AUTOGRAFO (dal gr. αὐτόγραϕος, da αὐτός "stesso" e γράϕω "scrivo")
Sostantivo o aggettivo che designa uno scritto qualsiasi di mano propria d'una determinata persona, che può essere autore dello scritto o averlo soltanto copiato. La parola autografo, specialmente come sostantivo, è, in tutte le lingue, d'uso relativamente recente. I lessici segnalano un esempio di τὸ αὐτόγραϕον in Plutarco, di autographum in Simmaco. Il dizionario del Tommaseo e del Bellini dà solo un esempio della parola autografo usata come aggettivo da Giovanni Targioni. Sostantivo e aggettivo divennero invece d'uso comune, quasi sempre nel senso speciale di scritto di persona più o meno celebre, quando vennero appunto in voga le raccolte d'autografi, cioè a partire dal terzo decennio del sec. XIX.
Le collezioni d'autografi del sec. XIX e dei giorni nostri sono cosa ben diversa dalle raccolte di lettere di uomini illustri e di documenti storici importanti o curiosi, messe insieme, e talora pubblicate, specialmente dal secolo XVI. Per i nostri precursori l'autografia poteva tutt'al più esser garanzia d'autenticità, ma essi non distinguevano di regola fra autografi e copie, dando solo importanza al contenuto delle scritture di cui venivano in possesso. V'era tuttavia, per una categoria speciale di scritture chi dava esclusivamente importanza all'autografia senza preoccuparsi del contenuto. La chiesa cattolica parificava infatti e parifica gli autografi di persone dichiarate sante, beate o venerabili alle altre reliquie, che possono esser oggetto di culto. Questi autografi compaiono infatti non di rado con l'autentica di autorità ecclesiastiche, e furono qualche volta anche tagliati ingenuamente a pezzi per poter soddisfare ai pii desiderî di più persone. D'autografi, talvolta in parte pregevoli, erano composti gli albi amicorum già d'uso comune fin dal sec. XVI, specie fra gli studenti oltramontani: ma l'album amicorum era fatto non a scopo di collezione, ma per serbare un qualche ricordo dei compagni e delle persone di cui s'era fatta conoscenza (v. albo).
Fra i precursori, lasciando da parte molte notizie più o meno fantastiche, possiamo ricordare, nella seconda metà del Cinquecento, il La Croix du Maine, benemerito autore della Bibliothèque française, il quale aveva "una camera tutta piena di lettere di diversi personaggi collocate in armadî". Perciò lo Scaligero lo battezzava senz'altro per pazzo, degnandosi d'aggiungere, che uomini di tal fatta sono i "facchini" dei dotti, per i quali ammassano ogni sorta di materiali.
Una forte spinta a raccogliere autografi, anche col solo intento di salvarli dal macero, dovettero sentire parecchie persone studiose o appena mediocremente colte all'epoca della rivoluzione francese, quando la dispersione delle carte conservate nella Bastiglia e poi di numerose biblioteche ed archivî, specialmente ecclesiastici e nobiliari, gettò in massa sul mercato delle cartacce corrispondenze letterarie e scientifiche, documenti storici e scritti d'ogni genere, curiosi o addirittura preziosi. I primi raccoglitori non eccitarono affatto l'interesse del pubblico, distratto da ben altre novità; cosicché quando, dal 1820 al 1827, si fecero a Parigi le prime vendite d'autografi, questi "non erano ricercati se non da qualche scrittore, che sperava di trovare in quei documenti originali notizie storiche e letterarie curiose e spesso tuttora ignote. Più persone notarono allora la premura con cui alcuni dotti acquistavano certe lettere di personaggi celebri, e furono prese alla loro volta dal gusto degli autografi, cosicché il numero dei concorrenti s'accrebbe ad ogni nuova vendita" (P.J. Fontaine, Manuel de l'amateur d'autographes, Parigi 1836, p. 67).
La prima vendita all'asta di soli autografi si fece a Parigi nel maggio 1822, e fu un disastro. Si trattava dei doppioni della ricchissima collezione Villenave, iniziata appunto con le carte portate via dalla Bastiglia. "Al signor Villenave" (scrive Paul Lacroix, il noto bibliophile Jacob) "spetta l'onore d'aver fatto il primo catalogo e la prima vendita d'autografi". Il Lacroix rivendica poi a sé l'onore d'aver pubblicato, nel 1840, "il primo saggio d'un vero catalogo ragionato d'autografi", affermando che il suo catalogo fu preso generalmente per modello, cosicché, "forse in grazia sua... i cataloghi d'autografi, redatti con pari accuratezza ed erudizione, divennero raccolte preziose di notizie storiche" (P.L. Jacob, Lettres sur les autographes, in Mélanges bibliographiques, Parigi 1871, pp. 137-138 e 144). Non tutti i cataloghi, disgraziatamente, poiché, restringendoci all'Italia, molti cataloghi di collezioni preziosissime, purtroppo in gran parte disperse, si riducono quasi sempre a un arido elenco di nomi. Tali sono, p. es., i cataloghi delle collezioni Morbio (Milano 1857 e segg.), Succi (Bologna 1862), Antonelli (Ferrara 1863), Cibrario (Torino 1864), Raffaelli (Macerata 1871), Ancona (Milano 1892), Manzoni-Borghese (Roma 1894), Boncompagni (Roma 1898).
