Automobile
Currus etiam possunt fieri
ut sine animali moveantur
cum impetu inaestimabili
(Ruggero Bacone)
L'automobile oggi e domani
di Sergio Pininfarina e Mauro Coppini
18 febbraio
In seguito al ritiro della maggior parte delle industrie automobilistiche straniere, la sessantanovesima edizione del Salone internazionale dell'auto, che si sarebbe dovuta aprire a Torino il 25 aprile, viene annullata. Alla base della mancata partecipazione è la critica situazione del mercato, che ha visto nell'ultimo anno una marcata contrazione delle vendite. A fronte di tali difficoltà si moltiplicano le ricerche sul modo di 'rilanciare' l'automobile, rendendola più adatta alle esigenze attuali e future.
La crescente importanza dello stile
di Sergio Pininfarina
Dallo styling al design
Oggi il mercato richiede in tutto il mondo una sintesi tra bellezza e qualità funzionale, tra stile ed efficacia, e questo è quindi il principale obiettivo che un designer deve raggiungere. Industria, tecnologia e ricerca estetica partecipano pienamente al processo creativo, ma non è sempre stato così. Nel lontano passato, ai tempi della Rivoluzione industriale, infatti, non veniva attribuita molta importanza all'estetica del prodotto. Stava nascendo una nuova società, un nuovo stile di vita: l'industria era freneticamente impegnata a rispondere alla crescente domanda del mercato sviluppando nuove tecniche; non aveva tempo per altro. In quegli anni, gli imprenditori realizzavano prodotti essenzialmente funzionali e pratici che non erano molto apprezzati dalla società, in particolare dal mondo intellettuale, ancora legato al modello culturale rinascimentale delle cosiddette arti maggiori; i prodotti industriali costruiti in serie erano visti come l'antitesi del capolavoro, pezzo unico dell'artista.
Ma anche senza risalire a tempi così lontani e riferendoci agli anni della rinascita dell'economia dopo la Seconda guerra mondiale, i progetti tenevano conto principalmente di fattori economici e tecnici: l'entità degli investimenti, la facilità di costruzione, i metodi di produzione, le prestazioni da conseguire. Pochissimo valore veniva dato all'estetica. Nelle aziende gli stilisti non contavano quasi nulla: dovevano solo migliorare l'aspetto di quanto preparato dai tecnici. Solo più tardi, negli anni Cinquanta, l'aspetto estetico, allora chiamato 'styling', acquistò maggiore importanza.
Per la verità, la concezione industriale dello styling nacque prima, ma non in Europa, bensì negli Stati Uniti. Oltre 70 anni fa Alfred Sloan, a quel tempo presidente della General Motors, intuì che lo styling sarebbe diventato in futuro l'elemento più importante e aggressivo nella promozione delle vendite. Di conseguenza nacquero i primi 'centri stile' dell'industria automobilistica che pianificavano il rinnovamento estetico dei modelli, creando di fatto un'obsolescenza programmata dei prodotti.
Dopo un periodo di sviluppo impetuoso, negli anni Settanta le crisi petrolifere imposero un ripensamento più razionale, più funzionale dell'automobile; lo stilismo sterile lasciò spazio al 'design', ovvero a un approccio di progettazione della forma dell'automobile più consapevole. In quegli anni si cominciò a parlare di accessibilità, aerodinamica, ergonomia. Insomma i creativi si trasformarono da poeti della matita a veri e propri progettisti. Lo styling iniziò a diventare design, comprendendo in questo termine tutti gli aspetti di un progetto: estetica, tecnica, funzionalità, esigenze di produzione e di utilizzo. Entriamo così nella fase contemporanea del design, che oggi è 'progetto' nel senso più completo e nobile del termine.
Come conseguenza si richiedono ora al designer una nuova cultura e una rinnovata formazione professionale. Infatti oggi, in un'impresa, il dipartimento di design deve lavorare in stretta collaborazione con gli altri settori e condividere - fin dalle prime fasi del processo creativo - la filosofia del prodotto e gli obiettivi che si vogliono raggiungere. Questo non significa però trasformare il designer in un ingegnere o in un venditore: il suo obiettivo principale rimane la ricerca del bello o, meglio, della personalità estetica; la sua vocazione di fondo resta essenzialmente artistica. Infatti, perché un nuovo prodotto abbia successo, che esso sia funzionale, tecnologicamente avanzato e facilmente producibile è condizione necessaria, ma non sufficiente: esso deve anche avere una forte personalità estetica in cui si fondano bellezza e innovazione.
