AUREOLA
Alone di luce, detto anche nimbo, che nell'iconografia cristiana circonda il capo di Cristo, della Vergine, dei santi, degli angeli.La spiegazione etimologica universalmente accettata (Cortelazzo, Zolli, 1979; LEI, 1990) fa derivare a. dal lat. aureolus (da aurum 'oro') e in effetti l'aggettivo è attestato sia nel lat. classico (Forcellini, 1864⁴; Thes. Ling. Lat., 1904) sia in quello medievale (Du Cange, 1883). Inoltre, nell'Antico Testamento si parla di corona aureola in passi (Es. 25, 25; 30, 3; 37,27) in cui figura anche aurum (si veda il relativo commento di Beda, De tabernaculo et vasis eius, 6; PL, XCI, coll. 409-410). Recentemente, tuttavia, Zolla (1985) ha suggerito un rapporto tra a. e aura in base a significativi paralleli con altre religioni e la sua ipotesi può essere in qualche misura accolta; non si può escludere, infatti, la possibilità di un incrocio etimologico tra aureolus e aura e d'altra parte la metafora della brezza come simbolo di santità torna nel sinonimo di a., nimbo (dal lat. nimbus 'nube'). Il rapporto tra l'a. e l'oro va in ogni caso inteso non in senso materiale ma con riferimento alla valenza simbolica della luce.
Bibl.: E. Forcellini, Glossarium totius latinitatis, I, Padova 1864⁴ (1852; rist. anast. 1965), p. 401; Du Cange, I, 1883, pp. 484-485; Thes. Ling. Lat., II, 7, Leipzig 1904, col. 1488; T. Ortolan, s.v. Auréole, in DTC, I, 2, 1909, coll. 2571-2575; H. Leclercq, s.v. Nimbe, in DACL, XII, 1, 1934, coll. 1272-1312; A. P. Frutaz, s.v. Nimbo, in EC, VIII, 1952, coll. 1884-1888; M. Cortelazzo, P. Zolli, Dizionario etimologico della lingua italiana, I, Bologna 1979, p. 90; E. Zolla, Aure. I luoghi e i riti, Venezia 1985, pp. 11-12; LEI. Lessico etimologico italiano, a cura di M. Pfister, III, 30, Wiesbaden 1990, coll. 2362-2367; A. Ahlqvist, Tradition och rörelse. Nimbusikonografin i den romerskantika och fornkristona konsten [Tradizione ed evoluzione. Iconografia del nimbo nell'arte romana e paleocristiana], Helsinki 1990 (con riassunto ingl.).P. D'Achille
Nell'arte classica e tardoantica l'a. appare raramente, quale attributo degli imperatori, dei consoli o di personificazioni di creature per varie ragioni ritenute superiori.Nell'iconografia cristiana il suo impiego diventa invece molto frequente, come attributo innanzitutto della figura di Cristo - si veda la tavoletta d'avorio del 400 ca. con l'Ascensione (Monaco, Bayer. Nationalmus., Coll. Reider) - ma anche delle figure di angeli - come nell'avorio coevo con le Pie donne al Sepolcro (Milano, Castello Sforzesco, Civ. Raccolte di Arte Applicata) - e dell'Onnipotente, come mostrano i mosaici di S. Maria Maggiore a Roma del 432-440. In questi esempi l'a. non indica ancora la santità del personaggio raffigurato, ma unicamente la sua natura ultraterrena. In seguito l'a. si estende anche ai simboli degli evangelisti, come illustra il dittico pentapartito della prima metà del sec. 5° (Milano, Tesoro del Duomo), all'Agnus Dei (un esempio è nella catacomba di Marcellino e Pietro a Roma, della prima metà del sec. 5°), ai santi (come nel mosaico con S. Lorenzo del mausoleo di Galla Placidia a Ravenna, della prima metà del sec. 5°), ai profeti (per es. nei mosaici di S. Apollinare Nuovo a Ravenna, della prima metà del sec. 6°), agli apostoli (come nel mosaico del battistero degli Ariani a Ravenna, della prima metà del sec. 6°), alla Vergine (un esempio nel S. Apollinare Nuovo). Tuttavia va notato che inizialmente soltanto la figura di Cristo