Nell'intervallo fra le vendite Villenave del 1822 e Lacroix del 1840 si pubblicò a Parigi il già citato Manuel del Fontaine, forse il primo del genere. Il Fontaine enumera le vendite principali dal 1820 fino al 1835, indicando il prezzo, generalmente assai basso, raggiunto dagli autografi più ragguardevoli; dà un elenco di personaggi della cui scrittura si aveva già il fac-simile, notando se qualche loro autografo era venuto in commercio e a qual prezzo era stato venduto; nomina i principali raccoglitori d'autografi e da qualche ragguaglio delle loro collezioni. I raccoglitori conosciuti dal Fontaine sono, lui compreso, una quarantina a Parigi, cinque nel resto della Francia, uno solo all'estero, il visconte di Santarem portoghese. Per questa parte egli era però assai male informato. I raccoglitori d'autografi erano ormai numerosi anche lontano da Parigi e dalla Francia.
In Italia primo fra tutti si sarebbe potuto ricordare Carlo Alberto, al quale si deve in massima parte la preziosa raccolta d'autografi tuttora conservata nella biblioteca di S. M. il Re in Torino, e che nella sua grande scrupolosità giungeva fino a far chiedere a un teologo se si potessero in coscienza leggere le lettere comperate. Carlo Alberto deve anche aver fatto dono a qualche confratello in autografofilia d'alcune lettere a lui dirette, e forse aver dato genericamente al conte Nomis di Cossilla, soprintendente dei regi archivî di corte, l'autorizzazione di prendersi qualche autografo nelle serie più ricche, in quelle specialmente dei principi di Savoia. Il Nomis di Cossilla, succeduto nell'ufficio di soprintendente al suocero, il noto letterato Gian Francesco Galeani Napione, morto nel 1830, aveva infatti messo insieme una pregevolissima raccolta d'autografi, fortunatamente donata poi dagli eredi al municipio di Torino; e questa raccolta è fatta in parte con documenti provenienti senza dubbio dai regi archivî, i quali debbono pure aver fornito al Nomis il materiale per cambî assai fruttuosi. Ripugna pensare ad una serie di appropriazioni indebite, che sarebbero state del resto troppo facilmente scoperte. L'ipotesi d'una autorizzazione da parte del re, analoga a quella che vedremo data dal duca di Modena, sembra quindi la più equa e la più probabile. Non accogliendola, bisognerebbe congetturare che il Nomis abbia fatto o lasciato fare degli scarti poco giudiziosi, e abbia poi tenuto per sé i pezzi che gli piacevano.
Fra gli altri sudditi di Carlo Alberto, che avevano raccolte d'autografi ora disperse, vanno ricordati Prospero Balbo (1762-1837), Luigi Cibrario (1802-1870), i fratelli Domenico e Carlo Promis (1802-1874 e 1804-1875), Carlo Morbio, novarese residente a Milano (1811-1881). Le piccole raccolte formate con doni, con sollecitazioni dirette o indirette a personaggi illustri, con qualche cambio, dovevano essere assai numerose ed erano venute di moda anche fra le signore. Prospero Balbo, che aveva di sua mano fatto la "copia d'autografi regalati o da regalarsi a persone che fanno raccolta di somiglianti rarità, cioè di scritture d'uomini illustri", segnò fra queste persone la contessa di Seyssel e la famosa marchesa di Barolo. Quest'ultima aveva autografi molto pregevoli, chiusi in camicie, che sono esse stesse un autografo, perché contengono notizie scritte in francese da Silvio Pellico e spesso très piquantes à cause des appréciations personnelles de l'auteur de "Mes prisons". La collezione passò, non si sa come, in Francia, e fu venduta all'asta a Parigi nel gennaio del 1884 (Catalogue d'une curieuse collection d'autographes provenant en partie du cabinet de la marquise de Barol et accompagnés de notices de Silvio Pellico....).
Fuori del Piemonte, una ricca collezione era stata fatta da Antonio Gandini (1786-1842), maestro di musica che fu al servizio di Francesco IV duca di Modena (Catalogo di milleottocento e più autografi..., Modena 1837). Alcuni dei pezzi più rari di questa collezione, fortunatamente incorporata, dopo la morte del proprietario, nella più che preziosa raccolta del marchese Giuseppe Campori (1821-1887), lasciata poi per legato alla città di Modena, provenivano dagli archivî di Modena e di Reggio, per graziosa concessione del duca, i cui ordini in proposito, per riguardo a Reggio, sono tuttora conservati in quell'archivio.
Fra i primi che in Italia fecero raccolta d'autografi possiamo ancora ricordare il bibliografo Bartolomeo Gamba, morto nel 1841, la cui collezione fu acquistata in parte dalla Biblioteca imperiale di Vienna, in parte da Antonietta Parolin che ne fece dono alla città di Bassano, patria del Gamba e sua; il letterato conte Marco Antonio Corniani degli Algarotti, della cui collezione, dispersa, sono in commercio molti autografi, facilmente riconoscibili per il bollo che portano; il conte Giberto Borromeo di Milano; il letterato monsignor Emanuele Muzzarelli, che nel 1846 possedeva una raccolta di diecimila autografi. Nel 1844, con la biblioteca del cardinale Zondadari morto nel 1823, fu messa all'asta a Parigi una raccolta di documenti e d'autografi, per la massima parte italiani. I documenti rimasero quasi tutti invenduti. Gli autografi erano divisi in 136 lotti, ciascuno dei quali, salvo poche eccezioni, comprendeva più pezzi. Un autografo di Niccolò Machiavelli fu venduto per ottanta franchi, uno del Pontano per quattordici. Un lotto, di cui faceva parte un autografo di Feo Belcari, salì a diciotto franchi. Il prezzo medio degli altri autografi, in massima parte tutt'altro che spregevoli, non dovette raggiungere il franco (Catalogue de la bibliothèque du cardinal Zondadari et d'une collection d'autographes et pièces diverses écrites sur vélin...).
