato Vincenzo Landrini, che riuscirono a persuadere il primo ministro G. Baldasseroni. In particolare, l'avvocato Landrini, durante un abboccamento con Leopoldo II, lo consigliò di interpellare sulla questione della neutralità alcune delle personalità toscane più eminenti e note per il loro equilibrio e per la loro competenza; tra queste era il D. che si pronunciò chiaramente per l'alleanza con Francia e Piemonte.
Il mattino del 24 aprile anche Leopoldo Galeotti si incontrò col D. al quale espose il programma del Corsini per l'intervento della Toscana a fianco dei Franco-Piemontesi; e l'indomani mattina gli scrisse una lettera per comunicargli che la dichiarazione di guerra e l'arrivo dei soldati francesi in Piemonte erano ormai imminenti e chiedergli di adoperarsi ancora per evitare la neutralità. Il D. trasmise questa lettera al Baldasseroni che, a sua volta, la inviò al granduca insieme con altri documenti, consigliandolo anch'egli a non procedere sulla lineg della neutralità, ormai davvero impraticabile. La sera dello stesso giorno il Galeotti tornò a scrivere al D., per confermargli il programma enunciato che egli diceva approvato anche dal Salvagnoli e dai rappresentanti a Firenze di Piemonte e Francia. Lo scongiurava affinché il granduca e il Baldasseroni si mettessero in contatto con la legazione sarda per rassicurarla sulla futura alleanza, rinunciando ad illudersi su un ipotetico aiuto inglese che non avrebbero certo ottenuto. Chiedeva, infine, che venisse allontanato dal governo il ministro Leonida Landucci, fosse tolto il comando dell'esercito toscano al generale F. Ferrari da Grado e l'esercito venisse preparato ad entrare in azione. Anche questa lettera, trasmessa dal b. al Baldasseroni, fu da quest'ultimo inviata al granduca. Ma tutti i tentativi fallirono e la situazione andò rapidamente precipitando, fino agli eventi del 27 aprile e all'abbandono della Toscana da parte di Leopoldo II.
Sotto il governo provvisorio il D. conservò le sue funzioni nella magistratura e, dopo la proclamazione del Regno d'Italia, pur restando in servizio come procuratore generale alla Corte dei conti della Toscana, fu chiamato a Torino a far parte della commissione istituita presso il Consiglio di Stato per lo studio e la preparazione delle leggi sull'ordinamento finanziario e amministrativo del Regno. Insignito il 29 apr. 1860 dell'onorificenza di cavaliere dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro, anche dopo lo scioglimento della commissione fu trattenuto nella capitale presso il ministero delle Finanze, di cui era titolare Pietro Bastogi, per cooperare alla preparazione delle leggi che furono la base dell'ordinamento finanziario del nuovo Stato. Il 21 luglio dello stesso anno fu promosso commendatore dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro; poi, tra la fine del 186 1 e la metà del 1862, sostenne, in qualità di commissario regio presso le due Camere, la discussione delle leggi di imposta allora sancite. Successivamente, il 10 maggio del 1862, fu investito temporaneamente delle funzioni di segretario generale al ministero delle Finanze, con il potere di rappresentare il ministro durante la sua assenza e di emanare i provvedimenti di urgenza.
La carriera del D. proseguì rapidamente negli anni successivi, quando divenne una delle personalità più attive nella costruzione del nuovo assetto amministrativo dello Stato. Difatti, quando il 14 ag. 1862 fu istituita una Corte dei conti unica, con giurisdizione su tutto il Regno, egli fu subito nominato presidente di sezione e il 16 novembre dello stesso anno fu nominato anche senatore del Regno. Poco dopo, il 23 apr. 1865; venne elevato alla più alta carica di presidente della Corte dei conti.
Numerosi furono gli uffici che gli furono affidati nelle varie commissioni nominate per studiare i provvedimenti di maggior rilievo. Il 22 genn. 1863 divenne membro della commissione per lo studio del progetto di legge sulle irrigazioni e bonifiche; il 25 apr. 1865 fu chiamato a presiedere la coinniissione incaricata di rivedere la legge sulla marina mercantile; il 22 maggio 1866 fece parte della commissione interministeriale per studiare i mezzi per impedire che fossero sospesi o interrotti i lavori per la costruzione o l'esercizio delle ferrovie e delle opere pubbliche di maggiore utilità.
Come si vede le funzioni e gli incarichi del D. furono in questo primo periodo del Regno d'Italia connessi con la sua attività di alto magistrato amministrativo e con la fama largamente consolidata della sua profonda competenza giuridica. Mai però egli partecipò direttamente al governo. Solo quando, dopo le elezioni del 10 marzo 1867, il ministero Ricasoli si trovò in gravi difficoltà, lo stesso presidente compì un ultimo tentativo per evitare la crisi, offrendo al re l'alternativa tra un rimpasto con l'entrata del Sella alle Finanze, dei Depretis all'Interno e del D. alla Grazia e Giustizia oppure le dimissioni. Questo estremo tentativo però fallì e il Ricasoli presentò le sue dimissioni il 4 apr. 1867.
