TOMINZ, Augusto
Figlio d’arte, nacque a Roma l’11 febbraio 1818 da Giuseppe Tominz, pittore goriziano, e da Maria Ricci, romana. La natalità romana si giustifica con la presenza colà del genitore, che aveva frequentato la scuola del nudo fondata da papa Benedetto XIV (Quinzi, 2011, pp. 28 s.). Già dall’aprile dello stesso anno l’infante, al seguito della famiglia, fu a Gorizia, e poi a Trieste dal 1826. La sua formazione si compì negli anni Trenta dell’Ottocento sotto l’egida paterna e si perfezionò presso l’Accademia di belle arti di Venezia nel biennio 1841-42.Su spinta del padre Tominz esordì in pubblico all’interno di una mostra triestina del 1835, promossa dallo stesso genitore. Nell’occasione, Augusto, allora diciassettenne, presentò «quindici bellissimi disegni, fra quali tre ritratti di persone cognite» (Notizie d’arte, in L’Osservatore triestino, 5 novembre 1835). La notizia, oltre a certificarne l’esordio, suggerisce un’efficace assimilazione delle tematiche paterne, ovvero la produzione di ritratti, in una simbiosi tipica di certa prassi tradizionale, ‘da bottega’. Tale sinergia si ripeté sempre a Trieste nel 1838, quando il giovane si presentò nuovamente accanto al padre. Tra la mostra del 1835 e quella del 1838 si colloca la realizzazione della monumentale pala con l’Assunzione della Vergine, che Giuseppe eseguì per il convento dei padri cappuccini di Gorizia nel 1837. L’analisi dell’opera e la constatazione di evidenti scarti stilistici rispetto alla pittura tipica di Giuseppe Tominz hanno indotto la critica (Quinzi, 2011, p. 228, n. DE 29) a ricondurla tra quelle in cui dovette prevalere la logica di bottega e quindi realizzate con la collaborazione non secondaria del figlio. Tali considerazioni trovano conferma nei documenti rintracciati presso l’Archivio dell’Accademia di belle arti di Venezia e più precisamente nel Registro delle presenze del corso di Odorico Politi del mese di luglio 1842, in cui le numerose assenze di Augusto vengono giustificate in tal modo: «dovette occuparsi per varie ordinazioni del padre suo» (D’Anza, 2013, p. 171). Di questo primo periodo, precedente l’iscrizione all’Accademia veneziana, rimane a testimonianza l’Autoritratto del Museo civico Revoltella.
Seppur sempre più saltuaria, la collaborazione con il padre non si interruppe nemmeno negli anni successivi, quando il figlio si era ormai imposto a Trieste come pittore autonomo, e avrebbe potuto conoscere un ulteriore capitolo quando Giuseppe, in età avanzata, decise di rientrare a Gorizia nel 1855, prima del definitivo ritiro a Gradiscutta. Lo rivela la lettera inviata da Augusto il 26 maggio 1856 al padre, che aveva accolto l’invito a decorare il soffitto del locale teatro, pensando di poter contare sull’ausilio del figlio; questi, tuttavia, indispettito per un compenso ritenuto incongruo, lo convinse a desistere (Cossàr, 1948).
Se i rudimenti del mestiere giunsero ad Augusto dal genitore, il perfezionamento avvenne presso l’Accademia di belle arti di Venezia. In quel contesto egli ebbe modo di confrontarsi con maestri quali Politi, succeduto nel 1833 a Teodoro Matteini nella conduzione del corso di pittura, Ludovico Lipparini, docente di elementi di figura dal 1833, e Michelangelo Grigoletti, professore aggiunto al corso di Lipparini dal 1839 e poi ordinario dal 1849. Si tratta di artisti formatisi presso la medesima istituzione veneziana, al tempo guidata da Teodoro Matteini, e quindi intrisi d’estetica neoclassica. L’esperienza accademica di Tominz si concluse nel 1842, quando il suo Nudo maschile, oggi al Museo Revoltella, poco più di un esercizio accademico, gli valse la medaglia d’argento (D’Anza, 2013, p. 170).
Porto austriaco in piena espansione, Trieste, a seguito della caduta della Serenissima, si stava qualificando in quegli anni come importante emporio commerciale foriero di laute commissioni nel campo dell’arte. Significativamente, a partire dalla seconda metà degli anni Trenta del secolo, ossia mentre Augusto Tominz muoveva i primi passi negli ambienti espositivi, prima di iscriversi all’Accademia veneziana, giunsero a Trieste le pale monumentali per i sei altari laterali della chiesa di S. Antonio Taumaturgo, il tempio neoclassico progettato dall’architetto Pietro Nobile. La fortuna che ne scaturì in città fu tale da garantire numerose altre commissioni ai pittori coinvolti, che rispondono ai nomi di Politi, Lipparini, Grigoletti, ossia quei professori che Tominz incontrò, poco dopo, a Venezia.
