AUTARCHIA (fr. autonomie communale, sp. autonomía municipal; ted. Selbstverwaltung; ingl. selfgovernment)
Il concetto di autarchia trova il suo fondamento nel concetto di persona giuridica; esso è riferibile all'attività di enti collegati bensì alla vita dello stato e a questo subordinati, ma aventi interessi proprî, propria attività, propria volontà. Questo concetto essenzialmente giuridico, attorno al quale convergono in diversa guisa concetti politici e sociali, ebbe la sua culla e la sua evoluzione nel continente europeo; ma differisce profondamente da quel sistema di ordinamento delle istituzioni locali (selfgovernment), che è conseguenza dello speciale sviluppo storico e dello speciale carattere del popolo inglese.
Sorpassato il periodo del comune politico medievale, dello stato nello stato, dell'autonomia, a cui parteciparono anche gli enti collettivi minori, affermatosi il potere dello stato assoluto, i rapporti fra quelli e questo si erano ridotti a un semplice rapporto di diritto privato: la condizione degli enti locali di fronte allo stato è parificata, sino a tutto il sec. XVIII, a quella del minore d'età di fronte al tutore; il concetto di amministrazione locale è ristretto entro l'ambito dell'amministrazione patrimoniale. Con la Rivoluzione francese i comuni, quasi ridotti al grado di semplici circoscrizioni amministrative, sono considerati come organi dello stato, ai quali vengono delegate e imposte come doveri alcune funzioni, dipendenti dall'amministrazione pubblica e non costituenti amministrazione comunale. Accanto a tale qualità essi però riescono a conservare la loro personalità giuridica, nella quale si concentra la cosiddetta sfera d'azione propria. S'inizia così l'epoca nuova del comune amministrativo. Il problema moderno dell'autarchia trova il suo inizio nei primi anni del sec. XIX col formarsi degli stati costituzionali, e dapprima è caratterizzato, specie nella dottrina belga e francese, da una strana confusione di concetti politici: autonomia o auto-amministrazione, libertà, democrazia, decentramento, selfgovernment, autogoverno sono quasi altrettanti sinonimi: il problema della vita locale si collega allora a problemi politici, al problema del decentramento - diretto a vedere quali funzioni proprie del comune e tolte a esso dallo stato debbano essergli da questo restituite - e al problema della libera elezione degli organi comunali. In Germania l'autarchia (Selbstverwaltung) viene concepita come sfera propria d'azione contrapposta alla delegata, costituente una sfera inalterabile e limitata alla sola amministrazione patrimoniale della quale lo stato non deve ingerirsi: autarchia è antitesi d'ingerenza, di tutela dello stato. Comunque, la Rivoluzione aveva già definitivamente posto la vita degli enti locali sotto l'autorità dello stato, li aveva incorporati nell'organismo di questo, aveva riunito in essi le due qualità di persone giuridiche di diritto privato e di organi dello stato, e, introducendo la distinzione tra sfera propria e delegata, aveva gettato le basi dell'armonica coesistenza fra amministrazione statale e locale, del coordinamento fra interessi generali, locali, speciali, in una parola, della moderna autarchia. La quale per un certo periodo di tempo fu riferita alla vita comunale, poi estesa alla vita degli enti di carattere provinciale e, via via, anche alla vita di tutti quegli enti, dei quali la vita, pur distinta e diversa da quella dei primi, doveva esser regolata dallo stato, e venne difatti regolata sulla base dei medesimi principî della vita comunale: enti tutti rivestiti di personalità giuridica di diritto pubblico, enti l'attività dei quali armonizza con quella dello stato, che vivono della stessa vita, mirano a un pubblico fine e le cui funzioni hanno la stessa ragione giuridica di quelle dello stato.
Il concetto di autarchia, che ha seguito l'evoluzione del concetto di personalità giuridica, implica l'idea di un rapporto giuridico tra persone di diritto pubblico, cioè fra lo stato e le persone amministrative, che in esso vivono e che sono suoi membri: il problema moderno dell'autarchia si pone così come una questione di limite, di misura, che tende a render possibile il coordinamento dell'opera dello stato e degli enti locali per il raggiungimento degli scopi comuni. Esso è limitato però al campo dell'amministrazione (la funzione legislativa e quella giurisdizionale sono infatti inerenti allo stato stesso, e non possono essere affidate ad altri), nel quale l'attività spiegata dagli enti autarchici si presenta come un'attività indiretta dello stato, come una partecipazione di enti collettivi all'attività dello stato per il conseguimento, entro i limiti fissati dalla legge, di un pubblico fine, d'interessi che sono al tempo stesso interessi dello stato e degli enti autarchici. L'autarchia che, secondo alcuni, è il diritto pubblico subiettivo di esercitare pubbliche funzioni amministrative; che, secondo altri, è uno status al quale l'ente ha diritto, e, secondo altri ancora, una capacità giuridica nella quale si racchiude una serie di diritti e anche di doveri, dà luogo all'esercizio di poteri, che agli enti autarchici spettano in modo derivativo, e non per un diritto proprio immanente nella loro personalità: è la legge dello stato che fissa la loro costituzione e determina la funzione loro, stabilisce il modo dell'esercizio e i limiti della loro attività.
