VITELLIO, Aulo (A. Vitellius)
Imperatore romano nel 69 d. C. Figlio di Lucio, un alto magistrato romano, collega nella censura con l'imperatore Claudio, nato il 24 settembre del 15 d. C., console nel 48 d. C., tenne, fra l'altro, il proconsolato d'Africa. Si trovava da poco comandante delle truppe della Germania inferiore, quando il 2 gennaio 69 d. C. la I legione lo salutava imperatore seguita presto dalle altre legioni della Germania inferiore e da quelle poi della Germania superiore, che in gran parte (IV Macedonica e XXII Primigenia) avevano già preso il giorno prima l'iniziativa della ribellione contro l'imperatore Galba. I motivi di questo conflitto non hanno bisogno di essere spiegati qui (v. roma: Roma antica). Basti notare che il carattere di rivalità fra gruppi militari è confermato dallo scarso rilievo della personalità prescelta dalle legioni del Reno, solo perché l'avevano a loro comandante. Né il moto si placò perché il 15 gennaio in Roma Galba era stato sostituito da Otone. All'arrivo della notizia, le legioni del Reno erano già del resto parzialmente in marcia per invadere l'Italia. A V. aderirono infatti rapidamente i governatori della Gallia Belgica, della Lugdunense e della Rezia, seguite dall'Aquitana e dalla Narbonese, nonché dalla Britannia e dalla Spagna: che se non aiutarono materialmente, almeno garantirono le spalle. Le truppe di assalto furono divise in due gruppi: quello della Germania superiore che doveva marciare in Italia attraverso la Svizzera per le Alpi Pennine, al comando del legato Alieno Cecina, forte di circa 30.000 uomini; e quello della Germania inferiore al comando di Fabio Valente, più numeroso, che per un giro più lungo, ma più facile, doveva giungere a Lione e poi per le Alpi Cozie congiungersi con le truppe di Cecina nella pianura lombarda. Il progetto militarmente ebbe pieno successo. Esso sorprese Otone di scarsa competenza militare, in una fase di disorientato assestamento. Le poche truppe mandate a disturbare la marcia di Valente sulla costa ligure non bastarono allo scopo, e i due gruppi si poterono congiungere di fronte a un nemico inferiore di numero. L'attacco che gli otoniani tentarono a metà aprile per salvare la linea del Po finì con la loro sconfitta e il conseguente suicidio d'Otone. Vitellio era ancora in viaggio quando veniva a conoscere di essere rimasto vincitore e solo padrone in campo. Ma quanto seguì dimostrò che egli non aveva, al pari del suo rivale, alcuna abilità di comandante, e cioè, si era fatto guidare dai suoi legati. Per di più si confermò che egli, trascinato dal caso a una vicenda superiore alla sua consapevolezza, non ebbe alcun fermo programma, alcuna sensazione anzi della situazione che gli stava dinnanzi. Rassicurato dalla stessa rapidità con cui l'Oriente si affrettò a riconoscerlo imperatore, non si preoccupò che di umiliare e castigare le legioni vinte, diminuendo per di più per ragioni economiche i proprî effettivi. Lasciò pesare sull'Italia le legioni vincitrici, non trovò alcuna direttiva che lo rendesse popolare. L'atteggiarsi a successore di Nerone era ormai di dubbio gusto; l'adottare il titolo di console perpetuo, ambiguo e, in fondo, indifferente. La sua ghiottoneria diventò proverbiale. Torpore è la parola che Tacito ha trovato a definire il suo governo. Le legioni del Danubio e dell'Oriente si accordarono sul nome di T. Flavio Vespasiano, salutato in primo luogo in Egitto il 1° luglio. Mentre il legato di Siria C. Licinio Muciano si accingeva a marciare attraverso l'Asia Minore a Bisanzio, il legato della legione VII Antonio Primo marciava audacemente in Italia dalla Pannonia. V. non poteva allora disporre di Valente, malato; e Cecina, che prese il comando di quattro legioni e altre unità minori, intendeva tradire e già si era accordato per ciò con Lucilio Basso prefetto della flotta ravennate. Le sue truppe non accettavano il suo consiglio di passare al nemico e lo arrestavano; ma ripiegavano demoralizzate da Ostilia a Cremona. Antonio cercava di precederle a Cremona. Se la sorpresa non riusciva, ne derivava però una battaglia campale alla fine di ottobre, alle porte di Cremona, in cui i vitelliani erano distrutti. Nessuna sostanziale reazione fu tentata da V. a questo disastro. Lasciò che i passi delle Alpi fossero occupati dai flaviani, lasciò che in Gallia Valente andato a cercare aiuto, fosse catturato presso Marsiglia. La lentezza della marcia di Antonio in Italia fu dovuta a difficoltà atmosferiche. Le truppe vitelliane già avanzate sino a Mevania, furono ritirate a Narnia quando fu noto della ribellione della flotta di Miseno: poco dopo le stesse truppe di Narnia si arrendevano. In Roma V. era pronto a cedere il potere al fratello di Vespasiano, Flavio Sabino, allora prefetto della città; ma il popolo indignato lo costringeva a restare e a fare un'altrettanto sanguinosa, quanto grottesca, spedizione contro Sabino chiusosi in Campidoglio, con il risultato che il tempio di Giove Capitolino s'incendiò. La sera stessa della caduta del Campidoglio, Antonio entrava in Roma vincendo la disperata resistenza degli ultimi vitelliani, fedeli a un onore militare più degno della tradizione romana che non dell'imperatore, mentre V., dopo aver tentato di fuggire, si nascondeva e, sorpreso, era precipitato dalle Gemonie ignominiosamente (20 dicembre 69 d. C.).
Bibl.: B. W. Henderson, Civil War and Rebellion in the Roman Empire, Londra 1908; E. Nischer, Die Schlacht bei Cremona, in Klio, XX (1927), p. 187; A. Momigliano, V., in Studi ital. filol. class., n. s., IX (1931), p. 117 segg.; G. H. Stevenson, in Cambridge Ancient History, X (1934), p. 825 segg.