AUTOMA
Il termine deriva dal gr. αὐτόματοϚ 'spontaneo, che agisce da sé' o anche 'semovente', e viene impiegato da Aristotele (De gen. anim., 734b, 10) per designare le marionette (τὰ αὐτόματα). Nella letteratura specializzata di età ellenistica esso giunge a connotare essenzialmente i congegni meccanici, idraulici e pneumatici dotati di movimento indipendente o che risulti tale (orologi, giochi d'acqua e dispositivi di vario genere e forma, con animali e figure umane interagenti e talvolta canore). Dai trattati greci di Ctesibio, Filone di Bisanzio ed Erone di Alessandria il vocabolo a. passa nella letteratura latina di età imperiale. La tradizione manoscritta del De architectura di Vitruvio (libro IX) da un lato, quella degli Πνευματιϰά e della Αὐτοματοποιητιϰή di Erone dall'altro, assicurano - rispettivamente, al Medioevo occidentale e a Bisanzio (e di qui all'Islam) - la memoria e la conoscenza di questi virtuosistici prodigi della scienza alessandrina, basati su un'esperta combinazione di forze motrici naturali (discesa dei pesi e caduta dell'acqua) e artificiali (espansione dell'aria riscaldata). Riecheggiate già in tanta letteratura del mondo antico, opere quali l'orologio idraulico con uccelli canori di Ctesibio (in cui le ore erano scandite dalla caduta di sfere metalliche), il lavabo automatico di Filone (che porgeva pietra pomice ed erogava acqua), i veri e propri piccoli teatri meccanici di Erone (figure che versavano acqua o latte in un bicchiere; Ercole in atto di trafiggere il serpente; Bacco e le menadi danzanti) costituirono i mitici exempla cui, più o meno direttamente, si ispirarono sia per i congegni sia, talvolta, per la tematica figurativa gli a. del Medioevo.Nel mondo bizantino la tradizione tecnologica alessandrina e il gusto per i congegni complessi non devono aver subìto battute d'arresto. Lo dimostra il perduto orologio monumentale della piazza del mercato di Gaza, descritto da Procopio e forse eseguito al principio del sec. 6° (Diels, 1917). Appoggiato a una parete semicilindrica che ne occultava il meccanismo idraulico, esso era decorato nel fastigio da una testa di Gorgone che roteava gli occhi allo scoccare dell'ora. Al di sotto vi erano due ordini di aperture: le dodici finestre superiori, con l'ausilio di luci speciali, segnavano le ore notturne; le dodici porte inferiori si aprivano di ora in ora al passaggio di una statua di Helios e ne usciva Eracle con i diversi attributi delle dodici fatiche per essere incoronato da un'aquila volante. Le tre edicole in basso contenevano tre statue sempre di Eracle, di cui quella al centro batteva con la clava le ore da uno a sei. Alla medesima matrice si ispira anche l'orologio fatto eseguire nel 507 dal goto Teodorico come dono per il re dei Burgundi Cunibaldo. Provvisto di serpenti sibilanti, di uccelli ad ali spiegate e di una figura di Diomede semovente, il congegno era evidentemente concepito per sfruttare a fini politici, nei confronti del sovrano 'barbaro', le potenzialità spettacolari e il senso del meraviglioso proprio degli automi.I primi secoli del Medioevo rappresentano, soprattutto in ambito orientale, un momento di grande interesse per gli a. e per la letteratura relativa. Nel sec. 9°, presso la corte abbaside di Baghdad, si tradusse dal greco in arabo l'opera di Erone (la versione dei Mechanica di Qusṭā b. Lūqā di Baalbek è dell'862-866) e gli intensi rapporti dei califfi con la corte bizantina di Costantinopoli determinarono in questo campo una vera e propria moda, che ha lasciato chiarissime tracce nelle fonti e che si concretizzò in un tipo di a. iconograficamente nuovo: l'albero con uccelli semoventi e canori, in cui confluirono il simbolismo orientale dell'albero della vita assieme a motivi e