MONTI, Augusto
MONTI, Augusto. – Nacque a Monastero di Bormida (all’epoca in provincia di Cuneo, ora di Asti) il 29 agosto 1881 da Bartolomeo e Luisa Berlingeri.
Dopo iniziali studi di retorica al collegio di Cortemilia, il padre, penultimo di 11 figli, si era impiegato in un negozio di stoffe a Torino per trasferirsi poi in val di Bormida, fino al tracollo finanziario e al conseguente ritorno in città, quando Augusto aveva solo tre anni.
Compiuti i primi studi alla Moncenisio, la scuola di Cuore di De Amicis, nel 1890 Monti approdò al liceo classico Cavour. L’apprendistato scolastico, sotto lo sguardo vigile del padre, che preferì un suo temporaneo inserimento nel collegio internazionale, si concluse nel 1898 e l’anno successivo s’iscrisse alla facoltà di filosofia e lettere. Suoi maestri furono i professori della scuola positivistica (Rodolfo Renier, Ettore Stampini, Luigi Valmaggi e il glottologo Domenico Pezzi), ma la personalità di maggiore rilievo fu Giuseppe Fraccaroli, docente di letteratura greca, che lo introdusse nel mondo della classicità greco-romana. Si laureò il 17 luglio 1902, con una tesi incentrata su due personaggi del Satyricon di Petronio, Agamennone e Eumolpo. Nel 1904 discusse una seconda tesi in filosofia sullo stoicismo, ma ormai aveva fatto il suo ingresso nel mondo della scuola, scoprendo la sua vera vocazione. Ventunenne, fu nominato reggente in una scuola tecnica pareggiata di Giaveno, vicino a Torino, poi incaricato fuori ruolo di materie letterarie nelle classi inferiori del ginnasio si trasferì a Bosa (Nuoro).
In Sardegna, s’avvicinò alla Federazione nazionale insegnanti scuole medie e fu coinvolto dall’opera di rinnovamento avviata da Gaetano Salvemini, iniziando a collaborare alla rivista Nuovi Doveri di Giuseppe Lombardo - Radice. Il primo articolo, sulle biblioteche circolanti, è del 31 ottobre 1909. Dalla Sardegna, nel successivo anno scolastico Monti rientrò in Piemonte, a Chieri, dove nel 1910 sposò la maestra elementare Camilla Dezzani. In questi anni collaborò saltuariamente al giornale socialista Il Grido del Popolo, ma soprattutto alla rivista di Giuseppe Prezzolini La Voce, con articoli dedicati ai problemi didattici, ma anche alla storia del costume. Si pensi soprattutto all’intervento, assai poco conformistico, letto al convegno vociano sulla questione sessuale che si svolse a Firenze il 12-14 novembre 1910, Educazione sessuale e insegnamento letterario (poi stampato in Nuovi Doveri, 31 gennaio 1911).
Al periodo della collaborazione con Prezzolini va ricondotto l’inizio della produzione narrativa, la scoperta di Monti scrittore e, soprattutto, autobiografo. È da considerarsi una specie di incunabolo dei libri della maturità una coppia di articoli: Cose d’un uomo moderno. M’è nato un figlio (La Voce, 23 ottobre 1913) ed Educazione religiosa e padri atei (ibid., 13 gennaio 1914). L’autobiografismo vociano sarebbe stato un aspetto costitutivo della prosa intrisa di moralità di Monti, più ancora di quella che Massimo Mila (A. M., educatore e scrittore, in Il Ponte, V [1949], 8-9, p. 11) avrebbe definito la prosa del professore ossia la «scrittura d’ascolto». A quegli «ignoti lettori » della rivista di Prezzolini, che «comperavano con i loro soldi i libri segnalati dalla rivista e rimanevano fedeli al giornale anche se i loro articoli finivano nel cestino, paghi di ricever la lettera di Prezzolini che desse loro del tu» (I Sanssôssì. La storia di papà, a cura di A.A. Mola, 1993, p. 673) Monti rimase sempre fedele e la sua fedeltà si riflesse in una prosa moralistica che ricorda certe pagine di Giovanni Amendola, Piero Jahier e Scipio Slataper.
