AUTOMOBILE (dal gr. αὐτός e lat. mobilis; fr. automobile; sp. automóvil; ted. Automobil; ingl. motor-car)
È un veicolo stradale che ha in sé i mezzi per la sua propulsione, pur non procedendo su rotaie, come i veicoli indicati genericamente col nome di automotrici.
Storia. - Nel sec. XIII, e precisamente intorno al 1250, Ruggero Bacone divinava - e non inventava, come sostengono alcuni - l'automobile. Egli infatti non ha lasciato alcuno studio di meccanica automobilistica, ma ha però con sicurezza profetizzato l'avvento dell'automobile, affermando, nell'epistola De secretis operibus artis et naturae et de nullitate magiae (pubblicata ad Amburgo soltanto verso il 1618): Currus etiam possunt fieri ut sine animali moveantur cum impetu inaestimabili!
Nel 1472 Roberto Valturio fa la descrizione di un'automobile per uso bellico (fig. 1). Nel 1500 Leonardo da Vinci disegnò un'automobile, che però non venne costruita. Nel 1629 il fisico pesarese Giovanni Branca, che già tre anni prima aveva iniziato gli studî sull'applicazione del vapore alla trazione, ideò un'automobile a vapore.
Nel 1649 il norimberghese Giovanni Hautsch costruì un'automobile mossa da potenti molle di acciaio per mezzo di un meccanismo di orologeria; nel 1645 Luigi XIV accordò la concessione di costruire e far circolare un carro automobile a tale Giovanni Théson; nel 1680 (secondo altri assai prima) il fisico inglese Newton costruì un'automobile a vapore, realizzando praticamente quanto aveva ideato cinquant'anni prima Giovanni Branca.
Nel 1690 il francese Richard ideò un carro mosso dall'uomo per mezzo di pedali, ma la sua invenzione venne realizzata soltanto 58 anni dopo, dal suo compatriota Vaucanson, con un modello tuttora custodito nell'Accademia delle scienze di Parigi.
Il famoso carro a vapore di Nicolas Joseph Cugnot (v.) si può considerare il capostipite degli autocarri.
Egli presentò, nel 1769, il suo veicolo meccanico (fig. 2) che doveva servire al traino delle artiglierie e che superò ogni aspettativa, sicché il ministro della guerra di allora ordinò un secondo veicolo. Ma i gravi avvenimenti politici sopraggiunti fecero dimenticare il primo autoveicolo e il suo inventore. La sua vettura fu conservata al conservatorio d'arti e mestieri, dove è ancora visibile. È formata da un triciclo con robusto telaio di legno; la ruota motrice forma l'avantreno, ed è messa in moto da un ingegnoso congegno che trasforma il movimento alternativo dello stantuffo in movimento rotativo dell'asse motore. Il motore è a due cilindri a semplice effetto, alimentati da una caldaia semplicissima, ispirata alla pentola di Papin e consistente in un vaso chiuso a doppia parete. Nella parte inferiore della parete esterna vi è il fornello, mentre la parete interna racchiude l'acqua. È prevista una valvola di sicurezza, ma non un apparecchio di alimentazione: difetto capitale del veicolo Cugnot, poiché ogni 12 a 15 minuti occorreva fermare la vettura, alimentare la caldaia, e attendere che il vapore entrasse in pressione. La vettura poteva rimorchiare un carico di 5 tonn. a una velocità di 5 chilometri all'ora.
Il grande Watt soltanto nel 1784 chiese un brevetto per applicare la sua macchina alle vetture stradali, ma gli mancò il tempo di effettuare tale sua idea. La effettuò invece il suo scolaro Murdoch sopra un triciclo a cui veniva applicata la macchina di Watt a un cilindro. Da questo momento le invenzioni si susseguono e si perfezionano. Olivier Evans, degli Stati Uniti d'America, nel 1786, immaginò una macchina ad alta tensione, per la propulsione dei veicoli: idea tradotta in pratica da Robert Furness di Halifax, che costruì la prima vettura automobile americana nel 1788. Subito dopo Nathan Read, pure in America, costruì (1790) una caldaia molto più perfezionata, che fu imitata quasi un secolo dopo da Field, Scotte e altri. Il seme gettato da Murdoch fruttificò col suo scolaro Richard Trevithick che costruì una vettura, ancora esistente nel museo di Londra, la quale segna un notevole passo avanti nell'automobilismo. La vettura, a quattro ruote, uscì nel 1802, e marciava a 15 km/ora in piano e a 6 in forte salita. Questa notevolissima automobile fece parecchie apparizioni a Londra, rimorchiando una carrozza comune piena di passeggeri.
Nel 1804 lo svizzero De Rivaz, tentando nuove vie della meccanica, realizzò un carro a motore che sfruttava l'energia dei gas esplosivi; notevole l'accensione, ottenuta per mezzo di una pistola di Volta.
Da questo momento si ha una certa sosta nelle invenzioni automobilistiche.
Julius Griffith di Brompton, in Inghilterra, prese un brevetto nel 1821 per un vero e proprio autobus che venne costruito dal celebre meccanico Joseph Bramah, e che funzionò egregiamente, istituendosi con esso il primo servizio pubblico per trasporto di viaggiatori su strada ordinaria.
Una falsa idea, apparsa qualche anno prima, fuorviò parecchi anche fra i più intelligenti inventori, ritardando il progresso dell'automobile: che cioè non bastasse l'aderenza naturale ad ottenere l'avanzamento del veicolo, ma occorresse ricorrere ad artifici, ossia all'aderenza artificiale. David Gordon fu uno dei sostenitori di tale idea, e perdette il suo tempo a costruire un veicolo la cui propulsione era ottenuta per mezzo di gambe artificiali. Gurney Goldsworthy fu anch'esso fuorviato da tali falsi concetti, ma poi si corresse, e nel maggio 1825 prese un brevetto per una vettura molto bene ideata, che pesava 3 tonn. e poteva trasportare 15 viaggiatori alla velocità di 15 miglia all'ora (24 km/ora). Con essa fu effettuato un servizio ininterrotto per parecchi mesi fra Gloucester e Cheltenham. Le vetture erano collocate sul telaio con l'intermediario di molle, il telaio era portato da quattro ruote di cui le posteriori motrici, le anteriori portanti, e una quinta, direttrice, davanti. Al Goldsworthy spetta dunque il merito di avere stabilito il primo esempio veramente serio di trasporti pubblici con autobus. Esso trovò numerosi imitatori, come Dance, Ward, Anderson, Ogle e Summers, Gibbs, Marcerone e Squire, nel periodo intorno al 1830. Ma ad uno ad uno anche questi, come il Goldsworthy, caddero, e sempre per lo stesso motivo: insufficienza della caldaia. Uno degl'imitatori più fortunati, che, comprendendo il difetto; cercò porvi riparo, fu Walter Hancock. Questi fino dal 1827 aveva preso un brevetto che andò mano a mano perfezionando, e fra il 1831 e il 1834 uscì con diverse vetture già perfezionate: l'Infant, l'Era, l'Entreprise e l'Autopsy. Con tali vetture, e altre costruite in appresso, il Hancock istituì molti servizî pubblici, resistendo più di tutti e meglio di tutti ai numerosi nemici del nuovo sistema, fino al 1839. Dal 1830 al 1839 vi furono diverse altre compagnie come la Steam Carriage Company of Scotland che fecero ottimi affari in questa specie d'industria. Ma lo sviluppo preso nel frattempo dal traffico richiedeva mezzi assai più potenti, e le ferrovie meglio rispondevano alle nuove richieste. Tale fatto, misto all'invidia e alla tema di concorrenza, riunì le compagnie ferroviarie ai cocchieri, che insieme mossero guerra alle compagnie automobilistiche, e, prendendo pretesto da un accidente mortale successo nel 1839, fecero votare leggi proibitive. A questo punto l'automobilismo subì una sosta, anche negli Stati Uniti, in Francia e nel resto dell'Europa.
Bisogna giungere al 1880 per vedere ripreso, e non più abbandonato il problema. Nei 40 anni intermedî non si hanno che rari e mal riusciti tentativi: Pecqueur in Francia (fig. 3) per primo (1828) ideò il differenziale, Carlo Dietz pure in Francia (1835) ebbe l'idea di rendere elastiche le ruote motrici, interponendo fra la corona e il cerchione un cuscinetto di feltro o di gomma. Poscia Lotz (1860) e Albaret (1865) costruirono locomotive stradali abbastanza perfette. Intanto s'inventava il motore a gas, prima da Barsanti e Matteucci (1854), poi da Lenoir (1860). Quindi al gas si sostituì un carburante liquido (essenza, gazolina, benzina, petrolio), e venne il motore a scoppio a quattro tempi (fig. 4), del tedesco Marcus (1877); motore perfezionato e adattato alle esigenze dell'automobile da Daimler (1880). Nel 1876 il conte prof. Enrico Bernardi, nato a Verona il 20 maggio 1841, si dedicò allo studio del motore a scoppio, e nel 1880 ne costruì un esemplare funzionante a benzina, secondo il ciclo Lenoir, presentandolo nel 1883 all'Istituto reale veneto di scienze. Nel 1884 la prima vettura automobile costruita dal Bernardi, munita di motore di un terzo di cavallo, pilotata da Lauro Bernardi, figlio dell'inventore, correva per le strade d'Italia. Nel 1894 questa vettura, perfezionata (fig. 5), riuscì a compiere in un'ora 25 chilometri, e l'inventore vi arrecò in seguito numerosi altri perfezionamenti nei carburatori, nella lubrificazione, nel raffreddamento, nell'accensione e nello sterzo. Ed ecco rinascere un periodo fiorente per l'automobilismo, che conquista una parte veramente preponderante nella moderna società. Si ritornò però al vapore, e Amedeo Bollée padre costruì in Francia una vettura a vapore, in cui la parte più notevole è il comando della direzione ottenuto con l'asse spezzato. Con tale vettura Bollée fece felicemente il viaggio da Parigi a Vienna, suscitando grande entusiasmo. De Dion, Bouton e Trépardoux, visto il successo del Bollée, associatisi, fecero un altro ben riuscito tipo di autobus a vapore; e Serpollet, studiando dispositivi tutt'affatto diversi, si mise in concorrenza, costruendo una caldaia specialissima a vaporizzazione istantanea, con fornello a benzina o petrolio; motore a quattro cilindri compound orizzontali a semplice effetto, alto numero di giri, distribuzione a valvole, trasmissione per asse intermediario; condensazione del vapore in un radiatore a grande superficie (fig. 6).
Ma tali sforzi, benché più o meno coronati da buon successo, furono superati dalla vettura di Gottlieb Daimler, nato a Schorndorf (Württemberg) nel 1834. Abilissimo meccanico, provetto operaio, grande studioso, Daimler era collaboratore del famoso Otto di Deutz, l'inventore del motore a scoppio secondo il ciclo che ha il suo nome. Nel 1887 Daimler risolse il grave problema di costruire il primo motore a benzina, a grande velocità, di peso minimo, di andamento regolare, di comando sicuro, rendendo così veramente pratica l'automobile; e da quel momento i progressi furono continui, incessanti, meravigliosi. Il brevetto più completo fu preso nel 1889: si aveva un motore a due cilindri disposti a V, i cui stantuffi a semplice effetto facevano agire uno stesso asse motore; accensione per tubi a incandescenza, di platino, distribuzione a valvole, di cui quella di scarico comandata; velocità 760 giri; carburatore a gorgoglio d'aria, raffreddamento con circolazione d'acqua per mezzo di pompa comandata dallo stesso motore; acqua che veniva alla sua volta raffreddata in un radiatore formato da tubi a piccolo diametro, muniti di alette. Nel 1894, per iniziativa del Petit Journal di Parigi, fu fatto un concorso (il primo del genere, e che ebbe grande importanza per la diffusione dell'automobile), per veicoli semoventi sul percorso Parigi-Rouen. Nel 1895 ebbe luogo un secondo concorso, sul percorso Parigi-Bordeaux. Nello stesso anno fu tenuto un terzo importante concorso a Chicago in America.
Da questo momento l'automobile non è più abbandonata; i progressi si susseguono continui, rapidi, sicuri; gl'inventori si contendono la gloria di nuovi trovati, di nuovi e importanti perfezionamenti. Per qualche anno ancora la lotta fra i fabbricanti di automobili a vapore e quelli di automobili a benzina si fa acuta, vivace, accanita; e la vittoria sembra restare ai primi coi nomi gloriosi di De Dion-Bouton, Serpollet, Le Blanc, Scotte, Thornycroft, Weidknecht, Turgan e altri. Ma Daimler, a capo dell'altra schiera, e il suo ex consocio e amico Benz invadono la Francia, dove i loro brevetti sono presi da Panhard e Levassor, da Peugeot, da Delahaye, da Roger, da Lepape, da Tenting, e riescono a convertire De Dion, che abbandona il vapore per costruire le sue famose vetturette a benzina. In questo scorcio di tempo appare un terzo concorrente, nella viva tenzone aperta per la conquista dell'automobilismo; ed è il veicolo elettrico. M. Jeantaud, valendosi dei progressi fatti nella costruzione dei motori elettrici, e dell'invenzione degli accumulatori perfezionati da Faure, aveva costruito una vettura automobile elettrica, fin dal 1881, anno in cui prese parte al concorso Parigi-Bordeaux, imitato da M. Park di Brighton e da Pouchain. Ma il soverchio peso degli accumulatori fece presto lasciare queste vetture in disparte; cosicché all'alba del nuovo secolo la vettura con motore a scoppio, l'autovettura per eccellenza, si delineava già vincitrice in tutti i campi delle applicazioni automobilistiche. I suoi rapidi progressi la fecero trovare già ad un alto grado di perfezionamento quando scoppiò la grande conflagrazione mondiale (v. figg. 7, 8, 9).
Gl'imperiosi bisogni della guerra, i mezzi formidabili tecnici e finanziari di cui gli eserciti combattenti potevano disporre, fecero fare giganteschi progressi all'automobilismo, ormai risolutamente pronunciatosi per il motore a scoppio.
Anche lo sviluppo numerico degli autoveicoli fu enorme, sotto la pressione delle innumerevoli richieste fatte dai capi degli eserciti belligeranti. Cessata la guerra, rimasero sul mercato enormi quantità di autoveicoli di tutte le potenze, di tutte le forme, per tutti gli usi: il 99% di essi con motore a benzina; un piccolissimo numero a vapore.
L'automobile con motore a scoppio. - Le automobili a vapore sono completamente scomparse; l'autovettura a benzina è oramai di uso universale. Essa ha un motore che con un innesto s'attacca al cambio di velocità, e questo alla sua volta aziona la trasmissione. Per guidare l'automobile, è necessario un dispositivo di direzione; per fermarla rapidamente, occorrono i freni; per regolarne la marcia i dispositivi di regolazione.
L'insieme di questi apparecchi, necessario ad ottenere la propulsione del veicolo, dev'essere appoggiato e sostenuto da un telaio, che alla sua volta è portato da ruote. Per comodo del guidatore e dei viaggiatori, o per il trasporto delle merci, occorre una carrozzeria di forme differenti, a seconda degli scopi che si vogliono raggiungere. La carrozzeria non può poggiare direttamente sulle ruote, ma ha bisogno di un mezzo intermedio elastico per attutire gli urti della strada: donde la necessità di una sospensione elastica, per mezzo di molle. Passeremo rapidamente in rassegna tutte queste singole parti, e gli accessorî più o meno utili.
Il motore: v. motore per automobili.
Cambio di velocità. - In un motore a scoppio la quantità di miscela che si può introdurre in ogni cilindro è quasi indipendente dalla velocità, quindi il lavoro per corsa utile è costante; ne deriva che la potenza è in prima approssimazione proporzionale al numero di giri meno una costante, che tiene conto del lavoro disperso (per attriti e resistenze passive) indipendente dalla velocità.
Supponiamo che in un autoveicolo il motore sia direttamente collegato alle ruote, così che il numero di giri sia proporzionale alla velocità; se ora per una forte salita o per il cattivo stato di manutenzione della strada o per un maggior carico lo sforzo resistente aumenta notevolmente, in modo che alla velocità posseduta dal veicolo la potenza (forza × velocità) sia maggiore della massima che il motore può sviluppare, la velocità deve diminuire; ma con essa diminuisce la potenza sviluppata, quindi il veicolo rallenta fino a fermarsi. In linguaggio tecnico si dice che il motore a scoppio ha una caratteristica instabile. Dobbiamo allora interporre tra motore e ruote un organo, il cambio di velocità, che permetta di aumentare il numero di giri del motore tenendo costante la velocità del veicolo: in caso di salita, o comunque di aumento di sforzo resistente, potremo far funzionare a piena velocità, e quindi a piena potenza, il motore, pur mantenendo il veicolo a una velocità inferiore alla massima. Il cambio permette anche d'invertire il senso di marcia.