Il concetto di autarchia non è quindi riferibile (secondo un'opinione molto diffusa, ma controversa) agl'individui, né all'attività dei cittadini partecipanti alla vita pubblica (autogoverno), né alle semplici collettività di fatto, né alle circoscrizioni amministrative, ma unicamente alle persone giuridiche di diritto pubblico (comprese le corporazioni) in cui il territorio ha una particolare importanza, e dette perciò territoriali (comuni, provincie, ecc.), e quelle che territoriali non sono, le istituzioni, le fondazioni: tutti questi enti, sparsi nel territorio dello stato, e detti anche perciò enti locali, o proseguono un complesso d'interessi statali, o possono limitarsi al proseguimento di uno solo e specifico.
La costituzione di tali enti risulta da elementi o requisiti diversi. Un primo requisito estrinseco è quello del riconoscimento o creazione da parte dello stato; il quale può trovare entità complesse già sociologicamente, storicamente, geograficamente esistenti, dotate di un substrato di fatto e aventi nella loro formazione naturale quasi un titolo alla capacità giuridica (si tratta di solito di enti territoriali); oppure - quando del raggiungimento d'uno scopo si faccia sentire il bisogno - può creare ex novo le persone autarchiche, determinandone l'origine e fissandone lo scopo; o può anche trasformare una persona, già esistente nel campo del diritto privato, da privata in pubblica, dando a essa nuova fisionomia e nuova vita.
Un secondo requisito, intrinseco questo, vien dato dall'elemento personale dell'ente autarchico, che è composto di persone fisiche, membri e amministratori. Nel diritto appunto da parte di questi individui di partecipare, gratuitamente e indipendentemente dallo stato, all'amministrazione degl'interessi di tali enti, si volle da alcuni veder racchiuso il concetto di autarchia, identificata, come si è detto, con l'autogoverno. Altri invece vedono nell'autarchia il modo col quale le persone fisiche preposte all'amministrazione e manifestanti la volontà degli enti vengono tratte dal seno degli stessi, mediante il sistema elettivo. La buona o cattiva formazione di questo elemento di tali enti, l'essere costituito in un modo piuttosto che in un altro, il concedere o no agli appartenenti all'ente autarchico il diritto di partecipare alla formazione della volontà e all'amministrazione dell'ente stesso, fanno nascere un problema essenzialmente politico che con quello dell'autarchia ha intimi nessi ed è mutevole da luogo a luogo, da tempo a tempo.
Altro requisito intrinseco vien dato dall'esercizio di pubbliche funzioni adempiute dagli enti autarchici; in ciò non è questione di quantità; basta l'esercizio di un'unica funzione pubblica per determinare in un ente il carattere autarchico: è poi da respingersi l'opinione secondo cui tale funzione dovrebbe rientrare nella sfera d'azione propria dell'ente, sgorgante dall'idea di un potere esistente di per sé, in contrapposto alla sfera d'azione delegata agli enti autarchici dallo stato, che darebbe invece luogo al sorgere di doveri negli enti medesimi. Oggi tali enti non sono semplici rappresentanti d'interessi locali, particolari: tra la sfera di attività dello stato e quella dei primi v'è perfetta fusione: l'una e l'altra generano il concetto di pubbliche funzioni, obbligatorie talune, altre facoltative. Al quale proposito va notato come lo stato moderno, facendo sorgere gli enti autarchici là dove i diversi interessi pubblici sono più sentiti e, per così dire, localizzati, riesca a trovare in essi, mercé tale decentramento autarchico, validi cooperatori al disimpegno di numerose pubbliche funzioni.