Il D. continuò quindi nelle sue funzioni di presidente della Corte dei conti, così come nei decenni successivi fu costantemente chiamato a far parte di importanti commissioni ministeriali e interministeriali.
Il 3 maggio 1871 fu nominato membro della commissione che doveva dare parere sul pagamento all'estero del debito pubblico dello Stato; il 10 nov. 1872 della commissione centrale per la distribuzione dei sussidi agli alluvionati; il 9 ag. 1874 di quella che doveva studiare i miglioramenti nella legge della contabilità dello Stato (e di questa fu in seguito presidente), il 17 sett. 1874 fu presidente della commissione di vigilanza della giunta liquidatrice dell'asse ecclesiastico di Roma; il 27 dic. 1874 presidente della commissione di vigilanza per l'amministrazione del fondo del culto; il 12 genn. 1875 presidente della commissione che doveva stabilire le norme per il pagamento delle spese della giustizia penale.
Il D., del resto, continuava ad essere sempre legato agli ambienti moderati toscani dei quali condivideva gli indirizzi politici ed economici, come mostra la sua partecipazione, sin dalla fondazione, nel 1874, alla Società Adamo Smith, tipica espressione del liberismo toscano. Ma, anche dopo la caduta della Destra storica e l'avvento della Sinistra al potere, continuo ad avere una parte di grande rilievo nella organizzazione dell'assetto amministrativo del nuovo Stato.
Il 5 febbr. 1877 fu nominato presidente della commissione che doveva definire gli organici delle amministrazioni dello Stato e graduare gli stipendi degli impiegati; il 4 marzo 1878 membro della commissione per la compilazione di un progetto di legge sulla responsabilità ministeriale; il 10 sett. 1878 presiedé la commissione speciale che doveva introdurre modifiche migliorative nel bilancio dello Stato e nella legge sulla contabilità. Partecipò attivamente ai lavori del Senato, in qualità di membro della commissione permanente delle Finanze (che presiedé dal 1874 al 1889) e delle commissioni per il codice civile, il codice di commercio, il codice della marina mercantile e la riforma della contabilità dello Stato nella quale fu pure relatore.
Nello svolgimento di queste delicate funzioni, il D., secondo il giudizio unanime dei suoi contemporanei, si comportò con la massima imparzialità, indipendentemente dalle sue opinioni politiche e dai suoi legami con la vecchia Destra, godendo di grande considerazione e stima anche nel nuovi ambienti governativi. Rimase infatti presidente della Corte dei conti sino al 30 dic. 1892, quando fu posto a riposo, a sua richiesta, per ragioni d'età.
Il 26 febbraio dell'anno seguente fu nominato ministro di Stato; e questa dignità si andò ad aggiungere alle molte altre onorificenze che aveva raccolto, durante il suo periodo di attività come grand commis del nuovo Regno: cavaliere di gran croce e gran cordone dei Ss. Maurizio e Lazzaro (18 dic. 1867); grande ufficiale della Corona d'Italia (22 apr. 1868); consigliere dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro (21 marzo 1869); presidente del Consiglio dello stesso Ordine e di quello della Corona d'Italia (17 dic. 1882); gran diploma dell'Ordine giapponese del Sole nascente (1887).
Il D., ritiratosi a vivere a Firenze, si ammalò improvvisamente e morì il 13 dic. 1893. Fu commemorato nella seduta del Senato del 20 dicembre, dal presidente D. Farini e da G. Cambray Digny.
Fonti e Bibl.: L. G. de Cambray Digny, Ricordi della Commissione governativa toscana del 1849, Firenze 1853, p. 59 e docc., p. 29; A. Zobi, Cronaca degli avvenimenti d'Italia nel 1859, Firenze 1859, I, pp. 112, 115 s.; G. Baldasseroni, Leopoldo II granduca di Toscana e i suot tempi, Firenze 1871, p. 220; Id., Memorie 1833-1859, a cura di R. Mori, Firenze 1859, ad Indicem; Carteggi di B. Ricasoli, a cura di S. Camerani, XXV, Roma 1971, pp. 511, 519, 529 s.; XXVI, ibid. 1972, pp. 8, 21 s.; C. Cesarini, A. D. L. Cenno necrologico, Firenze 1894; F. Martini, Il Quarantotto in Toscana. Diario inedito del conte Luigi Passerini de' Rilli, Firenze 1918, ad Indicem; F. Rostagno, La Corte dei conti nella storia e nelle sue funzioni, I, Milano 1929, pp. 199, 225; Celebrazione del primo centenario della Corte dei conti nell'Unità d'Italia, Milano 1963, pp. 21, 155, 179; A. Salvestrini, Imoderati toscani e la classe dirigente italiana (1859-1876), Firenze 1965, ad Indicem; Storia del Parlamento italiano, VI, Palermo 1969, ad Indicem; T. Sarti, Il Parlamento subalpino e naz. ..., Terni 1890, sub voce.