LORENZINI, Augusto
Nacque a Roma il 21 apr. 1826 da Pietro e Angela Selvaggi, romani. Il padre era impiegato della direzione generale del Lotto e il L., conclusi a diciott'anni gli studi, ne seguì le orme entrando per concorso nell'amministrazione generale delle Poste nel maggio del 1844.
Nel 1848 iniziò la sua attività politica, che gli procurò una "seria ammonizione" e il temporaneo trasferimento ad altro ufficio. Dopo la caduta della Repubblica Romana del 1849 il L. entrò a far parte del Comitato romano della mazziniana Associazione nazionale italiana, con il compito di provvedere alla corrispondenza clandestina.
All'indomani del fallimento del tentativo insurrezionale mazziniano del 6 febbr. 1853 a Milano, a Roma si verificò la rottura nel Comitato tra i repubblicani intransigenti (i cosiddetti "puri"), facenti capo a G. Petroni, e i fautori della collaborazione con i liberali (i cosiddetti "fusi" o fusionisti): il L. si schierò con questi ultimi i quali, esautorata la minoranza di Petroni, diedero vita al Comitato nazionale romano che, con il manifesto del 9 apr. 1853, si allontanò definitivamente da G. Mazzini.
In seguito all'insuccesso della spedizione di ispirazione mazziniana partita da Genova, nell'agosto del 1853 il governo pontificio istruì un processo in cui furono incriminate cinquantotto persone dei due schieramenti del Comitato. La conclusione del procedimento ebbe come effetto l'annientamento dell'ala oltranzista e lo scompaginamento di quella moderata. Il L. fu chiamato in causa dalle confessioni dell'amico A. Casciani, di G. Preti e di altri arrestati della corrente antagonista e il 24 nov. 1853, dopo una lunga perquisizione a casa e in ufficio, fu imprigionato nel carcere di S. Michele. La durissima sentenza emessa il 25 sett. 1854 comprendeva cinque condanne a morte e nove ergastoli, ma il L. e V. Rudel, dichiarati "sedotti" a unirsi a società segreta, ebbero la pena meno pesante: cinque anni, poi ridotti a tre e infine, nell'udienza papale del 20 dic. 1854, portati a uno a decorrere dal terzo mese dopo l'arresto.
Il L., uscito di prigione il 21 febbr. 1855, fu sottoposto a "rigoroso precetto politico": malgrado una supplica dei genitori al papa, perdette l'impiego. In seguito ottenne che il precetto fosse attenuato fino a permettergli il lavoro come impiegato nell'amministrazione delle ferrovie. Tornò a far parte del Comitato nazionale romano, che si stava ricostituendo con tendenze filocavouriane e - insieme con G. Checchetelli, L. Silvestrelli, L. Mastricola, A. Righetti e altri - ne divenne uno dei principali esponenti.
Nel maggio del 1859 sposò Angelica Montecchi, sorella dell'esule Mattia, e l'anno dopo ebbe la prima figlia, Beatrice. Nello stesso periodo partecipò attivamente alle iniziative che si susseguirono in Roma: in seguito a una dimostrazione avvenuta al teatro Apollo durante la rappresentazione del Trovatore di G. Verdi, il 15 genn. 1861 fu interrogato e precettato a non frequentare più i teatri durante il carnevale; poi, dopo la solenne dimostrazione organizzata dal Comitato nazionale la sera del 14 febbraio per inneggiare alla caduta della fortezza di Gaeta, ricevette la formale ingiunzione dell'esilio nel termine di ventiquattr'ore. Il 19 febbraio il L. lasciò Roma e si recò a Rieti.
In vista di una sollecita soluzione della questione romana, instaurò subito una fitta rete di rapporti epistolari con l'emigrazione e rimase in stretta relazione con i capi del Comitato nazionale. Questi - iscritti in gran parte come lui alla massoneria e convinti che i tentativi della politica conciliatrice di Camillo Benso conte di Cavour verso la S. Sede effettuati tramite padre C. Passaglia, D. Pantaleoni e altri costituissero soltanto una perdita di tempo - gli affidarono l'incarico di un colloquio ufficiale con Cavour, avvenuto intorno alla metà di marzo, per ribadire l'inutilità delle trattative con il papa e la necessità di una soluzione radicale, che veniva rimessa all'iniziativa del governo piemontese.
