autofagia
Processo catabolico – evolutivamente conservato in cellule di lievito, piante e animali – che, a livello basale, rappresenta il principale meccanismo di regolazione del turnover dei componenti del citoplasma e di rimozione selettiva degli organelli danneggiati. Esistono diversi tipi a.: in tutti casi si ha la degradazione, attraverso i lisosomi, di uno o più costituenti cellulari e quasi tutti i tipi di a. prevedono la formazione di vescicole a doppia membrana, che inglobano, isolano e separano dal resto della cellula il materiale da degradare.
Nella macroautofagia, organelli difettosi e proteine sono sequestrati in vescicole a doppia membrana, chiamate autofagosomi, attraverso un processo che si sviluppa in quattro stadi:
• fase d’induzione: è regolata da tor, una chinasi che funge da sensore dei livelli di energia cellulare e di amminoacidi disponibili. I segnali che inducono a. determinano inattivazione di tor, formazione del complesso apg13-apg1 e induzione di vari geni che codificano proteine coinvolte nell’espansione dell’autofogosoma;
• formazione dell’autofagosoma: materiale citoplasmatico di varia natura è inglobato nell’autofagosoma grazie all’azione di diverse attività enzimatiche, di un sistema costituito dai prodotti dei geni Atg (Autophagy-related gene), ossia dalla proteina atg8 (lc3 nei mammiferi, una proteina simile all’ubiquitina) e dalla proteasi atg4 e dal complesso atg12-atg5. Si ritiene che l’interazione tra la proteina p62 (e tutto ciò che a essa si accompagna) e lc3 rappresenti il segnale specifico e necessario per indirizzare elementi citosolici a degradazione mediante a.;
• fase di riconoscimento e fusione dell’autofagosoma al lisosoma: è assicurata, da diverse proteine tra cui le SNARE (proteine di membrana che favoriscono l’aggancio delle vescicole);
• demolizione del corpo autofagico: mentre la membrana esterna dell’autofagosoma si fonde con quella del lisosoma il resto è degradato dalle idrolasi lisosomiali. Nell’a. mediata da chaperonine proteine particolari sono accompagnate verso i lisosomi dalle chaperonine hsp90 e hsc70. La pexofagia e la mitofagia sono forme di a. selettive per i perossisomi e i mitocondri.
Il lievito Saccharomyces cerevisiae e l’ameba Dictyostelium discoideum attivano l’a. quando le fonti di carbonio e azoto si riducono. Il nematode Caenorhabditis elegans, in condizioni di ridotto apporto di nutrienti, di aumento della densità cellulare o della temperatura, attiva invece l’a. per entrare in una forma alternativa di sviluppo (stato di dauer) che consente nematode di sopravvivere anche per diversi mesi fino a che le condizioni ambientali non permettono la riattivazione del naturale ciclo riproduttivo. Nematodi con mutazioni del gene bec-1 (omologo del gene atg6 di lievito) non sopravvivono a lungo nelle stesse condizioni. L’a. svolge inoltre un ruolo chiave nell’incrementare la longevità. Dalla degradazione delle macromolecole e degli organelli vengono rilasciati amminoacidi e acidi grassi: i primi sono utilizzati per la sintesi di proteine necessarie a favorire la crescita in condizioni svantaggiose, come precursori della gliconeogenesi e come substrati del ciclo degli acidi tricarbossilici. Questo ultimo fornisce i trasportatori di elettroni necessari per la sintesi di ATP.
Nei mammiferi, l’a. interviene in diversi processi come la crescita cellulare, lo sviluppo, la morte cellulare, la rimozione degli agenti patogeni, la presentazione degli antigeni, nella tumorogenesi e nelle malattie neurodegenerative. Alla nascita, nell’intervallo tra la nutrizione placentare e quella materna il neonato continua a ricevere energia e nutrimento grazie al meccanismo dell’autofagia. Più avanti l’a. va incontro a variazioni ritmiche durante la giornata in relazione ai cicli di alimentazione. Dopo i pasti l’insulina stimola la captazione cellulare delle sostanze nutritive, in risposta ai loro alti livelli presenti nel sangue, e inibisce l’a., attivando tor. Durante il riposo, invece, la temporanea riduzione dei livelli degli amminoacidi stimola la secrezione del glucagone che a sua volta attiva l’autofagia. I ritmi diurni di a. avvengono anche in altri tessuti, come nella retina, dove si suppone aggiustino la sensibilità dei fotorecettori alla luce rimuovendo l’eccesso di pigmenti visivi.
L’a., insieme all’apoptosi (➔) contribuisce, durante lo sviluppo embrionale, a scolpire e a modellare gli organi. La distinzione tra a. (morte cellulare programmata di tipo II) e apoptosi (tipo I) non è netta: spesso i due tipi di morte coesistono e si influenzano a vicenda. I mitocondri rappresentano un punto di incontro tra a. e apoptosi: generano segnali apoptotici, ma sono rimossi per a. se danneggiati. I membri della famiglia di Bcl-2 (➔), presenti sulla membrana del mitocondrio, modulano sia l’apoptosi sia l’autofagia. Bcl-2 normalmente inibisce l’a. perché lega e blocca il gene beclin1 (omologo di atg6). La dissoluzione dell’interazione in seguito a riduzione di nutrienti attiva l’autofagia.
Si ritiene che beclin1 funga anche da gene soppressore dei tumori. Delezioni monoalleliche di beclin1 sono state riscontrate in diversi tipi di tumori. La perdita di proteina beclin1 nelle cellule epiteliali promuove la tumorogenesi, e topi con livelli ridotti di beclin1 sviluppano spontaneamente tumori.
Non è chiaro se la presenza di autofagosomi in diverse patologie quali l’Alzheimer, il Parkinson, l’Hungtinton e le encefalopatie spongiformi contribuiscano alla morte dei neuroni o rappresentino un meccanismo di protezione. Si ritiene che l’induzione dell’a. sia una risposta di tipo neuroprotettivo (atta a degradare gli aggregati insolubili, caratteristici di ciascuna di queste malattie) e che difetti nell’a., piuttosto che eccessi di a., causino la morte dei neuroni in queste malattie.