Il cambio di velocità non serve nelle locomotive ove, prolungando la fase di ammissione, si aumenta la pressione media nella fase utile, aumentando così il lavoro, e quindi la potenza, a velocità costante.
I cambî di velocità furono nei primordî dell'automobilismo fatti come per le macchine utensili, ossia a pulegge con trasmissione a cinghia; erano ingombranti, pesanti e poco sicuri. Si fecero poi i cambî ad ingranaggi; questi possono essere ad ingranaggi sempre in presa, oppure ad ingranaggi spostabili. De Dion-Bouton, Wickstead, la Fiat e altri intorno al 1905 adoperavano tipi d'ingranaggi sempre in presa. Il motore azionava un asse dove erano fissati diversi ingranaggì (ordinariamente 3 o 4) di diametri decrescenti Su di un asse parallelo erano infilati, folli, altrettanti ingranaggi di diametri crescenti, e imboccanti rispettivamente quelli fissi. Un dispositivo, comandato dal guidatore, fissava l'ingranaggio corrispondente alla velocità voluta, e lasciava folli gli altri. Ciò permetteva una manovra semplice, facile, e la possibilità di passare senza difficoltà da un'andatura ad un'altra qualsiasi della scala. Se non che i dispositivi per rendere fisso l'ingranaggio più opportuno erano assai delicati, e gli urti, a cui immancabilmente andavano soggetti per ogni cambiamento di marcia, producevano frequenti avarie; quindi irregolarità e poca sicurezza. Perciò vennero abbandonati e si generalizzò il tipo ancora presentemente applicato alla grandissima maggioranza degli autoveicoli, ossia il cambio ad ingranaggi spostabili (train baladeur).
La fig. 10 rappresenta uno schema di cambio usuale. A è l'asse primario, comandato direttamente dal motore; B è l'asse secondario, parallelo al primo; si tratta di un cambio a quattro velocità. In questo tipo gl'ingranaggi spostabili sono sul primario; quelli fissi sull'ausiliario. I primi sono calettati su tubi cavi che s'infilano sull'asse principale, e ognuno ha un'asta di manovra comandata da un'unica leva. Le automobili veloci hanno la quarta velocità (quella maggiore di tutte) in presa diretta; la nuova tendenza americana è di ridurre a tre il numero delle velocità anche nelle grosse vetture (Buick, Cadillac, De Soto, ecc.); ciò è solo in parte giustificato dalla maggior facilità di guida. Gli autocarri, e in generale gli autoveicoli a velocità ridotta, hanno anche la quarta comandata.
Per invertire il senso di marcia vi è un rocchetto che, opportunamente spostato, va a comandare l'ingranaggio della prima velocità (quella più lenta), interponendosi fra i due del comando diretto (figg. 11, 12). Gl'ingranaggi si fanno di acciaio speciale temperato, e i relativi assi girano su cuscinetti a sfere. Il tutto è racchiuso in una scatola, per lo più d'alluminio, allo scopo di diminuirne il peso; di solito la scatola viene riempita con un grasso speciale, o, meglio, con un olio minerale extradenso. Percorsi cinquemila chilometri, si cambia il lubrificante per depurarlo con appositi apparecchi.
Gl'ingranaggi sempre in presa sono stati riesumati dalla Allgemeine Elektricität Gesellschaft, che ha studiato un cambio in cui ogni ingranaggio ha un tamburo, comandato ad aria compressa, il quale lo rende fisso a volontà del conduttore. È assai sicuro, pronto e ubbidiente, ma pesa moltissimo, è ingombrante e richiede una notevole forza di manovra; esso è applicato alle automotrici ferroviarie costruite dalla detta casa. Tale tipo, che può essere adottato per motori extrapotenti, fu applicato fino dal 1905 dalla nota casa De Dion-Bouton; ma venne abbandonato per la sua complicazione e per il peso eccessivo. Oggi sono in uso nel maggior numero delle automobili moderne i cambî di velocità a doppî o a tripli treni d'ingranaggi scorrevoli, per facilitare le manovre di passaggio indifferentemente dall'una all'altra velocità.
La ditta Ford ha il cambio ad ingranaggi epicicloidali: consiste in una serie d'ingranaggi a diametri differenti, collocati attorno all'ingranaggio centrale come fossero altrettanti satelliti. Questi girano folli, e vengono resi fissi con la manovra, a volontà del guidatore; ma ora anche Ford adotta il tipo normale.
È stato usato, e in qualche piccola autovetturetta è ancora in uso, un cambio a frizione, ottenuto con due dischi perpendicolari fra loro. Spostandone uno, quello condotto e attaccato alla trasmissione, verso il centro dell'altro, conducente e comandato dal motore, si ottengono ircoli di contatto gradualmente minori, quindi la velocità trasmessa va diminuendo; va invece aumentando, se si sposta verso la periferia e se, oltrepassando il centro, si cambia senso. Non ostante la sua semplicità, è quasi totalmente abbandonato, perché del tutto insufficiente, specie per potenze appena superiori ai 2 o 3 HP.
L'innesto. - Il motore a scoppio a bassissima velocità non produce una potenza sufficiente a vincere le resistenze passive; a fortiori non si può avviare sotto carico. Perciò occorre un organo che lo attacchi e stacchi a volontà dalla trasmissione. Ve ne sono diversi tipi. I più antichi, ormai fuori uso, sono a cono di frizione. L'albero è diviso in due: nella parte attaccata al motore vi è calettato un cono a superficie interna levigata; sull'altra parte dell'albero è infilato scorrevole un controcono, la cui superficie esterna è di cuoio. Una robusta molla a spirale, pure infilata su quest'asse, mantiene il controcono a forza applicato al cono, quindi tutto l'albero ruota, e il motore aziona il cambio. Con una leva a pedale si sposta il controcono dal cono, schiacciando la molla; si ottiene così il distacco dal motore alla trasmissione. Questo è il sistema più semplice; ma vennero introdotti diversi tipi con particolari differenti per ottenere una pronta e agile manovra: così il Mors, il Richard-Brasier, il Fiat, il Rénault, ecc. Con l'aumentare della potenza accadevano frequenti slittamenti e talvolta rotture, sicché oggi tale sistema è pressoché abbandonato; e la grande maggioranza delle automobili, anche quelle piccole, hanno adottato la frizione a dischi (figg. 13, 14).
Essa si compone di due tamburi: uno con guide interne in rilievo, disposte secondo le generatrici, è detto tamburo motore ed è fissato al volano; l'altro, munito invece di guide esterne, è fissato all'albero del cambio, e si chiama tamburo condotto. Il suo diametro è tale che può collocarsi nell'interno del primo senza prendere contatto. Un certo numero di dischi metallici con opportuni risalti alla superficie, disposti come le guide e collegati alle stesse, viene collocato in ciascuno dei due tamburi. Si capisce che debbono essere collegati alternativamente, a maschio e femmina. Una molla spirale, esterna, manovrata da un pedale, può, a volontà del conduttore, accostare i dischi, sì da ottenere il massimo attrito; quindi il collegamento fra i due alberi, quello motore e quello di trasmissione. Le coppie di dischi sono in numero variabile da 20 a 40, secondo la potenza del motore. Essi hanno uno spessore da 7/10 a 15/10 di millimetro; sono di ferro, d'acciaio e d'ottone, e hanno alcuni fori che permettono il passaggio dell'olio dall'uno all'altro, poiché restano racchiusi in una scatola piena d'olio, a cui si aggiunge 1/5 circa di petrolio. La superficie dei dischi dev'essere perfettamente levigata.
Presentemente viene in uso un tipo a dischi diverso da quello descritto, poiché i dischi sono in numero assai minore e lasciati a secco. L'ultimo tipo è formato da due soli dischi grandi, a secco, le cui superficie sono coperte di ferodo, ossia di un composto fatto di amianto e fili metallici tessuti insieme. Ciò si fa allo scopo di ottenere un maggior attrito; a volte però si usano altri sistemi. Per es., la ditta Ansaldo ricopre la superficie del volante, che fa da disco, con una superficie ad alto coefficiente di attrito formata di rame ed amianto. Un secondo disco pure conduttore, ossia collegato all'albero motore, è munito della stessa superficie, mentre il terzo disco, quello condotto, è di lamiera d'acciaio ed è calettato all'estremità scanalata dell'albero del cambio.
La trasmissione. - Occorre, ora, trasmettere il moto dal cambio di velocità alle ruote, e siccome le ruote sono a contatto diretto del suolo, mentre il motore è fissato al telaio che poggia sulle ruote con l'intermediario delle molle, così non è possibile una trasmissione rigida: essa si spezzerebbe; occorre una trasmissione flessibile, ossia capace di deformarsi senza cessar di agire.
Anticamente, nelle prime automobili apparse (Benz, de Dietrich, Delahaye, Bollée e altre), si faceva uso di trasmissioni con pulegge, ora totalmente abbandonate. Le trasmissioni ora in uso sono:
a) a catena. - Il cambio di velocità trasmette il moto per mezzo di un ingranaggio conico ad un asse sussidiario perpendicolare, alle cui estremità sono calettate due piccole ruote dentate. Su ognuna di queste s'ingrana una catena, ordinariamente di tipo Galle, che va ad azionare le ruote dentate, di maggior diametro, fisse alle ruote motrici posteriori della vettura, la quale riceve così l'impulso di propulsione.
Le catene (fig. 15) sono costituite di robuste maglie, a rulli, e formano una trasmissione veramente flessibile; hanno però l'inconveniente di allungarsi sotto gli sforzi e gli strappi che si succedono a causa delle irregolarità del terreno e ciò provoca rotture o slittamenti. Vi sono, è vero, due tiranti tendi-catena che attenuano tali inconvenienti, ma la difficoltà di tenerle pulite dalla sabbia e dalla polvere della strada, persiste sempre: e d'altra parte ciò è motivo di logorio continuo e cagiona un attrito considerevole.
b) a cardano. - È quella ora più generalmente applicata. Si sa che cosa è il giunto o l'articolazione dovuta al celebre fisico Cardano: essa consiste in un doppio snodo, che permette i movimenti in due direzioni opposte. Spesso si usano due cardani, per ottenere una maggiore flessibilità e regolarità di moto. Il primo di tali giunti (talvolta l'unico) deve essere collocato vicino alla scatola del cambio di velocità, appena ne esce l'albero di trasmissione, il secondo è collocato presso l'asse posteriore a cui comunica il moto mediante un ingranaggio conico.
Il differenziale. - Le due ruote motrici, fissate in uno stesso asse, percorrono, in generale, spazî differenti; infatti, perché le linee di contatto generate dalle dette ruote durante il loro moto di rotolamento fossero identiche, la superficie su cui si muovono dovrebbe essere perfettamente piana, levigata, e il moto dovrebbe avere luogo secondo una linea retta. Ora ciò in pratica non si verifica quasi mai; se la strada, infatti, è rettilinea, la superficie stradale ha generalmente delle discontinuità, delle buche, dei rialzi, delle colmature che rendono la lunghezza della linea generata da una delle ruote diversa da quella che viene generata dall'altra ruota; se poi la strada è in curva, la differenza è anche maggiore, giacché le ruote segnano due curve concentriche, ma di lunghezza differente, essendo quella esterna più lunga di quella interna. Se le due ruote fossero connesse su un asse rigido, avverrebbero degli strisciamenti pericolosi o comunque sempre dannosi; è perciò necessario che l'asse non sia rigido: ecco intervenire un altro organo, il differenziale. Esso è costituito di una serie d'ingranaggi che s'immettono fra l'uno e l'altro dei due tronconi in cui resta diviso l'asse motore. Le figg. 16 e 17 dànno l'insieme del differenziale preso dalla vettura Ansaldo 6 C. In sostanza, il differenziale (v. fig. 18) è costituito da due ruote dentate coniche 4′ e 4″, ognuna delle quali è fissa sull'estremità di un troncone dell'asse; entrambe sono normali ad esso, risultano parallele fra loro, si chiamano planetarie, e hanno il diametro maggiore. Fra di loro è collocato un manicotto che porta due o quattro perni su cui sono calettati folli due o quattro rocchetti satelliti, 5′ e 5″, che imboccano nelle ruote planetarie. A fianco ad uno di questi vi è una grande corona dentata conica, sulla quale ingrana il rocchetto portato dall'estremità del cardano opposta a quella collegata con l'asse del cambio. Il tutto è racchiuso da una scatola metallica (fig. 18, n. 6). Lo scopo di tutto questo meccanismo consiste nel permettere ad una ruota di girare indipendentemente dall'altra, quando le circostanze del suolo (curve, disparità di terreno, ostacoli, ecc.) lo esigano. Se la marcia avviene in linea retta, e il suolo è liscio, i rocchetti satelliti non girano, ma ruotano intorno all'asse delle ruote motrici, solidalmente con le ruote planetarie. Fra il numero di giri n del pezzo 3 e quelli n e n2 dei semiassi 2′ e 2″ sussiste la relazione: 2 n = n1 + n2.
Il differenziale fu inventato dal Pecqueur, uno dei precursori dell'automobilismo, fin dal 1828. Il meccanismo è complicato; riesce costoso per la costruzione e noioso per la manutenzione, talvolta, se non è costruito con materiale di primissima qualità, si spezza, producendo conseguenze spesso disastrose; ma non è possibile farne a meno, né si è trovato, finora, nulla di meglio. Vi sono delle vetturette che lo hanno eliminato, ma a scapito della conservazione delle gomme, che rapidamente deperiscono: inoltre non si può ammetterne l'abolizione che per carreggiate strettissime: e allora, siccome le strade specialmente di recente inghiaiatura, non sono mai uniformemente battute, si ha lo svantaggio di marciare sempre con una ruota nella parte peggiore della strada. V'è poi il pericolo di rovesciamento a un'andatura appena un po' veloce. Vi sono in uso diversi sistemi di differenziali, tutti fondati sullo stesso principio.
Per completare queste nozioni intorno alla trasmissione, occorre fare un accenno alle aste di reazione e ai tubi di spinta che si usano appunto per trasmettere la spinta delle ruote motrici al telaio.
È stata ventilata la possibilità di trasmissioni con mezzi detti a distanza: ossia servendosi non di organi meccanici, ma di fluidi in tubi, sotto pressione. Così si ha la trasmissione idraulica, ossia fatta per mezzo d'un fluido liquido: acqua, olio, glicerina: il motore aziona una turbinetta che comprime il liquido in tubi di trasmissione; il liquido compresso trasmette il moto a una ruota o turbinetta calettata con l'asse delle ruote motrici, o (per evitare il differenziale) senz'altro a due turbine, ognuna delle quali calettata con una ruota motrice. Il fluido può essere anche l'aria: allora si ha la trasmissione pneumatica: il motore aziona un compressore che manda l'aria compressa a un aeromotore fissato sull'asse, o a due distinti areomotori, ognuno fissato su ciascuna delle ruote motrici. Infine si è pensata e anche tradotta in pratica la trasmissione elettrica: con essa il motore aziona direttamente una dinamo, che manda la corrente a due motori elettrici, ciascuno dei quali aziona una ruota; tale sistema adottarono le automobili Krieger, che fecero una certa impressione al loro apparire, verso il 1904, e di cui fu impiantata una fabbrica anche a Torino. Ma evidentemente tutti questi sistemi tradotti in pratica o anche soltanto disegnati sulla carta, invece di semplificare, come pretenderebbero, complicano: richiedono una tale serie di organi e di trasformazioni d'energia, che le perdite sono eccessive, il costo di costruzione troppo elevato, e la manutenzione difficile e penosa. Il tempo ha fatto giustizia di tutte queste proposte, e la quasi totalità degli autoveicoli ha la trasmissione meccanica diretta, e a ciò hanno contribuito anche i perfezionamenti della tecnica meccanica, la quale riesce ad ottenere materiali di grandissima resistenza e di piccole dimensioni, e ingranaggi di esecuzione veramente perfetta. Basta, del resto, pensare che la trasmissione elettrica dà un rendimento complessivo dal 0,50 al 0,60 al massimo: la trasmissione idraulica intorno al 0,40: e quella pneumatica anche meno; mentre con gl'ingranaggi ben fatti e ben lubrificati non si perde che il 20 il 3% a ogni trasmissione.
Ora, piuttosto, si va delineando una corrente di costruttori che studia e propone la trasmissione a tutte le quattro ruote. Il concetto non è errato, specialmente per le forti velocità o per i grandi pesi: ma anche in questo caso, la complicazione che ne nasce non può renderne generale l'applicazione. Un tipo recentissimo di vettura da corsa (Miller-Packard) ha le ruote anteriori motrici e direttrici.
