RONCAGLIA, Aurelio
– Nacque a Modena l’8 maggio 1917 da Gino, professore di scuola secondaria e appassionato musicologo, e da Giuseppina Lucenti.
Il padre, nato a Modena il 7 maggio 1883 (figlio di Alessandro, letterato, pianista e compositore, capitano dei Volontari del Modenese nei moti del 1848), aveva studiato violino con Giuseppe Ferrari e Zelmira Barbi, pianoforte e armonia con il padre e composizione con Leone Sinigaglia. Laureato in scienze naturali a Modena (1907), pubblicò più di cento tra libri e articoli di storia della musica, di taglio vuoi archivistico vuoi storico-critico. Spiccano gli studi su musicisti modenesi (Orazio Vecchi, Giovanni Bononcini, Giuseppe Colombi), sul cosiddetto codice Bonadies, primissima fonte di musica da tasto (Faenza, Biblioteca comunale, ms. 117), su La cappella musicale del duomo di Modena (Firenze 1957), sulle origini del quartetto d’archi e Giuseppe Cambini, su Enrico Panzacchi (Modena 1907), Giuseppe Verdi (Napoli 1914, Firenze 19402, 19513), Bernardo Pasquini, Alessandro Stradella, Gioachino Rossini (Milano 1946, 19532), la poetica di Giacomo Puccini. Socio effettivo dell’Accademia di scienze, lettere ed arti di Modena (presidente dal 1950 al 1952) e di altre accademie musicali italiane, nel 1918 aveva fondato a Modena, con Mario Pedrazzi, gli Amici della musica. Morì a Modena il 27 novembre 1968.
Conseguita la maturità classica nella città natale, vinse il concorso di ammissione alla Scuola normale superiore di Pisa (1935) e si iscrisse alla facoltà di lettere e filosofia, presso la quale si laureò nel 1939 con Luigi Russo. Maestri di riferimento degli anni pisani furono, oltre a Russo, il filologo classico Giorgio Pasquali e il glottologo Clemente Merlo; compagni importanti i più giovani Scevola Mariotti e Gianfranco Folena, ai quali rimase sempre profondamente legato sul piano scientifico e personale. Già dagli anni universitari si definì la predilezione per gli studi di filologia volgare, nei quali si perfezionò dopo la laurea, prima a Firenze sotto la guida di Michele Barbi e poi a Roma con Alfredo Schiaffini e soprattutto con il conterraneo Giulio Bertoni, del quale fu assistente per un breve periodo, collaborando anche al progetto allora in corso, e rimasto incompiuto, del Vocabolario della lingua italiana dell’Accademia d’Italia.
Il 1º luglio 1941 ricevette la chiamata alle armi e dovette interrompere gli studi. Ufficiale di complemento, fu stanziato in Sardegna; poi, dopo l’armistizio, militò nel ricostituito Esercito italiano a fianco degli Alleati. Legato agli ambienti politici antifascisti di Giustizia e Libertà, tra il 1945 e il 1947 lavorò presso il ministero per l’Assistenza postbellica; in seguito e per diversi anni poté godere, quale vincitore di un concorso a cattedre nelle scuole secondarie, di un comando presso la Commissione per l’edizione nazionale delle opere di Francesco Petrarca. Sposatosi nel 1946 con Maria Cimino, ebbe due figli, Alessandro (Roma, 17 giugno 1947), economista e storico del pensiero economico, e Gino (Roma, 11 gennaio 1960), filosofo e studioso di culture digitali; da un secondo matrimonio con Anna Ferrari è nata Linda (Roma, 4 giugno 1975), architetto.
Alla fine della guerra riprese anche l’attività accademica come assistente di Angelo Monteverdi che nel frattempo era succeduto sulla cattedra romana di filologia romanza a Bertoni, scomparso nel 1942. Dopo un breve incarico pisano, conseguita la libera docenza, insegnò a Trieste dal 1948 e fu quindi per un biennio, dal 1954, a Pavia, come professore ordinario, avendo vinto l’anno precedente il concorso per la cattedra di filologia romanza. Nel 1956 tornò stabilmente a Roma, succedendo a Monteverdi nella cattedra e nella direzione dell’Istituto.
