SALIMBENI, Augusto
– Nacque a Modena il 3 gennaio 1847 dal conte Valerio, appartenente a una nobile e antica famiglia di origine senese trasferitasi nel Settecento nella Repubblica veneta, dove i suoi membri ebbero importanti incarichi, e dalla baronessa Adelaide Ghislenzoni. La coppia ebbe altri quattro figli: Leonardo, Guglielmo, Alfonsa e Giustina.
Collocato nel 1855 nel collegio S. Carlo di Modena vi compì i suoi studi fino a quando, dopo otto anni, passò alla Regia Accademia militare, dove frequentò i corsi di allievo ufficiale. Appena nominato sottotenente prestò servizio nei bersaglieri e nel 1866 combatté al seguito del generale Giacomo Medici nella terza guerra di indipendenza, meritandosi a Primolano una medaglia al valor militare. Dopo aver dissipato gran parte del patrimonio lasciatogli dal padre, morto il 2 aprile 1869, stanco della vita militare nel 1870 dette le dimissioni dall’esercito per sposare una giovane donna palermitana, Amalia Delisi, da cui ebbe due figli, Piero e Augusta Pierina. Contemporaneamente si dedicò agli studi di ingegneria, dimostrando il suo interesse anche per quelli di medicina. Conseguita la laurea in ingegneria, trovò impiego inizialmente come delegato stradale nella provincia di Teramo e venne poi assunto a Firenze dall’Istituto cartografico militare. Dopo la morte del figlio Piero decise di andare in Africa, cercando inutilmente di aggregarsi alla spedizione di Pellegrino Matteucci. Nel 1883 venne chiamato da Gustavo Bianchi a far parte della sua seconda spedizione in Abissinia, con l’incarico di occuparsi della costruzione di un ponte sull’Abai (il Nilo Azzurro), chiesto al governo italiano dal re del Goggiam, Tecla Haimanot, in cambio dell’aiuto prestato nella liberazione di Antonio Cecchi, altro esploratore caduto prigioniero della regina del Ghera nel 1879 perché ritenuto una spia di Menelik.
Dopo essersi imbarcato a Napoli assieme agli altri membri della spedizione il 27 gennaio 1883, per giungere a Massaua il 16 febbraio e ad Asmara il 9 marzo, nei giorni successivi si recò a Zazega, assieme a Gustavo Bianchi e a Cesare Diana, per discutere con Bellata Gabrù, rappresentante del negus, le modalità della spedizione. Il 27 marzo ottennero finalmente l’autorizzazione a partire, per cui, oltrepassato il Mareb, giunsero ad Adua il 6 aprile, accolti dal governatore. A quel punto Salimbeni venne incaricato di recarsi a Macallè, dove si trovava il falegname piemontese Giacomo Naretti, diventato architetto e consigliere di ras Alula, che aveva contribuito a favorire rapporti commerciali e di amicizia tra l’Abissinia e l’Italia: caduto ammalato e bisognoso di cure, Naretti fu raggiunto il 19 aprile dopo tre giorni di viaggio attraverso i pianori e le montagne del Tigrai.
Quando Salimbeni rientrò ad Adua i suoi compagni erano già partiti alla volta di Axum, dove li raggiunse con molta difficoltà per ripartire assieme a loro il 27 aprile verso la residenza reale di Samara (la moderna Debra Tabor), dove arrivarono il 25 maggio. In quella circostanza, oltre a svolgere il compito di segretario della missione, che gli era stato affidato da Bianchi, passò il tempo a esercitare anche quello di medico, che lo rese particolarmente gradito agli abitanti e gli valse addirittura la proposta, da lui rifiutata, di rimanere alla corte del negus.
Il viaggio riprese solo il 9 ottobre alla volta di Moncorer (Debra Marcos), la capitale del Goggiam, dove il re aspettava gli italiani, che vi giunsero il 1° novembre, soprattutto per la costruzione del ponte e per la fondazione di una stazione commerciale. Rimasto solo assieme a Giuseppe Andreoni, un giovane capomastro muratore di Mendrisio che aveva ingaggiato a Suez, dopo il rientro in Italia del resto della spedizione Salimbeni si dedicò alla realizzazione di questi obiettivi. Dopo varie ricognizioni decise di costruire il ponte, rispetto al progetto originario, sul versante sinistro del fiume Temcià, lungo la più importante via commerciale di quel regno che dal Goggiam occidentale conduceva a Gondar. Il 6 gennaio 1884 partì pertanto per il Temcià, che raggiunse alla metà di aprile a Dildil Gimma per iniziare tuttavia i lavori, a causa dell’ostruzionismo dei capi locali, solo il 15 dicembre e concluderli il 14 marzo 1885.