La direzione. - Con gli organi passati finora in rapida rivista, si ottiene la propulsione della vettura; ma non la guida, assolutamente necessaria, giacché l'autoveicolo stradale, a differenza delle locomotive, dei locomotori e delle automotrici, non ha guida di rotaie. La direzione è generalmente ottenuta con le ruote anteriori: diciamo generalmente, perché si ha qualche raro esempio (non imitabile) di ruote motrici anteriori, e di ruote direttrici posteriori.
La prima idea di ottenere la direzione del veicolo, mediante un opportuno dispositivo dell'asse anteriore è dovuta forse al francese Bollée, che costruì una vetturetta a vapore; egli incluse precisamente la sua idea nel brevetto 28 aprile 1873, e la perfezionò poi nel 1878. Il principio consiste nello spezzare l'asse anteriore verso le due estremità, articolandone i due tronconi, in ognuno dei quali è infilata una ruota, alla parte centrale (figg. 19, 20).
Come si vede, l'asse anteriore è diviso in tre parti. La centrale è quella su cui si fissano le molle e per lo più termina da entrambe le parti con una forchetta, entro cui passa il perno di ciascuna delle parti laterali, dette fuselli, e su cui si calettano le ruote. I fuselli possono così articolarsi a snodo e prendere direzioni diverse da quella della parte centrale, e diverse fra loro. Siccome però le ruote si debbono muovere di conserva, per fare tutte le evoluzioni possibili sulla strada, è necessario che siano collegate. Inoltre, come si dimostra geometricamente, per ottenere la sterzata giusta, è necessario che il quadrilatero di collegamento delle ruote direttrici sia tale che i lati inclinati prolungati vadano ad incontrarsi sul prolungamento dell'asse posteriore.
A tale scopo vi è una barra che si articola ai due fuselli e che viene manovrata in diversi modi. Ordinariamente la manovra è fatta da una vite perpetua collegata a una ruota dentata, o da un manicotto a vite elicoidale. Tanto questo, quanto la vite sono alla loro volta comandate da un'asta, alla cui estremità è fissato un volante, il volante di direzione, che è azionato dalla mano del guidatore. Tutto il pezzo si chiama senz'altro la guida (fig. 21). Fino a poco tempo addietro, si usava collocare il volante di direzione sulla parte destra del guidatore. Ma poi i costruttori americani cominciarono a collocarlo sulla sinistra, e si vide che ciò riusciva più comodo: quindi furono generalmente imitati dai costruttori europei. L'asta del volante è costituita da un tubo, nel cui interno passano alcuni fili metallici che comandano l'avanzo all'accensione, in corrispondenza con una leva che scorre sopra un settore fissato al volante. Spesso si fissa al volante anche un'altra leva che regola l'ammissione della miscela.
Le ruote. - Abbiamo detto che ai fuselli anteriori sono infilate le ruote, con l'intermediario dei cuscinetti. Le ruote possono essere di diversa forma e di diverso materiale. Così vi sono ruote tutte di legno con razze pure di legno: ruote metalliche, d'acciaio, le quali alla loro volta possono essere fuse tutte d'un pezzo con le razze che collegano il mozzo alla corona; oppure queste due parti possono essere collegate con un disco pieno, costituito da una lamiera d'acciaio incurvata: infine ruote metalliche con raggi tangenziali di fili d'acciaio, analogamente a quanto si pratica nelle biciclette (v. figg. 22, 23, 24, 25, 26). In queste ultime i fili sono fissati in modo che lavorino per tensione: il che permette una sezione minima.
Il mozzo della ruota si monta sul fusello per mezzo di un cuscinetto. Nelle prime autovetture, i cuscinetti erano, come per le vetture ordinarie, fatti di due pezzi di bronzo con o senza metallo antifrizione e venivano lubrificati a scatola, ermeticamente chiusa; ma per diminuirne l'attrito, si pensò di applicare i cuscinetti a sfere, che già erano stati inventati per le biciclette. Ora è generalizzato l'uso di tali cuscinetti a uno o più ordini di sfere, tutte d'acciaio durissimo (fig. 27). Per gli autoveicoli più pesanti si usano anche i cuscinetti a rulli. Tanto per gli uni quanto per gli altri l'attrito resta grandemente diminuito.
Sulla corona delle ruote s'infila un cerchione; in un primo tempo fu di ferro, in un secondo tempo, invece, di gomma piena. S'inventarono poi i pneumatici (v. fig. 28); il cerchione si divise in due parti ben distinte: il copettone e la camera d'aria il primo costituito da un tubo esterno di gomma e tela racchiudente la camera d'aria, cioè un budello di caucciù più sottile che viene gonfiato mediante una pompa, a una pressione che varia tra le 5 e le 6 atmosfere (per i tipi più antichi o per vetture assai pesanti) o tra le 21/2 e le 2 atmosfere (pneumatici comfort). Questo sistema viene a costituire un vero e proprio cuscinetto d'aria intorno alle ruote, che annulla, o attutisce gli urti dovuti agli ostacoli piccoli e grandi che s'incontrano sulla superficie stradale. Vi è però il pericolo di scoppio o bucatura delle camere d'aria: il che porta a un arresto, e qualche volta a disgrazie anche mortali. Per ovviare a questo inconveniente si è pensato ai semipneumatici, ossia a copertoni di gomma senza camere d'aria racchiudenti dei batuffoli di gomma otienuti con una lavorazione speciale; a un tipo di copertoni di gomma piena, con vani, lasciati di tratto in tratto; a ruote metalliche cosiddette elastiche; ma si tratta, in ogni caso, di palliativi che non ovviano all'inconveniente lamentato, facendo scomparire tutti o quasi gli evidenti vantaggi del pneumatico.
I freni. - Per rendere sicura la marcia dell'autoveicolo, è necessario poter regolare l'andatura del motore; ma questo non è mai di pronta ubbîdienza, poiché tutte le masse del veicolo sono in moto e hanno acquistato col moto una notevole forza viva, che occorre annullare per far fermare il veicolo: a ciò servono i freni più efficacemente e più rapidamente del motore. Per legge, le automobili debbono essere munite di almeno due freni: uno applicato alla trasmissione del movimento, e l'altro sulle ruote posteriori.
Presentemente, date le elevate velocità che in generale si raggiungono, quasi tutte le automobili di nuova costruzione sono fornite di freni anche sulle ruote anteriori.
a) Freno sulla trasmissione. - Se la vettura ha la trasmissione a catena, il freno è sull'asse ausiliario, e più propriamente sulla scatola del differenziale; se invece, come ora generalmente accade, la trasmissione è a cardano, il freno è sull'asse di questo. Esso è formato di una puleggia fissata sull'asse sussidiario, sul differenziale o sull'asse del cardano, e di due ganasce munite di suole che abbracciano la puleggia e che, in posizione normale, non la toccano. Con una serie di leve e di tiranti, le ganasce si portano a contatto della puleggia, con forza gradatamente crescente; l'attrito che si sviluppa, contrasta la forza viva, e l'annulla. Il comando di tale freno è fatto con un pedale. Le suole o, come volgarmente si dice, le ciabatte, sono rivestimenti di ghisa o di ferodo che vengono fissati alle ganasce mediante chiodi di rame: esse presentano il vantaggio di poter essere facilmente cambiate, quando si logorano con l'uso, senza bisogno di toccare le ganasce.
b) Freni sulle ruote posteriori e anteriori. - Essi sono a espansione. Vengono collocati nell'interno delle ruote, e consistono in due segmenti circolari di ferro con suole riportate di ghisa o di ferodo; una leva di comando fa aprire i due segmenti, articolati a una delle loro estremità, e li fa aderire all'interno della corona, anche qui producendo un forte attrito, capace di determinare l'arresto della vettura. Come si è accennato, la maggior parte delle vetture di nuova costruzione hanno i freni anche nelle ruote anteriori: si ha così una frenatura completa, sicura e pronta, ma s'incontrano difficoltà nel comando, poiché le ruote anteriori si muovono secondo la direzione del veicolo: difficoltà per altro, felicemente superate dai costruttori (figure 29, 30, 31).
c) Servo-freno. - È un meccanismo che sostituisce o amplifica la forza fisica impiegata dal guidatore per mettere in azione il freno. Dispositivi di questo genere sono da molto tempo tradotti in pratica nella frenatura dei veicoli ferroviarî mediante aria compressa (freno tipo Westinghouse) o pressione atmosferica (freno a vuoto Hardy).
Il Westinghouse si serve di aria che un apposito apparecchio comprime a 6 atmosfere circa, e manda in una condotta la quale aziona i ceppi del freno, per mezzo di apposito cilindro a stantuffo. Quanto al Hardy, esso ottiene lo stesso scopo facendo il vuoto nella conduttura: allora l'aria atmosferica esercita la sua pressione sullo stantuffo del cilindro a freno, e stringe i ceppi. Per quanto riguarda le automobili, è necessario distinguere le vetture isolate dai veri e proprî treni stradali: ossia di veicoli comuni rimorchiati da un autoveicolo o da un trattore. In quest'ultimo caso ci si avvicina di più al sistema ferroviario, dovendo il veicolo di testa frenare contemporaneamente tutti gli altri. Questo sistema non è ancora sufficientemente sviluppato: ma vi è un accenno di riuscita. Per le vetture isolate si usa il servo-freno idraulico Fiat. Un liquido (acqua, olio, glicerina) viene messo sotto pressione mediante una pompa azionata dalla vettura in marcia; il guidatore, con un comando a sua disposizione, immette il liquido sotto pressione in un cilindro a grande diametro il cui stantuffo aziona i freni. Per sfrenare, sempre per mezzo della stessa leva, si apre una valvola che toglie la pressione. Analogo è il servo-freno ad aria compressa. Un compressore azionato dalla vettura, comprime l'aria e la manda in un serbatoio; azionando un distributore, l'aria passa alla condotta e da questa nel cilindro a freno. Questo tipo di freno è ispirato a quello Westinghouse ed è adatto ai treni stradali. V'è poi il servo-freno a depressione, ispirato al sistema Hardy. Esso utilizza la depressione che si forma nel tubo di aspirazione del motore, quando la valvola a farfalla è quasi completamente chiusa. Tale depressione produce il vuoto in un cilindro a stantuffo che comanda il freno; l'aria atmosferica esercita la sua pressione sulla faccia esterna dello stantuffo e fa funzionare le leve del freno. Citroën lo applica alle sue vetture di serie. Anche l'Isotta Fraschini adotta il freno a depressione.
Tutti questi freni sono d'azione pronta, sicura e dolce, e risparmiano i muscoli del guidatore, ma riescono più o meno complicati, occorrendo molti organi per il loro funzionamento. Si è cercato di semplificare facendo eseguire il lavoro di frenatura dalla stessa forza viva dell'automobile in corsa. Si ottengono in tal modo i cosiddetti servo-freni meccanici, benché tale denominazione non sia bene appropriata. Il tipo Perrot è il migliore tra questi: consiste in un nastro o in segmenti d'espansione, applicati a una puleggia di grande diametro, infilata nell'albero di trasmissione: il guidatore stringe il nastro, o allarga i segmenti di espansione con appropriata leva di comando: la puleggia con la sua forza viva trascina l'uno o gli altri, e questi con una serie di leve e tiranti fanno agire il freno. È molto in uso per la sua semplicità.
Il telaio. - Il motore e il cambio di velocità, spesso riuniti in un solo blocco, debbono essere sostenuti da un telaio. La trasmissione vi poggerà sopra per una estremità, mentre per l'altra deve poggiare sull'asse motore. Le ruote dovranno sostenere il telaio, il quale alla sua volta trasporterà la carrozzeria (v. fig. 32). Quantunque le ruote siano munite di cerchioni elastici, non è possibile fare appoggiare direttamente il telaio agli assi delle ruote a causa delle scosse che guasterebbero troppo rapidamente i meccanismi e riuscirebbero troppo moleste ai viaggiatori. Perciò fra il telaio e gli assi delle ruote sono poste le molle. Queste sono costituite da foglie di acciaio temperato e di costruzione speciale, unite in fascio e disposte con lunghezza decrescente: generalmente sono piegate a forma di arco, di saetta assai limitata rispetto al raggio, e sono tenute riunite da una staffa, che le abbraccia nel mezzo. La foglia più lunga si chiama foglia-madre e ha le estremità foggiate ad anello, entro cui s'infila un perno articolato al manotto o pendino che si fissa al telaio. Questo tipo è noto col nome di molla a balestra. Ora sono molto in uso le molle a mensola (cantilever), metà balestra, e le molle a spirale (v. figg. 33, 34).
Poiché nonostante le molle, le asperità della strada e le grandi velocità comunicano al veicolo notevoli scosse, si è pensato di eliminare queste mediante l'inserzione di un ammortizzatore fra le molle e il telaio. Uno dei primi tipi costruiti è il Truffault. Attualmente sullo stesso principio si ha il Hartford. Consiste in due bracci articolati a sfregamento rude, sopra un arco metallico, sostenuto da un disco e da una conchiglia, tra cui è interposto un disco di cuoio: uno dei bracci è fissato al disco metallico, l'altro alla conchiglia, con una estremità, mentre con l'altra si fissa al telaio per mezzo di un braccetto articolato. Quando il reicolo subisce una forte scossa, la molla, se fosse isolata, continuerebbe ad oscillare per la propria forza elastica; l'ammortizzatore, sviluppando un forte attrito fra le superficie sfreganti, impedisce le oscillazioni successive.
Ora sono in uso anche gli ammortizzatori a nastro (Snubber, Stabyl), consistenti in una cinghia avvolta con una spirale di acciaio, oppure in un nastro di fibra che si avvolge su un tamburo (figg. 35, 36).
Il Derihon si serve invece di uno stantuffo, collegato alla molla, e funzionante dentro un cilindro che contiene un liquido assai denso (olio di ricino): lo stantuffo ha un piccolo foro attraverso il quale, quando è premuto a forza, passa il liquido; nell'istante successivo il liquido tende a ritornare nel cilindro, ma incontra una forte resistenza che assorbe le oscillazioni e le scosse. Si fanno ammortizzatori anche con stantuffi ad aria.
Il motore, per il suo sistema di funzionamento, va a scatti: perciò dà origine a un continuo tremolio, specialmente quando funziona a fermo, o quando si attacca la piccola velocità (1ª e 2ª), tremolio molesto a chi sta nella vettura. A togliere tale inconveniente, si è pensato a un falso telaio, su cui fissare motore e cambio. La trasmissione e le ruote vanno invece fissate al telaio vero. Tale tipo di sospensione è usato con ottimo successo in alcuni recenti tipi di automotrici ferroviarie con motore a scoppio.
La lubrificazione. - Fra parte dell'automobile che ha maggior bisogno di un'accuratissima lubrificazione è il motore (v.). Però tutte le parti in moto relativo sono lubrificate, allo scopo di ridurre l'attrito e, specialmente in alcuni organi, l'usura. I costruttori moderni, perché sia garantita l'ottima conservazione della macchina, forniscono dettagliate guide e indicazioni, segnalando tutti i punti da lubrificare, gli olî adatti, e i percorsi medî dopo i quali va compiuto il rifornimento (fig. 37).
Il cambio e il differenziale sono mantenuti sempre immersi in olio piuttosto denso, che riduce gli attriti e le sollecitazioni degli ingranaggi. Per i sostegni degli alberi si fa oggi largo uso di cuscinetti a sfere (fig. 38) meno delicati degli ordinarî cuscinetti (bronzine) dal punto di vista della lubrificazione. S'ingrassano inoltre con oliatori in pressione specialmente per preservarli dall'usura e per renderne dolce il funzionamento, tutti i pernî delle balestre, le articolazioni della guida, i comandi dei freni, ecc.; è anche assai utile lubrificare i fogli delle balestre, e ancor meglio tener queste sempre immerse in olio, usando opportuni copri-balestre (fig. 39).
I comandi. - La tecnica moderna ha imposto regole per la localizzazione e il funzionamento dei comandi, allo scopo di render sempre più facile e comoda la guida della vettura.
Il volante di guida, posto a destra o meglio a sinistra, porta quasi sempre nella parte centrale il comando a leva dell'anticipo del magnete, spesso i comandi dell'aria e del gas (v. motore). Non manca mai in una buona vettura di recente costruzione il comando, a bottone, della sirena elettrica (clackson); è utile e comodo il comando dei fari, specie per i cambiamenti (da fari abbaglianti a fari da città) che si devono fare, viaggiando, all'incontro con altre vetture. Le leve e i bottoni che non trovano posto sul volante di guida sono collocati sul cruscotto (fig. 40).