Di collezioni formate da stranieri dimoranti in Italia ricordiamo quella di lord Vernon e specialmente quella dell'austriaco Carlo Roner di Ehrenwerth, consigliere di governo, contenente autografi di grande valore, in parte illustrati in uno scritto non privo d'interesse di Antonio Neu-Maÿr (Intorno agli autografi: ragionamento di Antonio Neu-Maÿr letto nell'ordinaria seduta 21 dicembre 1843 del veneziano Ateneo, Venezia 1846).
Il valore commerciale che si veniva attribuendo agli autografi doveva intanto necessariamente eccitare l'attività criminale di due categorie di malviventi, dei ladri e dei falsarî. Furti in biblioteche e in archivi pubblici e privati furono certo commessi in buon nu- mero, e non mancarono collettori che, o furono addirittura dei mandanti o chiusero volontariamente gli occhi, non preoccupandosi affatto della provenienza degli autografi offerti in vendita. Poiché gli stessi abusi si riscontrano per qualsiasi altra collezione, di libri, d'antichità, di oggetti d'arte, comparve a Parigi, fin dal 1840, nel primo volume dei Français peints par eux-mêmes, un brillante articolo sui collectionneurs, con la proposta d'una legge composta d'un solo articolo: Tout collectionneur est soumis à perpétuité à la surveillance de la haute police. La proposta non fu presa sul serio in Francia, e molto meno in Italia, specialmente per i collettori d'autografi. È del resto giustizia riconoscere che i danni causati da qualche trafficante disonesto o da qualche collettore maniaco appaiono insignificanti di fronte alle benemerenze dei poveri facchini degli uomini detti dei poveri "rigattieri della scienza", che, facendo dare agli autografi un valore anche commerciale, salvarono dalle stufe e dal macero un'enorme massa di documenti preziosi, non tutti appartenenti a privati. Gli autografi e i documenti già di archivi pubblici o ecclesiastici, che si trovano ora in commercio, non provengono infatti, almeno in massima parte, da furti, ma da scarti mal fatti e da vendite inconsulte. Tutti sanno qual materiale prezioso sia uscito in altri tempi dagli archivî di Genova per esser venduto sui muricciuoli. Poté quindi, ancora nel 1880, esser messa all'asta a Parigi una raccolta composta in parte con autografi usciti dall'archivio del Banco di San Giorgio (Catalogue d'une précieuse collection de lettres autopraphes et de documents historiques provenant des correspondances de la Banque de Saint-Georges à Gênes....). Autografi e documenti in gran numero uscirono parimenti, per incuria ed ignoranza, dagli archivî milanesi, e arricchirono parecchie raccolte private, specialmente quelle del Morbio e di Damiano Muoni. La raccolta Morbio, lasciata uscire liberamente dall'Italia, fu venduta all'asta a Lipsia nel 1889. La raccolta Muoni fu messa all'asta a Milano nel 1903. Intervenne il Ministero degl'interni, facendo sospendere la vendita e sequestrare anche gli autografi già venduti; ma nella causa che ne seguì con gli eredi Muoni, con Giulio Sambon incaricato della vendita e col noto raccoglitore Luigi Azzolini, che aveva acquistato alcuni degli autografi più preziosi, i giudici dovettero riconoscere che considerevoli vendite di carte d'archivio erano state fatte per ordine dei governi passati, e che gli autografi in questione erano da più di cinquant'anni in possesso di privati. Il ministero dovette quindi restituire le carte sequestrate pagando le spese del giudizio, e l'asta fu liberamente ripresa nel novembre 1907. A Perugia, poco prima dell'annessione, sentendosi un giorno il bisogno d'avere sgombra una stanza del palazzo comunale, tutta piena di carte d'archivio, antiche, inutili, le carte furono vendute, gettate a mazzi dalla finestra nella piazza, caricate su una diecina di carri e portate a Roma a un libraio straniero. Questi, naturalmente, fece una scelta delle cose migliori, e per molti anni autografi e documenti provenienti dall'archivio di Perugia poterono pubblicamente e legittimamente esser posti in vendita. Il resto delle carte buttate dalla finestra, acquistato in blocco da uno straniero residente in Italia, fu sequestrato durante l'ultima guerra come proprietà di suddito d'uno stato nemico, e fu così restituito all'antica sede. A Torino, durante il regno di Carlo Alberto, venne ordinato e inventariato l'antico archivio camerale, che ora costituisce la terza sezione dell'Archivio di stato; e in tale occasione si fece un amplissimo scarto di documenti dichiarati ufficialmente inutili. L'archivista Bonino, compilatore degl'inventarî di tale sezione tuttora in uso, poté allora, emulando il conte Nomis di Cossilla suo capo, farsi una vera raccolta d'autografi preziosi, e credette di giustificare pienamente l'opera sua, annotando sui fogli di guardia: "ricapiti annullati", "ricapiti inutili tenuti per gli autografi" e perfino "carte cadute nello spoglio di quelle inutili e ritenute per l'interesse storico". Le carte Bonino passarono nel 1886 all'archivista Pietro Vayra; poi, casualmente sequestrate nel 1912 agli eredi Vayra, tornarono all'Archivio di stato. Non è però detto né che gli scarti ufficialmente destinati al macero siano stati riesaminati, con altri criterî, dal solo Bonino, né che le carte da lui scelte siano, dopo tanti anni, tornate tutte all'Archivio di stato. Con aneddoti analoghi si potrebbe continuare per un pezzo.