Sul finire del 1911 Monti, diventato da poco padre di Luisa (sua unica figlia: insegnante e scrittrice per l’infanzia, sarebbe andata in sposa al pittore torinese Mario Sturani), fu trasferito a Reggio Calabria, al liceo Tommaso Campanella. Contrariamente a uno stereotipo piuttosto diffuso, secondo cui egli sarebbe il simbolo di una radicata piemontesità, il processo di maturazione avvenne secondo il consolidato canone della «spiemontizzazione», teorizzato da Carlo Dionisotti per Vittorio Alfieri e Giuseppe Baretti. L’autobiografismo vociano, con il passare degli anni, venne a innestarsi nel filone piemontese che da Alfieri giunge fino a I miei ricordi di Massimo d’Azeglio. A Reggio, tramite la rivista di Lombardo - Radice, Monti prese contatto con l’Associazione nazionale per gli interessi morali ed economici del Mezzogiorno d’Italia (ANIMI), scoprì l’opera di Leopoldo Franchetti, conobbe le iniziative di Umberto Zanotti-Bianco, soprattutto fu affascinato dalla figura di Giustino Fortunato, cui avrebbe voluto dedicare una biografia (un abbozzo di questo lavoro, destinato alla collana UTET curata da Nino Valeri, è rimasto fra le carte lasciate incompiute da Monti negli ultimi giorni, prima della morte; Tesio, 1980, p. 199; C.F. Russo, A. M. nel centenario…, 1982, p.177).
Le lacerazioni connesse con l’intervento dell’Italia nella Grande Guerra colsero Monti a Sondrio. Tutta la ‘sua’ Università era al fronte: Salvemini, Prezzolini, Lombardo- Radice. Interventista democratico, fortemente anti giolittiano, Monti si trovò nel vortice del conflitto mondiale; allievo ufficiale a Parma, fu inviato al fronte il 15 maggio 1917. Sette giorni dopo fu fatto prigioniero e trasferito nel campo di prigionia di Mauthausen, da dove inviò alla moglie lettere intense piene di nostalgia per la figlia Luisotta.
Riprese l’insegnamento nel 1919 a Brescia. Nel 1921 conobbe a Torino Piero Gobetti e ne ammirò subito il talento. Il primo articolo su La rivoluzione liberale è del 9 aprile 1921 (Note sulla burocrazia), poi la collaborazione con le riviste gobettiane divenne più intensa di quella vociana, conservando, da un lato, il segno di una visione nazionale e non localistica della politica, dall’altro, una speranza di rinnovamento delle arcaiche consuetudini di una cultura restia al rinnovamento.
La collaborazione ebbe il suo culmine con la stesura del libro Scuola classica e vita moderna, uscito a Torino nel 1922. Gobetti, nella sua recensione (Un maestro classico di modernità, in Rivista di Milano, 10 aprile 1923, p. 11), parlò di «uno scrittore dell’eresia» ovvero del «testamento spirituale di un professore che ha dedicato venti anni di lavoro a vivere la scuola classica come fattore di modernità». Nella contrapposizione tra classicità e modernità egli coglieva il punto nevralgico di una scrittura che si teneva lontana dal mistilinguismo scapigliato alla Giovanni Faldella perché tendeva ad attualizzare l’inattualità del mondo greco-romano. Identica a quella di Gobetti l’interpretazione del Risorgimento come rivoluzione incompiuta (Monti soleva ripetere che l’Italia era nata di sette mesi) e dell’Italia liberale che non era stata affatto un esempio di crescita morale, come sosteneva Benedetto Croce. Identico l’atteggiamento critico verso il partito socialista e la conseguente simpatia per il giovane partito comunista e per la democrazia dei consigli di fabbrica. Identica infine la concezione della politica come disciplina morale, fatta da piccoli gruppi di intellettuali.
Con il libro del 1922 si concludeva la formazione di Monti, il quale, contemporaneamente con l’attuarsi della riforma Gentile, s’insediò nel palazzo di via Parini, sede del liceo ginnasio Massimo D’Azeglio, dove divenne collega di Umberto Cosmo, Zino Zini e Cosimo Giorgieri-Contri. Erano gli anni della discussione sul nuovo esame di stato, ma anche i giorni del rafforzamento del fascismo e dell’avvento della dittatura. Monti era diventato, per sua stessa ammissione, «governativo» (I miei conti con la scuola, Torino 1965, p.198).
Richiami al Sommario di pedagogia come scienza filosofica di Giovanni Gentile (Bari 1913- 1914) non mancano nel volume scritto per Gobetti e negli articoli dedicati alla riforma scolastica. Andava consolidandosi un metodo d’insegnamento preciso. Scarso peso alle versioni e rifiuto delle storie letterarie: le prime andavano rifiutate perché costringevano a un’arida ripetizione mnemonica peggiore dell’ignoranza; le storie letterarie non potevano essere più utilizzate, anche se continuavano a rimanere un pilastro dell’educazione nazionale.