Contestualmente, s’imponeva a Trieste la pittura romantica di storia. Ne diede ufficiale conferma il concorso indetto nel 1842 «per un quadro storico illustrante un episodio di Niccolò de’ Lapi», la cui vicenda era stata riportata all’attenzione nazionale dal romanzo di Massimo d’Azeglio. Stimolato probabilmente dal concorso, l’abbrivio della carriera di Tominz come pittore autonomo si compì nel 1843 quando espose presso la Società triestina di belle arti un dipinto raffigurante un Episodio della vita di Nicolò de Lapi, non più rintracciato.
Di simile concezione – che nel recupero e nella conseguente glorificazione dei personaggi illustri della storia e della cultura italiana prevedeva la rivisitazione di fatti tratti dalle biografie di celebri artisti – appare L’addio di Ettore Fieramosca a Ginevra di Monreale, firmato «Tominz figlio» e datato 1845. A esso seguì l’anno successivo il Leonardo che dipinge la Gioconda: il dipinto più celebrato della giovinezza di Augusto Tominz, ora in comodato presso i Musei provinciali di Gorizia.
Dal principio, quindi, egli sembra avere avuto ben presente quali sarebbero stati i due filoni portanti della sua produzione: il ritratto e il dipinto di storia, ai quali affiancare talvolta soggetti di carattere religioso e allegorie. A distanza di due anni dal Nicolò de Lapi il pittore ritornò a confrontarsi con un testo di Massimo d’Azeglio, stavolta il celebre romanzo storico-patriottico Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta, edito nel 1833. Condividendo l’estetica propugnata dai docenti dell’Accademia veneziana, nel confrontarsi con questi soggetti nuovi, di storia patria, in linea con gli ideali risorgimentali, Tominz si esprimeva mediante una cultura figurativa eclettica, orientata in particolare sui grandi esempi del Cinquecento, Raffaello in primis, e dei classicisti emiliani. La purezza formale di gusto neoclassico da un lato e l’equilibrio e l’armonica distribuzione delle masse dall’altro, guardando a Vittore Carpaccio per l’ambientazione e per la disposizione al narrativo, sono le coordinate entro cui l’artista definiva queste sue composizioni.
Si tratta di soggetti particolarmente apprezzati in una Trieste austriaca – che iniziava con forza a reclamare la propria italianità –, in linea con le tendenze moderne della pittura di storia. Tuttavia, a partire dalla metà del secolo, tali composizioni iniziarono a esser percepite in molti ambienti come anacronistiche, conseguenza dell’indicazione formulata da Pietro Selvatico, professore di estetica, nel Discorso letto all’Accademia di Venezia nel 1850 e intitolato Sulla convenienza di trattare in pittura soggetti tolti alla vita contemporanea, in cui si respingevano le istanze dei molti «idoleggiatori dell’ieri, paurosi della luce dell’oggi». In alternativa al filone storico-romantico, si andava sostenendo la necessità di rivolgersi a soggetti derivati dall’osservazione della realtà contemporanea, imponendo un nuovo corso alle arti figurative. Tali considerazioni non scalfirono a Trieste la fortuna della pittura di storia, la quale, a queste date, continuava a suscitare l’interesse dei collezionisti e il plauso della stampa. Ne è buon esempio il dipinto raffigurante la Morte di Marco Ranfo di collezione privata, presentato da Tominz in una prima versione nel 1856 e in una seconda, di cui si conosce soltanto il bozzetto, nel 1860. Sintomatico in tal senso l’intervento riservatogli dalla stampa locale dell’epoca, che, sorda alle esortazioni di Selvatico e allineata con il gusto dei collezionisti triestini, precisava come «tra i vari generi di quest’arte nobilissima si è certo quello della pittura storica il più apprezzabile, imperocché per essa l’ingegnoso artista o tramanda ai posteri i fatti più importanti della sua età, o richiama alla memoria de’ contemporanei le gloriose gesta degli avi, perché sieno di modello a cittadine virtù» (A. C-C., Belle Arti – Marco Ranfo nobile milite tergestino dipinto in tela dal valente signor Augusto Tominz, nostro concittadino, in Il diavoletto, 5 luglio 1860). Qualche anno dopo, nel luglio 1860, presso la libreria Alla Minerva al Corso a Trieste, Tominz presentò un’altra versione di questo fortunato soggetto, di cui si conserva il bozzetto preparatorio al Museo Revoltella.
In precedenza, nel 1854, aveva dipinto La confessione di Lorenzo de’ Medici, mentre nel 1868 ritornò su un tema di storia cittadina con L’imperatore Federico III viene eccitato da Raffaele Zovenzoni poeta triestino a marciare contro il Turco in Trieste nel 1468, tutti conservati sempre al Museo Revoltella. Su diretta commissione del barone Pasquale Revoltella Tominz si prestò, inoltre, alla decorazione del salone da ballo del suo palazzo, ora sede dell’omonimo museo civico. Ne scaturirono diciassette pannelli da soffitto, di diverse dimensioni, con allegorie di Arti e mestieri. Non ancora rintracciati sono altri due dipinti di soggetto storico menzionati dalle cronache coeve: Dante entra nel convento di S. Croce presso Fonte Avellana, del 1865, e Irene da Spilimbergo e Tiziano, lavoro presentato all’Esposizione triestina per le arti e l’industria del 1868.