Le falsificazioni d'autografi, seconda malefica conseguenza dell'autografofilia, sono di varie specie. Quando si parla di falsi autografi, il pensiero corre subito alle grossolane mistificazioni del Vrain-Lucas, di cui fu vittima il grande matematico Michele Chasles. I falsarî del tipo Vrain-Lucas, che mettono in commercio degli scritti interamente apocrifi, imitando, più o meno abilmente, la scrittura degli uomini celebri ai quali li attribuiscono, dovettero essere abbastanza numerosi e attivi negli anni in cui si formavano le prime grandi raccolte d'autografi, quando i confronti erano meno facili, e nessuno aveva ancor dato l'allarme ai collettori, segnalando loro il pericolo che corrono d'essere ingannati e derisi. Si fabbricarono allora molti pretesi autografi delle categorie più ricercate, specialmente di grandi umanisti, di grandi scrittori e di grandi artisti dei secoli XV, XVI e XVII. Questi falsi sono però, di regola, facili a riconoscersi appena sorge qualche dubbio, essendo in pratica quasi impossibile che si trovino riunite in un falsario abilità tecnica e cultura tali, da metterlo in grado di far opera, nel suo genere, perfetta e che possa sostenere vittoriosamente tanto l'esame esterno dei paleografi o dei periti calligrafi, quanto quello degli storici o dei filologi o di altri scienziati, che vaglino ogni particolarità del testo. Col semplice esame dei testi fu infatti dimostrata la falsità dei pretesi autografi pubblicati dallo Chasles, e nello stesso modo il Lacroix dimostrò la falsità di pretesi autografi di Rabelais e di Molière (Mélanges bibliographiques cit., p. 244 segg.). Una grande e assai nota falsificazione di questo genere fu commessa in Italia dal conte Mariano Alberti, il quale pubblicò in fac-simile a Lucca, nel 1837 e 38, sei fascicoli di Manoscritti inediti di Torquato Tasso ed altri pregevoli documenti.... non meno falsi. Esaminando con qualche attenzione i cataloghi delle collezioni più celebri, sorge talvolta il dubbio che le falsificazioni di questa prima categoria vi fossero più che sufficientemente rappresentate; e forse, quando fosse possibile l'esame diretto degli autografi sospetti, il dubbio si cambierebbe in certezza. Indubbiamente falsa dovrebbe essere, p. es., la lettera d'Enea Silvio Piccolomini, che faceva parte della collezione Fillon, venduta a Parigi dal 1878 al 1883 (n. 2432 del catalogo), e poi della collezione Morrison, venduta a Londra dal 1917 al 1919.
Una seconda categoria di falsificazioni potrebbe esser costituita dai falsi autografi aggiunti in calce, a tergo o a margine di documenti autentici. Uno dei casi più gravi è quello della ricevuta aggiunta da un falsario ad un autentico mandato di pagamento rilasciato a favore di persona celebre, poniamo di Raffaello Sanzio. Si trovano infatti in commercio parecchi mandati, coi quali Ferdinando Ponzetti, tesoriere di Leone X, ordinava ad Agostino Chigi e compagni di pagare a Raffaello somme diverse per la provvisione accordatagli dal pontefice, per lavori eseguiti, per acquisto di colori e via dicendo. Tali mandati si vendono a migliaia di lire, perché sono seguiti dalle relative ricevute, che dovrebbero essere di mano di Raffaello. Ora, se non tutte, certo alcune di tali ricevute furono aggiunte da un falsario a mandati che sono indubbiamente autentici. In questa forma di ricevute apposte a mandati di pagamento si trovano, nelle collezioni e in commercio, molti autografi o pretesi autografi, specialmente di grandi pittori e di altri artisti; ricevute che debbono in ogni modo essere esaminate indipendentemente dai mandati e con la più grande attenzione. È noto infatti che il mandato consegnato alla persona che deve effettuare il pagamento serve senz'altro a questa per suo discarico di fronte al mandante, e che la ricevuta può eventualmente esser richiesta solo a maggior cautela.
Vanno ricordate in terzo luogo le alterazioni fraudolente compiute su autografi di scarso valore per poter dar loro un'attribuzione più vantaggiosa. Cambiando nella data una o due cifre si può, p. es., far miracoli: attribuire ad un futuro papa le lettere d'un cardinale della sua famiglia o d'un vescovo d'una diocesi, ch'egli abbia retta; scegliere, con un po' di cautela, fra i re o fra le regine di Spagna o di Portogallo, fra i granduchi o le granduchesse di Toscana, poiché quei sovrani usavano firmare col semplice titolo, Io il re o Io la regina; Il granduca o La granduchessa di Toscana; presentare come autografi d'un uomo celebre gli scritti di un omonimo più vecchio o più giovane di lui. Trasformando Parme in Paris si può attribuire a Maria Antonietta regina di Francia, e vendere per un migliaio di lire, una delle solite lettere di complimento, firmata a Parma da un'altra Marie Antoinette, per fortuna sua nient'affatto celebre; lettera, che, nella sua forma genuina, non troverebbe forse un compratore a cinque lire.