La dimostrata affidabilità gli valse la scelta da parte del Comitato nazionale di rappresentante ufficiale a Torino, insieme con Silvestrelli. In questa veste, nel maggio di quell'anno, ebbe un secondo e lungo colloquio con Cavour che, vista la sterilità dei negoziati con il Vaticano, aveva intavolato trattative con Napoleone III per il ritiro delle truppe francesi in cambio dell'impegno del governo italiano a rispettare i nuovi confini dello Stato pontificio. Il conte, davanti alla difficoltà evidenziatagli dal L. di tenere a freno la popolazione romana, chiese che a Roma si pazientasse: anzi, secondo quanto afferma R. De Cesare (1975, p. 405), il L. avrebbe ricevuto l'incarico di rientrare clandestinamente nello Stato pontificio per ottenere un'assicurazione formale in tal senso dai capi del movimento patriottico romano, ma al suo ritorno a Torino vide sfumare l'iniziativa a causa della morte di Cavour.
L'ultimo incarico di prestigio che il L. ebbe come rappresentante del Comitato nazionale, insieme con Silvestrelli e il duca L. Sforza Cesarini, fu la presentazione, il 20 giugno 1861, al re Vittorio Emanuele II di un indirizzo con circa diecimila firme in cui la popolazione romana chiedeva, in una sorta di plebiscito segreto, la sollecita annessione al Regno d'Italia.
Con l'avvento al governo di B. Ricasoli e con la decisione di quest'ultimo di riconoscere in Silvestrelli l'interlocutore ufficiale con il Comitato nazionale, il L., ritenendosi danneggiato dall'amico e non adeguatamente sostenuto dai dirigenti romani, con i quali comunque rimase in stretta corrispondenza, si stabilì con la famiglia a Contigliano, in provincia di Rieti. Di lì, a diretto contatto con le autorità locali, intensificò i rapporti con i principali esponenti dell'emigrazione, facendo la spola fra Rieti e Terni: per le benemerenze acquisite ricevette la nomina di cavaliere dell'ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro, che fu seguita dalla commenda dell'ordine della Corona d'Italia.
Sotto la spinta delle forti sollecitazioni provenienti dalla nuova situazione, il suo orientamento politico si andò via via radicalizzando, avvicinandosi alle posizioni della Sinistra e differenziandosi sempre più dal Comitato nazionale romano, a suo giudizio poco incisivo all'interno e troppo dipendente da iniziative esterne.
Nei primi mesi del 1862 fu chiamato, insieme con F. Costa, ad affiancare il conte G. Manni e V. Caprini nella direzione del Comitato centrale dell'emigrazione di Orvieto, voluto da Ricasoli: egli cercò inutilmente di forzare la mano ai capi del movimento romano per convincerli ad azioni più energiche e a entrare in collaborazione con il Partito d'azione. Di fronte alle loro resistenze il L. favorì le iniziative tendenti alla loro esautorazione, quale quella tentata senza successo nell'autunno del 1863 da giovani emigrati romani, fra i quali L. Ovidi e V. Maggiorani, nell'ambito di un ambizioso disegno di creare un partito intermedio da collocare tra governo e opposizione, tra Destra e Sinistra. Per preparare un'azione di forza collegata con l'interno, egli fece vari viaggi per coordinare i centri e i sottocomitati di confine. Nel settembre del 1867 partecipò alla spedizione garibaldina e fu ferito a Mentana; poi, però, pressato dalle cattive condizioni di salute della moglie e degli anziani genitori, chiese a più riprese, ma senza successo, la grazia al papa.
Dopo il 20 sett. 1870, tornò finalmente a Roma, dove prese parte attiva al dibattito politico sulla riorganizzazione e sullo sviluppo della città, entrando il 13 nov. 1870 nel Consiglio comunale nel quale, dopo le dimissioni del 1871, fu più volte rieletto (1875, 1885, 1889) svolgendo anche mansioni di assessore alla Polizia urbana dal 23 nov. 1889 all'estate del 1890. Liberale progressista del Centrosinistra, nel 1880 fu temporaneamente estromesso dall'avanzata dei cattolici dell'Unione romana, ma in quello stesso anno, sostenuto da A. Depretis, di cui divenne seguace nella politica del trasformismo, fu eletto alla Camera dei deputati dove, pur costretto da motivi di salute e di famiglia alle dimissioni nel 1881, ritornò nel 1883 e restò fino alla XX legislatura.