viene rappresentata di regola con l'aureola. Ancora nel sec. 7° l'a. non costituisce infatti un attributo costante nell'iconografia dei santi (si veda per es. il mosaico absidale della chiesa di S. Agnese a Roma, databile al 625 ca.), mentre spesso risultano aureolate le figure del Vecchio Testamento, come Davide e Saul (per es. sui piatti d'argento di Cipro; Nicosia, Cyprus Mus., prima metà del sec. 7°).Sono da notare caratteristiche specifiche anche nell'uso del colore. Per es. le a. delle figure di angeli nei mosaici della basilica romana di S. Maria Maggiore (432-440) e quella del Cristo nel mausoleo di Costanza a Roma (seconda metà del sec. 4°) sono di color blu, a indicare la dimensione eterea del soggetto raffigurato, secondo una tipologia, in origine diffusa, che, a partire dal sec. 6°, è sostituita dall'uso delle a. d'oro e d'argento, intese come emanazione di luce. Già Servio (sec. 4°-5°), nel suo commento a Virgilio, aveva messo in primo piano questo significato dell'a.: "nimbo effulgens: nube divina, est enim fulgidum lumen quo deorum capita cinguntur. Sic etiam pingi solet" (Servianorum in Vergilii carmina commentariorum).L'a. viene impiegata con maggiore regolarità nella pittura (ove talvolta è realizzata in stucco, risultando così a rilievo), piuttosto che nella scultura. Per es. nella produzione carolingia di avori si trovano non pochi casi di gruppi di tavole le cui figure, compresa quella di Cristo, non sono aureolate (Goldschmidt, 1914, nrr. 123, 125, 129-131). Ma è soprattutto la plastica monumentale a rinunciare più di frequente all'a., come mostrano - nel sec. 14° - i rilievi della facciata del duomo di Orvieto o quelli del portale occidentale della cattedrale di Reims.L'a. appare per la prima volta quadrata anziché circolare negli affreschi della sinagoga di Dura Europos (Siria), nelle figure di Abramo, Mosè ed Esdra, dove sembra sottolineare il valore ritrattistico dell'immagine dei fondatori della religione ebraica. Nel mosaico giustinianeo dell'abside della chiesa di S. Caterina sul monte Sinai, oltre a Cristo - con a. d'oro - sono dotati di a. quadrata bianca anche i due superiori del monastero, Giovanni diacono e Longino abate. L'a. quadrata viene associata da diversi studiosi alle effigi delle mummie egizie, in relazione alle quali essa dovrebbe aver avuto valore allusivo alla forza vitale del raffigurato. Warland (1986) ha però richiamato l'attenzione sul nesso fra a. quadrata e campo quadrato musivo dei ritratti, quale documentato per es. nell'abside della basilica di S. Giovanni in Laterano. Il riquadro che incorniciava l'immagine è attestato di fatto fin dalla Tarda Antichità in riferimento alla valenza ritrattistica dell'immagine. Probabilmente l'a. quadrata del citato mosaico del Sinai allude a tale significato.Più complessa è l'interpretazione di un mosaico del sec. 7° sul pilastro meridionale del bema della chiesa di S. Demetrio a Salonicco, in cui il santo titolare pone le mani sulla spalla di due personaggi, un ecclesiastico e un laico, entrambi con l'a. quadrata. Mancando iscrizioni relative alle due figure non è possibile accertare, in rapporto al mosaico, né la loro identità né l'epoca in cui vissero. Se l'immagine togata raffigurasse il prefetto dell'Illirico Leonzio, fondatore di S. Demetrio, l'a. quadrata indicherebbe un personaggio morto da lungo tempo. I due personaggi potrebbero essere però il vescovo e il governatore (eparca) di Salonicco, che ricostruirono S. Demetrio dopo