Nella facoltà di lettere e filosofia dell’Ateneo romano Roncaglia rimase un punto di riferimento per oltre tre decenni, sino al collocamento fuori ruolo (1987) e al pensionamento (1992). Dell’impegno costante trasposto nell’attività didattica resta memoria nelle numerose dispense dei corsi universitari, in cui confluivano materiali inediti, talora non pubblicati (tra tutte: La generazione trobadorica del 1170, 1968), e validissime sintesi linguistiche (La lingua dei trovatori, 1965; La lingua d’oïl, 1971). Dapprima affiancandosi e poi sostituendosi a Monteverdi fu dallo stesso 1956 sino alla morte direttore della rivista Cultura neolatina. Fu membro di innumerevoli accademie italiane ed estere (tra le altre dell’Accademia nazionale dei Lincei, dal 1984, e, come socio corrispondente straniero, dell’Académie des inscriptions et belles lettres, dal 1992) e di altrettanto numerose associazioni di studiosi, entro le quali ricoprì a più riprese incarichi direttivi (tra l’altro: presidente della Unione accademica nazionale, della Société de linguistique romane e della International courtly literature Society). Gli ultimi anni di vita furono segnati dal declino delle condizioni di salute, che lo costrinsero anche a ridurre considerevolmente gli impegni.
Morì a Roma il 28 giugno 2001.
Gli studi di Roncaglia s’indirizzarono inizialmente verso l’italianistica, entro una tradizione segnata dal magistero di Michele Barbi (edizione del Teseida di Giovanni Boccaccio, 1941, poi del De agricultura di Michelangelo Tanaglia, 1953), per svilupparsi, soprattutto a seguito del contatto con Bertoni, su un più ampio orizzonte romanistico, individuando sin dai primi anni di attività (edizione della Chanson de Roland, 1947; collezione di Venticinque poesie dei primi trovatori, Modena 1949) alcuni dei campi di studi in seguito più assiduamente frequentati: le origini delle tradizioni letterarie romanze e la cultura e letteratura di corte come fattori decisivi di innovazione. Formatosi in anni in cui gli studi letterari italiani si dividevano tra eredità positivistica (radicata nella cultura filologica) e influssi idealistici, e rimasto peraltro sempre fedele a tali impostazioni (Carducci, il Medio evo e le Origini romanze, 1990) e ai loro sviluppi (notevole il caso della stilistica spitzeriana, di cui è percepibile l’impronta nell’opera di Roncaglia: si veda tra l’altro il bellissimo Ricordo di Leo Spitzer, in Approdo letterario, VI (1960), 11, pp. 37-46), dimostrò nel corso della propria attività una considerevole sensibilità rispetto ai cambiamenti in atto nel secondo dopoguerra nel panorama critico-interpretativo circa la valutazione della letteratura medievale (discussione del libro di Reto Roberto Bezzola su Chrétien de Troyes, 1948; poi la Premessa alla traduzione italiana di Mimesis di Erich Auerbach, Torino 1956, pp. IX-XXXV); negli anni seguenti seguì con interesse, ma relativo distacco l’evoluzione in senso strutturalista prima e semiologico poi, assecondando invece la rinnovata attenzione a manoscritti e tradizioni manoscritte che ha segnato in maniera decisiva gli studi romanzi a partire almeno dagli anni Ottanta (Rétrospectives et perspectives dans l’étude des chansonniers d’oc, in Lyrique romane médiévale: la tradition des chansonniers, Actes du colloque… 1989, a cura di M. Tyssens, Liegi 1991, pp. 19-42).