Le due leve, del freno e del cambio, sono ora sempre poste al centro della vettura, per non impedire uno dei due accessi ai sedili anteriori. La leva del freno è munita di arresto, per poterla bloccare nelle soste o nelle lunghe discese; si cura che questa leva, come quella del cambio, si trovi, nelle diverse posizioni, in situazione tale che il guidatore la possa impugnare restando comodamente seduto (fig. 41). Il guidatore ha di fronte a sé tre pedali principali, per il comando dell'innesto, del gas (acceleratore) e del freno; per solito disposti in questo ordine.
Vi è ancora il pedalino per l'avviamento automatico, raramente comandato da un bottone sul cruscotto, e un tempo (ora è proibito dal regolamento) v'era il pedale per lo scappamento libero.
Sul cruscotto, oltre i comandi accennati, c'è il quadretto per l'impianto elettrico, e i varî segnalatori (di velocità, di numero di giri del motore, di pressione d'olio, di temperatura dell'acqua e dell'olio, di livello di benzina, di corrente di carica e scarica degli accumulatori, ecc.).
Carrozzeria. - Sul telaio montato, che abbiamo rapidamente descritto, occorre, per completare l'automobile, fissare la carrozzeria. Questa è variabile secondo gli usi cui l'automobile è destinata. Occorre proporzionare il suo peso alla potenza del motore, e tenersi sempre al minimo peso compatibile con l'uso che s'intende fare del veicolo.
Il tipo più comune di carrozzeria è quello a limousine, che può essere coupé ossia con guida esterna, lasciando così scoperti i due posti davanti, e a limousine salon, con guida interna, dove tutti i posti, compreso quello del guidatore, sono interni (v. fig. 42). Il cabriolet e lo spyder hanno soltanto due posti, chiusi, mentre la parte postetiore della vettura serve per il trasporto del bagaglio, ed eventualmente per altri due posti, scoperti. La torpedo è una carrozzeria aperta, ma non esclude la copertura da togliere e mettere a volontà; con sportelli di mica si può ridurre completamente chiusa. Sono anche usate delle carrozzerie cosiddette a salon smontabile, che si possono cioè a volontà cambiare da aperte a chiuse. In esse la vera e propria carrozzeria è costituita di due parti: una che si attacca al telaio ed è fissa, l'altra che si attacca a questa e costituisce il tetto e le pareti laterali. Così può trasformarsi da vettura aperta durante la stagione estiva, in vettura chiusa durante la stagione invernale. Per trasporti pubblici, o alberghi vi sono le carrozzerie chiuse a onmibus, oppure aperte a char-à-bancs. Per i turisti vengono molto usati i torpedoni. Per le merci vi sono furgoni e carri, coperti o scoperti, a cassa fissa, o mobile a bilanciere.
Le carrozzerie, fino a poco tempo fa, venivano fatte di legno molto forte e bene stagionato. Ora si dà la preferenza a lamiere di acciaio. E vi è un tipo americano, costituito da una lamiera unica, stampata. Si sta studiando anche la costruzione in alluminio e in elektron, il nuovo metallo leggerissimo, poco più pesante del legno.
Accessorî. - Sono numerosissimi: alcuni sono veramente utili e geniali, altri hanno soltanto valore commerciale.
a) Messa in moto. - Il principale e più importante degli accessorî. è la messa in moto meccanica. Si sa che la massima parte delle automobili aveva la messa in moto del motore a mano, per mezzo di manovella. Ma questo procedimento, oltre ad essere molto faticoso, presentava anche il pericolo che il braccio dell'operatore si fratturasse per il contraccolpo. Con la diffusione dell'uso dell'automobile, si è sentita la necessità di un dispositivo meccanico il quale avvii il motore, col semplice comando dato dal guidatore. Sono state moltissime le messe in moto proposte e anche costruite, ma poi quasi tutte abbandonate. Si trattava di produrre una forza che, sprigionata al momento opportuno, facesse rotare di qualche giro l'albero del motore. I mezzi escogitati furono diversi. Dapprima si ricorse a una molla, che, caricata durante la marcia, si scaricava rapidamente disingranando un arresto. La molla, scaricandosi, faceva rotare l'asse: ma questo sistema non dava alcuna sicurezza, offrendo facilità di rottura e difficoltà di carica. Allora si pensò all'aria compressa: un piccolo compressore, comandato dall'asse motore, riempiva un serbatoio; quando occorreva far funzionare la messa in moto, bastava aprire una valvola che mandava l'aria su un motorino rotativo, innestato all'albero motore: sistema buono, ma complicato. Si potevano anche usare i gas di scarico, che hanno una certa pressione, per riempire il serbatoio: ma ciò presentava altri inconvenienti. Si è fatto uso di bombole di anidride carbonica, ma anche questo sistema non era pratico. Ora la messa in moto generalmente usata, e che dà ottimi risultati, è quella elettrica e viene combinata all'impianto d'illuminazione. Il motore (figg. 43, 44) mette in moto una piccola dinamo (fig. 45) la quale carica una batteria di accumulatori; questi forniscono la corrente necessaria, per accendere le lampade elettriche, i fari, i piccoli fanaletti segnalatori e inoltre per far agire un piccolo motore elettrico, il quale aziona una vite perpetua, e per mezzo di essa l'asse del motore, quando occorre metterlo in moto; cosicché il guidatore, stando comodamente seduto, non ha che da premere un bottone o un pedalino per far partire il motore.
Per l'avviamento occorre un motore a corrente continua, del tipo chiuso, capace di dare una notevole coppia di avviamento; si adotta quindi l'eccitazione in serie. Per i tipi ordinarî di motori a 4 o 6 cilindri occorre una potenza di circa 2 kw (12 wolt e 200 ampère). Però siccome il motore lavora per un tempo assai breve, e ha in seguito un lungo periodo di riposo, basta che abbia la potenza continuativa di 1 kw. Perché sia leggiero, si fa ad alto numero di giri (2 a 3000).
b) Fari e fanali. - Viaggiando di notte o in tempo di nebbia, occorre illuminare la strada. Quindi sono necessarî dei fanali. Per ottenere la proiezione della luce a grande distanza sulla via da percorrere, si sono introdotti dei fari, ossia fanali con riflettore parabolico. Per regolamento debbono esservi anche i fanali semplici, e il fanaletto posteriore rosso per segnalazione. Oltre a questi, se la vettura è chiusa, vi è una lampada sul tetto della vettura che illumina l'interno. La fig. 46 riproduce uno schema d'impianto elettrico per messa in moto e illuminazione. I fari possono essere anche ad acetilene.
I fari dànno una luce molto intensa, che può abbagliare il guidatore di una vettura che incrocia; per eliminare questo grave pericolo, si muniscono i fanali di una terza lampada, o di una lampada a due filamenti; si ha cosi un fascio luminoso diretto in basso, da usare appunto negl'incroci.
c) Filtri d'aria, di olio e di benzina. - Importanti e molto utili sono anche i filtri d'aria e d'olio recentemente introdotti. L'aria contiene sempre molto pulviscolo, specie sulle strade battute da molti veicoli, spesso formato da piccole particelle di materiali duri, come il quarzo, i feldspati, ecc. Questi materiali penetrano all'interno con l'aria aspirata dal motore, rigano il c; lindro, scavano le sedi delle valvole, scalfiscono gli anelli dello stantuffo; quindi deteriorano rapidamente la macchina. Un filtro all'ingresso della presa di aria impedisce al pulviscolo di entrare. Altrettanto si dica dell'olio, che, dopo un certo numero di chilometri dev'essere filtrato, perché la polvere entra nei cuscinetti, nei carter, in tutta la tubazione lubrificante. È bene anche filtrare la benzina, per separarne le impurità e l'acqua (figure 47, 48)
d) Trombe, sirene. - Per dare avviso del proprio passaggio, è necessaria una tromba, ordinariamente con pera di gomma, da manovrarsi a mano. Si adoperano segnali automatici messi in azione dai gas di scappamento; sirene, mosse dallo stesso movimento del motore; fischietti, azionati dallo scappamento; trombe elettriche.
e) Silenziatore. - I gas di scappamento escono dal cilindro con pressione ancora elevata: da 3 a 4 atmosfere, e talvolta anche più; venendo a contatto con l'aria, questi gas si dilatano repentinamente. producono un considerevole spostamento d'aria, e una conseguente successione di colpi rumorosi e noiosi. Il silenziatore è un apparecchio che serve a impedire o almeno ad attenuare tali rumori; risultato, questo, ottenuto facendo espandere gradatamente i gas di scappamento. Nei primi silenziatori si facevano passare i gas attraverso riccioli di ferro, contenuti in un cilindro, o in un tubo di grande diametro, in comunicazione diretta con i tubi di scappamento. Attualmente i silenziatori si fanno di svariatissime forme, ma il principio comune consiste nel ripartire il cilindro o la marmitta dove si scaricano i gas, in tante camere successive. Per altro, gl'inciampi posti all'espansione libera dei gas di scarico, generano una contro-pressione, che si risolve in una perdita di potenza valutata al 2% circa. I guidatori ne fanno quindi a meno, spesso e volentieri, nonostante il regolamento che proibisce lo scappamento libero: essi aprono una valvola posta prima del silenziatore, dalla quale i gas escono liberamente.
f) Manometri, contachilometri, tachimetri, ecc. - Allo scopo di conoscere a ogni momento se il serbatoio della benzina ha sufficiente pressione per mandare il carburante nel carburatore, occorre un manometro posto sulla parte anteriore della vettura, davanti al guidatore. La pressione è tenuta, o per altezza di carico, se il serbatoio è abbastanza sollevato, o per immissione dei gas di scarico sotto pressione. Una valvola è collocata nel tubo di scappamento insieme con una reticella metallica tagliafiamma. Vinta la pressione della valvola, tenuta a posto da molla tarata, i gas di scarico entrano in un recipiente che comunica col serbatoio della benzina: la pressione che si forma per l'accumularsi di questi gas, spinge la benzina nel carburatore. Il manometro che sta nel cruscotto alla vista del guidatore, indica se la pressione è sufficiente. Se questa dovesse abbassarsi, una pompetta a mano serve per ripristinarla, e serve anche per iniziare il movimento, quando non vi sono ancora i gas di scarico, perché il motore è spento. Vi sono pure dispositivi speciali detti alimentatori.
Sul cruscotto si mettono altri apparecchi, come il contachilometri, il tachimetro, ossia misuratore di velocita, l'orologio, ecc., a volontà o a capriccio del guidatore.
Altri accessorî di notevole utilità sono i paracolpi per evitare danni alle carrozzerie; i fanalini di fermata per risparmiare le indicazioni, scomode con vetture chiuse, che il guidatore per regolamento deve fare; il cricco per sostitùire o riparare una ruota avariata.
Altri sistemi di propulsione. - Come si è accennato al principio, le prime automobili furono a vapore. Per gli sforzi di geniali inventori, fra cui primo il Serpollet, alcune macchine a vapore hanno avuto una discreta fortuna fino ai primordî del nostro secolo. Ma poi i perfezionamenti raggiunti dal motore a scoppio, e gl'immensi vantaggi di questo sistema, hanno fatto abbandonare l'automobile a vapore. Si è avuta una riesumazione da parte di una ditta americana, che ultimamente mise in circolazione una vettura con un ingegnosissimo generatore di vapore, a tubi sottili, dove l'acqua si vaporizzava istantaneamente. Il vapore surriscaldato, entrava in un motore a valvole, analogo a quello a scoppio. Ma il generatore restava sempre insufficiente e troppo facile ai guasti.
Si sono anche fatte automobili elettriche, con accumulatori. Si guidano facilmente, sono silenziose, pulite, inodore; ma anch'esse hanno il loro punto debole, anzi debolissimo, nel generatore di corrente. L'accumulatore è ancora troppo pesante, facile a guastarsi e di costo elevato. La carica non può avere che una durata breve: e siccome non è facile ricaricarli in un posto qualsiasi, l'autonomia di tali vetture è relativamente ristretta. Data la facilità di manovra e di comando ormai raggiunta dal motore a benzina, questo ha superato anche il sistema elettrico. Si tentano anche qui delle riesumazioni, ma senza profitto. Quale migliore accumulatore d'energia della benzina? Da un chilogrammo di questo liquido si ottengono circa quattro cavalli-ora (250 gr. per HP-ora), ossia circa 1.080.000 chilogrammetri. L'accumulatore elettrico non può dare più di 14 a 15.000 kgm. per ogni chilogrammo di peso: si ha perciò una enorme differenza a favore della benzina. Tuttavia la ditta Rognini e Balbo in Italia e poche altre all'estero costruiscono automobili elettriche ad accumulatori per servizî pubblici, in uso in molte città: Roma, Trento, Milano, Lione, ecc.
Infine dobbiamo accennare ad automobili, per ora limitate al tipo per trasporto merci, azionate da gas povero. Già da parecchi anni, la questione assillante di sostituire la benzina con altri carburanti nazionali nei paesi poveri di olî minerali, ha fatto pensare alla possibilità di sostituire il prezioso liquido col gas generato distillando il carbone. La Francia e la Germania, come pure l'Italia, povere di sorgenti petrolifere, iniziarono studî e prove per costruire un gasogeno a carbone di legna, ad antracite, a carbon fossile, e anche semplicemente a legna, da potersi applicare agli autocarri. In questi ultimi anni (1925-26-27) le ditte Panhard e Levassor, Rénault e altre in Francia, Deutsche Werke, H.A. G., Gepaa e altre in Germania, Austria e altrove, hanno costruito gasogeni molto perfezionati. Ultimamente, in Italia, le ditte Pignone-Hag e Augusto Scaglia hanno pure costruito autocarri con gasogeno a carbone. L'avviamento è fatto a benzina. Quindi entra in funzione il gasogeno, il quale è formato dal gasogeno propriamente detto, dal depuratore, dal refrigerante, dall'essiccatore e dal separatore. Il gasogeno è composto di un forno, rivestito di materiale refrattario; sotto la griglia sta il ceneratoio contenente acqua. Sul fornello vi è un recipiente d'acqua (vaporizzatore). Il principio sta nel far venire il vapor d'acqua a contatto del carbone incandescente, insieme con l'aria, con che, data l'elevata temperatura, il vapore acqueo si decompone, formandosi ossido di carbonio e idrogeno libero. Questi gas formano la miscela, che va nel carburatore e fa funzionare il motore. I risultati pratici sono incoraggianti, ma il sistema non sembra poter soppiantare i veicoli a benzina o a petrolio. Ora la ditta S.E.T.F. (Société pour l'Exploitation des Tubes Frettés) di Parigi ha messo in circolazione recipienti costruiti con ferro elettrolitico, cerchiati di acciaio come le canne da fucile a elica, i quali sono resistentissimi e possono contenere gas compresso fino a 200 atmosfere, con un peso morto soltanto di kg. 5 per metro cubo di gas contenuto e ridotto alla pressione atmosferica. Con tali recipienti o tubi costruiti in diverse dimensioni, è possibile attrezzare degli autoveicoli industriali a itinerario fisso e funzionanti a gas da illuminazione, anziché a benzina. Meglio ancora, nelle regioni dove si hanno disponibili dei gai naturali idrocarburati, servirsi di questi, se ad alto potere calorifico (9000 a 11000 calorie per m. c.). Da esperimenti fatti risulta che con un m. c. di gas illuminante, oppure di metano, si compie la stessa strada percorsa con due litri di benzina ordinaria commerciale. Ciò viene fatto sempre nell'intento di rendere, quanto più è possibile, indipendenti dall'importazione, nazioni, come la nostra, prive o troppo deficienti di petrolî e d'altri carburanti naturali.
I sistemi ad aria compressa che apparvero a Parigi e altrove nel 1900, sono ora completamente abbandonati. Sicché, tirate le somme, oggi la stragrande maggioranza, la quasi totalità anzi degli autoveicoli è con motore a scoppio, alimentato da idrocarburi liquidi, principalmente benzina. Quelli industriali potranno in parte almeno, per riguardo all'economia nazionale, essere trasformati a gas, o con gasogeni proprî, o con gas naturali compressi.
L'industria automobilistica.
Costruzione, premesse. - Nei brevi cenni storici premessi abbiamo accennato alla nascita, al successivo svolgersi, e al progredire dell'automobile, e abbiamo visto come lo svolgimento sia avvenuto principalmente in due tempi diversi, e distanti fra loro di circa mezzo secolo. Tale fenomeno lo abbiamo spiegato col fatto del maggiore sviluppo che nell'intermezzo ebbero le ferrovie e i trasporti su rotaie in genere; ma dobbiamo ora aggiungere che la causa originaria di ciò si deve precisamente al fatto che la tecnica meccanica ebbe uno sviluppo assai più lento, e nei primi ternpi non poteva essere in grado di corrispondere alle esigenze pratiche richieste dall'automobile. La concezione dell'automobile, semplice in teoria, si rendeva assai difficile nella sua traduzione pratica e quando si tenevano presenti tutte le svariate difficoltà dell'applicazione. Se oggi all'idea, di per sé stessa perfezionata, corrisponde un'adeguata perfezione di applicazioni, ciò si deve soprattutto alla moderna siderurgia che ci offre dei materiali di primissimo ordine: come i moderni acciai ad alta resistenza e le leghe leggiere. Cominciamo perciò a dare uno sguardo ai materiali metallici che sono ormai indispensabili per costruire una macchina semovente.