meccanismi di ascendenza ellenistica. Nell'827 il califfo di Baghdad al-Ma'mūn ne possedeva uno d'argento e d'oro e, sempre negli stessi anni, due congegni analoghi e altrettanto preziosi vennero realizzati a Costantinopoli da Leone il Saggio per l'imperatore Teofilo (829-842). Essi andarono però distrutti già al tempo di Michele III (842-867) per riutilizzarne il materiale in un momento di difficoltà finanziaria. Si discute tuttavia sull'origine prima, abbaside o bizantina, di questa moda degli a. tra i secc. 8° e 9°: Grabar (1951) ha voluto inquadrare il fenomeno nel filone di gusto islamizzante incoraggiato a Costantinopoli dall'iconoclasta Teofilo, il quale avrebbe fatto importare direttamente da Baghdad i famosi congegni. Che in ambito abbaside la tradizione degli a. avesse precocemente messo radici è del resto attestato anche dall'orologio idraulico che Hārūn al-Rashīd (786-809) inviò in dono a Carlo Magno e che fu posto nel palazzo di Aquisgrana: dotato di sfere metalliche che segnavano le ore cadendo in un bacile, era coronato da dodici finestre da cui uscivano dodici figure di cavalieri.Il tema dell'albero ricompare un secolo più tardi nell'a. più grandioso e articolato di cui le fonti (Costantino VII Porfirogenito, De caerimoniis, II, 15, PG, CXII, coll. 1047-1111; Liutprando da Cremona, Antapodosis, VI, 5, PL, CXXXVI, col. 895) abbiano tramandato l'immagine: il trono imperiale della Magnaura a Costantinopoli, con ogni probabilità fatto allestire da Costantino VII Porfirogenito per sostituire i congegni distrutti di Teofilo. Visto da Liutprando durante un'ambasceria nel 949, esso era preceduto o affiancato da uno o due alberi di bronzo su cui cantavano uccelli meccanici. Mentre gli ospiti stranieri si piegavano in proskýnesis dinanzi al sovrano, al ruggito di due grandi leoni d'oro posti sui gradini, il trono s'alzava meccanicamente a grande altezza e l'imperatore, nel percorso, si ricopriva di nuove vesti. Travalicando nettamente i limiti dell'a. tradizionale e recuperando la tecnica più sofisticata dell'ellenismo (non va dimenticato che proprio in quegli anni a Costantinopoli Erone il Giovane rilanciava lo studio delle opere del suo omonimo alessandrino), il trono della Magnaura raggiungeva un'inedita valenza. Nella sua espansione ambientale e nel coinvolgimento della figura vivente, esso assumeva infatti il carattere drammatico di un vero e proprio theatrum imperii, perfettamente funzionale alla propaganda cerimoniale del sovrano che, spersonalizzato entro la cornice del congegno automatico, veniva a incarnare il concetto stesso, distaccato e teocratico, della regalità bizantina. In relazione alla teoria imperiale di età macedone non doveva essere del resto casuale l'appellativo biblico di 'trono di Salomone' (1 Re 9, 5), con cui esso è denominato nel De caerimoniis. Sebbene non rimanga la testimonianza dei codici illustrati, l'interesse per la letteratura tecnica sugli a. dovette perdurare tenacemente a Bisanzio, come attesta nel sec. 12° Tzetzes e come conferma, in età paleologa, il più antico manoscritto miniato che si conosca contenente gli Πνευματιϰά e l'Αὐτοματοποιητιϰή di Erone (Venezia, Bibl. Naz. Marciana, gr. 516), datato al sec. 13° o al principio del 14° (Weitzmann, 1952; Furlan, 1981).Attraverso la linea maestra della scienza araba il gusto degli a. raggiunse anche la Sicilia normanna. Murata presso la Cappella Palatina di Palermo resta infatti un'iscrizione trilingue (latina, greca e araba) che commemora l'installazione di un orologio idraulico nel palazzo reale per volere di Ruggero II nel 1142. Perduto il congegno, resta solo una descrizione duecentesca del persiano Qazvīnī (Gabrieli, Scerrato, 1979), dalla quale si apprende che esso era stato eseguito da un