Studioso di forte impronta individualista, seppe genialmente trasferire questa impostazione entro prospettive di storia letteraria, ricercando insistentemente ‘snodi’ cruciali per la definizione delle tradizioni letterarie, individuati in capolavori d’autore, veri e propri capostipiti e in questo privilegiati rispetto agli epigoni: la Chanson de Roland a cavaliere tra memorie carolinge e scenari dell’ultimo scorcio dell’XI secolo (Roland e il peccato di Carlomagno, in Symposium in honorem prof. M. de Riquer, Barcellona 1986, pp. 315-348; Préhistoire d’O, 1978, poi in Id., Epica francese medievale, a cura di A. Ferrari - M. Tyssens, Roma 2012, pp. 55-64; Gli studi del Grégoire e l’ambiente storico della Chanson de Roland, 1946-1947, ibid., pp. 23-54; Il silenzio del Roland su Sant’Iacopo: le vie della storia, 1956, ibid., pp. 105-126), lo sviluppo di forme più chiaramente narrative in relazione a quelle epiche antecedenti (L’Alexandre d’Albéric et la séparation entre chanson de geste et roman, 1963, ibid., pp. 251-268; “Romanzo”. Scheda anamnestica d’un termine chiave, poi in Tristano e anti-Tristano. Dialettica di temi e d’ideologie nella narrativa medievale, Roma 1981, pp. 92-115), un percorso che per tappe precise collega le origini della lirica occidentale alle forme della tradizione laudistica italiana (Di una tradizione lirica pretrovatoresca in lingua volgare, in Cultura neolatina, XI (1951), 3, pp. 213-250; La lirica arabo-ispanica e il sorgere della lirica romanza fuori della penisola iberica, in Accademia nazionale dei Lincei, XII Convegno Volta: Oriente e Occidente nel medioevo», Roma 1957, pp. 322-343; Il primo capitolo nella storia della lirica europea, in Concetto, storia, miti e immagini del Medio Evo, a cura di V. Branca, Firenze 1973, pp. 247-268; Nella preistoria della lauda: ballata e strofa zagialesca, in Il movimento dei Disciplinati nel settimo centenario... Convegno internazionale... 1960, Perugia 1962, pp. 461-475; Da Avicebron a Iacopone, in Le laudi drammatiche umbre delle origini. Atti del V Convegno di studio... 1980, Viterbo 1981, pp. 81-103), il consolidamento della prima lirica d’arte italiana («De quibusdam provincialibus translatis in lingua nostra», in Letteratura e critica. Studi in onore di Natalino Sapegno, a cura di W. Binni et al., II, Roma 1975, pp. 1-36; Per il 750° anniversario della Scuola poetica siciliana, in Atti della Accademia nazionale dei Lincei, Rendiconti, cl. di scienze morali, storiche e filologiche, s. 8, 1983, vol. 38 [luglio-dicembre], pp. 321-333).
Da questo primo catalogo emerge una figura di studioso cultore di una filologia romanza intesa come disciplina comparatistica, di cui presentò e difese le ragioni in due memorabili prolusioni ai corsi universitari, tenute a Pavia nel 1954 e a Roma nel 1956 (rispettivamente Prolusione a un corso di filologia romanza, in Aut Aut, 1954, n. 20, pp. 93-110, e Prospettive della filologia romanza, in Cultura neolatina, XVI (1956), pp. 95-107: di speciale importanza la prima, non a caso apparsa in sede non specialistica). Roncaglia rivendicava qui la dimensione unitaria della filologia romanza, cerniera vitale tra studi classici e moderni, e le attribuiva un ruolo centrale rispetto a questi ultimi, perché capace di conferire unità e coerenza all’intero settore di studi, anche al di là della fase medievale.
Coerentemente con questo intento, il suo campo d’azione fu vastissimo: dalla linguistica storica (Bilinguismo esterno e plurilinguismo interno nelle glosse di Kassel, in Atti dell’VIII Congresso internazionale di studi romanzi... 1956, Firenze 1962, pp. 347-358; L’effondrement de la quantité phonologique latine, in XVI Congrés internacional de linguistica... 1980, I, Palma de Maiorca 1982, pp. 109-122; Lingue nazionali e koinè latina, in La Storia: i grandi problemi dal medioevo all’età contemporanea, I, Torino 1989, pp. 529-558) allo studio dell’eredità antica (Les troubadours et Virgile, in Lectures médiévales de Virgile, Actes du Colloque... 1982, Roma 1985, pp. 267-283), a visioni comparative di grandi questioni (Precedenti e significato dello Stil Novo dantesco, in Dante e Bologna nei tempi di Dante, Bologna 1967, pp. 13-34; Come si presenta oggi il problema delle canzoni di gesta, in Accademia nazionale dei Lincei, Atti del Convegno... La poesia epica e la sua formazione..., quaderno n. 139, 1969, pp. 278-293; Civiltà cortese e civiltà borghese nel Medio Evo, in Concetto, storia, miti e immagini del Medio Evo, cit., pp. 269-286; Nascita e sviluppo della narrativa cavalleresca nella Francia medievale, in Convegno internazionale Ludovico Ariosto... 1974, Roma 1975, pp. 229-250).