L'elemento economico finanziario costituisce un terzo requisito intrinseco: in esso va compreso tutto ciò che all'ente può appartenere privato iure, e tutto ciò che viene costituito dall'insieme di tasse, imposte, e così via, i cui proventi sono destinati ad esser impiegati nei pubblici servizî. Senza tale elemento gli enti sarebbero nell'impossibilità di esercitare le pubbliche funzioni, le quali tutte si estrinsecano in spese. Questo rapporto, anzi, tra pubbliche funzioni e patrimonio dell'ente impedisce di attribuire ad esso l'amministrazione indipendente della propria fortuna; tutto ciò, quindi, che forma l'elemento patrimoniale è soggetto a limiti, a regole che si discostano enormemente da quelle del semplice diritto privato, derivando da norme del diritto amministrativo. Giuridicamente fondate sulla legge dello stato, le finanze degli enti autarchici, legate, in genere, più o meno al regime finanziario dello stato stesso, trovano in esso i limiti per ciò che si riferisce al potere d'imporre, ai modi di esazione, alla partecipazione a funzioni o a spese di carattere statale; e lo stato interviene a stabilire la classificazione dei beni, la conservazione, l'impiego, i modi d'acquisto, le alienazioni, la contabilità, i bilanci, il rendimento di conti, la responsabilità degli amministratori, e così via.
Il controllo dello stato è poi il secondo requisito estrinseco dell'autarchia; il suo fondamento riposa sull'interesse dello stato che gli enti autarchici, cui sono attribuite pubbliche funzioni, conformino la loro vita alle norme di legge e ai criterî di convenienza amministrativa. Il controllo di legittimità o tutela legale o giuridica, vigilanza o sorveglianza legale, si esercita in modo permanente e continuativo, talora repressivo, talora preventivo, conformando le azioni degli enti e i modi di esse alle norme di legge, permettendone talune, sospendendone o annullandone altre, costringendo anche gli enti ad agire quando l'azione venga a mancare. Il controllo di merito, o potere tutorio, o tutela economica, mira ad assicurare la convenienza e l'opportunità dei singoli atti, in modo che allo stato sia concesso di sviluppare, mercé la cura ordinata delle economie particolari, la sua stessa vita economica: il che ridonda poi a beneficio degli stessi enti autarchici. Controllo, comunque, che nulla ha che vedere con la tutela del diritto privato, giacché, lungi dal costituire negazione di capacità, è una conferma della esistenza di questa negli enti autarchici, fondato com'è sul concetto che tali enti capaci possano eventualmente non agire in corrispondenza dei fini per il cui raggiungimento la capacità fu loro riconosciuta. Controllo inoltre che neppure può essere identificato con quello sgorgante dal concetto della subordinazione gerarchica, non essendo paragonabili i rapporti giuridici che intercedono fra stato ed enti autarchici a quelli semplicemente gerarchici che intercedono fra gli organi superiori e i subordinati della gerarchia. La caratteristica di questo controllo esercitato dallo stato sugli enti autarchici è di mantenere distinti gli uni dagli altri gli atti dell'autorità che esercita il controllo medesimo, da quelli dell'ente che il controllo subisce: ciascuno ha entità propria, una esistenza distinta, è completo di per sé, ha scopo, contenuto ed effetti diversi da quelli dell'altro, ponendosi così il controllo non come mezzo di collaborare con l'altrui volontà o d'integrarla, ma come mezzo soltanto moderatore di volontà distinta e indipendente. Gli organi, le modalità di controllo diversificano nelle diverse legislazioni: alle autorità governative centrali o locali può esser affidata la competenza di autorizzare, approvare, vistare, sospendere, annullare nei diversi casi, con forme e con effetti voluti dalle leggi, i diversi atti soggetti al controllo. Conseguenze necessarie di tali funzioni possono essere le inchieste, ispezioni, revoche di autorità preposte agli enti autarchici, e, finalmente, lo scioglimento delle relative amministrazioni, con invio di speciali commissarî, quando il complesso della gestione e i modi d'agire degli enti medesimi si mostrino in contrasto con i loro interessi e con quelli dello stato. La tendenza delle legislazioni moderne è verso una procedura agile e snella dei controlli; si tende inoltre generalmente a renderli giurisdizionali per mantenere le autorità ad essi preposte entro i limiti voluti dalla legge.
Il rapporto giuridico tra lo stato e gli enti autarchici implica reciproci diritti e doveri; al primo spetta il diritto di pretendere che la vita dei secondi si svolga in perfetta armonia con le prescrizioni di legge, e a questo diritto di supremazia dello stato fa riscontro il dovere di sudditanza degli enti: elemento di dovere, codesto, che ha quella speciale importanza che l'elemento stesso ha nel campo del diritto pubblico, essenzialmente ius cogens.
