RIBOTY, Augusto
RIBOTY, Augusto. – Nacque il 28 novembre 1816 a Puget Théniers, nel contado di Nizza, dal cavaliere Giovanni Battista e da Adelaide dei conti Costantin di Castelnuovo.
Riboty proveniva dal patriziato nizzardo che tradizionalmente dava una quota significativa di ufficiali alla Marina sabauda. Con l’acquisto della Liguria nel settembre del 1815, le attività navali del Regno di Sardegna erano in espansione: tra il 1815 e il 1817 furono istituiti la Segreteria di Marina a Torino, tre dipartimenti marittimi costieri e la Scuola di Marina a Genova, a cui Riboty fu iscritto l’11 giugno 1830. Ne uscì con il grado di guardiamarina di 2ª classe il 21 luglio 1835.
Dopo un breve imbarco sul brigantino Zeffiro, passò sulla fregata Euridice, che dall’agosto 1836 al gennaio 1838 compì una lunga navigazione atlantica fino alla stazione navale del Plata e ritorno; guardiamarina di 1ª classe dal gennaio 1842 e sottotenente di vascello il 1° luglio, dall’ottobre 1843 al settembre 1848 prestò servizio sul brigantino Colombo, per tre anni di stazione al Plata e poi inviato in Adriatico per la guerra con l’Austria, cui Riboty, promosso nell’aprile del 1848, partecipò da luogotenente di vascello di 2ª classe. Alla ripresa delle ostilità, nel marzo del 1849, passò sulla fregata ammiraglia San Michele, a bordo della quale visse il tempestoso ritorno in patria della squadra sarda.
In agosto contrasse matrimonio con Caterina Croero, con la quale ebbe due figlie.
Sbarcato a terra il 26 ottobre 1849, raggiunse il grado di luogotenente di vascello di 1ª classe il 1° gennaio 1852. Nel 1855 prese parte alla guerra di Crimea come membro dello stato maggiore della fregata Carlo Alberto, ma all’inizio dell’anno successivo ebbe il suo primo comando sul trasporto Dora, con cui effettuò viaggi tra Genova e il Mar Nero e in zona di guerra. Capitano di corvetta dal 29 agosto 1857, nella primavera del 1859 ebbe ai suoi ordini la corvetta a ruote Monzambano, impegnata nel trasporto di truppe francesi fra Tolone e Genova per la guerra del 1859.
Capitano di fregata dal 1° aprile 1860, dal dicembre diresse la Scuola di Marina di Genova: durante questo incarico fu promosso capitano di vascello di 2ª classe il 7 aprile 1861 e di 1ª classe il 2 gennaio 1862. Nel gennaio del 1864 venne nominato capo di stato maggiore della squadra d’evoluzione e si imbarcò sulla nave ammiraglia, fregata Maria Adelaide, che stazionò con la squadra nelle acque di Tunisi da aprile a settembre, a tutela dei connazionali minacciati da disordini interni. Tornato a terra l’8 novembre, riassunse il comando della Scuola di Marina di Genova fino al 20 aprile 1865, passando poi alla direzione di quella di Napoli, nominalmente fino al 1° giugno 1866, sebbene dal 20 gennaio al 5 marzo reggesse il gravoso incarico di aiutante generale del secondo dipartimento marittimo e il 22 maggio fosse a La Spezia per assumere il comando della fregata corazzata da 28 cannoni Re di Portogallo, nave ammiraglia di una divisione della flotta, mobilitata per la terza guerra di indipendenza.
A Lissa, il 18 luglio 1866, attaccò a distanza ravvicinata Porto S. Giorgio e nel furioso scambio di colpi, che provocò perdite anche sul Re di Portogallo, riuscì a far saltare in aria la batteria Schmidt. Concorse poi efficacemente ad altri bombardamenti, ma il 19 la macchina motrice della fregata entrò in avaria e solo un affannoso lavoro notturno consentì all’unità, la mattina seguente, di muovere all’arrivo del nemico. Nella seconda fase della battaglia, 10 corazzate italiane con 252 cannoni furono coinvolte in una mischia ravvicinata e confusa contro tutta la squadra austriaca, che contava 27 unità e 534 cannoni, con un rapporto di colpi sparati di 4500 contro 1500 in favore degli austriaci. Il grosso vascello Kaiser – due ponti, 92 cannoni – venne lanciato dal comandante in seconda della squadra austriaca, commodoro Anton Petz, a investire la corazzata di Riboty, il quale prontamente contromanovrò e le due navi strisciarono l’una contro l’altra. Il Kaiser ebbe ventiquattro morti e settantacinque feriti, il Re di Portogallo cinque morti e dieci feriti, ma al vascello si ruppero gli alberi di bompresso e di trinchetto, che si abbatterono sulla ciminiera provocando un incendio, mentre la polena raffigurante l’imperatore cadeva sulla coperta del Re di Portogallo. Il vascello, creduto dapprima affondato, riuscì invece a riparare faticosamente a Porto S. Giorgio «sotto la scorta di alcune navi di legno, alla cui azione congiunta dovette la sua salvezza» (relazione del 27 novembre 1866 di Wilhelm von Tegetthoff al ministro della Guerra Karl Franck, in La campagna del 1866, 1966, p. 228). A Riboty venne conferita la medaglia d’oro al valor militare, motivata dalla sua «valorosa condotta» nelle «operazioni navali in Adriatico il 18, 19 e 20 luglio 1866» (Alberini - Prosperini, 2015, p. 447).