Metalli. - Gli acciai, impiegati per la costruzione di automobili, debbono essere di qualità extra, perché con essi vengono fucinati, rusi o comunque lavorati pezzi sottoposti a sforzi unitarî enormi e quel che è peggio non facilmente calcolabili, multipli, svariati e improvvisi. Quindi occorrono acciai speciali per cuscinetti a sfere: acciai al cromo, al cromonichelio, al nichelio, al tungsteno, per alberi a gomiti, per fusi, molle, ingranaggi, ecc. In corrispondenza necessitano acciai rapidi specialissimi, all'iridio, per gli utensili delle macchine operatrici. Ora si fa molto uso di acciaio adatto per fondere i cilindri (4 a 6) in un solo blocco; si adopera anche a questo scopo la ghisa malleabile. Presentemente hanno molta importanza i metalli leggieri, per costruzione e fusione di pezzi non sottoposti a sforzi notevoli e per i quali si cerca il minor peso possibile. Così l'alluminio o meglio una lega d'alluminio (96%) con rame (3%), ferro (0,5%) e silicio (0,5%) è molto usata per la fusione dei carter e di altri pezzi componenti l'automobile. Siccome però la resistenza di tale lega è piccola (13 a 15 kg. per mmq.), così si va introducendo in sua vece una lega più abbondante in silicio chiamata silicum (87% di Al. e 13% di Si.). Ma di recente s'è trovato un nuovo metallo che si va rapidamente introducendo nell'industria automobilistica: l'elektron. Esso presenta il vantaggio d'una leggerezza estrema, unito a quello d'una resistenza alla trazione assai superiore alla resistenza della ghisa; si lavora facilmente, non è poroso, e fonde anche in piccoli spessori senza soffiature. È una lega a base di magnesio; per la fusione si prepara nelle seguenti proporzioni: magnesio 92,5%; alluminio 4%; zinco 3%; manganese 0,5%. Fonde a 625°, o 650°; il suo peso specifico è 1,75 a 1,85; la resistenza alla trazione varia da 20 a 40 kg. per mmq. Il coefficiente di dilatazione è 0,000025 a 0,000027; la conduttività calorifica è o,32-0,38 ossia 1/3 di quella del rame. L'elektron ha un aspetto bianco argenteo, ed è suscettibile di pulimento, è insensibile all'azione degli alcali e delle loro soluzioni acquose: è inattaccabile dal grasso, dall'olio, dal petrolio, dalla benzina, ed è quasi insensibile all'azione dell'acqua dolce o salata. Per tutte queste sue qualità è adattatissimo per i carter dei motori e per tanti accessorî dell'automobile, che costruiti con questa lega ne fanno sensibilmente diminuire il peso totale. Occorrono accortezze speciali per la fusione, essendo a tutti nota l'infiammabilità del magnesio, se molto suddiviso. Ma con le cure necessarie si ottengono pezzi d'una finitezza e compattezza straordinarie: anche con pochi millimetri di spessore. Esso offre così in getto una resistenza del 30% superiore a quella di ugual getto d'alluminio, cosicché se ne può diminuire la sezione di 1/3: e siccome il suo peso specifico è già di per sé minore di circa 1/3 di quello dell'alluminio, così per il peso del getto, a parità di resistenza, si può ridurre almeno alla metà. I lingotti possono anche essere laminati con facilità; se ne fanno lamiere, lamierini profilati a L, a T e a U come per il ferro. Il suo prezzo è ancora un po' elevato, ma la sua introduzione, che si farà certamente su larga scala, non nella sola industria automobilistica ma anche in quella ferroviaria e navale, come pure in molti usi domestici, edili e artistici permetterà di ribassarne molto il costo. Tuttavia, anche con quello attuale, molte volte si può vincere la concorrenza con altri metalli, data la sua leggerezza e la conseguente sua grande facilità di trasporto e maneggio. Anche la possibilità di lavorazione al tornio, alla pialla, alla fresa è una condizione di cui occorre tener conto nella valutazione del costo dei singoli pezzi. Naturalmente è necessario provvedere le macchine lavoratrici di utensili adatti, che possano andare a velocità superiori a quelle ordinarie: vi sono macchine tedesche appositamente costruite per la lavorazione dell'elektron le quali fanno fino a 5000 giri per 1 ′, adatte per la produzione in grandi serie di pezzi in detto metallo. Di modo che, comparando tali macchine utensili con quelle del ferro, della ghisa e dell'acciaio, ne deriva una tale economia di mano d'opera nella lavorazione, che qualche volta il pezzo così lavorato viene a costar meno dell'analogo pezzo in ghisa, benché il prezzo unitario sia tanto superiore. Altri metalli in uso sono il bronzo comune e fosforoso, il rame, l'ottone.
Fonderia. - La fusione più delicata è quella del monoblocco. L'intercapedine fra i cilindri, le camere di compressione, la culatta e le relative camicie, deve essere piccola: 5-6 mm. (talvolta anche meno) e deve essere tutta libera, perché l'acqua vi circoli bene. Occorrono cure speciali per la modellatura e per la formatura, ed è necessario aver ghisa (quando si fonde in ghisa) molto malleabile, che deve contenere perciò molto carbonio (grafite), silicio e altri componenti in piccole dosi, che la rendano assai fluida e scorrevole dentro le forme.
Le fabbriche di automobili debbono avere il reparto fonderia in ghisa e hanno bisogno di operai modellisti formatori e fonditori specializzati, stante la delicatezza e difficoltà delle fusioni da effettuare; debbono poi avere un altro reparto per le fusioni in alluminio. Ora si fanno in alluminio, oltre ai carter già detti, i coperchi dei motori, gli stantuffi e altre parti importanti. Di solito si usa la lega al 7% di rame. Le fusioni si fanno più spesso in conchiglia, ossia con forme permanenti costruite in acciaio; si ha così il vantaggio di ridurre al minimo la lavorazione successiva del pezzo, che talvolta può esser messo in opera come viene dalla fusione. Anche la costruzione della forma metallica o conchiglia si fa da operai specializzati, essendo difficile ottenere la perfezione nella superficie interna che va in contatto col metallo fuso. Le pompe per la circolazione dell'acqua e dell'olio, quasi tutta la rubinetteria, i pezzi minuti come bottoni, maniglie, staffe, cerniere, vanno fusi in bronzo.
Torneria. - Tutti i pezzi fusi vanno poi lavorati: occorrono perciò molte macchine utensili lavoratrici: e le fabbriche di automobili ne debbono avere in grande quantità e di diversi tipi. Il blocco motore, specialmente se a sei cilindri, come è il più difficile per la fusione, è anche il più difficile per la lavorazione. Una serie di frese multiple, frontali o a bottone, deve spianare la testata e la base alla perfezione, per fare ottima tenuta; grandi trapani multipli fanno e filettano i fori per cui passano i bulloni di attacco al coperchio, alla base, alle flange dei tubi di aspirazione e di scarico, nonché a tutte le altre parti che completano il motore. Poi occorrono le alesatrici, per ritornire l'interno dei cilindri al diametro esatto che debbono avere; tali macchine, simili a grandi trapani, hanno la massima precisione, poiché occorre l'esattezza di 1/100 di mm.; sono automatiche e rappresentano un trionfo della meccanica moderna. Le più pregiate sono quelle americane.
Resta una delle più difficili lavorazioni: la sede delle valvole. Ogni fabbrica studia le proprie macchine adatte, la loro costruzione e il loro funzionamento dipendendo dal sistema speciale nei singoli tipi di motori. Se vi sono le valvole in testa, allora la lavorazione si concentra tutta sulla testata del monoblocco; se invece le valvole sono laterali, le macchine utensili per la spianatura delle sedi debbono avere dispositivi assai diversi. Anche gli organi di distribuzione, l'albero delle camme, le punterie, i comandi hanno disposizioni differenti, a seconda dei varî tipi che ogni fabbrica d'automobili si è imposti, e spesso variano anche nella stessa fabbrica, per tipi differenti di autoveicoli: per esempio, la Fiat fa la vetturetta leggera da 10HP e l'autocarro da 6 tonn. È evidente che per tutti i tipi di passaggio (autovetture per turismo, per grande sport, per corsa, autocarri, furgoni di piccola, di media, di grande portata) vi debbono essere motori diversi, con dispositivi di distribuzione, lubrificazione, raffreddamento del tutto differenti. Ora un' alesatrice può servire tanto per un cilindro di piccolo diametro, quanto per uno di grande; basta cambiare l'utensile, e le altre caratteristiche di regolazione. Ma se le sedi delle valvole sono tutte sulla testata, oppure sul fianco, e se essendo di lato si trovano entrambe dalla stessa parte oppure l'una da una parte e l'altra dall'altra, è evidente che occorrono macchine utensili con dispositivi affatto differenti per i diversi casi: per ciò le fabbriche studiano ognuna per conto proprio le macchine adatte a tale scopo.
Gli stantuffi richiedono anch'essi una cura speciale: per gli autocarri e per le macchine pesanti si fanno di ghisa; per le automobili piccole e medie si fanno di alluminio, con anelli (fasce elastiche) di ghisa per alleggerirli, allo scopo principale di diminuire le masse in moto e quindi l'urto che i perni subiscono a ogni fine di corsa. Ora si comincia a farli in elektron che è più leggiero e più resistente dell'alluminio, quantunque presenti difficoltà notevoli di messa a punto. Lo stantuffo è, ad ogni modo, un pezzo di vitale importanza e la sua rottura causerebbe molto probabilmente anche la rottura del monoblocco, della biella e anche del carter, provocando la stortura dell'albero motore, e quindi, nel migliore dei casi, la distruzione del motore. Per questo le fabbriche dedicano cure speciali alla lavorazione dello stantuffo: occorre che esso sia perfettamente centrato, e abbia le incassature per gli anelli elastici a calibro esatto. Se fatto d'alluminio, è uso anche temperarlo per dargli una maggiore resistenza meccanica e una maggiore durata; dopo la tempera viene di nuovo riscaldato, per eliminare le tensioni interne. Dopo i trattamenti termici, si procede a una seconda rettifica, e alla verifica con calibri esattissimi. Vi sono particolari costruttivi di grande importanza: p. es. la confezione dello spinotto, ossia del perno di collegamento tra lo stantuffo e la biella.
Allo spinotto è affidata la sicurezza dell'intero motore, poiché se esso dovesse spostarsi ne seguirebbe la rigatura del cilindro, e in seguito anche la stortura e la rottura della biella, quindi con ogni probabilità, data la corsa veloce dell'albero guidato dagli altri stantuffi, la completa rottura del monoblocco: per questo lo spinotto viene curato in modo speciale. Lo si costruisce in acciaio al nichel, di alta resistenza, lo si cementa e rettifica con la massima esattezza. Un tornio automatico compie la delicata operazione, che senza urti lo porta nel cestino di raccolta.
Altre cure meticolose vengono prodigate alle valvole. Basta pensare che nei motori veloci d'oggi, esse debbono compiere fino a 2 o 3 mila sollevamenti ed abbassamenti al minuto; esse operano così un martellamento sulle sedi, perciò debbono essere di metallo resistentissimo: si fanno di acciaio speciale al nichel, temperato, e sono rettificate con la massima precisione; debbono anche esser tali da non subire alterazioni all'alta temperatura cui sono esposte. Con particolar cura vanno costruite anche le molle, anch'esse di acciaio speciale, capaci di resistere alle rapide vibrazioni cui sono sottoposte. Per solito sono fabbriche specializzate che preparano l'acciaio per le molle, ed anche le molle già pronte. In Italia abbiamo il mollificio di Angelo Cagnola a Lissone specializzato in tale genere di costruzioni.
Una fabbrica ben ordinata deve anche avere macchine fresatrici della massima precisione per la lavorazione di tutti gl'ingranaggi, specie per quelli del cambio di velocità. E nelle fabbriche di grande importanza, che fanno interamente da sé l'automobile, vi sono saloni appositi per contenere le macchine dentatrici.
Gli ultimi modelli americani di macchine utensili ci danno macchine completamente automatiche, precise al centesimo di millimetro, ubbidienti a qualsiasi registrazione per il tracciamento di profili svariati; e nello stesso tempo gli acciai specialissimi preparati dalla siderurgia hanno fatto diventare il cambio ad ingranaggi un organo veramente pratico, sicuro, silenzioso, di lunga durata. Queste frese speciali per denti d'ingranaggio servono anche per il differenziale, benché questo sottoponga i denti dei proprî ingranaggi a uno sforzo assai minore. Il differenziale, come pure il cardano, deve essere di materiale scelto, perché può venire sottoposto a bruschi urti repentini: ma le ruote d'ingranaggio lavorano soltanto nelle curve e nelle disparità del terreno.
Sala di prova. - I motori debbono tutti indistintamente essere provati, appena escono dalla sala di montaggio. Per provarli vengono accoppiati a uno a uno a un motore elettrico, che li trascina. Ciò toglie i piccoli difetti di aggiustaggio, e agevola tutti i movimenti; la prova del motore può durare 12, oppure 24 ore continuate. Quindi viene fatta la prova finale facendolo funzionare a benzina e su appositi sostegni.
Montaggio. - Per la costruzione del telaio si fa uso di stampi, con i quali si foggiano le fiancate e le traverse in lamiera di ferro e di acciaio, che si saldano fra di loro con la saldatura autogena o elettrica. Le ruote, sono costruite per lo più da fabbriche specializzate: il Ruotificio Savoia di Torino, p. es., costruisce ruote a raggi, in legno, in ferro e in lamiera di acciaio stampato; la Rudge Whitworth costruisce ruote a raggi tangenziali di acciaio, ecc. Anche i cuscinetti a sfere sono generalmente costruiti da fabbriche adatte, come quella di Villar Perosa.
Ruote e cuscinetti vengono fissati sugli assali, e motore, cambio' differenziale vengono portati con i telai nel capannone di montaggio, montati completamente, finiti e collaudati.
Collaudo. - Vi sono due specie di collaudi: quello parziale e quello totale; il primo va eseguito anzitutto sui materiali da usare, poi sui singoli pezzi confezionati prima di montarli. Il collaudo definitivo si esegue sulla vettura completamente ultimata.
I materiali vengono acquistati presso le grandi fabbriche metallurgiche: e le fabbriche di automobili bene organizzate e che vogliono esser certe della riuscita hanno un apposito laboratorio di prova e di esame dei materiali, consistente in un gabinetto chimico e in un laboratorio per le prove di resistenza. Nel gabinetto chimico si eseguiscono le analisi dei materiali per assicurarsi che la loro composizione sia corrispondente alle prescrizioni, e nel medesimo tempo sia adatta alle varie esigenze, secondo lo scopo per cui sono fabbricati. Annesso al gabinetto chimico, deve trovarsi il gabinetto metallografico per l'analisi microscopica dei materiali metallici che ha oggi grandissima importanza, dato che molti disastri sono occasionati da difetto dei materiali usati. È necessaria altresì una sala delle prove meccaniche con le relative macchine, per stabilire la resistenza alla trazione, alla compressione, alla torsione, alla flessione, al taglio, all'urto, alle sollecitazioni ripetute.
Questa è la prima parte dei collaudi razionali. La seconda parte riflette il cosiddetto collaudo di lavorazione, ossia collaudo dei singoli pezzi. In apposito locale i pezzi che compongono i singoli organi dell'automobile vengono sottoposti a calibratura, con appropriati attrezzi esattissimi: tutte le dimensioni vengono verificate con compassi micrometrici a spessori, maschere, calibri fissi, tamponi, ecc., e debbono scartarsi tutti i pezzi che superano i limiti di tolleranza ammessi. Questi devono essere piccolissimi, e controllabili soltanto con mezzi che offrano la massima garanzia.