tecnico arabo di Malta e che era incentrato sul simulacro d'una fanciulla che lasciava cadere allo scoccare dell'ora sfere metalliche su cembali di bronzo, mentre, con diverso ritmo, avanzava un dispositivo recante i segni dello zodiaco. Il rapporto con l'Islam continuò a essere intenso e privilegiato anche alla corte, appassionatamente aperta alle scienze, dello svevo Federico II, che a Damasco, nel 1232, ricevette in dono dal sultano un orologio astronomico composto di un globo all'interno del quale ruotavano i pianeti e lo zodiaco, azionati da un sistema di pesi e di ruote (Bausani, 1979).Accanto ai casi di più evidente ascendenza bizantina o islamica, sussiste nell'Occidente medievale, almeno fino al sec. 13°, una tradizione che colloca gli a. nel regno incerto e sorprendente della mistificazione e della magia, legandoli sovente in modo leggendario a illustri personaggi. Un caso emblematico (che si ripropone in termini più o meno analoghi per Roberto Grossatesta e Ruggero Bacone) è quello di papa Silvestro II (999-1003), al quale Guglielmo di Malmesbury attribuì la diabolica creazione di una testa d'oro parlante che, chiamata a consulto, mormorava segreti consigli: uno strumento nel quale bisogna forse riconoscere le prime machines soufflantes a forma di testa umana con le quali si andava sperimentando la forza espansiva dell'aria riscaldata (White, 1963). Sempre verso il Mille, secondo Gervasio, cronista e cancelliere di Ottone III, il saggio e leggendario Virgilio, vescovo di Napoli, avrebbe inventato una mosca meccanica che per otto anni protesse dagli insetti i banchi dei macellai partenopei. Alberto Magno (1193 ca.-1280), che tra i pensatori medievali fu uno dei più aperti a un'autentica problematica scientifica, avrebbe addirittura messo a punto un uomo di ferro, un vero e proprio androide, che, all'arrivo degli ospiti, apriva loro la porta e li salutava emettendo dei suoni. L'a., che non incontrò il consenso del discepolo di Alberto, Tommaso d'Aquino, sarebbe stato da questi distrutto come opera del maligno. Nonostante gli anatemi che, ancora sino alla fine del Trecento, vennero scagliati contro gli a. (una cronaca di Norimberga del 1398 dice che "i meccanismi rotanti che fanno opere, gesti e follie strane vengono direttamente dal demonio"), questi congegni trovarono, almeno a partire dal sec. 13°, frequente impiego negli edifici di culto. In quella sorta di summa della trattatistica liturgica medievale che è il Rationale divinorum officiorum (1286 ca.) di Guglielmo Durando si parla infatti del gallo canoro come di una sorta di arredo obbligatorio del tetto della chiesa. Nel Livre de Portraiture di Villard de Honnecourt (1235 ca.) si trova invece disegnato il congegno per un angelo, che muovendosi attraverso un sistema di pesi tiene puntato il dito verso il sole, e per un'aquila, azionata da un filo che doveva accompagnare con il moto del capo la lettura del Vangelo. Accanto a questi dispositivi con esplicita destinazione ecclesiastica, nel taccuino di Villard figura anche la chantepleur, l'uccello meccanico che beve da una coppa a doppio fondo, un esplicito esercizio antichizzante in cui l'artista piccardo riprende, seppur con qualche approssimazione, il modello descritto nel XII problema degli Πνευματιϰά di Erone.Sempre negli stessi anni si verificò, nel campo degli a., il primo vero e proprio scambio documentato fra la tradizione estremo-orientale e quella dell'Occidente. Preso prigioniero a Belgrado nel 1242 dal khān mongolo Batu, giunse in Cina l'orafo parigino Guillaume Boucher, autore a Pechino di una celebre fontana magica per l'imperatore Möngke. Si trattava d'un grande albero d'argento che distribuiva bevande diverse: sul fastigio si trovava un angelo che si muoveva