Vengono da ultimo le falsificazioni più facili ad eseguirsi e nel medesimo tempo più pericolose, perché possono trarre in inganno anche il conoscitore più esperto e più attento, salvo ad essere poi scoperte quasi per caso. Un autografo autentico può esser riprodotto da un abile falsario in modo perfetto o quasi perfetto, su carta dell'epoca, con inchiostro espressamente preparato. Se il falsario non commette l'imprudenza di mettere in commercio più copie dello stesso autografo, il falso può rimaner nascosto fino a che rimane nascosto l'originale copiato. Un falso autografo del Correggio fu, p. es., acquistato ad un prezzo, per i tempi, altissimo, dal marchese Giuseppe Campori già ricordato. Si scoprì in seguito che si trattava d'una copia, e che l'originale è nell'Archivio di stato di Modena. Un falso autografo del Leopardi, tratto indubbiamente da un originale ignoto, venne scoperto, perché il falsario aveva spinto la sua audacia fino a voler riprodurre a penna i bolli a umido degli uffici postali.
Oltre che alle falsificazioni, i collettori d'autografi debbono badare sia alle false attribuzioni, che sono molto frequenti e fatte non di rado in buona fede, sia a non confondere con gli autografi le cosiddette lettere di cancelleria o anche le semplici copie, più o meno sincrone. Le false attribuzioni derivate da piena o parziale omonimia, da mancanza di dati cronologici precisi, da ignoranza, da mala fede, sono frequentissime. Da sbadataggine, più che da ignoranza scusabile, derivò, p. es., l'errore che si riscontra a p. 252 dell'Autographe, interessante raccolta di fac-simili pubblicata a Parigi nel 1864 e 1865. Vi è attribuita a Vittorio Alfieri una letterina non datata, di Carlo Alfieri di Sostegno. Le lettere di cancelleria, che a primo aspetto possono esser prese per lettere autografe e firmate, sono lettere originali di principi, signori, condottieri, capi di governo, nelle quali anche la sottoscrizione è di mano d'un segretario e non di chi figura autore della lettera. L'uso di queste lettere di cancelleria è generale in Italia fino a tutto il sec. XV. Eccezionalmente le firme sono autografe in lettere confidenziali o dirette a grandi personaggi, e in tal caso sono ordinariamente accompagnate dalla dichiarazione manu propria, di mia mano, ecc. Cancelleresche sono, p. es., le lettere di Lorenzo de' Medici, di Caterina Sforza e di altri principi e signori date per autografe nel catalogo di vendita dell'archivio dei Medici Tornaquinci (Catalogue of the Medici Archives consisting of rare autograph letters.... Including one hundred and sixty-six holograph letters of Lorenzo the Magnificent..., Londra 1918). Al numero 590 dello stesso catalogo è probabilmente semplice copia sincrona la lettera di Lorenzino de' Medici, data per autografa e per la quale si parlò d'un'offerta di centomila franchi.
I raccoglitori, anche non principianti, sono qualche volta tratti in inganno da buoni fac-simili, specie litografici, che prendono per autografi. L'onore d'essere spesso scambiato con l'autografo toccò, p. es., a un fac-simile unito all'opera dello Stato maggiore prussiano sulla guerra franco-tedesca del 1870-71; cioè al fac-simile della lettera, con la quale l'imperatore Napoleone III si costituì prigioniero del re di Prussia. I nostri giornali politici annunciarono infatti più volte che la preziosa lettera era stata scoperta a Livorno o a Milano o altrove da un fortunato mortale, e anche, per non indurre nessun ladro e nessun maniaco in tentazione, che lo scopritore s'era affrettato a depositarla in una cassetta di sicurezza. Un nostro negoziante d'autografi, ch'era stato egli pure fra i fortunati, aveva preparato due belle lettere per proporre l'acquisto di così insigne documento a re Umberto e al presidente della Repubblica francese. Con gli autografi furono scambiati anche alcuni fac-simili dell'epistolario di Camillo Cavour, edito dal Chiala. Esaminando i pretesi autografi con un po' d'attenzione, non è difficile scoprire senz'altro la loro vera natura. Persistendo il dubbio, basta toccare leggermente qualche piccolo tratto della scrittura con acidi, che scolorano gl'inchiostri ordinarî e non intaccano quelli da stampa.