Poi viene il collaudo pratico degli organi montati. Come si è già detto, il motore deve esser fatto funzionare sul banco di prova da solo, con mezzi proprî, e ci si deve assicurare della sua potenza a diversi regimi, con gli appositi freni: freno idraulico, freno di Prony, freno elettrico. Il cambio di velocità sarà provato, o innestandolo al motore quando entrambi fan parte d'uno stesso blocco, come in generale si usa nelle automobili moderne, oppure facendolo azionare da un motore elettrico. Così il differenziale, e la trasmissione con i suoi ingranaggi conici, vengono messi a punto ossia ne viene compiuto il loro perfetto aggiustaggio. Dopo questi collaudi parziali viene il collaudo finale, ossia della macchina montata, che è diviso in due tempi. Anzitutto va fatta la prova pratica su strada dello chassis montato, senza carrozzeria, ma con un carico di zavorra corrispondente al peso massimo che è destinato a sopportare, alla massima velocità e su strade di massima pendenza. Per questo collaudo le fabbriche debbono avere una squadra più o meno numerosa di provetti collaudatori. Quando la fabbrica dà l'automobile completa, ossia carrozzata, si deve fare un ultimo collaudo pratico, con l'automobile finita, carrozzata, e pronta ad essere passata al riparto verniciatura.
Alcune fra le maggiori fabbriche, hanno una pista propria di prova. Così da noi la Fiat ha una pista per il collaudo definitivo sul tetto della sua grande fabbrica di via Nizza a Torino.
Produzione e commercio. - In una fabbrica bene organizzata deve avere grande importanza l'ufficio commerciale, in cui non solo si studieranno i prezzi delle materie prime per farne gli acquisti sui mercati più favorevoli, e, nel tempo più opportuno, si studieranno i costi di costruzione per vedere dove sia possibile una riduzione di costo, ma si raccoglieranno i dati statistici nella maggiore quantità possibile, e il più possibilmente estesi. Tali dati serviranno ad incanalare le necessarie ricerche, e ad organizzare le occorrenti conquiste dei mercati più favorevoli, giacché una fabbrica a grande o media produzione non può pretendere di vivere e tanto meno di prosperare con il solo commercio interno.
Produzione italiana. - L'Italia, subito dopo la Francia, comprese il grande avvenire dell'automobilismo, e si gettò prontamente nella nuova via industriale. Verso la fine del secolo passato, a Torino, per opera di parecchi volonterosi sorse la prima fabbrica di automobili italiana, cui la sigla Fiat portò fortuna. In pochi anni infatti, sotto la direzione di tecnici valenti e di industriali di prim'ordine, la Fiat s'ingrandì rapidamente. Essa si applicò alla costruzione di varî tipi di automobili, e fu una delle prime ad affrontare il problema dei trasporti pubblici con autobus e autocarri, e a studiare le applicazioni dell'automobile ai bisogni dell'esercito. Migliorò, modificò, aumentò continuamente la propria produzione. All'inizio della guerra di Libia, la Fiat, dietro suggerimento degli ufficiali del genio, facenti parte della spedizione, costruì quei meravigliosi autocarri 15 ter, a ruota gemella posteriore con pneumatici, i quali fecero miracoli sulle sabbie desertiche della Tripolitania e Cirenaica. Allo scoppio della grande guerra la Fiat lavorò in pieno per il nostro esercito e per gli eserciti alleati: s'ingrandì in modo straordinario così da divenire la più grande fabbrica d'Italia e una delle maggiori d'Europa. Ora ha una capacità produttiva di oltre 200 macchine al giorno, che può essere spinta fino a 300, oltre a riparti specializzati in altri lavori (motori marini, grandi motori, vagoni ferroviarî, forni elettrici, aeroplani). Dietro all'esempio della Fiat, sorsero al principio del secolo altre fabbriche a Torino. Milano ritardò alquanto, ma poi ebbe costruzioni assai ammirate e importanti.
Dall'Annuario statistico italiano ricaviamo i seguenti dati:
Come si vede, il 1927, anno di crisi industriale mondiale, ha segnato un regresso sia nelle importazioni sia nelle esportazioni; proporzionalmente però queste sono diminuite meno di quelle, dando così un indice del favore con il quale è accolto il prodotto italiano.
Le importazioni sono per la maggior parte di macchine medie per peso e potenza: fornitori principali gli Stati Uniti, seguiti dalla Francia; le esportazioni sono prevalentemente di macchine leggiere e veloci: principale acquirente l'Inghilterra, seguita dalla Francia, Germania, Svizzera, Spagna, Belgio, Indie Britanniche, Egitto.
Fabbriche italiane. - Elenchiamo le principali fabbriche italiane:
Alfa-romeo (Milano). - È casa specializzata in vetture da corsa; ha detenuto nel 1924 il primo campionato mondiale di velocità con la sua vecchia Alfa P. 2 ancor oggi in prima linea. Costruisce ora il tipo a 6 cilindri 1500 c.c. normale, macchina da turismo e da città; il tipo modificato da 1750 c.c. sport e supersport con o senza compressore è adatto per corsa su strada e turismo veloce.
Ansaldo (Torino). - Fabbrica tipi a 4, 6, 8 cilindri, i due ultimi di costruzione recentissima. È casa rinomata per la durata e la serietà delle sue vetture, carrozzate con ricchezza ed eleganza.
Bianchi (Milano). - È la grande fabbrica di biciclette. Costruisce il tipo S 5, in tutti i tipi di carrozzerie.
Ceirano (Torino). - Una delle più antiche fabbriche italiane. Il iipo più recente è la vetturetta S. 150 Vª serie, su chassis normale e allungato. Sono pregiati i suoi autocarri.
Citroën (Milano). - Filiale italiana della fabbrica francese. Il tipo a 4 cilindri 1500 c.c. rappresenta la vettura utilitaria a buon mercato; il tipo a sei cilindri Lictoria Six è una vetturetta di notevole comodità, accuratamente rifinita.
Diatto (Torino). - Ha due tipi di media potenza.
Fiat (Torino). - La più antica fabbrica italiana. Ebbe grande fortuna e diffusione per molti anni il modello 501, ora superato. Il modello 509 (1926) successivamente modificato, è la vettura utilitaria di minimo prezzo, ma completa ed elegante, che ha avuto un gran successo. Nel 1927 ha lanciato i modelli a 6 cilindri, ora costruiti nei seguenti tipi: 521, vettura a 7 posti di costo moderato, aggiornata secondo i più recenti dettami della tecnica; 525, destinata all'uso di famiglia e di parata per personalità, non avendo doti notevoli di potenza e ripresa, ma eccellendo in comodità ed eleganza; 525 sport con motore di maggior potenza, più leggiera e quindi più veloce e di guida più facile.
La Fiat costruisce una serie di autobus e vetture turistiche; ha una potenzialità di circa 70.000 macchine all'anno; è la marca più diffusa in Italia.
Isotta Fraschini (Milano). - È la casa celebre per i suoi motori da aviazione. Costruisce da anni il tipo a 8 cilindri in linea, annoverato tra le macchine più lussuose, particolarmente adatto al gran turismo.
Itala (Torino). - La prima marca italiana che nel 1926 ha rinnovato i suoi modelli col tipo 61 a 6 cilindri da 2000 c.c., vettura dotata di notevole velocità, pregiata per l'eleganza della sua linea.
Lancia (Torino). - Da anni s'è conservata fedele al tipo Lambda perfezionato in successive serie ora arrivate alla VIIIª. La sua costruzione è originale in ogni particolare (motore a 4 cilindri a V), molto stimata per le doti di velocità, stabilità, eleganza. Presenta ora (1929) il tipo Dilambda a 8 cilindri a V, di gran lusso. Sono conosciuti e diffusi gli autobus Pentajota, Eptajota e Omicron, grandi e giganti, per servizî pubblici e turistici.
Maserati (Bologna). - Marca specializzata per le sole vetture da corsa. La sua più recente vettura a 16 cilindri ha battuto nel 1929 il record mondiale di velocità sui 10 km.
O.M. (Brescia). - L'antica Züst. Notevoli i tipi Superba e Mille Miglia; ha pregi indiscussi di solidità e accuratezza di fabbricazione.
Segue una serie di marche di minore importanza, come l'Aurea, la Chiribiri, la SAM, ecc.
Produzione estera. - Sono numerosissime le fabbriche straniere, fra cui alcune notevoli per quantità di produzione come la Ford americana, altre importantissime per lussuosità di prodotto come la Roll-Royce (Inghilterra) o per finitezza e perfezione di particolari come la Chrisler (Canada) e la Buick (America del Nord). La Hupmobile amerieana (Detroit) impiega 30.000 operai nel solo stabilimento di carrozzeria e montaggio: a Michigan ha altri due stabilimenti per trattamento dei metalli, fabbricazione degl'ingranaggi, tempera, ecc.
Diamo un elenco delle marche estere più conosciute in Italia. Amilcar (Francia), Bugatti (Francia), Buick (America), Charron (Francia), Crossley (Inghilterra), De Dion-Bouton (Francia), Delage (Francia), Delahaye (Francia), Hispano-Suiza (Francia), Lincoln (Stati Uniti), Lorraine (Francia), Mamber (Inghilterra), Mathis (Francia), Mercedes (Germania), Minerva (Belgio), Morris (Inghilterra), Oakland (Canada), Oldsmobile (Stati Uniti), Opel (Austria), Packard (Stati Uniti), Panhard-Levassor (Francia), Peugeot (Francia), Rénault (Francia), Rocher-Schneider (Francia), Salmson (Francia), Sénéchal (Francia), Singer (Inghilterra), Triumph (Inghilterra), Steyr (Austria), Studebaker (Stati Uniti), Sunbeam (Inghilterra), Wanderer (Germania), Wolseley (Inghilterra).
L'industria europea è stata minacciata da un'inondazione di prodotti americani, che, fabbricati in grandissima serie con macchine perfezionate che riducono al minimo la mano d'opera, e accompagnati da un'organizzazione commerciale perfetta, hanno sorpreso l'industria europea nel suo peggior momento, in cui si limitava a riprodurre i tipi post-bellici non curandosi abbastanza del progresso e delle nuove esigenze.
Alcune fabbriche americane hanno tentato anche d'impiantare filiali europee, per liberare i loro prodotti dai dazî protettivi stabiliti dai paesi europei.
L'industria italiana ha reagito prontamente e accogliendo i perfezionamenti suggeriti dalla nuova tecnica ha ottenuto il ribasso dei prezzi, perfezionando e rendendo più economica la produzione, e cambiando totalmente i suoi modelli; ha saputo conservare però la sua caratteristica, l'eleganza ottenuta con la sola semplicità e purezza delle linee e non con la ricchezza dei materiali, o peggio con quella originalità forzata e irrazionale, in perfetta antitesi con gli odierni ideali estetici. È riuscita così a frenare l'importazione, ora fornita solo dai tipi più caratteristici, e ad aumentare la propria produzione.
Ciò è stato anche dovuto all'estensione del mercato interno perché l'automobile non è più considerato prerogativa delle classi più ricche, ma come uno strumento economicamente conveniente a tutti coloro, alla cui fervida attività è profittevole il risparmio di tempo. (V. Tavv. CXIX-CXXIII).
Bibl.: L. Souvestre, Histoire de l'automobile, Parigi 1907. Per la letteratura tecnica, ricchissima, indichiamo qualche opera: J. Rutishauer, Transmission, embrayage, changement de vitesse et cardan, 2ª ed., Parigi 1917; A. Maggiorotti e U. Puglieschi, L'automobile a benzina e il suo impiego nell'esercito, 6ª ed., Città di Castello 1922; L. v. Löw, Das Automobil, sein Bau und sein Betrieb, Berlino 1924; R. Bussien, Handbuch d. Automobiltech. Gesellsch., Berlino 1925; G. Pedretti, L'automobilista e il costruttore di automobili, Milano 1927; G. Faldella, L'automobilismo in Italia, Torino 1929.
Periodici: Omnia, Parigi; Auto Italiano, Milano; The Autocar, Londra; La technique automobile et aerienne, Parigi;Facts and figures of the automobil industry, Londra; Motore italiano, Torino.
Sport.
Sin da quando l'automobile era un complicato veicolo, poco pratico e altresì pericoloso, l'uomo cominciò a cimentarsi in gare sportive automobilistiche, e così il 28 luglio 1894, quando l'automobile era ancora ai primi albori, si corse in Francia la Parigi-Rouen, alla quale parteciparono 102 concorrenti. Delle automobili, 38 erano a benzina, 29 a vapore, 5 ad aria compressa e 25 di altri sistemi. I 126 chilometri furono compiuti dalla vettura a vapore di De Dion e Bouton in 5 ore e 40′; ma, dato il regolamento della corsa, la vittoria toccò a Panhard-Levassor e a Peugeot, che si classificarono a pari merito in ore 5,50′.
Nel 1895 si ha la prima corsa automobilistica su lungo percorso: Parigi-Bordeaux e ritorno, per un totale di km. 1180, compiuti da Levassor in ore 48,47′ con una vettura munita di motore verticale a due cilindri. La vittoria, per il regolamento della corsa, fu però assegnata a Koechlin con un'automobile a benzina.
Nel 1896 si corse la Parigi-Amsterdam-Parigi, km. 1454, che fu vinta da F. Charron su una Panhard a quattro cilindri. In questa corsa il pneumatico affermò decisamente la sua superiorità sulle gomme piene. Nel 1899 si svolse il primo Giro di Francia, vinto da Levegh su una automobile a benzina Mors, a 70 km. di media.
Il 29 agosto 1897 si effettuò in Italia la prima competizione automobilistica sul percorso Arona-Stresa, km. 35, che ebbe però scarso successo. Maggiore successo ebbe invece nel 1898 la Torino-Alessandria, alla quale parteciparono 14 concorrenti.
Nel 1900 si corse la Parigi-Tolosa, nel 1901 la Parigi-Berlino, nel 1903 la Parigi-Madrid, che fu funestata da incidenti mortali. Perì in questa corsa uno dei migliori tecnici dell'automobile di quel tempo, Marcel Renault, caduto mentre pilotava la stessa vettura con la quale aveva vinto la Parigi-Vienna l'anno precedente. La corsa dovette essere interrotta a Bordeaux dove era giunto primo Gabriel su Mors; questi, da Versailles a Poitiers, aveva tenuto una media di 119 chilometri. Così dai 70 chilometri di Levegh nel 1899, dai 105 raggiunti su un km. ad Achères, nel 1900, da Jenatzy su un'automobile elettrica dal nome Jamais contente, dai 120 toccati nel 1902 a Nizza da una vettura Serpollet a vapore, si è giunti, su parecchi chilometri di percorso, alla media di 119 km. Nello stesso anno Gabriel con la sua Mors tocca i 132 chilometri.
Nel 1900 ebbe luogo la prima Coppa Gordon Bennett, vinta da Charron alla media di km. 61.500. Essa divenne, in seguito, una classica manifestazione che si disputava ogni anno.
La Fiat, che fondata nel 1899 cominciava già ad affermarsi, riportò la prima vittoria internazionale a Southfort vincendo la Coppa Rothschild.
Nel 1902, promosso dal Club automobilisti d'Italia, si corse il primo Giro d'Italia, su un percorso di 1800 chilometri, che segnò una magnifica affermazione dell'industria italiana. Nel 1904 s'iniziò la serie delle grandi competizioni con il Gran Premio d'Italia, svoltosi a Brescia, che vide la vittoria di una Fiat pilotata da Vincenzo Lancia, a km. 115,700 di media. Nel 1906 anche la Francia stabilì il suo Gran Premio che si corse sul circuito della Sarthe. Nello stesso anno si iniziava in Sicilia il ciclo annuale di una delle più importanti manifestazioni automobilistiche: la Targa Florio.
I Gran Premî furono retti da varie formule: quella del peso delle macchine, della loro cilindrata (cubatura dei cilindri del motore), dell'alesaggio (diametro del cilindro), o della corsa del pistone.
Con il progredire della tecnica le velocità aumentavano; cosicché s'incominciò a pensare alla costruzione di autodromi (v.), circuiti esclusivamente destinati alle corse automobilistiche. Le macchine, prima antiestetiche e instabili per la loro altezza da terra, andarono acquistando una forma sempre più bassa e più affusolata, per vincere meglio la resistenza dell'aria. I motori, che giunsero ad avere cilindrate enormi, data la necessità di raggiungere maggiori velocità, cominciarono ad essere sempre più piccoli per l'aumentato rendimento volumetrico ottenuto con i perfezionamenti della tecnica, attraverso la migliore utilizzazione della forza esplosiva del gas, con gli aumentati rapporti di compressione e la più elevata velocità di rotazione; tanto che nell'ultimo ventennio la potenza fornita dai motori, a parità di cilindrata, è stata pressoché decuplicata.
Nel 1907 il Gran Premio di Francia si effettuò sulla distanza di 770 km.; fu vinto da Nazzaro su Fiat alla media di km. 113,621. Nel 1908 il Gran Premio d'Italia, corso a Bologna, fu anch'esso vinto da Nazzaro su Fiat alla media di km. 119,438; e fino al 1921 questa classica corsa italiana non fu più ripetuta.
Nel 1911 s'iniziò la serie dei Gran Premî di Indianapolis; il primo fu vinto in quell'anno da Harroan su Marmon alla media di km. 120.015.