In comando della prima divisione della squadra a Taranto, il 10 settembre ebbe ordine di partire immediatamente per Palermo, dove era scoppiata una rivolta; i ribelli controllavano la città, tranne il forte di Castellammare e Palazzo Reale, in cui erano asserragliate le autorità e le scarse truppe presenti. Giunta la divisione davanti a Palermo, dove già erano accorsi da Napoli il Tancredi e il Rosalino Pilo, Riboty dispose le navi con le fiancate parallele alla riva per tenere l’abitato sotto la minaccia dei cannoni. Naufragata una sortita degli assediati, la mattina del 19 settembre un battaglione di bersaglieri, comandato dal maggiore Pietro Brunetta d’Usseaux, tentò un primo attacco che fu respinto; a metà giornata due battaglioni di marinai e fanteria di Marina sostenuti da forze di terra, agli ordini del capitano di fregata Emerico Acton, condussero con decisione una nuova azione che dovette essere interrotta per esaurimento delle munizioni quando era già costata due morti e quaranta feriti. Sbarcate altre forze, il generale Diego Angioletti assunse il comando e il 21 settembre la città fu riconquistata, Palazzo Reale liberato e i rivoltosi dispersi, anche con l’apporto di azioni a fuoco e diversive operate dalle unità navali.
La squadra d’operazioni fu sciolta e venne costituita con poche unità la squadra permanente del Mediterraneo, che, affidata a Riboty, gravitò sul Tirreno per impedire sbarchi di volontari sulle coste pontificie e confinanti. La questione di Roma, però, avvelenava sempre più i rapporti italo-francesi per la sospettata connivenza del governo ai preparativi di Giuseppe Garibaldi; l’11 agosto l’ammiraglio lasciò il comando della squadra, ma vi fu richiamato nel momento più acuto della crisi, il 17 ottobre. Due giorni dopo Parigi pretese, in forma ultimativa, provvedimenti di repressione minacciando l’intervento militare, nell’eventualità del quale il ministro della Marina Federico Pescetto ordinò a Riboty di attaccare la flotta francese di scorta al convoglio per Civitavecchia. La superiorità della flotta imperiale prospettava alla squadra italiana un sacrificio inutile, tuttavia l’ammiraglio, che nutriva una sorta di sentimento mistico del dovere, decise di addestrare le sue navi alla manovra disperata di gettarsi contro quelle avversarie alla massima velocità nell’intento di speronarle. Dimessosi Urbano Rattazzi, gli subentrò il secondo gabinetto diretto da Luigi Federico Menabrea che gestì la situazione in maniera più ragionevole.