Nel far raccolta d'autografi si possono seguire due criterî diversi. Si può considerare ogni autografo quasi una reliquia, appunto come sono considerati dai devoti gli autografi dei santi; e in tal caso il contenuto passa in seconda linea, si raccolgono solo autografi d'uomini veramente grandi, e basta avere di ciascuno d'essi un autografo solo. Gli autografi possono invece esser considerati esclusivamente, o almeno prevalentemente, come materiali di studio; e in questo caso l'importanza intrinseca d'uno scritto può servire di passaporto anche a uno scrittore ignoto o quasi; si valutano gli autografi anche secondo il loro contenuto e secondo che sono o non sono inediti; non esistono doppioni da alienare se non in un caso solo, cioè quando il contenuto sia perfettamente insignificante. I raccoglitori, che s'ispirano al primo dei due criterî indicati, debbono per necessità accontentarsi d'un numero relativamente piccolo d'autografi, e possono nel medesimo tempo non imporsi alcun limite: essi, cioè, possono far collezione d'autografi di uomini celebri d'ogni tempo, d'ogni paese, di qualsiasi professione o condizione sociale. Per le collezioni ispirate al secondo criterio, è pregio e nel medesimo tempo quasi necessità l'esser più o meno specializzate. Nelle collezioni della prima categoria, specialmente se siano piccole, gli autografi potrebbero anche essere ordinati solo alfabeticamente per nome d'autori; nelle collezioni della seconda categoria, quando non siano limitate ad una sola specialità, è opportuno e conveniente introdurre una divisione per serie.
Per la classificazione e la catalogazione degli autografi vennero proposti numerosi schemi, in parte assai complicati, come può vedersi, p. es., in E. Rouveyre, Connaissances necessaires à un bibliophile, 3ª ed., II, Parigi 1880, pp. 68-83, o in E. Budan, L'amatore d'autografi, Milano 1900, pp. 163-169. Ogni collettore dovrebbe però tracciarsi una divisione propria, in armonia con gli scopi che si è prefissi e coi criterî che segue nel raccogliere, relegando eventualmente in una serie di autoġrafi varî tutti gli autografi, di qualsiasi genere, che non entrano nel campo proprio delle sue ricerche. Le classificazioni più semplici sono le migliori. La divisione degli autografi in numerose classi e sottoclassi, in rapporto, p. es., con la cronologia, con la geografia e perfino col grado tenuto nella gerarchia sociale dagli scrittori, anziché facilitare le ricerche, le rende in pratica più lunghe e malagevoli.
Fissate le serie in cui dividere gli autografi, può nascer dubbio sull'attribuzione d'un autografo all'una o all'altra di esse. Chi limita la sua raccolta ad una sola classe d'autografi può, dal suo punto di vista unilaterale, collocare Federico II di Prussia e Benito Mussolini fra i musicisti, o Carlo Alberto e Garibaldi fra i letterati; ma la cosa è meno semplice quando si tratta di collezioni divise in più serie. Dovrà, p. es., Federico II, anche lasciando da parte i musicisti, esser collocato fra i guerrieri, fra i letterati, fra i filosofi o fra i sovrani? Alcuni raccoglitori credettero di poter risolvere i problemi di tal genere, dividendo gli autografi d'una stessa persona (se è possibile, secondo il loro contenuto) e distribuendoli fra le varie serie nelle quali essa avrebbe diritto ad esser rappresentata. Tale soluzione sarebbe però poco soddisfacente anche se fosse possibile aver sempre a disposizione tanti autografi quanti ne possono occorrere. Meglio in ogni caso tener uniti gli autoografi e collocarli nella serie che sembri più conveniente, o per ragioni oggettive, cioè avendo riguardo a quella che si giudica la principale caratteristica dell'autore, o anche per ragioni sogġettive, cioè tenendo conto dello speciale carattere che si voglia dare alla collezione.
Gli autografi si conservano generalmente nelle cosiddette guardie o camicie, cioè in fogli uniformi di carta resistente, bianca o colorata, piegati in due. La prima pagina della guardia contiene spesso a stampa l'indicazione della raccolta e il nome del raccoglitore, ed è preparata per scrivervi in appositi scompartimenti la serie in cui l'autografo è collocato, il nome dell'autore con le relative notizie biografiche e bibliografiche, la data e il contenuto dell'autografo. Agli autografi s'uniscono possibilmente i ritratti degli autori, fac-simili della loro scrittura, fogli volanti con notizie biografiche o notizie varie.
Oltre agli scritti di poche carte, di cui le raccolte d'autografi sono ordinariamente composte, esse possono contenere interi volumi autografi e libri a stampa con autografi ragguardevoli degli autori o degli antichi proprietarî. Gli autori usano infatti apporre indirizzi autografi agli esemplari che mandano in dono, e spesso correggono e postillano l'esemplare che tengono per proprio uso. Molti proprietarî scrivono il loro nome sui fogli di guardia o sui frontespizî dei libri, e talora aggiungono notizie sull'autore o sull'edizione, o anche scrivono note e commenti a margine e a pie' di pagina. Veri atti di barbarie, secondo i bibliofili più rigidi; felix culpa per gli amatori d'autografi, e anche per gli studiosi, che ricordano i libri postillati dal Savonarola e da Torquato Tasso e da Galileo e dal Vico e dall'Alfieri e da Cesare Balbo, e leggono, magari sui frontespizî, le firme autografe dello stesso Galileo, del Muratori, dell'Alfieri, del Foscolo, di Giosuè Carducci. Questo ultimo scriveva regolarmente sui libri, oltre al suo nome, il luogo e il tempo in cui li aveva acquistati, il nome del donatore o il prezzo pagato per l'acquisto ed eventualmente, più tardi, per la rilegatura del volume, e aggiungeva spesso altre notizie interessanti. Oltre a un discreto numero dei suoi libri, si trovano in commercio fogli di guardia strappati dai relativi volumi e venduti separatamente come autografi: e anche in questo caso non si tratta di furti commessi a danno della Biblioteca carducciana di Bologna, ma delle conseguenze d'uno scarto e della successiva vendita fatta, vivente ancora il poeta, alla libreria antiquaria Zanichelli.