La collaborazione a La Rivoluzione liberale e la conoscenza di Luigi Einaudi, il cui figlio maggiore era stato suo allievo, gli aprirono la strada di un rapporto con il Corriere della Sera, sulle cui pagine cominciò a scrivere di argomenti scolastici. A Il Baretti affidò invece una lunga recensione della Storia d’Italia di Croce, dove, sia pure nel dissenso sul giudizio per l’età giolittiana, si ritrova il fondamento della ricostruzione degli anni 1871-1915 che sarebbe affiorato nell’opera maggiore: Sanssôssì. Gli spensierati: cronaca domestica piemontese del secolo XIX, la cui prima parte apparve a Milano nel 1929, l’anno del Concordato e della lettera a Croce in solidarietà per il discorso in Senato sui Patti lateranensi.
Nella genesi dei Sanssôssì, dove rievocava l’infanzia, un ruolo maieutico fondamentale ebbe l’amicizia con Cesare Pavese, antico allievo diventato modello di scrittura. Il «sanssôssì » piemontese non è soltanto il sans-souci francese, che vuol dire gaio e spensierato, ma, come ha scritto Norberto Bobbio (1981, p. 83), «è qualche cosa di più (e di peggio), perché significa anche sventato, incosciente, irresponsabile ». È il fanciullo incolpevole che scherza con il fuoco e ride del pericolo. È probabile che, nel delinearsi di questa figura, Pavese avesse avuto un ruolo importante: sul piano della letteratura e dei miti Monti stabilì con lui un rapporto simile a quello che sul piano esistenziale aveva instaurato con la figura del padre. La corrispondenza fu molto intensa a partire dal 1926 e si può dire che Monti abbia seguito passo dopo passo le prime prove di Pavese.
Fra il 1934 e il 1935 pubblicò a Milano, sempre nell’ambito dei Sanssôssì, il dittico La storia di papà: il primo volume, intitolato Quel quarantotto, ottenne il premio Fucinato, ma suscitò animose reazioni da parte della stampa di regime. La sua uscita venne a coincidere con la cattura a Ponte Tresa di Sion Segre Amar e di altri oppositori torinesi, per lo più studenti gravitanti intorno al liceo D’Azeglio, membri di quella che era definita la «banda» del professor Monti. Anche la casa dove la banda si radunava venne perquisita e Monti arrestato e detenuto alle Nuove per alcuni giorni. La seconda metà de La storia di papà, intitolata L’iniqua mercede, venne stampata il 15 maggio 1935, giorno in cui Monti fu arrestato con Vittorio Foa, Massimo Mila, Michele Giua, Giannotto e Alfredo Perelli. Quel libro conteneva, fra l’altro, un capitolo, Un savio Nathano monferrino, che per il momento in cui fu redatto parve ad alcuni lettori come un omaggio alle radici ebraiche di molti antifascisti torinesi arrestati con lui. La sentenza di condanna, emessa il 28 febbraio 1936, fu di sette anni.
Rimase in carcere, prima nel penitenziario di Regina Coeli a Roma, poi in quello di Civitavecchia, sino al 1° marzo 1939, allorché in condizioni di salute precarie fece ritorno a Torino, sorvegliato speciale dell’OVRA e della milizia fascista. Per sfuggire ai controlli si trasferì a Cavour: dopo il 25 luglio 1943 fu aggredito in strada e la sua presenza in paese venne segnalata dai giornali locali. Trascorse l’inverno 1943-1944 in val Piana, infine fu di nuovo a Chieri, ospite di un vecchio operaio antifascista, la cui figlia, Caterina Bauchiero sarebbe divenuta nel 1951 la sua seconda moglie (la prima era morta nel 1932).
Dopo la caduta del fascismo Monti accettò l’incarico di sovrintendente regionale scolastico affidatogli dal Comitato di liberazione nazionale piemontese. Nei giorni della ricostruzione (8 giugno 1945) pubblicò a Torino con Einaudi Realtà del partito d’azione, un saggio-pamphlet, in stile gobettiano, in cui la vena autobiografica, al solito, contendeva lo spazio alla politica e alla storia. Fra i primi collaboratori delle riviste Belfagor e Il Ponte, nel 1949 ristampò, sempre per Einaudi, con il titolo Tradimento e fedeltà, la sua Storia di papà in versione ampliata.