Se già ai tempi di Sloan il buon design serviva a vendere, oggi questo elemento ha assunto un rilievo ancora maggiore: perché, ora più che mai, la competizione sempre più accesa ha portato a prodotti sempre più equivalenti in termini di prezzo, prestazioni e qualità. Sono tutti fattori importanti. Ma se esaminiamo le ragioni essenziali per cui alcuni prodotti hanno avuto un così enorme successo e per così tanto tempo, vediamo che un fattore- oltre al valore tecnico- è decisivo e fa la differenza: la loro personalità estetica. Infatti se si vedono due oggetti diversi, che svolgono ugualmente bene una certa funzione, a quale istintivamente andrà la nostra preferenza? Sicuramente a quello esteticamente più attraente e l'ammirazione si trasformerà in desiderio di possesso.
Lo studio delle tematiche che più attraggono il pubblico ha ricevuto un importante contributo dallo psicologo americano Abraham H. Maslow, il quale affermò che i bisogni psicologici di un uomo formano una piramide a cinque strati; allo strato più basso si trova il desiderio di soddisfare le necessità primarie - come il cibo, i vestiti, la casa - mentre nello strato più alto si trova il bisogno di autorealizzazione: gli uomini vogliono sentirsi pienamente soddisfatti delle loro scelte. Quando un prodotto - com'è il caso dell'automobile - negli anni diventa maturo, la sua evoluzione segue questo percorso, scala tale piramide ed è per ciò che il design moderno deve ora tenere conto anche di questi stimoli psicologici.
Il ruolo del design non avrebbe assunto tanta importanza se non fosse stato supportato dai nuovi metodi resi possibili dall'informatica. Chiariamo innanzitutto che, anche se essi hanno offerto un contributo essenziale al processo di fabbricazione, di fatto l'uomo ha conservato la parte più nobile di esso: la creatività, il giudizio, l'approvazione. Le macchine hanno assunto solo i compiti più materiali e ripetitivi: il calcolo, la costruzione, il controllo. Sostanzialmente le macchine non forniscono che le risposte alle domande poste dall'uomo. Oggi però la tecnologia ha fatto un passo avanti importante e rivoluzionario, perché con la nascita del CAS (Computer aided styling) le macchine non aiutano più solo il processo esecutivo del design, ma addirittura la creatività stessa del designer. Infatti il CAS offre possibilità incomparabilmente maggiori; consente- senza aver neppure iniziato la costruzione di un modello- di vedere anche in scala naturale 1:1 un progetto da diverse angolazioni, nel suo ambiente naturale con molti punti di riferimento, come persone o cose. Con l'ausilio quindi di un modello assolutamente immateriale possiamo avvicinarci, in un modo in passato neppure immaginabile, alle sensazioni che ci darà il prodotto finale, lo possiamo addirittura visualizzare in movimento nel suo ambiente naturale: siamo entrati nel campo della realtà virtuale.
Le differenze di metodo del processo creativo di oggi rispetto a quelli del passato sono quindi abissali, anche se i principi fondamentali rimangono gli stessi: la ricerca della semplicità delle linee, delle proporzioni delle masse, dell'armonia tra vuoti e pieni e il rispetto della funzionalità.
In sintesi, le funzioni del design sono: dotare un oggetto di bellezza e personalità estetica, un ideale che l'uomo ha sempre cercato; migliorare la qualità della vita, nella misura in cui esso realizza oggetti d'uso più funzionale; divenire fattore di sviluppo economico, essendo un elemento determinante del successo commerciale di un prodotto. Ma il buon design ha anche una funzione culturale di grande valore: può aiutare a non ripetere gli errori commessi in passato proprio dalle nazioni più industrializzate, quando molto spesso sono stati sacrificati allo sviluppo valori culturali ed ecologici. Una rilettura intelligente e critica della nostra esperienza può permettere ai paesi in via di sviluppo di procedere nel processo di modernizzazione della società in un modo più lungimirante.
Il made in Italy
Dopo aver ripercorso i punti salienti della storia dello stile, si può aggiungere che esso è un valore tipicamente italiano. Perché questa affermazione? Innanzitutto viviamo in un paese particolarmente congeniale all'attività creativa: non dimentichiamo che oltre la metà dei capolavori esistenti al mondo si trovano in Italia. Inoltre traiamo forza da quell'antica tradizione profondamente radicata nella nostra cultura che produsse le botteghe del Rinascimento e la ricerca scientifica, creativa e artistica di quel genio poliedrico tipicamente italiano che fu Leonardo. Egli ci insegna che la bellezza della forma è frutto di un profondo impegno teso al raggiungimento dell'alta qualità. Il design, abbiamo visto, tende proprio a essere il punto d'incontro di forma e tecnologia, di gusto e funzionalità. Nulla pare essere più congeniale al cosiddetto genio italico di questa permanente tensione ad armonizzare bellezza e funzionalità.