Rappresentano emblematicamente questa prospettiva di ricerca le due vaste sintesi dedicate alle fasi iniziali della cultura letteraria nelle lingue neolatine e specialmente in Italia, Le Origini (1965) e Le corti medievali (1983), entrambe concepite come sezioni iniziali di storie della letteratura italiana e focalizzate sulle tradizioni culturali ‘alte’, legate alla scrittura e alle strutture e produzioni letterarie più coscienti e complesse e meglio documentate (anche in accordo con la prospettiva ‘individualista’ più sopra evidenziata). Se la seconda è un tentativo di realizzare «una storia delle tradizioni di cultura [...] calata nei processi fattuali e disposta a riconoscerne le basi socioeconomiche» (Le corti medievali, cit., p. 33) centrata appunto sul ruolo delle corti, religiose e soprattutto laiche, come luoghi nei quali nuovi gruppi intellettuali hanno configurato il profilo letterario dell’Occidente, Le Origini definiscono un quadro unitario dei processi linguistici e culturali di passaggio tra il mondo antico e le prime apparizioni delle letterature volgari, esemplare per l’acutezza e la misura con la quale viene scandagliata la complessa documentazione delle fasi di transizione, alla quale Roncaglia cerca di dare un senso in relazione alle necessità comunicative del tempo.
Costituisce in qualche modo un complemento delle Origini l’antologia Le più belle pagine delle letterature d’oc e d’oïl. Poesia dell’età cortese (Milano 1961, poi riedita come Antologia delle letterature medievali d’oc e d’oïl, Milano 1973): opera di divulgazione, ma di straordinaria qualità, per le traduzioni innanzitutto e per le lucide sintesi che aprono le varie sezioni, collegandole e definendo un disegno di storia letteraria fondato su un novero ristretto, ma significativo anche per il lettore moderno, di opere realmente esemplari.
Un settore cui Roncaglia dedicò speciale e continua attenzione fu quello degli studi sulla poesia per musica, coltivati a partire dalla sua specifica competenza (Etnomusicologia e filologia romanza, in L’etnomusicologia in Italia, a cura di D. Carpitella, Palermo 1975, pp. 51-67; Sul «divorzio fra musica e poesia» nel Duecento italiano, in L’Ars Nova italiana del Trecento, IV, a cura di A. Ziino, Certaldo 1978, pp. 365-397, da cui ebbe inizio un’accesa discussione con Nino Pirrotta) e su questioni di metrica, sviluppati sui versanti dell’epica (Petit vers et refrain dans les chansons de geste, in La technique littéraire des chansons de gestes, Actes du Colloque..., Lièges... 1957, Paris 1959, pp. 141-159), della poesia narrativa (Per la storia dell’ottava rima, in Cultura neolatina, XXV (1965), 1-2, pp. 6-14) e della lirica (L’invenzione della sestina, in Metrica, 1981, n. 2, pp. 3-41), tenendo d’occhio la produzione religiosa (La strofe di Elinando, ibid., 1986, n. 4, pp. 21-36; Sequenza adamiana e strofa zagialesca, in La sequenza medievale. Atti del Convegno internazionale..., Milano... 1984, Lucca 1992, pp. 141-154); e va ricordato che entro la sua scuola vennero elaborati i repertori metrici della lirica italiana sino allo Stil Novo.