L’avvicinamento al Partito comunista lo portò a collaborare a L’Unità, con note e recensioni soprattutto letterarie concordate con Italo Calvino. L’esordio avvenne con la traduzione dal piemontese del romanzo di Luigi Pietracqua, Don Pipeta l’Asilé, con cui s’inaugurò, in modo piuttosto eretico (il libro parla del contrasto tra poteri assoluti e massoneria), un rapporto che fu notevole soprattutto per l’individuazione di romanzi d’appendice da riproporre ai lettori del giornale fondato da Gramsci (proprio nei mesi in cui veniva fuori l’edizione postuma delle note gramsciane sul romanzo popolare dell’Ottocento). Sul finire degli anni Cinquanta è il ritorno alla letteratura con due romanzi, sempre da Einaudi, Vietato pentirsi (Torino 1956), sulla vita di Leone Castani, detenuto che aveva incontrato a Civitavecchia, e Ragazza 1924 (ibid. 1961), ispirato alla storia della seconda moglie.
Negli anni Cinquanta l’impegno politico nelle file del Partito comunista s’intensificò: molto aspri e duri furono i suoi interventi giornalistici ai tempi dei licenziamenti decisi da Vittorio Valletta alla Fiat nel 1952; da ricordare anche la sua realistica difesa degli equilibri di Yalta nei giorni dell’invasione dell’Ungheria, in una lettera a Togliatti e con un articolo sul quotidiano di partito dal titolo Gli indipendenti e la “svolta” (8 aprile 1956). Due anni dopo Monti si trasferì a Roma, per lavorare al compimento del ciclo sulla Storia di papà, che uscì a Torino, da Einaudi, con il titolo definitivo di Sanssôssì nel 1963; un anno prima con lo stesso editore aveva mandato in libreria la sua singolare autobiografia, intitolata I miei conti con la scuola.
Morì a Roma nella notte tra il 10 e l’11 luglio 1966.
Opere: Un’edizione completa delle opere è in corso di stampa a Cuneo presso l’editore L’Araba Fenice; sono fin qui apparsi i seguenti volumi: Realtà del Partito d’azione, a cura di A.A. Mola, Cuneo 1993; I Sanssôssì. La storia di papà, a cura di A.A. Mola, ibid. 1993; Il mestiere di insegnare, a cura di R. Fornaca, ibid. 1995; Vietato pentirsi, a cura di G. Tesio, ibid. 1996; Val d’Armirolo, ultimo amore, a cura di G. Tesio, ibid. 2006. Per I miei conti con la scuola conviene ancora fare riferimento all’edizione Einaudi 1965.
Fonti e Bibl.: Due importanti profili sono quelli tracciati da M. Mila, A. M., educatore e scrittore, in Il Ponte, V (1949), n. 8-9, pp. 11-48, e N. Bobbio, M. e Gobetti, in Belfagor, XXXVI (1981), n. 1, pp. 83-97. Si veda inoltre: A. M. nel centenario della nascita, Atti del Convegno di studio, Torino - Monastero di Bormida… 1981, a cura di G.Tesio, Torino 1982. Un’ampia scelta di corrispondenza dal carcere, a cura di L. Sturani Monti si trova in A. M., Lettere a Luisotta, prefazione di M. Mila, Torino 1977 (il carteggio si conserva presso il Centro studi Piero Gobetti di Torino); una scelta di lettere dal fronte è stata pubblicata a cura di E. Coppa, Lettere dalla Grande Guerra, Cuneo 2007; 35 lettere a Pavese, conservate presso il Fondo Cesare Pavese dell’Università di Torino, sono state pubblicate a cura di A. Dughera, M. e Pavese: storia di un’amicizia attraverso le lettere, in A. M. nel centenario della nascita…, cit., pp. 55-95. Lettere inedite di corrispondenti vari sono state rese note dalla biografia di G. Tesio, A. M.: attualità di un uomo all’antica, Cuneo 1980; alcune lettere a Natalia Ginzburg si trovano in un volumetto a cura del Centro studi P. Calamandrei, Cara Natalia: appunti, ricordi inediti, Jesi 2008. Sulle diverse edizioni dell’opera maggiore si veda G. Tesio, A. M. e le diverse edizioni dei Sanssôssì, in Id., La provincia inventata, Roma 1983, pp. 277-299.