Eletto deputato per la X legislatura in una suppletiva svoltasi nel marzo del 1868 nel collegio di Ancona, Riboty fu nominato ministro della Marina del secondo governo Menabrea nel gennaio del 1868. Un mese dopo espose alla Camera un programma di medio-lungo termine, affermando che la posizione geografica, l’economia, la storia concordemente esigevano che l’Italia si dotasse di uno strumento navale capace di garantirne l’indipendenza, come pure di «proteggere gli interessi marittimi della Nazione e costituirle una giusta influenza nella bilancia della politica europea» (Gabriele, 1999, p. 205); ma il potere marittimo non poteva essere improvvisato e il Paese doveva affrontare un processo di lunga lena per costruirlo con fiducia e perseveranza, anche se proprio in quegli anni i bilanci della Marina scivolavano ai livelli più bassi della loro storia (45,6 milioni di lire correnti nel 1867; 38,8 nel 1868; 32 nel 1869, rispettivamente corrispondenti a 11,7, 10 e 7,8 miliardi di lire costanti 1959). La sicurezza delle coste costituiva il problema centrale, ma il dibattito inglese tra la Brick and Mortar School, cara all’esercito che puntava su fortificazioni litoranee fisse, e la Blue Water School della Marina che predicava la difesa mobile affidata alla flotta, non si ripropose in Italia, dove Riboty, sostenuto dalla commissione interforze per la difesa del litorale, era decisamente in favore dell’acqua blu. Urgeva però la riorganizzazione totale dello strumento militare marittimo, preliminare alla costruzione di una flotta nazionale idonea a essere usata per una politica navale coerente con quella estera. La Regia Marina aveva un organico pletorico di 587 ufficiali, di cui 13 ammiragli: il ministro mise a riposo i più anziani e poi se stesso, sacrificando la propria carriera, ma dando un segnale di recupero morale che gli liberò le mani per ulteriori provvedimenti. Diede grande importanza alla preparazione del personale, e varò una serie di misure tese a unificare l’attività delle Scuole di Genova e di Napoli, in attesa dell’auspicata Accademia navale unica di Livorno per la quale si adoperò pur senza conseguire risultati definitivi. Nell’aprile del 1868 promosse la nascita della Rivista marittima con il programma di avvalersi della collaborazione degli ufficiali e di pubblicare relazioni tecniche, rapporti di operazioni ed esercitazioni, notizie e informazioni marittime. Il 2 maggio 1869 istituì a La Spezia la Scuola di artiglieria navale cui fu destinato il vascello Re Galantuomo da 47 cannoni.
Confermato nel terzo governo Menabrea, con regio decreto del 21 agosto 1869 Riboty dispose che ogni anno la flotta eseguisse per almeno quaranta giorni grandi manovre di tattica navale. Per gli arsenali puntò, con le scarse risorse che aveva, su quelli esistenti di Spezia e Venezia, però accettò un ordine del giorno per Taranto, da cui sperava per l’avvenire utilità analoghe a quelle che dava agli inglesi la base di Malta. Prestava inoltre grande attenzione alle armi nuove, torpedini e mezzi sottomarini, il cui avvento poteva ridurre la distanza fra le grandi flotte storiche e il nuovo potere marittimo italiano: il 26 agosto 1871, quattro giorni prima del suo terzo incarico ministeriale, la ‘talpa marina’ di Giambattista Toselli avrebbe condotto con successo nella baia di Napoli il primo esperimento italiano di navigazione subacquea. A metà maggio 1869 il ministro aveva presentato al Parlamento un «piano organico del materiale della Marina» che proponeva una flotta di 84 unità, di cui 20 navi di linea e 7 fregate; in armonia con il concetto ispiratore delle leggi navali, la spesa sarebbe stata ripartita in dieci anni, ma la caduta del secondo governo Menabrea, dimessosi il 14 dicembre 1869, e la linea di stretta economia nelle spese militari assunta dal successivo gabinetto presieduto da Giovanni Lanza fecero accantonare il progetto che non venne neanche discusso.
Intanto però, con quello che aveva, Riboty era riuscito a fronteggiare le esigenze navali più impellenti, come il mantenimento dei rapporti marittimi con l’Estremo Oriente dopo la stipula dei trattati commerciali con il Giappone e la Cina; l’attività della stazione navale del Plata; i primi approcci concreti al Mar Rosso, nella cui area inviò in missione segreta il contrammiraglio Guglielmo Acton con il mandato di individuare, insieme al professor Giuseppe Sapeto, un punto idoneo a «crearvi – scriveva Riboty a Menabrea il 7 settembre 1869 – un porto di scalo che possa servire da vedetta e difesa del nostro commercio» (Gabriele, 2001, p. 145). E questo fu Assab.