suonando la tromba, al tronco erano allacciati serpenti d'oro che emettevano vino, idromele e acquavite, sullo zoccolo quattro leoni gettavano latte di giumenta.Una vera e propria popolazione d'a. è rintracciabile parallelamente anche nella letteratura dell'Occidente medievale, specie nei romanzi cavallereschi, dove il congegno semovente diviene un tópos immancabile, un ingrediente fantastico fondamentale della narrazione. Nei romanzi della Tavola rotonda, per es., compare spesso la figura del guerriero armato. Nel Romanzo di Tristano e Isotta, l'eroe fa ricorso all'abilità degli orefici per realizzare un a. straordinariamente somigliante alla perduta Isotta, mobile e mirabilmente profumato, le cui qualità mimetiche arrivano dunque a coinvolgere l'olfatto. Nella Canzone di Wolf Dietrich (sec. 12°) e nella Guerra di Troia di Corrado da Warburg (1260 ca.) riappare ancora l'antico motivo, d'origine bizantina e islamica, del grande albero (nella fattispecie un tiglio) abitato da uccelli d'oro canori. Nel Romanzo di Alessandro, infine, si descrive, all'interno di un castello, un grande cervo aureo con mille corna popolate da uccelli, cavalcato da un uomo che suona un corno da caccia, mentre una muta di cani l'accompagna abbaiando.Ma la grande invenzione del Tardo Medioevo europeo fu l'orologio meccanico azionato da pesi, che sostituì gli antichi dispositivi a funzionamento idraulico. I primi esemplari italiani (Milano, 1336; Padova, 1344; Orvieto, 1345) furono ben presto dotati di battitori (detti più tardi jacquemarts), ovvero di statue adibite a segnare le ore percuotendo con un martello una grande campana: il più antico tra quelli conservati è il c.d. Maurizio dell'orologio antistante il duomo di Orvieto, probabile opera di Matteo di Ugolino da Bologna (1351). Quasi negli stessi anni gli jacquemarts si diffusero anche Oltralpe, come testimonia l'orologio voluto da Filippo il Temerario a Digione nel 1382. Parallelamente, si moltiplicarono in Francia, Germania, Inghilterra e nel Nord Europa in genere grandi orologi animati da congegni complessi, che contemplavano apparizioni diverse a seconda delle ore, con cortei e processioni di figure allegoriche, santi e profeti. A Cluny verso il 1340 è già documentata la presenza di un orologio di questo tipo, con un gallo che cantava le ore, mentre apparivano secondo i diversi giorni la Risurrezione di Cristo, la Vergine e santi locali. Più d'un dispositivo analogo possedeva anche la cattedrale di Strasburgo: l'orologio più antico, realizzato a partire dal 1352, prevedeva il passaggio dei Magi che si inchinavano davanti alla Vergine con il Bambino, mentre un gallo di ferro del 1374 (Strasburgo, Mus. des Arts Décoratifs) batteva le ali, apriva il becco e muoveva la coda. Benché più volte restaurata, è tuttora funzionante anche la famosa 'corsa dei pupazzi' della Frauenkirche a Norimberga, costruita tra il 1356 e il 1361, un altro di quei nuovi e virtuosistici congegni che, collocati in chiese e palazzi, costituivano delle vere e proprie meraviglie meccaniche apprezzate dal pubblico come tali, secondo una nuova mentalità della società europea che si apriva gradualmente al gusto del ludico.In questa prospettiva ormai largamente e spregiudicatamente profana s'inquadra l'impiego degli a., allo scadere dell'età gotica, nelle feste e nelle pubbliche esibizioni del potere. È il caso della solenne entrata a Parigi di Isabella di Baviera, consorte di Carlo VI, nel 1389, in occasione della quale, oltre a un cervo bianco con corna e corona dorate, dotato di occhi, testa e zampe mobili, si costruì anche un angelo semovente che, al passaggio della regina, calò, con grandioso senso dello spettacolo, dalle torri di Nôtre-Dame per incoronarla e per sparire subito dopo.