Invalse, specialmente in questi ultimi anni, l'uso d'aggiungere, possibilmente, a ogni opera di qualsiasi scrittore un suo autografo, come si può vedere, p. es., dal catalogo della sfarzosa biblioteca dell'antico direttore del Gaulois, Arturo Meyer, venduta a Parigi nel 1924. È un uso che non piacerà certo a tutti, specialmente quando un autografo antico è aggiunto a un'edizione moderna: una lettera dell'Ariosto, poniamo, alla traduzione francese dell'Orlando furioso stampata a Parigi nel 1879.
Dell'importanza che gli autografi possono avere come documenti storici, letterarî, biografici, è superfluo parlare. In via secondaria, un autografo sicuro, anche se di per sé stesso insignificante, può servire per il confronto con altre scritture, la cui attribuzione sia dubbia. Gli autografi forniscono, d'altra parte, il materiale più prezioso per gli studî di grafologia.
Anche coloro che non hanno eccessiva fiducia nei giudizî grafologici noteranno poi con interesse negli autografi di certi personaggi le modificazioni o la totale trasformazione, spontanea o artificiale, della scrittura; in altri invece uniformità perfetta, nonostante il succedersi di anni e di decennî. Impossibile, per esempio, distinguere una firma di Vittorio Amedeo II di Savoia fatta nel 1690 da un'altra del 1730: esaminando invece le firme di Carlo Alberto, si può costruire una serie di tipi corrispondenti a varî periodi del suo regno, e datarle quindi con quasi certezza. Enorme, come è noto, è la differenza fra la scrittura di Napoleone semplice ufficialetto e quella di Napoleone imperatore; radicale e indubbiamente volontaria la trasformazione della scrittura del conte di Cavour. Osservazioni analoghe potrebbero moltiplicarsi a piacimento.
Il valore commerciale degli autografi è aumentato da una decina d'anni straordinariamente, forse, si potrebbe dire, eccessivamente; e l'aumento, verificatosi prima nei mercati stranieri e specialmente per autografi di stranieri, s'è ora esteso al mercato italiano e agli autografi italiani anche d'importanza secondaria. Nel 1900 il Budan inserì nel Manuale già citato (pp. 311-360) un elenco di prezzi pagati sia in pubbliche aste sia in private vendite, ma senza dire disgraziatamente dove e quando. I prezzi, anche tenendo conto della successiva svalutazione della moneta, non potrebbero ora neppur lontanamente servir di base ad una sicura stima. Vi troviamo a una lira gli autografi del De Amicis, di Arnaldo Fusinato, del Prati; a due lire quelli di Nino Bixio, del Carducci, del Filicaia; a due lire e cinquanta centesimi quelli di Cesare Beccaria, del Cesarotti, di Eustachio Manfredi; a tre lire una lettera autografa e firmata del Caro; a cinque lire lettere di Carlo Alberto e del Giusti; a dieci lire gli autografi di Emanuele Filiberto, della principessa di Lamballe, di Carlo Gozzi, del Gioberti, del Pellico, del Mazzini, del Foscolo, del Leopardi. Il raccoglitore, che, fidandosi dell'elenco menzionato e aggiungendovi, anche, l'autorità del bibliofilo antiquario milanese Luigi Arrigoni, il quale nel 1885 fissava a quindici lire il prezzo d'una poesia autografa del Leopardi unita a "un ritratto disegnato da Turchi", volesse procurarsi una lettera autografa e firmata del poeta recanatese, sperando di acquistarla a quaranta o a cinquanta o a cento lire, potrebbe ora aver l'ingrata sorpresa di trovarla in qualche catalogo offerta a duemila o duemilacinquecento lire.
È del resto impossibile stabilire a priori, anche approssimativamente, il valore commerciale d'un autografo, valore che è determinato, oltre che da ragioni contingenti, dalla qualità dell'autografo e da molti dati di fatto, il cui accertamento può richiedere una speciale competenza e ricerche lunghe e accurate. Stefano Charavay, appartenente a una famiglia che da ottanta e più anni attende al commercio degli autografi ed egli stesso negoziante d'autografi competentissimo, descrivendo gli autografi della collezione Fillon, adottò i segni usati già dai numismatici, indicando con C gli autografi comuni e con R i rari, graduando poi la rarità mediante l'apposizione alla R dei numeri da 1 a 9 d'un asterisco per gli autografi unici o quasi introvabili (Inventaire des autographes et documents historiques réunis par M. Benjamin Fillon..., Parigi 1878-83. La collezione, iniziata nel 1839, era divisa in quindici serie, complessivamente di 2986 numeri). Il tentativo dello Charavay non ebbe fortuna, ed egli stesso non lo rinnovò, quando, pochi anni dopo, ebbe a descrivere la collezione, non meno celebre, del Bovet (Lettres autographes composant la collection de M. Alfred Bovet...., Parigi 1885).