La guerra europea sospese in tutto il mondo le grandi competizioni automobilistiche; nel 1921 a Brescia fu ripreso il Gran Premio d'Italia, vinto da Goux su Ballot alla media di km. 144.737. Nello stesso anno la Francia fece rivivere il suo Gran Premio sul circuito della Sarthe, e l'americano Murphy vinse su Duesenberg alla media di km. 125.667.
Nel 1922 venne inaugurato l'autodromo di Monza con il Gran Premio d'Italia, vinto da Bordino su Fiat a 139.855 km. di media; questa media fu sorpassata negli anni successivi; infatti nel 1923 Salamano su Fiat raggiunse i km. 146,502.
Nel 1924 Ascari su Alfa Romeo toccò la media di 158,896 km.; ma negli anni successivi la media diminuì, anche perché la formula di corsa, che era basata sulla cilindrata del motore, venne ridotta da 2000 a 1500 cmc.
Il 1924 segnò per l'Italia un anno veramente trionfale nell'agone automobilistico mondiale, perché l'Alfa Romeo con Ascari e Campari vinse il Gran Premio d'Italia, il Gran Premio di Francia e il Gran Premio del Belgio.
Nei tentativi di velocità pura sono state raggiunte, negli ultimi anni, velocità fantastiche. Apposite macchine, veri mostri metallici furono costruite per questi tentativi arditissimi che, non trovando in nessuna strada del mondo il percorso adatto, si sono svolti sul terreno naturale fornito da alcune spiagge e fra queste, principalmente, la spiaggia di Pendine nel Galles e la spiaggia di Daytona nella Florida. Su quest'ultima il maggiore Seagrave, il 29 marzo 1927, pilotando una Sunbeam munita di due motori di aviazione della potenza di 500 HP. ognuno, raggiunse la velocità di chilometri 327.981. Questa velocità veramente folle sembrava non potesse essere superata da alcuno poiché, a parte le difficoltà meccaniche, intervenivano difficoltà di ordine psichico e fisiologico per parte dei piloti. Ma il 19 febbraio 1928 il capitano Malcolm Campbell con un'automobile Napier, munita dell'omonimo motore che nel 1927 aveva vinto, montato su aeroplano, la Coppa Schneider, raggiunse, sempre sulla spiaggia di Daytona, la velocità di km. 333,062: superata poi dal Seagrave (km. 372,478) l'11 marzo 1929. Ed è certo che velocità anche maggiori saranno raggiunte in un prossimo futuro. (V. Tavv. CXXIV-CXXVI).
Legislazione.
Fin dal suo primo apparire nella circolazione stradale, si pensò che l'automobile potesse danneggiare le persone e le cose, e specialmente le strade. Data poi la sua velocità, sorse il bisogno di poter identificare facilmente gli autoveicoli, i loro conducenti e i loro proprietarî, per i casi in cui fossero stati causati danni o si fosse contravvenuto alle norme di circolazione stradale. Si sentì del pari la necessità che queste norme non fossero lasciate alla forza delle consuetudini locali o al potere delle autorità comunali e provinciali, ma venissero dettate in maniera uniforme per tutto il territorio nazionale.
Inoltre si vide nell'uso dell'automobile una causa di maggior consumo delle strade pubbliche, e quindi un aumento delle relative spese di manutenzione; da ciò il motivo per cui si è fatto dell'automobile un oggetto di tasse, il cui gettito totale in molti stati viene a superare effettivamente la spesa di manutenzione delle strade.
Il codice della strada. - In Italia le prime norme di circolazione apparvero nel regolamento di polizia stradale dell'8 gennaio 1905. Ma la spinta maggiore ad una legge speciale sull'uso dell'automobile venne dalla convenzione internazionale di Parigi del 1909, approvata in Italia con r. decr. 24 marzo 1910. Con la legge 30 giugno 1912 e col relativo regolamento 2 luglio 1914 furono richiesti una licenza di circolazione per i veicoli a trazione meccanica, destinati a circolare senza guida di rotaie sulle strade ordinarie, e un certificato d'idoneità ("patente") per chi li deve condurre; furono imposti varî obblighi, fra cui quello della "mano" da tenere nella marcia, della tromba a forte suono, dei fanali, dell'immatricolaione dei veicoli e della targa di riconoscimento, dei freni, ecc.; fu prescritto il limite massimo della velocità in 50 chilometri all'ora; furono accordate facilitazioni ai cittadini degli stati firmatarî della convenzione di Parigi; furono stabilite le procedure e le pene per le trasgressioni; fu creata una presunzione di colpa a carico del conducente e del proprietario dell'automohile nel caso di danno da questo cagionato, ecc.
Con il r. decr. 31 dicembre 1923, n. 3043, furono emanate le norme di circolazione sulle strade ed aree pubbliche. Questo decreto fu comunemente chiamato "codice stradale", perché in esso, diventato quasi una legge fondamentale sulla circolazione stradale, fu raccolta e coordinata tutta la materia legislativa precedente. Il titolo III del citato regio decreto era dedicato agli autoveicoli, intendendosi per tali: le automobili (autovetture e autocarri), i motocicli, i compressori stradali e le trattrici stradali. Le norme principali erano quelle della legge del 1912 e del regolamento del 1914. ma venne ristretto il limite di velocità solo agli autoveicoli di peso lordo superiore ai 40 quintali: l'obbligo della "mano" fu esteso all'interno degli abitati; furono stabiliti la precedenza di passo agli incrocî e l'obbligo di arrestarsi ai passaggi a livello incustoditi, per accertarsi che nessun treno fosse in vista.
Vivissime dispute giudiziarie e dottrinarie sorsero sulla questione della responsabilità civile per i danni prodotti dalla circolazione dei veicoli, poiché l'art. 79 del codice stradale stabiliva che il proprietario e il conducente dei veicoli erano obbligati solidalmente a risarcire i danni prodotti a persone o a cose dalla circolazione dei veicoli, quando non provassero che da parte loro si era avuta ogni cura nell'evitare che il danno si verificasse. Attenendosi rigorosamente alla lettera di questo articolo e ai lavori preparatorî della legge del 1912, da cui esso è derivato, qualcuno aveva creduto che la legge avesse voluto stabilire una presunzion assoluta di responsabilità a carico del proprietario del veicolo anche quando egli non avesse affatto contribuito con la sua volontà alla circolazione di questo.
Infine fu emanato il r. decr.-legge 2 dicembre 1928, n. 3179, portante norme per la tutela delle strade e per la circolazione. In esso, alle disposizioni del codice stradale del 1923 furono aggiunte quelle della tutela delle strade ed aree pubbliche già contenute in provvedimenti del 1865 e del 1905; fu creata una nuova categoria di autoveicoli, le motoleggere; furono apportate altre lievi modificazioni, fra cui la più importante è quella che scinde, in dati casi la solidarietà dei proprietarî di veicoli e dei conducenti per la responsabilità civile.
Nella seduta del 30 novembre 1929 la Camera dei deputati ha approvato nuove norme relative alla circolazione stradale. Dopo l'approvazione del Senato un'apposita commissione redigerà il testo definitivo del Codice della strada.
Tassa di circolazione. - A somiglianza dell'antica tassa sulle vetture, per la prima volta fu imposta in Italia una tassa di circolazione sulle automobili con la legge 22 luglio 1897; prima fu una tassa di lieve misura e di semplice applicazione; poi, attraverso numerose modificazioni, essa è diventata una tassa di notevole elevatezza e di complessa struttura. La legge in vigore è il regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3283, modificato sensibilmente dal regio decreto 29 dicembre 1927, n. 2446.
La tassa è basata principalmente sulla potenza del motore, che è calcolata secondo una formula che varia per i diversi tipi di motore. La formula per i motori a benzina a 4 tempi è la seguente:
nella quale HP è la potenza in cavalli-vapore, n è il numero dei cilindri, V è il numero della cilindrata (area dello stantuffo moltiplicata per la corsa) espresso in centimetri cubici. La tariffa della tassa varia poi secondo il tipo della macchina (motocicli, automonili, autoscafi), secondo la destinazione (per trasporto di merci o persone), secondo l'uso (per uso privato, per servizio di piazza per noleggio di rimessa, per servizio di regolare autolinea). Vi sono ancora tariffe speciali per i motocicli con carrozzetta, per automobili con più di 4 cilindri, per autovetture in servizio di piazza in città con popolazione superiore a 200.000 abitanti, per autobus in servizio di autolinee e per autocarri con pneumatici.
Sui motocicli e sulle automobili d'uso privato è imposto inoltre un aumento del 4.0 per cento, quale tassa di miglioramento stradale, che viene liquidata e riscossa insieme alla tassa di circolazione.
La tassa è annuale ed è dovuta non per il semplice possesso dell'autoveicolo, ma per il suo uso nelle strade. È perciò consentito pagare la tassa prima di mettere il veicolo in circolazione, godendo di una riduzione sulla tassa annuale, secondo il trimestre nel quale si esegue il pagamento. Come segno esterno dell'eseguito pagamento, ogni autoveicolo è munito di un contrassegno da fissare sulla sua parte anteriore.
Le automobili di nuova fabbricazione sono esentate dalla tassa per due trimestri..
Gli autoveicoli sono soggetti ad altre imposte, come il dazio doganale e la tassa di vendita sulla benzina, che colpiscono direttamente il consumo di questa e indirettamente l'uso degli autoveicoli.
Pubblico registro automobilistico. - Una felice creazione legislativa italiana è stata l'istituzione del pubblico registro automobilistico, fatta con regio decreto-legge 15 marzo 1927 n. 436, e con regio decreto 29 luglio 1927, n. 1814, per disciplinare la vendita degli autoveicoli e specialmente per favorirne la vendita a rate. A tale scopo è stato stabilito un privilegio legale a favore del venditore non soddisfatto; il privilegio grava sull'autoveicolo come un diritto reale che lo segue, anche se trasferito ad altro proprietario in buona fede; si tratta, in breve, di un diritto analogo al diritto ipotecario stabilito sugl'immobili. È questa un'ardita affermazione di rivalutazione giuridica della cosa mobile, che nel diritto romano e nel diritto medievale era ritenuta quasi res vilis; ed è insieme una delle più notevoli manifestazioni dell'economia contemporanea.
Nel Pubblico registro automobilistico vengono iscritti tutti gli autoveicoli immatricolati e messi in circolazione con gli eventuali privilegi; vengono annotati i loro trasferimenti e le vicende successive dei privilegi.
Questo nuovo istituto favorisce il credito automobilistico con forma e garanzia proprie e non mancherà di avere numerosi e vasti sviluppi.
In ogni capoluogo di provincia è stato all'uopo istituito un ufficio del Pubblico registro automobilistico, la cui gestione è stata affidata al Reale Automobile Club d'Italia.
Servizî pubblici. - In un paese come l'Italia, scarso di comunicazioni ferroviarie, dalla caratteristica configurazione allungata e ricco di accidentalità orografiche, i servizî di linee automobilistiche hanno preso un enorme sviluppo, riuscendo a tenere, fra tutte le nazioni, il primo posto per lunghezza di percorso e per numero di linee. Il percorso totale delle linee automobilistiche autorizzate ha quasi raggiunto i 100.000 km. Una gran parte di questi servizî è sussidiata dallo stato, che esercita su di essi un costante e minuzioso controllo. Nelle principali città sono istituiti servizî di linee urbane, che vanno sostituendo i servizî tramviarî specialmente nelle strade e nelle zone di maggior traffico. Numerose leggi disciplinano i servizî delle linee automobilistiche, la loro concessione, la loro gestione e le relative norme fiscali.
Non hanno raggiunto ancora il desiderato sviluppo gli altri servizî pubblici di trasporto automobilistico, come il servizio da piazza e il noleggio da rimessa. Il servizio da piazza è disimpegnato da speciali autovetture o motocarrozzette, sottoposte a concessione e a regolamentazione municipale, con l'obbligo di stazionare nelle strade o piazze pubbliche a disposizione degli avventori che le richiedano. Il compenso del servizio è stabilito in base a una tariffa comunale a seconda della lunghezza del percorso, ed è segnato per ogni servizio prestato da un apparecchio visibile all'avventore. Da questo apparecchio, detto tassametro (in francese abbreviato in taxi) ha preso il nome l'autovettura da piazza. Il noleggio da rimessa consiste nel nolo dell'automobile con la contemporanea prestazione d'opera del conducente.
Il Reale Automobile Club d'Italia. - Con regio decreto 14 novembre 1926, n. 2481, l'Automobile Club d'Italia fu costituito in ente morale con personalità giuridica, al fine di disciplinare e inquadrare le varie attività che nel campo automobilistico civile svolgono persone, associazioni, società, istituti ed enti non governativi nel regno, nelle colonie ed all'estero. ll detto ente assunse poi per sovrana concessione il nome di Reale Automobile Club d'Italia.
Quest'istituzione ha caratteristiche proprie ben distinte, sì da non potersi paragonare alle associazioni similari esistenti all'estero quantunque il Reale Automobile Club d'Italia sia federato nella associazione internazionale degli Automobile-Clubs reconnus.
Sorto da principio come associazione dei varî automobile-clubs, che avevano esclusivo carattere sportivo e turistico, esso fu, dopo la sua costituzione in ente morale, incaricato di servizî e funzioni statali, come la riscossione delle tasse automobilistiche, la tenuta del Pubblico registro automobilistico, la distribuzione delle targhe di riconoscimento, la vidimazione delle patenti, la statistica e lo schedario degli autoveicoli, ecc. Queste funzioni sono esplicate dall'ente per mezzo delle sue sedi provinciali, sotto il controllo e la sorveglianza della sede centrale e della direzione generale, che sono in Roma. Inoltre il Reale Automobile Club d'Italia è autorizzato a rilasciare i documenti internazionali riconosciuti (trittico e carnet de passages en douane) per ammettere in temporanea im portazione in Italia gli autoveicoli stranieri in esenzione dal deposito del dazio doganale.
Così, da libera associazione di automobilisti, il Reale Automobile Club d'Italia è passato ad assumere un carattere particolare che non ha riscontro in quello delle associazioni che con lo stesso nome si trovano negli altri paesi, perché, oltre a promuovere e difendere in generale gl'interessi dell'automobilismo e degli automobilisti italiani e stranieri, esso collabora con le autorità governative centrali e locali per l'esplicazione di tutte le funzioni statali che riguardano l'automobile.
Letteratura giuridica sull'automobile - Mentre la letteratura legislativa giuridica sull'automobile è molto ampia all'estero, specialmente in Francia Inghilterra e Germania, in Italia essa invece è molto scarsa, se si eccettuano le non numerose note compilate a commento dei giudicati penali e civili.
Un primo tentativo di compiuta esposizione critica delle leggi automobilistiche fu fatta dal B. Belotti nel suo Diritto turistico, edito dal Touring Club Italiano nel 1919.
Uno studio dedicato esclusivamente alla trattazione di tutte le leggi automobilistiche è il Codice dell'automobile e del motociclo del dott. M. Suglia, Milano 1927. Un breve commento alle norme di circolazione stradale sono il Codice della strada di G. Garuti (Como 1928) e il Codice della circolazione stradale e dell'automobile di U. Borsari (Roma 1929). Le massime di giurisprudenza in materia d'infortunî stradali furono raccolte e co nmentate nel volume di R. Scapaticci, Gli infortuni della strada e i responsabili, Milano 1928, e nell'altro di D. R. Peretti-Griva, Le responsabilità civili attinenti alla circolazione dei veicoli, Torino 1928.
Una rivista giuridica, La giustizia automobilistica, si pubblica a Torino dal 1925; la rivista Il diritto turistico s'occupa anche di questioni giuridiche automobilistiche.
Legislazione straniera. - La legislazione straniera sull'automobilismo non differisce molto da quella italiana per quanto concerne le norme di circolazione, essendo queste sempre ispirate ai principî fondamentali della ricordata convenzione internazionale di Parigi dell'11 novembre 1909.
Un numero molto maggiore di stati ha inviato un rappresentante ed ha aderito al convegno internazionale tenutosi a Parigi nell'aprile 1926, dal quale convegno vennero concretate due nuove convenzioni internazionali: una relativa alla circolazione su strade, l'altra relativa alla circolazione automobilistica. In queste convenzioni, che non sono state ancora ratificate dal governo italiano né dai governi di parecchî altri stati, sono fissati alcuni requisiti tecnici degli autoveicoli e le principali norme di circolazione di essi, nonché i mezzi d' identificazione dei veicoli e dei loro proprietarî. Grande diversità invece si nota circa la tassazione degli autoveicoli nei varî paesi stranieri.