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Nel mondo islamico la tradizione degli a., apparecchiature meccaniche per intrattenimenti nei banchetti di corte, è strettamente connessa con invenzioni meccaniche di uso pratico quali cronometri (Wiedemann, Hauser, 1915), installazioni idrauliche (comprendenti fontane e strumenti musicali azionati dall'acqua: Wiedemann, 1910; Wiedemann, Hauser, 1918b), attrezzature mediche (Wiedemann, Hauser, 1919) e porte blindate, serrature e altri congegni di sicurezza (Wiedemann, Hauser, 1921; Winter, 1956). In effetti, solo una parte del testo più famoso e diffuso su questo argomento, il Kitāb fī ma'rifat al-hiyal al-handasiyya (Libro della conoscenza delle apparecchiature meccaniche ingegnose) di al-Jazarī, scritto intorno al 1206 per il governatore artuqide del Diyār Bakr, Naṣir al-Dīn Maḥmūd (597-619 a.E./1200-1222), è dedicato ai veri e propri automi (Brockelmann, 1937, p. 902; King, 1975; Rogers, 1976; Grube, 1976, pp. 112-115, nrr. 335-340, lista delle cc. disperse). Il testo (muqqadima 'prolegomeni') è diviso in sei sezioni principali (naw῾ 'categoria'), ciascuna delle quali è suddivisa in capitoli (shakl 'esempio') e sottocapitoli (faṣl 'paragrafo').Le sezioni riguardano: 1) la costruzione di orologi dai quali si può determinare il passaggio delle ore costanti e solari, in dieci capitoli; 2) la costruzione di recipienti e vasi per gli intrattenimenti dedicati al bere, in dieci capitoli; 3) la costruzione di brocche e bacili per salassi e lavaggi rituali, in dieci capitoli; 4) la costruzione di fontane che cambiano forma e di macchine per il flusso perpetuo, in dieci capitoli; 5) la costruzione di macchine per sollevare l'acqua dagli stagni non profondi e dai fiumi, in cinque capitoli; 6) la costruzione di oggetti vari e dissimili, in cinque capitoli. La sola sezione dedicata agli a. è la seconda.Sia per il testo sia per le descrizioni grafiche, al-Jazarī si rifà a tradizioni antiche ben definite (Neugebauer, 19572), classica, postclassica (Weitzmann, 1952; 1959) e islamica medievale (Suter, 1900; Krause, 1936; Brockelmann, 1937, pp. 902-904; Grube, 1962; King, 1975). Benché faccia riferimento a un certo numero di fonti, egli segue soprattutto Banū Mūsā (seconda metà del sec. 9°; Hauser, 1922; Winter, 1956), la più antica autorità musulmana sull'argomento. I quattro quinti del testo, che descrive cento congegni (comprese sette fontane, quattro lampade autopulenti, una 'maschera antigas' per avvicinarsi a sorgenti inquinate e una benna meccanica per scavare il letto dei torrenti), sono dedicati ai recipienti con meccanismi per dispensare liquidi. Dell'opera, che si conserva in diverse copie (la cui data va dagli inizi del sec. 13° fino al tardo sec. 19°) sono di particolare interesse tre antichi manoscritti: Istanbul, Topkapı Sarayı Müz., H.414, forse del sec. 13° (Stchoukine, 1934; per il colophon, King, 1975, p. 287); copia dispersa datata al 715 a.E./1315 (il nucleo del manoscritto è a Kuwait, Kuwait Mus.); Istanbul, Topkapı Sarayı Müz., A.III 3603, datato al 755 a.E./1354). Questi manoscritti sono illustrati con miniature di notevole qualità e interesse (Grube, 1976, p. 71ss.) e danno un'idea piuttosto precisa dei congegni automatici in uso nel 13° e 14° secolo.Mentre i veri e propri apparecchi meccanici appartengono alla storia della scienza, gli a. forniscono notizie sulla vivace vita della corte musulmana in età medievale. La coppa di vino sibilante che doveva essere svuotata da uno solo dei commensali (sezione II, capp. 1 e 2), lo schiavo che tenendo in mano un pesce e un calice serviva vino al re (sezione II, cap. 7) o la fontana a forma di pavone erogante acqua per lavarsi le mani (sezione III, cap. 9) sono congegni tipici, forse più diffusi di quanto si immagini. È molto probabile che l'uso degli a., di cui il mondo musulmano si dilettò praticamente fino ai tempi moderni, abbia ispirato lo sviluppo di simili congegni nell'Europa occidentale (Born, 1937).