La rarità non è, d'altra parte, se non uno degli elementi che servono a determinare il valore d'un autografo; e non sempre il più importante. Oltre che della rarità, si deve infatti tener conto della maggiore o minore celebrità dell'autore; dell'importanza del testo; dell'essere il testo tuttora sconosciuto o invece già noto o addirittura pubblicato; della sua estensione; dell'essere interamente autografo o solo firmato, o non autografo, ma con correzioni e aggiunte autografe; dell'essere o non essere firmato, e dell'esser firmato col nome e il cognome, o col solo cognome, o col solo nome di battesimo, o con le sole iniziali; dell'essere o non essere datato, e, se si tratta di lettere, dell'avere o no l'indirizzo o almeno indicazioni tali che permettano d'identificare il destinatario. Questi può essere un uomo illustre, e l'autografo aver quindi maggior valore, anche indipendentemente dal caso non insolito d'annotazioni o d'una minuta della risposta che lo stesso destinatario possa avervi scritto di sua mano.
È possibile formarsi un certo criterio per la valutazione degli autografi dal punto di vista commerciale esaminando i cataloghi a prezzi fissi che son venute pubblicando in questi ultimi anni le ditte più accreditate, e tenendo anche conto, con le dovute riserve, dei prezzi raggiunti nelle vendite all'asta; prezzi, che come è ben noto, dipendono molte volte da circostanze meramente accidentali. Nei cataloghi di vendita si cerca naturalmente d'indicare tutte le particolarità che possono accrescere il valore di un autografo, e da queste indicazioni e dalla differenza di prezzo fra varî autografi dello stesso personaggio si possono trarre utili ammaestramenti.
I cataloghi d'autografi sono parimenti molto utili per i fac-simili che contengono; e alcuni dei più importanti possono anche per questo riguardo essere annoverati fra le opere di consultazione di cui i raccoglitori fanno maggior uso. Così è per i cataloghi già citati delle collezioni Fillon e Bovet, ai quali vanno aggiunti i cataloghi della collezione Morrison, una delle più ricche e più celebri che siano state fatte e disperse, il catalogo, cioè, fatto compilare e pubblicare dallo stesso raccoglitore e il catalogo di vendita (v. Bibl.).
In Italia, quanto a fac-simili, non si può dire che ci troviamo in liete condizioni. Una sola raccolta generale può esser citata, cioè quella edita a Napoli nel 1870 da Giuseppe Palermo col titolo: Isografia ovvero raccolta di 2000 firme e monogrammi degli uomini più celebri e rinomati che vissero nel corso di undici secoli, dal 742 al 1870. Il Palermo dà incise in rame, non troppo esattamente, 1260 firme o monogrammi d'Italiani e 240 di stranieri, senza dire dove si trovino gli originali da cui son tratti i fac-simili. Molto migliore, ma limitata ai soli artisti, è la raccolta di fac-simili pubblicata a Firenze dal 1869 al 1873: La scrittura di artisti italiani (sec. XIV-XVII) riprodotta con la fotografia, con notizie sulla loro vita compilate da Gaetano Milanesi e pubblicate da Carlo Pini. Buona è parimenti la raccolta pubblicata da Pietro Vayra nelle Curiosità e ricerche di storia subalpina e poi in un volume a parte: Autografi dei principi sovrani della Casa di Savoia (1247-1859), Torino 1883. Due anni prima era stata pubblicata a Venezia una raccolta di fac-simili delle sole firme dei dogi (Autografi, bolle ed assisa dei Dogi di Venezia). Le firme degli Sforza e dei governatori, luogotenenti, e capitani generali dello stato di Milano sono riprodotte nei due fascicoli, soli pubblicati, d'un'opera iniziata dal Muoni a illustrazione delle sue raccolte: Collezione d'autografi di famiglie sovrane, celebrità politiche, militari, ecclesiastiche, scientifiche, letterarie ed artistiche, illustrata con cenni biografici, documenti, fac-simili, ritratti, monete di alcuni stati italiani, ecc., Milano 1858 e 1859.
L'Italia non ha e non ebbe mai riviste speciali dedicate ai collettori d'autografi, mentre le ebbero da tempo e le hanno la Francia, la Germania, l'Inghilterra, gli Stati Uniti d'America. Quanto a libri poi non abbiamo sull'argomento che i due manuali in verità non esaurienti e ormai antiquati, cioè quello già citato di Emilio Budan e quello di Carlo Vanbianchi, Raccolte e raccoglitori d'autografi in Italia, Milano 1901.
Bibl.: Oltre alle opere citate in questo articolo, v. Musée des Archives Nationales. Documents originaux de l'histoire de France exposés dans l'Hôtel Soubise, Parigi 1872, con 1200 facsimili; L'Amateur d'autographes, Parigi 1862-1914; Revue des documents historiques, Parigi 1873-1886; Catalogue of the collection of autograph letters and historical documents formed between 1865 and 1882 by Alfred Morrison, Londra 1883-1896, 6 volumi in-folio ed 8 volumi in-4°, con molte tavole e fac-simili; Catalogue of te renowned collection of autograph letters and historial manuscripts formed by the late Alfred Morrison..., Londra 1917-1919; Lettres autographes et manuscrits de la collection Henri De Rotschild, I: Moyen Age, XVIe siècle; Textes publiés et annotés par Roger Gaucheron, Parigi 1924, in-folio; E. Wolbe, Handbuch für Autographensammler, Berlino 1923; id., Spaziergänge im Reiche der Autographen, Berlino 1925; K. Geigy-Hagenbach, Recueil de facsimilés d'autographes de personnages célèbres appartenant à plusieurs siècles, Basilea 1925; J. Lhomer, La collection d'autographes, Parigi 1927.