Contemporaneamente si dedicò anche a verificare le possibilità di creare una stazione scientifica e commerciale: visitò i territori circostanti per prendere le informazioni necessarie sui mercati e inviare al riguardo numerosi rapporti al ministero dell’Agricoltura, che gli affidò l’istituzione e la direzione di una stazione nel territorio di Agul; ma per trovare i fondi, il materiale e gli appoggi necessari alla realizzazione di questo progetto e del ponte sull’Abai, che continuava a restare l’obiettivo principale del suo viaggio, dovette tornare in Italia, dove fu ricevuto in udienza dal re Umberto I alla fine del 1885. Dopo aver ottenuto l’appoggio soprattutto della Società geografica italiana, ripartì da Napoli il 15 settembre 1886 in un periodo di crescente tensione fra Italia ed Etiopia, diretto ad Aden assieme al maggiore Federico Piano, accompagnato dal figlio undicenne, al conte Tancredi Broscorens di Savoiroux, tenente di cavalleria in aspettativa, e a due operai modenesi. Dopo essere sbarcati a Massaua il 9 ottobre e aver raggiunto Asmara il 4 dicembre, Salimbeni e i suoi compagni dovettero aspettare oltre un mese ras Alula, governatore dell’Hamasien, allora ad Adua, che li accolse con cordialità il 7 gennaio 1887, assicurando loro tutta l’assistenza necessaria per il prosieguo del viaggio. Ma la notizia che gli italiani avevano occupato Ua-à, sopra Archico, costruendovi un forte e proteggendo i pozzi d’acqua con alcune trincee, cambiò l’atteggiamento di questo ras, soprattutto dopo che Salimbeni non era riuscito a indurre il generale Carlo Genè a ritirarsi. Lo fece infatti catturare assieme ai suoi compagni e trasportare nel suo accampamento di Ghinda, pensando di usarli come ostaggi e accusandoli di spionaggio. Soltanto dopo la battaglia di Dogali e dopo laboriose trattative fra Gené e Alula, furono liberati, a eccezione del conte di Savoiroux, e, dopo essere tornati a Massaua il 17 marzo 1888 in precarie condizioni di salute, riuscirono a rimpatriare.
Nella prima parte del 1888 Salimbeni si impiegò come ingegnere presso la giunta superiore del catasto a Roma e successivamente entrò a far parte del nascente Ufficio coloniale del ministero degli Affari esteri, per tornare nuovamente in Africa nell’estate del 1890 dopo che, entrato nella cerchia di Francesco Crispi, grazie all’esperienza che aveva acquisito della complessa situazione politica dell’area scioana e ai rapporti che era riuscito a instaurare con le autorità locali, nel novembre del 1889 era stato nominato residente generale dell’Italia presso la corte di Menelik. In questa veste prese parte alle laboriose trattative avviate per risolvere le controversie sorte sull’interpretazione dell’articolo 17 del trattato di Uccialli, la cui traduzione in lingua italiana non corrispondeva, secondo il governo italiano, al testo amarico; ma il problema non venne risolto e Salimbeni ripartì l’11 febbraio 1891 alla volta di Aden, dove si imbarcò per l’Italia per riprendere il suo lavoro al ministero degli Esteri. All’inizio del 1892 fu inviato come informatore in Haràr, con il mandato preciso di risolvere con il ras Maconnen l’ingarbugliato problema del prestito etiopico che era rimasto in sospeso e tentare di staccare il governatore dell’Haràr da Menelik.
Trascorse a Roma gli ultimi anni della sua vita, angustiato dalla precaria condizione economica e afflitto dalle polemiche sul suo operato. Poco dopo la scomparsa della moglie, avvenuta l’11 febbraio, morì a Casal Donelasco, presso Stradella, dove si era ritirato nella villa di un fratello, il 4 luglio 1895. La morte fu probabilmente causata dall’ingestione per errore del cianuro di mercurio invece del calomelano (cloruro mercuroso), utilizzato per combattere la tenia che aveva contratto in Africa, anche se qualcuno ipotizzò che si fosse suicidato.
Fonti e Bibl.: Documenti relativi a Salimbeni si possono reperire negli archivi storici del ministero degli Affari esteri, di quello soppresso dell’Africa italiana e della Società geografica italiana. Diverse lettere di Salimbeni inviate dal Goggiam sono state pubblicate sul Bollettino della Società geografica italiana, X (1885), pp. 326-328, 907-914; XII (1887), pp. 101-112, 174-199, 290-297, che ospitò anche il testo di una conferenza da lui tenuta il 25 aprile 1886 (s. II, XI, 1886, pp. 279-297); ma la fonte più importante delle sue esperienze in terra africana è un voluminoso diario-memoriale contenente centinaia di lettere, documenti ufficiali, riservati o segreti, accompagnati dalle relative risposte, pubblicato in diversi tempi: Diario di un pioniere africano, a cura di R. La Valle, in Nuova antologia, 16 marzo 1936, pp. 128-152; 1° aprile 1936, pp. 292-314 e 16 aprile 1936, pp. 428-451; C. Zaghi, La rottura del trattato di Uccialli e il fallimento della politica scioana nel diario inedito del ministro italiano ad Addis Abeba, a cura di C. Zaghi, in Popoli, I (1941), pp. 335-337, 380, 400, 425 s.; Crispi e Menelich nel Diario inedito del conte A. S., a cura di C. Zaghi, Torino 1956.
C. Zaghi, L’ultima spedizione africana di Gustavo Bianchi, Milano 1930, ad ind.; Id., S. prigioniero di ras Alula, in Rivista delle colonie italiane, VII (1933), pp. 566-575; C. Zaghi, Le origini della Colonia Eritrea, Bologna 1934, pp. 114-133; A. Pedrazzi, Il conte A. S. ad Addis Abeba, in Gazzetta dell’Emilia, 25-26 novembre 1935; Id., Rievocazioni sulla tragica fine del conte A. S., in La Settimana modenese, 14 dicembre 1935; C. Zaghi, La missione Maconnen in Italia, in Rivista delle colonie italiane, IX (1935), pp. 366-376; Id., Politica scioana e politica tigrina, in Rassegna italiana, XLVIII (1938), pp. 313-321; G. Benvenuti, Vita africana di A. S., Modena 1942; A. Del Boca, Gli Italiani in Africa Orientale dall’Unità alla marcia su Roma, Roma-Bari 1976, ad ind.; C. Zaghi, Il conte A. S. e la rottura del trattato di Uccialli, in Id., Mal d’Africa. Studi e ricerche, Napoli 1980, pp. 227-266; A. Francioni, Medicina e diplomazia. Italia ed Etiopia nell’esperienza africana di Cesare Nerazzini (1883-1897), Siena 1999, ad indicem.