Dire quali siano i singoli doveri che rientrano in quello generale d'obbedienza sarebbe troppo lungo (imposte, tasse, concorso in spese, esercizio di determinate funzioni, prestazioni di organi che funzionino come organi dello stato, e così via): certo è che gli enti autarchici non divengono, per il fatto che sono soggetti verso lo stato a taluni doveri, semplici organi dello stato stesso: il fatto che tali subbietti siano verso lo stato in un rapporto generante obblighi non toglie che ssi continuino a essere persone, cioè soggetti anche di diritti. Non è possibile neppure accennare ai singoli diritti che possono competere a tali enti: diritti politici, che si riconnettono alla partecipazione loro alle pubbliche funzioni amministrative e mettono quindi capo al diritto di supremazia, le cui plurime manifestazioni, contenuto, forma, modi, esplicati, si noti, nei limiti assegnati dalle leggi dello stato, variano da ente a ente a seconda della svariata gradazione che esiste nelle diverse loro categorie: viene in tal modo a determinarsi fra l'ente e chi ad esso è, comunque, soggetto, un rapporto per cui questo è verso il primo obbligato a diversi doveri e prestazioni. Una manifestazione tipica di tale diritto è costituita dall'esercizio della facoltà regolamentare, in materia specialmente d'organizzazione e in materia penale o di polizia, della facoltà disciplinare, e così via; altre manifestazioni più speciali possono esser costituite, a seconda dei casi, dal diritto di dettare norme circa l'esercizio di una professione, di un'arte, o di un'industria, dal diritto di conferire diplomi, di levare imposte, tasse, contributi, dazî, pedaggi, di pretendere prestazioni personali, ecc., di godere privilegi di esazione, di dare esecuzione forzata ai proprî atti d'impero in modi e forme diverse. Coronamento e presupposto dei diritti politici sarebbe il diritto al proprio territorio per gli enti territoriali e, in genere, il diritto alla propria esistenza per gli altri enti, diritto che dovrebbe esser garantito dalla legge, la quale sola potrebbe toglierlo o modificarlo, quando, mutatesi le esigenze sociali, divenuto inutile o dannoso lo scopo perseguito dagli enti, gravi ragioni di interesse pubblico dovessero esigere anche questo. Venendo poi tali diritti esercitati dagli enti anche nell'interesse dello stato, che può venir leso o dal non esercizio o dal cattivo esercizio di essi, lo stato spesso interviene, pretendendo che gli enti esercitino i diritti medesimi e colpendo con sanzioni opportune o il non uso o l'uso cattivo; v'è per gli enti stessi un dovere giuridico all'esercizio di molte di quelle funzioni ch'essi hanno pur diritto di compiere.
Fra i diritti pubblici degli enti autarchici meritano speciale menzione i diritti civici corrispondenti ai doveri positivi dello stato, delle cui prestazioni i primi si possono giovare: completamento necessario e indispensabile dell'autarchia è fra essi la protezione giuridica delle facoltà agli enti riconosciute; l'autarchia stessa si ridurrebbe a nome vano, se tale protezione, davanti all'autorità giudiziaria o alle giurisdizioni amministrative, venisse disconosciuta.
I diritti privati, poi, riconosciuti agli enti autarchici, costituiscono l'insieme di mezzi conferiti agli enti stessi per secondare e ottenere pur sempre il raggiungimento dei loro pubblici scopi; e però la qualità degli enti autarchici influisce sull'esplicamento della loro attività privata: il regime giuridico di diritto privato viene perciò a subire, in seguito alla speciale natura degli enti, talune modificazioni importanti, per quel che si riferisce alla disponibilità dei beni, ai modi di acquisto, ai momenti e ai titoli di questo, alla loro perdita, al loro godimento, alla loro amministrazione, specialmente riguardo ai modi di perfezione, efficacia, estinzione dei contratti in genere o ai principî relativi ad alcuni contratti speciali: locazioni, mutui, gestione d'affari e così via. Comunque, importante fra i diritti privati competenti agli enti autarchici è il diritto di libertà, intesa questa non già come sinonimo di autarchia, ma come il diritto che a tali enti, come a qualsiasi altra persona giuridica, come alle persone fisiche, spetta di esplicare quelle facoltà che si riconnettono all'attività riconosciuta giuridicamente, in giuridica indipendenza dalla volontà di altri.
L'autarchia è dunque un vasto e complesso istituto di diritto pubblico intimamente partecipe della costituzione dello stato. Esso può esser definito come quello che nei grandi stati moderni regola sistematicamente le relazioni giuridiche fra lo stato e le persone amministrative a questo sottoposte, le quali, riconosciute o create dallo stato come altrettanti centri d'interessi pubblici, sono messe in grado, in virtù di un'attribuzione di doveri e di diritti, di cooperare con esso, nei limiti segnati dalla legge, sotto il suo controllo, mediante la realizzazione dei loro compiti, connessi, per ragione di territorio o di scopo, al raggiungimento dei fini statali.
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