In Germania, la velocità nell'interno degli abitati è limitata a 40 km. all'ora; in campagna non è imposto alcun limite. La responsabilità civile per gli accidenti stradali è limitata a cifre massime d'indennizzi; vige la presunzione di colpa solo per il possessore e per il conducente dell'automobile, ma con varie limitazioni di termini e di procedura. Le imposte automobilistiche sono proporzionali alla potenza dei veicoli per le vetture e i motocicli da turismo, e al peso per i veicoli industriali, adibiti a trasporto di cose e di persone. La tassa è annua, ma possono farsi pagamenti per bimestri o per semestri.
In Austria la velocità è limitata a 45 km. o a 15 km. orarî a seconda che si tratti dell'esterno o dell'interno degli abitati. Non esiste tassa di circolazione governativa: vi sono solo tasse provinciali.
Nel Belgio non esiste alcun limite di velocità. La tassa è di frs. 50 per HP fino al 24°, di frs. 75 oltre il 24°; esiste inoltre una tassa annua pari al 10% del prezzo iniziale del veicolo.
In Danimarca, per la responsabilità civile degli automobilisti è imposta l'assicurazione obbligatoria per un minimo di corone danesi 20.000 per le automobili, e 10.000 per i motocicli.
In Spagna non esiste limite di velocità; i comuni sono però autorizzati a imporre la velocità massima per l'interno degli agglomeramenti urbani. Le imposte automobilistiche sono comunali.
La legislazione francese è quella che più si avvicina all'italiana per le norme di circolazione (Code de la route). La responsabilità civile degli automobilisti è regolata secondo le disposizioni comuni del codice civile. Gli automobilisti sono gravati di tre tributi: 1) un'imposta dello stato basata sulla potenza del motore; 2) una tassa municipale che può raggiungere al massimo il 17% dell'imposta statale; 3) una tassa di prestazione in natura, pari a tre giorni di lavoro annuale e scontabile col pagamento in denaro.
In Inghilterra è imposto un limite di velocità di 20 miglia all'ora, salvo disposizioni locali. La tassa annua è di una lira sterlina per cavallo vapore di potenza del motore ed è pagabile in una volta tanto o per trimestri.
In Olanda esiste una tassa personale commisurata al valore dell'automobile e una di strada calcolata sul peso del veicolo.
In Norvegia la responsabilità è coperta con l'assicurazione obbligatoria, il cui minimo è di 20.000 corone. La tassa è di sei corone per 100 kg. di peso dell'automobile, ma esistono altre tasse sui pneumatici, per il controllo annuo, e una tassa di lusso.
In Svizzera le norme di circolazione e le imposte variano da cantone a cantone.
Così pure negli Stati Uniti d'America la legislazione automobilistica cambia nei singoli stati.
Tanto nella Svizzera quanto negli Stati Uniti d'America sono in corso studi e progetti per unificare le norme di circolazione.
Statistica. - Molte statistiche sul numero delle automobili si pubblicano nelle varie nazioni; esse vengono spesso fuse insieme e paragonate, ne vengono ricavate illazioni e si fanno studî sulle cause della maggiore o minore diffusione. Pochi studiosi però si curano di studiare le fonti o il modo di compilazione di tali statistiche; se questo studio fosse compiuto, si vedrebbe come vengano fusi o paragonati dati ed elementi affatto eterogenei. In alcuni paesi la statistica automobilistica si rileva dalle tasse annuali pagate; ognuno vede come un tale sistema sia difettoso, perché non annovera gli autoveicoli esenti dalla tassa né quelli che in un dato anno non vengono posti in circolazione. In altri paesi la statistica è basata sul numero delle licenze di circolazione; questo sistema è ancora più fallace del precedente, perché non tiene conto che a lunghi periodi degli autoveicoli messi fuori uso. Negli Stati Uniti d'America, dove l'automobile è ritenuto una cosa di valore quasi trascurabile, con grande facilità si distrugge o si smonta o si abbandona una macchina, senza che tale fattore abbia una sollecita ripercussione nelle statistiche ufficiali.
Una statistica ideale potrebbe essere formata con l'annotazione di tutti gli autoveicoli messi in circolazione e di tutti i mutamenti che in essi vanno via via verificandosi. Mercé il Pubblico registro automobilistico si può avere in Italia una statistica precisa e sempre aggiornata degli autoveicoli in circolazione nel regno. Infatti presso la sede centrale del Reale Automobile Club d'Italia è stato istituito, in seguito a un decreto del Ministero delle finanze, uno schedario statistico, dove si raccolgono tutti i rilievi fatti singolarmente negli uffici provinciali del pubblico registro. I rilievi consistono nella formazione di una scheda per ogni autoveicolo messo in circolazione. Tale scheda registra le variazioni successive; viene rinnovata se è necessario, ed eliminata quando il veicolo è tolto dalla circolazione.
Così anche per la statistica automobilistica l'Italia può vantare un primato di organizzazione e di precisione su altri paesi.
Le automobili nel mondo. - Da notizie ufficiali e ufficiose la National Automobile Chamber of Commerce degli Stati Uniti ha dedotto che al 1° gennaio 1929 circolassero in tutto il mondo 31.778.203 automobili e ha pubblicato una statistica delle automobili circolanti nei varî paesi, da cui togliamo i dati della tabella a pag. 580, seconda colonna, dati che, dopo quanto è stato detto sopra, devono ritenersi solo approssimativi.
Gli autoveicoli in Italia. - Prima dell'istituzione del Pubblico registro automobilistico la statistica degli autoveicoli circolanti in Italia era desunta dalle risultanze della riscossione delle tasse di circolazione; ma nel 1928 essa e stata fatta con criterî più razionali e più precisi in base ai dati forniti dal Pubblico registro automobilistico. La tabella in fondo alla pagina precedente dà il numero delle automobili al 30 aprile 1929 nelle varie regioni d'Italia.
Per seguire il progredire degli autoveicoli nel regno si confronti il quadro seguente, ricavato anche dal pagamento della tassa di circolazione:
L'automobilismo militare.
Gli organismi automobilistici. - I progressi verificatisi nell'armamento degli eserciti e la mole raggiunta dalle masse armate odierne hanno reso talmente complesso il problema dei rifornimenti e dello sgombero dei mezzi occorrenti agli eserciti operanti, da obbligare a ricercarne la soluzione mediante l'impiego su larga scala dei mezzi automobilistici in sostituzione di quelli carreggiati a traino animale.
La rapidità di trasporto e il rendimento maggiore degli automezzi hanno dato così la possibilità di far giungere in tempo alle truppe l'ingente quantità di materiali necessarî per vivere e combattere.
L'introduzione dell'automobilismo negli eserciti ha rappresentato una vera rivoluzione, perché la comparsa di automezzi in gran numero sui campi di battaglia della guerra mondiale, oltre a render possibile il funzionamento dei normali servizî logistici, come si è detto, consentì anche l'effettuazione di manovre strategiche, sia mediante il trasporto celerissimo delle ingenti masse di materiali occorrenti per le azioni offensive, sia specialmente mediante il concentramento di intere grandi unità nelle zone ove era necessaria una superiorità numerica schiacciante per rompere la fronte nemica, per arginare un'offensiva in corso o per passare alla controffesa.
Sulla fronte italiana, furono trasportati con mezzi automobilistici, nel 1916, dal Carso agli Altipiani 120.000 uomini che spezzarono l'offensiva austriaca; oltre 100.000 durante la battaglia del Piave; e ben 230.000 durante la battaglia di Vittorio Veneto; senza contare le migliaia di cannoni e i milioni di proietti che furono fatti affluire con traino meccanico per lo sviluppo di tali azioni.
Recente è l'introduzione dell'automobilismo nell'esercito italiano. Essa si può fare risalire agli anni 1910-11, quando cioè venne costituito un battaglione automobilisti di due compagnie, assegnato al 6° reggimento genio-ferrovieri di stanza a Torino.
Nel 1912 tale organizzazione venne ampliata, sia con le disposizioni concernenti il censimento e la rivista degli autoveicoli (decreto del 12 agosto 1912), sia con la trasformazione in compagnie automobilistiche di 6 delle 40 compagnie treno d'artiglieria.
Alcuni miglioramenti vennero apportati nel 1913 e specialmente durante il periodo 1914-1915, intesi soprattutto ad aumentare il numero degli automezzi e il personale occorrente per l'esercito mobilitato. All'entrata in guerra (1915) questo disponeva dei seguenti mezzi automobilistici:
Personale: ufficiali 500, truppa 9000; materiale: autovetture 500 (comprese le autoambulanze), autocarri 3500, motocicli 1350.
Con questi mezzi si provvide alla costituzione dei parchi di armata e dei drappelli assegnati ai varî comandi e intendenze.
Ogni parco automobilistico di armata comprendeva un numero vario di reparti automobilistici, in relazione alla forza dell'armata, e un deposito laboratorio. In genere, si ebbero tanti reparti quanti erano i corpi d'armata, più uno per l'intendenza di armata.
Ogni reparto automobilistico era composto da tante autosezioni di 22 autocarri quante erano le divisioni, più una a disposizione del corpo d'armata.
Le esigenze della guerra misero presto in luce la necessità di accrescere la quantità dei mezzi automobilistici, in relazione anche all'aumento notevolissimo delle artiglierie pesanti e alle nuove possibilità strategiche consentite dall'automobilismo. Si provvide, così, alla riunione delle trattrici per le artiglierie di grosso calibro in appositi parchi autotrattrici di armata, organizzati in modo analogo ai parchi automobilistici, posti, però, per l'impiego, alla dipendenza dei comandi d'artiglieria. Inoltre si provvide alla costituzione di un autoparco di riserva posto alle dipendenze dell'Intendenza generale e che doveva provvedere alla formazione delle nuove unità automobilistiche ed al rifornimento degli automezzi completi.
Tale autoparco si trasformò in seguito in autoparco di manovra, a disposizione del Comando supremo, per il trasporto strategico di truppe. Dopo il novembre 1917 però si ricostituì anche l'autoparco di riserva con funzioni nettamente distinte da quello di manovra.
Per l'istruzione del numeroso personale occorrente si dovette costituire presso ogni autoparco di armata un autoreparto di marcia.
Un'idea dello sviluppo assunto dall'automobilismo nel nostro esercito durante la guerra, può essere dato dalle seguenti cifre, che si riferiscono all'epoca dell'armistizio: autovetture 2500, autocarri 28600, motocicli 6000, ufficiali 3000, truppa 130.000.
L'ordinamento di tali mezzi era il seguente: a) autoparco di manovra, dipendente dall'Intendenza generale, ma a disposizione del Comando supremo, comprendente un numero vario di autogruppi, ognuno dei quali poteva trasportare un battaglione di fanteria; b) autoparco di riserva, posto pure alle dipendenze dell'Intendenza generale, per il rifornimento degli autoveicoli; c) autoparchi di armata (uno per armata), costituiti da tanti autoreparti quanti erano i corpi d'armata, più un autoreparto di riserva, per far fronte ad esigenze straordinarie, e un autoreparto di marcia: ogni autoreparto di corpo d'armata comprendeva, in genere, due autosezioni ordinarie di 22 autocarri per ogni divisione, più una per il corpo d'armata; d) parchi trattrici di armata, comprendenti autoreparti trattrici e sezioni traino; e) autodrappelli, assegnati ai comandi e intendenze.
Nel dopo guerra l'organizzazione del servizio automobilistico ha subito successive modificazioni.
Nel 1920 venne creato il Corpo automobilistico militare comprendente la direzione centrale automobilistica e 10 centri automobilistici, in ragione di uno per corpo d'armata territoriale. L'ordinamento del 1923, invece, riunì l'automobilismo con il servizio trasporti a traino animale. Si ebbe, così, il Servizio trasporti militari comprendente 10 raggruppamenti trasporti e un'officina di costruzioni automobilistiche. Ogni raggruppamento trasporti era così costituito: comando, deposito, un gruppo automobilistico e un gruppo treno. Anche tale sistemazione ebbe poca durata perché l'ordinamento del 1926 separò nuovamente l'automobilismo dal treno e diede vita all'attuale organizzazione del Servizio automobilistico militare che comprende: 1 ispettorato tecnico automobilistico; 13 centri automobilistici, in ragione di uno per ogni corpo d'armata e comandi militari della Sicilia e della Sardegna; 1 officina automobilistica del regio esercito.
Ogni centro automobilistico comprende: comando, deposito e un gruppo automobilistico di 2 compagnie. Solo il centro automobilistico della Sardegna ha una sola compagnia invece di un gruppo di 2 compagnie. In totale 12 gruppi e 23 compagnie.
Gli ufficiali assegnati ai centri Automobilistici continuano ad appartenere alla rispettiva arma di provenienza, della quale conservano anche l'uniforme leggermente modificata nel fregio del berretto. La truppa, invece, ha uniforme con mostreggiatura e distintivi speciali.
I progressi della trazione meccanica hanno indotto gli eserciti a sostituire in parte, nel traino dei cannoni, l'automezzo al cavallo e anche a portare le artiglierie sugli autocarri o addirittura a utilizzare, come piattaforma, lo stesso autocarro. Si hanno così artiglierie autotrainate, artiglierie portate e autocannoni.
Nell'esercito italiano sono autotrainate le artiglierie pesanti che formano 5 reggimenti e le pesanti campali che ne costituiscono 13; portate sono quelle di due gruppi del reggimento d'artiglieria a cavallo, mentre tutte le batterie controaerei da 75-27 C.K. sono costituite da autocannoni.
In altri eserciti si tende anche a sostituire completamente al traino animale delle artiglierie quello meccanico e persino a creare grandi unità interamente motorizzate (v. carreggio).
Gli autoveicoli militari. - Gli stati maggiori degli eserciti usano largamente di autovetture, le quali sono identiche a quelle di uso civile o poco dissimili; i riparti logistici invece impiegano l'autocarro, sia di tipo comune, sia di tipo speciale. Il primo ha una carrozzeria semplicissima, formata di un cassone con sedile, e relative tende di copertura; esso può essere leggiero (adatto a zone montane) per un carico di circa 1500 kg. e velocità da 40 a 50 km. in piano; medio, per un carico di 2500 kg. e velocità da 30 a 40 km.; pesante per carichi da 4 a 6 tonn. e più e velocità da 20 a 30 km. Le loro ruote son sempre montate con gomme piene o con pneumatici. Tali autocarri costituiscono il nerbo dei mezzi militari di trasporto; nella guerra ultima il nostro esercito cominciò impiegandone nel 1915 circa 3000, e finì nel 1918 con averne disponibili circa 30.000.
L'esercito ricorre anche ad altre moltissime specie di autoveicoli, le quali pur avendo il telaio quasi di tipo commerciale, portano però carrozzerie adatte a speciali fini: tali sono le autoambulanze (comuni, radiologiche, odontoiatriche, chirurgiche), le autopompe, gli autofrigoriferi, le autostufe, le auto-officine, le autobotti, le autocolombaie, le autotipolitografie, le autogrù, le autostazioni (radiotelegrafiche, fotoelettriche, ecc.), gli autoverricelli, gli autogeneratori di gas, e altri i cui nomi spiegano chiaramente il loro ufficio. I tipi più pesanti sono spesso adattati a trainare uno o più rimorchi (cioè carri ordinarî a quattro ruote); in tal caso si dicono trattori se leggeri (come il Pavesi), e trattrici se pesanti (come i Fiat e i Pavesi-Tolotti). Tra le varie specie di tali autoveicoli merita speciale menzione il tipo Pavesi, che si differenzia da tutti gli altri, perché il suo corpo è diviso in due parti (avantreno e retrotreno) snodate a cardano, ciascuna sostenuta da una sala con due ruote motrici, cosicché le quattro ruote si adattano al terreno, qualunque forma questo abbia; tale tipo di autoveicolo dà in pratica ottimi risultati.
Questi tipi sono però adatti a muoversi su fondi stradali di ordinaria resistenza; quando occorrono trasporti su terreni molli, o sabbiosi (come nelle operazioni coloniali) o anche su neve, allora si ricorre a telai a sei ruote (di cui quattro motrici), o meglio ancora a telai, i quali, in luogo delle ruote posteriori, hanno due assi che portano dei rulli, su cui scorrono dei cingoli speciali, o metallici e snodati, o di gomma; questi cingoli dànno una grande superficie di appoggio sul suolo, quindi non affondano. Infine si hanno autoveicoli, nei quali sia le ruote posteriori sia le anteriori sono sostituite da un unico cingolo per ogni fiancata, a sostegno di tutto il carro.
Molti tipi di autocarri militari si differenziano da quelli del commercio anche nel telaio; essi sono studiati in tutte le loro parti meccaniche per un determinato scopo: tali sono i carri armati, i quali più che mezzi di trasporto si possono considerare come mezzi di combattimento (v. anche carreggio).