Strettamente connessi agli studi di metrica sono quelli di critica testuale. La visione di Roncaglia è in buona parte racchiusa nelle dispense Principi e applicazioni di critica testuale (Roma 1975), in cui si presta attenzione alle singolarità e ai casi specifici, anche come fattore di necessario equilibrio rispetto agli impianti di metodo (e quindi anche con la giustificazione dell’intervento, criticamente fondato, che s’imponga sull’opacità di quanto trasmesso: Conservare o congetturare: un falso dilemma, in Filologia classica e filologia romanza. Esperienze ecdotiche a confronto, Atti del Convegno..., Roma... 1995, a cura di A. Ferrari, Spoleto 1998, pp. 291-306) e con la messa in evidenza dell’importanza della comprensione del testo come fattore essenziale nella prassi ecdotica, secondo un’istanza già formulata anni addietro (Valore e giuoco dell’interpretazione nella critica testuale, in Studi e problemi di critica testuale, Atti del Convegno... 1960, Bologna 1961, pp. 46-62). Roncaglia riversa in questi studi un’esperienza acquisita soprattutto nell’edizione critica dei testi del trovatore Marcabru (La critique textuelle et les troubadours, in Cultura neolatina, XXXVIII (1978), pp. 207-214) e nel confronto con l’accentuato espressivismo linguistico che ne caratterizza la scrittura in accordo con precise finalità poetiche. Non è un caso che, coniugando questi due interessi di fondo, attenzione per la verità testuale del testo ricostruito e attenzione per la sua qualità intrinseca, Roncaglia abbia accettato di sovrintendere all’edizione critica di Petrolio dell’amico Pier Paolo Pasolini (1992), a partire dagli scartafacci di lavoro dell’autore.
L’importanza del confronto con il trovatore Marcabru, e in generale con la lirica dei trovatori provenzali, è evidente entro gli studi di critica testuale di Roncaglia, ed è in effetti questo probabilmente il settore degli studi romanzi nel quale resta in maniera più profonda e duratura il segno dell’attività dello studioso. Le edizioni di testi di Marcabru, uscite a partire dai primi anni Cinquanta, hanno stabilito un nuovo standard, con la richiesta di un commento che non solo illustri le scelte dell’editore e spieghi i punti critici, come nella grande tradizione già di un Carl Appel, ma che dia ampiamente ragione del testo e che quindi ponga estesamente la questione della sua interpretazione (connettendo definizione del testo critico e sua esegesi, come già postulato nella comunicazione del 1961 su Valore e giuoco dell’interpretazione nella critica testuale); in tal senso, le edizioni trobadoriche procurate da Roncaglia sono venute realmente costituendo uno spartiacque. Lo straordinario articolo su Carestia (in Cultura neolatina, XVIII (1958), 2-3, pp. 121-138), nel quale vengono messi in opera criteri formali e valutazioni interpretative, può essere a buon diritto considerato come l’antesignano della ricerca sull’intertestualità in ambito lirico, poi sviluppatosi in maniera robusta soprattutto dagli anni Settanta in poi. E ancora, la discussione intorno alla posizione di Marcabru e alla valutazione del trobar clus di questo trovatore, inteso non come pura scelta stilistica, ma come strumento per dare voce a un’ispirazione che Roncaglia identificò prossima a quella dei cistercensi («Trobar clus»: discussione aperta, ibid., XXIX (1969), pp. 5-55; Riflessi di posizioni cistercensi nella poesia del XII secolo, in I Cistercensi e il Lazio, Atti delle Giornate di studio... 1977, Roma 1978, pp. 11-22; «Secundum naturam vivere» e il movimento trovatoresco, in Da una riva e dall’altra. Studi in onore di Antonio D’Andrea, a cura di D. Della Terza, Firenze 1995, pp. 29-39), sottolinea ulteriormente la necessità di radicare un testo letterario all’interno della dimensione culturale del proprio tempo.
Fonti e Bibl.: La Bibliografia degli scritti di Aurelio Roncaglia, a cura di G. Gerardi Marcuzzo, è contenuta nella Miscellanea di studi in onore di A. R., I, Modena 1989, pp. XXI-XLI; un aggiornamento è pubblicato, a cura di M. Tyssens, in Cultura neolatina, LXII (2002), pp. 319-323. Si vedano, inoltre: La filologia romanza oggi. Atti della Giornata di studio in onore di A. R.,... 2002, a cura di P. Paradisi - C. Robustelli, Modena 2004; Convegno internazionale A. R. e la filologia moderna... 2012, a cura di R. Antonelli, Roma 2013. Su Gino Roncaglia si vedano: Die Musik in Geschichte und Gegenwart, XI, Kassel 1963, col. 865; In memoria di Gino Roncaglia, Modena 1969; The new Grove dictionary of music and musicians, XXI, London 2001, p. 643.