Tra il secondo e il terzo incarico di Riboty al ministero della Marina, Roma era stata riunita all’Italia. L’evento non modificava la fragilità e la povertà del Paese, tuttavia il nome della capitale evocava un passato di grandezza che apriva a speranze nuove. Questo messaggio si confaceva alla personalità e alla forma mentis dell’ammiraglio, nominato nel dicembre del 1870 senatore e alla fine di agosto 1871 di nuovo ministro della Marina nel governo Lanza. Ripresi con nuova lena i suoi precedenti progetti, Riboty concordò la spesa sostenibile per una legge navale poliennale con il collega delle Finanze Quintino Sella. Il provvedimento fu presentato alla Camera il 12 dicembre 1871: in una cornice di risistemazione e potenziamento generale del settore veniva proposta una flotta composta da 73 unità (12 navi di linea, 22 da crociera, 7 avvisi, 6 trasporti, 18 guardacoste e 8 rimorchiatori), con una spesa di 165 milioni distribuita nel quinquennio 1872-76. Le nuove costruzioni comprendevano 2 corazzate, 4 cannoniere e 10 guardacoste, ma ogni branca di attività della Marina veniva considerata, aggiornata e potenziata; l’Accademia unica per l’istruzione e la preparazione degli ufficiali fu riconfermata. Questa volta la proposta sollevò interesse e consenso, addirittura la disponibilità ad andare anche oltre: il Consiglio superiore di Marina indicò in 21 la consistenza delle navi di linea necessarie e la giunta della Camera portò a 102 le unità della flotta ventura. Ma la vera novità del programma cantieristico era la grande corazzata rivoluzionaria progettata da Benedetto Brin, una nave nuova, dotata di caratteristiche eccezionali per il tempo: dislocamento 12.000 tonnellate, velocità quasi 16 nodi, due torri idrauliche per l’artiglieria principale, forte corazzatura a compartimenti stagni, riduzione del bersaglio offerto all’avversario in combattimento mediante l’allagamento della coperta. La prima legge navale venne approvata il 12 marzo 1873, e subito il Dandolo fu impostato alla Spezia e il Duilio a Castellammare di Stabia. Non meno importante fu la decisione di istituire una grande base e un arsenale a Taranto e di trasferire da Ancona a Venezia il terzo dipartimento marittimo. Dallo Jonio la regia marina gravitava sul Mediterraneo e sul canale di Otranto; preoccupato, il ministro austriaco della Guerra Franz Kuhn von Kuhnenfeld esplorò, durante la primavera del 1873, il litorale adriatico orientale per individuare un nuovo porto militare più a meridione di Sebenico e opzionò Cattaro, il cui raggio d’azione, peraltro, non poteva compararsi con quello di Taranto. La Rivista marittima, intanto, non perdeva occasione per ribadire che per difendere le coste si doveva aver fiducia solamente nella flotta, tesi che una famosa brochure panique ispirata dal ministro ancora una volta ribadì, con notevole impatto sull’opinione pubblica (C. Rossi, Il racconto di un guardiano di spiaggia. Traduzione libera della battaglia di Dorking, Roma 1872).
La salute non aiutava Riboty, che era spesso malato. Perse inoltre una figlia alla quale era molto legato e ne subì un forte contraccolpo. Così, quando il governo Lanza si dimise il 10 luglio 1873, si ritirò a vita privata, non senza aver offerto un ultimo servizio al Paese segnalando come proprio miglior successore Simone Pacoret de Saint Bon, che aveva promosso contrammiraglio ad hoc il 4 luglio. Visse ancora quindici anni tra Genova e Pegli.
All’inizio del 1888 si recò a Nizza, dove morì l’8 febbraio di quello stesso anno, quasi improvvisamente.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio dell’Ufficio storico della Marina militare, Biografie ufficiali, cart. R 1, f. 10. Inoltre: G. Pagano, Avvenimenti del 1866. Sette giorni di insurrezione a Palermo, Palermo 1867, passim; G. Gonni, L’ammiraglio A. R., in Bollettino dell’Ufficio storico del comando di stato maggiore, 1° settembre 1929, p. 4; La campagna del 1866 nei documenti militari austriaci. Le operazioni navali, a cura di A. Filipuzzi, Padova 1966, ad ind.; A. Iachino, La campagna navale di Lissa. 1866, Milano 1966, ad ind.; M. Gabriele - G. Friz, La flotta come strumento di politica nei primi decenni dello Stato unitario italiano, Roma 1973, ad ind.; F. Leva, Storia delle campagne oceaniche della R. Marina, I, Roma 1992, ad ind.; M. Gabriele, A. R., Roma 1999; Id., Guglielmo Acton, Roma 2001, ad ind.; P. Alberini - F. Prosperini, Uomini della Marina. 1861-1946, Roma 2015, ad ind.; Camera dei Deputati, Portale storico, http://storia. camera.it/deputato/augusto-riboty-18161129#nav (13 giugno 2016); Archivio storico del Senato, Banca dati multimediale I senatori d’Italia, II, Senatori dell’Italia liberale, sub voce, http://notes9.senato.it/web/senregno.NSF/ R_l2?OpenPage (13 giugno 2016).