l'incendio del 620 (Cormack, 1985), e in questo caso l'a. quadrata sarebbe coerente con la cronologia dell'opera.In ogni caso, all'inizio del sec. 8°, con i mosaici commissionati dal papa Giovanni VII (705-707) per il distrutto oratorio in S. Pietro a Roma (i cui frammenti sono in parte conservati nelle Grotte Vaticane), nell'Occidente romano si afferma l'uso di raffigurare con l'a. quadrata personaggi viventi. Così, per es., sempre a Roma, vengono ritratti con tale attributo nella cappella di Teodoto a S. Maria Antiqua papa Zaccaria (741-752) e il fondatore della cappella, Teodoto primicerius; nella cappella di S. Zenone a S. Prassede il papa Pasquale I (817-824) e sua madre Teodora. Giovanni Diacono definisce l'a. quadrata "tabulae similitudinem, quod viventis insigne est" (Vita Gregorii Magni, IV, 84; PL, LXXV, col. 231). Essa è dunque un'allusione alla similitudo, cioè al ritratto, e viene riferita in genere a immagini di fondatori ancora in vita e di contemporanei viventi o morti da poco. Un'eccezione in tal senso è costituita dal manoscritto di Isidoro conservato a Vercelli (Bibl. Capitolare, CCII), in cui un autore morto da lungo tempo, Apollo medicus, è ugualmente dotato di un'a. quadrata. Questa tipologia di a. conobbe una vastissima diffusione nell'Italia altomedievale, come testimoniano per es. l'altare d'oro di S. Ambrogio a Milano, gli affreschi di S. Vincenzo al Volturno e di S. Benedetto a Malles, un manoscritto proveniente da Nonantola (Vercelli, Bibl. Capitolare, CXLVIII), il crocifisso di Ariberto (Milano, Mus. del Duomo), l'affresco absidale della basilica d'Aquileia, il Salterio di Egberto (Cividale, Mus. Archeologico Naz.).Esistono anche altre particolari forme di a.: esagonale, triangolare, a conchiglia. Nel Basso Medioevo non è infrequente l'uso dell'a. esagonale per figure allegoriche (per es. la Spes sulla porta del battistero di Firenze, di Andrea Pisano), mentre l'a. triangolare appare riservata all'immagine di Dio (Bibbia di Borso d'Este, Modena, Bibl. Estense, V.G. 12). Va notato infine che negli affreschi di S. Pietro al Monte presso Civate o in alcune miniature di un salterio conservato a Parigi (BN, gr. 139) l'a. è a strisce multicolori.
Bibl.:
Fonti. - Servianorum in Vergilii carmina commentariorum, a cura di E.K. Rand, II, Lancaster (PA) 1946, p. 471.
Letteratura critica. - A. Krücke, Der Nimbus und verwandte Attribute in der frühchristlichen Kunst, Strassburg 1905; A. Goldschmidt, Die Elfenbeinskulpturen, I, Berlin 1914; J. Bolten, Die Imago Clipeata. Ein Beitrag zur Porträt und Typengeschichte, Paderborn 1937 (rist. anast. New York 1968), pp. 15-24; G.B. Ladner, The so-called square nimbus, MedSt 3, 1941, pp. 15-45; 4, 1943, pp. 82-84; D. Levi, Antioch Mosaic Pavements, Princeton 1947, I, pp. 285-289; W. Braunfels, Nimbus und Goldgrund, Münster 1950, pp. 321-334; M. Collinet-Guérin, Histoire du Nimbe dès origines aux temps modernes, Paris 1961; R. Ettinghausen, Arab painting, Gen'eve 1962; M.J. Zucker, The polygonal halo in Italian and Spanish Art, Studies in Iconography 4, 1978, pp. 61-77; J. Osborne, The Portraits of Pope Leo IV in S. Clemente, Rome: a re-examination of the so-called square nimbus in Medieval Art, PBSR 47, 1979, pp. 58-65; R. Cormack, Writing in Gold. Byzantine society and its Icons, London 1985, pp. 51-52; R. Warland, Das Brustbild Christi. Studien zur spätantiken und frühbyzantinischen Bildgeschichte (Supplementheft, 41), Roma-Freiburg im Brsg. 1986, pp. 31-41.B. Brenk