L'eccellenza dello stile italiano, divenuto sinonimo di creatività e di qualità innovativa, è universalmente riconosciuta: di qui è nato il mito del 'made in Italy'. Una dimostrazione fra le tante: al Museum of Modern Art di New York, nella sezione dedicata al design industriale, molti dei prodotti permanentemente esposti sono capolavori italiani: per es. opere di Mario Bellini, Achille e Piergiacomo Castiglioni, Vico Magistretti, Ettore Sottsass, Marcello Nizzoli, Massimo Vignelli, Marco Zanuso. Tengo infine a citare la Cisitalia 202 GT, la prima automobile esposta come oggetto d'arte; ne sono orgoglioso perché fu mio padre, Pinin Farina, il designer di questa famosa vettura, nel 1947.
L'industria automobilistica e il design
Finora ho parlato di design. Se allarghiamo lo sguardo alla situazione generale dell'industria automobilistica, va innanzitutto notato che oggi il mondo dell'automobile è completamente diverso da quello di cinquant'anni fa, sia sul piano tecnico sia su quello economico e commerciale. Basti pensare che nel corso degli anni Cinquanta esistevano più di 50 case costruttrici di automobili, attive principalmente in Europa e negli Stati Uniti. Oggi il numero dei costruttori è drasticamente diminuito, sia a causa della selezione naturale, sia in seguito a fusioni o incorporazioni. In totale, i grandi costruttori non sono ormai più di una ventina e la fase delle concentrazioni non è ancora terminata.
D'altro canto, il numero di paesi costruttori è aumentato, perché dagli anni Cinquanta ai giorni nostri l'industria automobilistica ha avuto un grande sviluppo in Giappone, Corea, Malesia, India e Cina, e un certo numero di questi costruttori è oggi attore molto importante nel panorama automobilistico mondiale. Infine - e anche questo a causa del fenomeno della globalizzazione - i grandi costruttori automobilistici non lavorano più soltanto nel loro paese d'origine per esportare di lì i loro prodotti nel resto del mondo, ma costruiscono direttamente nei vari paesi con le loro organizzazioni di produzione in loco. Di conseguenza, il panorama è completamente cambiato. Anche i costruttori di carrozzerie hanno iniziato a trasformarsi da produttori 'di nicchia' in società di servizi, divenendo veri e propri partner dei costruttori, inizialmente eseguendo studi di stile per conto terzi; più recentemente effettuando attività di ingegneria. Questa trasformazione si è prodotta perché nel mondo dei costruttori si dà oggi al design un'importanza molto maggiore rispetto al passato: tutti hanno preso coscienza che lo stile è divenuto una componente essenziale per il successo dei modelli di futura produzione. Lo dimostrano anche gli ingenti investimenti che i costruttori effettuano per la realizzazione di modernissimi centri di stile tecnologicamente avanzati.
Come noto, la realizzazione di un nuovo modello esige investimenti assai cospicui che esercitano un'influenza sensibile sul prezzo di vendita. È questa la ragione per cui i grandi costruttori analizzano in modo molto attento una pluralità di proposte di design prima di scegliere la formula definitiva. Procedere a studi di stile comparati per offrire una più vasta possibilità di scelta a chi deve decidere costa relativamente poco in rapporto ai costi totali degli investimenti, che - come ho già detto - sono molto elevati; ci si trova di fronte a una spesa relativamente bassa per una posta molto alta.
Per questo motivo, quando i grandi costruttori automobilistici esaminano nuovi modelli, non solo li studiano all'interno dei loro centri stile, ma paragonano i loro progetti a quelli realizzati da società di design indipendenti, in modo da avere una vasta gamma di proposte tra le quali scegliere.
Negli ultimi anni, infine, per ottenere una diminuzione dei costi, i costruttori automobilistici hanno razionalizzato i loro progetti in modo da utilizzare una piattaforma unica per diversi modelli. Il risultato è che vari modelli di vetture, appartenenti addirittura a marche diverse, sono prodotti con la stessa piattaforma di base. Che cosa significa? Che la personalità estetica costituisce il principale elemento di differenziazione sul mercato. Il design ha quindi significativamente accresciuto la sua importanza: oltre a essere un determinante fattore di promozione delle vendite e di riduzione dei costi, è divenuto l'elemento forse più distintivo dell'immagine di una marca.
