AUTODIGESTIONE (dal gr. αὐτός "stesso" e digestione)
Durante i processi catabolici che si svolgono nei protoplasmi viventi avvengono continuamente intime disintegrazioni fermentative delle molecole proteiche che hanno analogia coi processi digestivi che si effettuano nel tubo gastroenterico. Tali processi biochimici possono continuare nelle fermentazioni che nei protoplasmi si svolgono anche durante e dopo la morte. Questi fenomeni enzimatici proteolitici endogeni che si svolgono nei tessuti e nei protoplasmi costituiscono ciò che si dice autolisi, la quale pertanto può considerarsi quale automatica ed intima autodigestione spontanea.
Conviene però riservare il nome specifico di autodigestione al processo più propriamente digestivo che, dopo morte, i succhi digestivi preesistenti possono continuare a svolgere sulle sostanze che si trovano nello stomaco e nell'intestino, ovvero anche sulle pareti stesse del tubo gastro-enterico ed organi vicini.
Lo stomaco che durante la vita, per speciale equilibrio biochimico, non digerisce sé stesso, può ben autodigerirsi dopo morte. Così talora nel cadavere si trovano rammollimenti colliquativi e disfacimenti velamentosi delle sue pareti, ampie distruzioni con versamento del contenuto nel peritoneo. Simili perforazioni facilmente si distinguono dalle vere rotture traumatiche e tanto meglio da perforazioni ulcerative, caustiche o neoplastiche, per l'aspetto velamentoso e molliccio dei margini. La milza, il fegato, il diaframma e talora anche il pancreas possono risentire effetti autodigestivi postmortali per i loro rapporti con lo stomaco.
In medicina legale ha speciale importanza l'eventuale protrarsi della digestione dopo morte in quanto sull'aspetto del contenuto stomacale si può fare assegnamento per la diagnosi del momento della morte in relazione all'ora dei pasti. Se non che ben poco l'autodigestione postmortale può alterare i dati cronologici desumibili dalla digestione fisiologica la quale si può considerare cessata col cessare della vita.