Il L. partecipò con impegno ai lavori parlamentari e fece parte di commissioni, ma non pronunciò discorsi in aula. Tra le questioni che lo videro maggiormente coinvolto, riguardanti specialmente i rapporti tra politica nazionale e amministrazione locale, merita di essere ricordata la convenzione per il concorso dello Stato nelle opere edilizie di Roma.
Il 21 nov. 1901 fu nominato senatore. Per molti anni fu economo dell'Amministrazione romana, la cui sede era presso il palazzo Valentini, dove il L. abitò con la famiglia e dove morì, il 13 ag. 1907.
Fonti e Bibl.: La documentazione relativa al coinvolgimento nel processo Petroni e alla detenzione è conservata presso l'Archivio di Stato di Roma, Direzione generale di polizia, Archivio segreto, bb. 157, 480, 511, 593, 594; Ministero dell'Interno, Protocollo riservato, b. 15; Tribunale supremo della S. Consulta, bb. 267, 309, 311, 312; Collezione acquisti e doni, b. 20. Per le misure della censura pontificia nel 1849: Arch. segreto Vaticano, Segreteria di Stato, Consiglio centrale di censura, b. 2; Segreteria di Stato, Epoca moderna, a. 1850, rubr. 68, f. 2. Il ricco carteggio del L. con i dirigenti del Comitato nazionale romano e con numerosi esponenti dell'emigrazione si trova presso il Museo centrale del Risorgimento di Roma, bb. 113, 129, 133, 184, 243, 244, 293, 295, 297, 298, 300, 311, 482, 769, 903, 962. Notizie e riferimenti sono in: Atti parlamentari, Senato, Discussioni, tornata del 5 dic. 1907, p. 7616 (commemorazione); Filodemo [L. Ovidi], Il Comitato romano e Roma, Torino 1863, pp. 27 s.; E. Perino, Il Municipio della terza Roma, 1870-1891, Roma 1891, passim; Sommario degli atti del Consiglio comunale di Roma dall'anno 1870 al 1895, Roma-Firenze 1895, ad nomen; G. Leti, Roma e lo Stato pontificio dal 1849 al 1870, II, Roma 1909, pp. 101 s.; E. Montecchi, Mattia Montecchi nel Risorgimento italiano, Roma 1932, pp. 159-164, 217 s., 232; Ed. nazionale degli scritti di G. Mazzini, Imola 1937, XLIX, pp. 30, 329; L, p. 95; LIII, p. 205; G. Carocci, Agostino Depretis e la politica interna italiana dal 1876 al 1887, Torino 1956, p. 245; F. Bartoccini, La "Roma dei Romani", Roma 1971, ad ind.; R. De Cesare, Roma e lo Stato del Papa. Dal ritorno di Pio IX al 20 settembre (1850-1870), Roma 1975, pp. 149, 153, 155-157, 345, 405; A.M. Isastia, Roma nel 1859, Roma 1978, pp. 56, 290; F. Bartoccini, Roma nell'Ottocento. Il tramonto della "città santa". Nascita di una capitale, Bologna 1985, pp. 610 s., 715; A. Caracciolo, Roma capitale. Dal Risorgimento alla crisi dello Stato liberale, Roma 1993, pp. 174, 231; M. Casella, Roma fine Ottocento. Forze politiche e religiose, lotte elettorali, fermenti sociali (1889-1900), Napoli 1995, pp. 109, 140; A. Ciampani, Cattolici e liberali durante la trasformazione dei partiti(, Roma 2000, ad ind.; T. Sarti, Il Parlamento subalpino nazionale, Terni 1890, p. 254; Diz. del Risorgimento nazionale, III, s.v.; Enc. biografica e bibliografica "Italiana", A. Malatesta, Ministri, deputati, senatori dal 1848 al 1922, II, pp. 112 s.