Le prospettive future
Per concludere, vorrei dedicare qualche riflessione al futuro. Tengo innanzitutto a dire che l'automobile è passata attraverso periodi di forte espansione e di grande crisi, ma ha sempre dimostrato di saper rinnovarsi e sormontare ogni difficoltà - dalla crisi energetica a quelle economiche - con grande vivacità e spirito d'innovazione. L'automobile ha dato prova di essere un prodotto ancora giovane e suscettibile di nuovi sviluppi; inoltre, il fatto che l'industria continui a investire in modo così massiccio per rinnovare i modelli in produzione e le tecnologie di prodotto e di processo costituisce la migliore garanzia per il suo avvenire.
Tutti sanno che l'automobile - forse il prodotto più significativo del 20° secolo - ha portato molti vantaggi a tutti noi nella nostra vita quotidiana, sia quando lavoriamo sia quando ci godiamo il tempo libero. Ma ha anche creato problemi per la nostra società: mi riferisco all'inquinamento atmosferico, agli incidenti stradali, alla congestione urbana. La sfida più importante che deve ora affrontare è quella dell'ambiente, della riduzione delle emissioni. Innanzitutto, mi sembra giusto riconoscere che, tra tutti i settori industriali, il settore automobilistico è quello che ha investito di più nel campo dell'ecologia, lavorando intensamente allo sviluppo di tutte le soluzioni tecnologiche che permettono all'automobile di oggi di garantire standard di sicurezza sempre più elevati, di utilizzare materiali facilmente riciclabili, di ridurre i consumi e di conseguenza di produrre sempre meno emissioni.
A questo scopo, l'industria automobilistica ha seguito due filoni: da una parte il miglioramento dei sistemi di propulsione tradizionali, che hanno ridotto il livello di emissioni nocive di ben il 95% dagli anni Settanta ai giorni nostri, dall'altra la ricerca di nuovi sistemi di propulsione a basso o zero inquinamento. Si pensi alle vetture a propulsione elettrica e ibrida, in serie o in parallelo, che già appartengono alla realtà attuale. Alle sfide del futuro, mi sembra che appartengano invece più propriamente i sistemi di propulsione che utilizzano l'idrogeno: sia con motori a combustione interna sia con le fuel cells o celle a combustibile. Questa pare la soluzione finale di tutti i problemi, corrispondente alla realizzazione di un grande sogno: quello di aver inventato veicoli non inquinanti. Dal punto di vista tecnico, si può dire che i problemi siano stati sostanzialmente risolti. Ciò che resta da risolvere è il problema economico, che richiederà ancora anni prima di permettere la commercializzazione di questi veicoli a prezzi competitivi.
Desidero però soprattutto evidenziare un concetto di fondo: ho la convinzione che questi nuovi sistemi di propulsione porteranno una rivoluzione anche dell'architettura dei veicoli. Tutti ricordiamo che, nel momento in cui nacquero, le prime automobili sembravano vetture a cavallo nelle quali al posto del cavallo era stato montato un motore termico. Oggi i nuovi sistemi di propulsione non hanno ancora determinato variazioni di peso e dimensioni tali da cambiare l'architettura dei veicoli, ma ritengo che lo faranno ed è così che nasceranno nuove generazioni di veicoli, nuove forme, nuove architetture. Si pensi alle opportunità offerte dall'uso congiunto delle celle a combustibile e della tecnologia drive-by-wire: questo apre la porta a possibilità di progettazione e stilistiche incredibili. Infatti, i sistemi di celle a combustibile possono essere posizionati ovunque e prendere forme e dimensioni nuove; il sistema drive-by-wire elimina la pedaliera, il cruscotto e lo sterzo e così il conducente del veicolo può sedersi ovunque desideri. Ci troviamo davanti a un capitolo nuovo ed eccitante della costruzione automobilistica.
Il mondo non si è ancora reso conto delle implicazioni infinite di queste nuove prospettive. In effetti, finora sono state realizzate forme automobilistiche ispirate dalle meccaniche tradizionali, ma questi legami spariranno presto. Spetta a noi designer fare un vero salto culturale e inventare forme nuove, anche rivoluzionarie, da unire alle nuove meccaniche: una sfida che - sono certo - aprirà capitoli nuovi e stimolanti.