Parallelamente, Tominz licenziava opere di soggetto religioso per alcune chiese triestine e per l’entroterra carsico. Purtroppo la pala d’altare che più onori ricevette dalle cronache del tempo, il Martirio di s. Lorenzo della chiesa triestina di Servola, del 1850, andò distrutta in un incendio nel 1889. Tra il 1860 e il 1863 il pittore fornì alcune stazioni della Via Crucis per il nuovo tempio neoclassico cittadino dedicato a S. Antonio Taumaturgo, mentre nel 1864 dipinse la pala con l’Immacolata per la chiesetta di Kobjeglava in Slovenia. Nel 1868 eseguì su commissione della principessa Elisa Napoleona Baciocchi, nipote dell’imperatore Napoleone, la pala d’altare con l’Assunzione della Vergine per la cappella di villa Baciocchi a villa Vicentina, in Friuli. Risulta firmata «Tominz 1870» la successiva pala per la chiesa triestina di S. Apollinare con la Madonna del Carmine tra i ss. Maria Maddalena, Giuseppe e due anime del Purgatorio (D’Anza, 2017). In tali opere affiora evidente nella nitida definizione dei volumi la lezione appresa dai maestri dell’Accademia veneziana.
A Trieste, Augusto Tominz s’impose come pittore autonomo, e se da un da lato adottò fin da subito soluzioni figurative ‘nuove’ perlopiù estranee alla poetica del padre – la pittura di storia –, dall’altro proseguì la specialità di famiglia, ossia il ritratto. Tra i numerosissimi ritratti licenziati si ricordano il Ritratto dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria in abiti vedovili, del 1866, oggi ai Musei provinciali di Gorizia, e il successivo Ritratto dell’arciduca Massimiliano d’Austria, imperatore del Messico, del Museo civico Revoltella. In una personale evoluzione della ritrattistica, Tominz si cimentò inoltre nella riproduzione fotografica, aprendo uno studio, divenuto presto rinomato, in piazza della Borsa a Trieste (Wostry, 1934). Nell’ultimo decennio di attività egli affiancò quindi alla pittura di ritratti e mezze figure in abiti popolari o orientali la ripresa fotografica di notabili cittadini.
Nel marzo del 1873 venne nominato direttore del neonato Museo civico Revoltella di Trieste, carica che tenne fino alla morte, sopraggiunta il 17 giugno 1883.
F. di Manzano, Una famiglia di artisti, in Corriere di Gorizia, 7 luglio 1883, p. 1; Id., Cenni biografici dei letterati e artisti friulani dal secolo IV al XIX, Udine 1885, pp. 206 s.; O. Basilio, Saggio di storia del collezionismo triestino, in Archeografo triestino, s. 3, XIX (1934), pp. 157-229; C. Wostry, Storia del Circolo artistico di Trieste..., Udine 1934, pp. 12, 15, 17, 21; U. Thieme - F. Becker, Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler von der Antike bis zur Gegenwart, XXXIII, Leipzig 1939, p. 267; R.M. Cossàr, Storia dell'arte e dell'artigianato in Gorizia, Pordenone 1948, pp. 329 s.; E. Camesasca, Enciclopedia della pittura italiana, III, Milano 1951, p. 2439; A.M. Comanducci, Dizionario illustrato dei pittori, disegnatori e incisori italiani moderni e contemporanei, IV, Milano 1962, p. 1928; E. Bénézit, Dictionnaire critique et documentaire des peintres, sculpteurs, dessinateurs et graveurs..., X, Paris 1976, p. 218; G.L. Marini, T., A., in Dizionario enciclopedico Bolaffi dei pittori e degli incisori italiani, XI, Torino 1976, p. 102; F. Firmiani, L’Ottocento, in Enciclopedia monografica del Friuli Venezia Giulia, III/3, Udine 1980, p. 1754; M. Malni Pascoletti, T., A., in La pittura in Italia. L’Ottocento, a cura di E. Castelnuovo, II, Milano 1990, p. 1045; W. Abrami, in I grandi vecchi, in Affetti. Ritratti di coppie e quadri di gruppo a Trieste (catal.), Trieste 1998, pp. 112 s.; L. Resciniti, I dipinti di A. T. dei Civici Musei di Storia ed Arte di Trieste, in Atti dei Civici Musei di Storia ed Arte di Trieste, XX (2004), pp. 323-333; F. Nodari, A. T.: disegni dalle collezioni dei Civici Musei di Storia ed Arte di Trieste, Trieste 2007, p. 49; A. Quinzi, Giuseppe Tominz, Trieste 2011; D. D’Anza, Dipinti ritrovati: Leonardo che dipinge la Gioconda di A. T., in AFAT. Arte in Friuli. Arte a Trieste, XXII (2013), pp. 169-178; Id., Pittura romantica di storia a Trieste: il caso di A. T. e un avvio per il suo catalogo, ibid., XXXVI (2017), pp. 237-286.