Bibl.:
Fonti. - Abū'l 'Izz Ismā'īl ibn al-Razzāz al-Jazarī, The Book of Knowledge of Ingenious Mechanical Devices (Kitāb fī ma'rifat al-ḥiyal al-handasiya), a cura di D.R. Hill, Dordrecht-Boston 1974 (recc.: A. King, History of Science 13, 1975, pp. 284-289; J. M. Rogers, Biblioteca Orientalis 33, 1976, pp. 358-363).
Letteratura critica. - H. Suter, Die Mathematiker und Astronomen der Araber und ihre Werke (Abhandlungen zur Geschichte der mathematischen Wissenschaften, 10), Leipzig 1900; E. Wiedemann, Translation of Section IV, Chapter I of al-Jazari, Festschrift der Wetterauischen Gesellschaft, 1908, p. 29; id., Über Musikautomaten bei den Arabern, in Centenario della nascita di Michele Amari, Palermo 1910, pp. 164-185; E. Wiedemann, F. Hauser, Über die Uhren im islamischen Bereich, Halle 1915; id., Über Trinkgefässe und Tafelaufsätze nach al-Ǧazarī und den Bānū Mūsā, Der Islam 8, 1918a, pp. 55-95; id., Über Vorrichtungen zum Heben von Wasser in der islamischen Welt (Beiträge zur Geschichte der Technik und Industrie, 8), Berlin 1918b; id., Über Schalen, die beim Aderlass verwendet werden und Waschgefässe nach Ǧazarī (Archiv für Geschichte der Medizin, 11), Leipzig 1919; id., Über eine Palasttüre und Schlösser nach al-Ǧazarī, Der Islam 11, 1921, pp. 213-251; F. Hauser, Über das Kitāb al-ḥiyal der Bānū Mūsā, Erlangen 1922; I. Stchoukine, Un manuscrit au traité d'al-Jazari, sur les Automates du VIIe siècle de l'Hégire, GBA, s. VI, 11, 1934, pp. 134-140; M. Krause, Stambuler Handschriften islamischer Mathematiker, Quellen und Studien zur Geschichte der Mathematik, Astronomie und Physik, Abteil B, 3, 1936, pp. 437-532; W. Born, Early European Automatons, Connoisseur 100, 1937, pp. 123-129, 246-252; C. Brockelmann, Geschichte der arabischen Literatur, suppl. I, Leiden 1937; K. Weitzmann, The Greek Sources of Islamic Scientific Illustrations, in Archaelogica Orientalia in Memorian Ernst Herzfeld, a cura di C. Miles, New York 1952, pp. 244-266; H.J.J. Winter, Muslim Mechanics and Mechanical Appliances, Endeavours 15, 1956, pp. 25-28; O. Neugebauer, The exact sciences in Antiquity, Providence (RI) 19572; K. Weitzmann, Ancient Book Illumination, Cambridge (MA) 1959; E. J. Grube, Studies in the survival and continuity of pre-Muslim traditions in Egyptian Islamic art, Journal of the American Research Center in Egypt 1, 1962, pp. 75-102, tavv. XIV-XXI; id., Pre-Mongol and Mamluk Painting, in The Keir Collection, Islamic Painting and the Arts of the Book, a cura di B.W. Robinson, London 1976, pp. 69-128.E.J. Grube