Alla ricerca di un'auto non inquinante
di Mauro Coppini
Le prime notizie relative all'utilizzo del petrolio risalgono al 3000 a.C. quando nella città di Ur in Mesopotamia l'asfalto, un suo derivato, trovò largo impiego nella costruzione della Torre di Babele: forse un segno premonitore dell'importanza che questa risorsa era destinata ad assumere ai giorni nostri, ma anche della complessità dei problemi che il suo impiego su larga scala avrebbe comportato. Il petrolio, sotto forma di carburante o di materia plastica, è indissolubilmente legato all'automobile. Benzina e gasolio, grazie alla facilità di stoccaggio, al rilevante potere calorifico e al costo relativamente contenuto, sono alla base dell'enorme diffusione del motore a combustione interna che, all'inizio del Novecento, ha rapidamente soppiantato alternative già tecnologicamente mature, come le macchine a vapore o a trazione elettrica.
Attualmente il parco circolante mondiale supera di gran lunga il mezzo miliardo di unità con una concentrazione che, nelle grandi città, ha raggiunto livelli elevatissimi. I risultati sono, da una parte, la progressiva diminuzione della velocità commerciale dell'auto, la cui evoluzione prestazionale è vanificata dall'incremento del traffico, dall'altra e soprattutto, la crescita dei livelli di inquinamento, ben oltre i limiti imposti dalle esigenze di salute pubblica.
I carburanti ottenuti per distillazione frazionata del petrolio sono composti di molecole formate da atomi di carbonio e idrogeno. La loro combustione all'interno della camera di scoppio, in presenza dell'aria come comburente, dà origine a sottoprodotti che vengono liberati nell'atmosfera attraverso l'impianto di scarico. Anidride carbonica (cui è in parte addebitabile l'effetto serra), ossido di carbonio (velenoso), ossidi di azoto (responsabili delle piogge acide e della formazione di ozono) e idrocarburi incombusti (cancerogeni) sono il 'necessario' e scomodo risultato del funzionamento di un motore a scoppio. La produzione di gas inquinanti è connaturata al funzionamento stesso del propulsore: può essere certamente ridotta, ma non potrà mai essere eliminata totalmente.
Ciononostante i risultati prodotti dalla lotta all'inquinamento sono di grande portata. L'utilizzo delle marmitte catalitiche trivalenti, ossidanti e riducenti, con catalizzatore su base ceramica in grado di sopportare temperature estremamente elevate, e il miglioramento del rendimento dei motori grazie a un uso esteso dell'elettronica per la gestione degli impianti di iniezione e di accensione, con la conseguente contrazione dei consumi, hanno ridotto del 70% le emissioni di un'automobile attuale (normativa 'Euro 3', in vigore dal 1° gennaio 2001) rispetto a una di dieci anni fa. Dal 1° gennaio 2006, anno di introduzione della normativa 'Euro 4', dovrà essere attuata un'ulteriore diminuzione del 50%, che potrà essere ottenuta nei motori a benzina con l'adozione di camere di scoppio in grado di consentire la combustione di miscele particolarmente magre (lean burn) e nei diesel con iniezioni multi-jet (più iniezioni nello stesso ciclo) per eliminare all'origine la formazione di polveri. Obiettivi del genere richiedono di installare in vettura un vero e proprio laboratorio chimico il cui costo incide pesantemente sul prezzo finale dei modelli, in particolare di quelli appartenenti alla fascia più bassa. Si deve ricordare poi che l'eliminazione del piombo tetraetile (con effetti antidetonanti e lubrificanti), incompatibile con il duraturo funzionamento dei catalizzatori, e la sua sostituzione con composti aromatici hanno determinato un inquinamento da benzene difficilmente contrastabile a causa della grande volatilità. Un altro punto debole del catalizzatore deriva dal fatto che per assicurarne il pieno funzionamento la temperatura deve essere molto elevata e mantenersi superiore ai 300 °C. Ne consegue che nella fase di avviamento i livelli inquinanti sono fuori controllo. D'altra parte il catalizzatore, nonostante la complessità e i costi elevati dovuti all'impiego di metalli preziosi (platino, palladio, rodio), costituisce almeno per ora l'unica soluzione capace di far fronte a normative sempre più globalizzate: vere e proprie barriere collocate all'ingresso dei mercati. La ricerca di un'auto ecologica a costi bassi non è quindi solo un semplice esercizio di ricerca applicata ma piuttosto l'arma adatta per combattere e vincere sul mercato mondiale.
Attualmente la situazione non è del tutto soddisfacente per una serie di motivi. Il primo è legato alla difficoltà di intervenire su un parco auto smisurato, composito e assolutamente disomogeneo: una caratteristica che rende impraticabili piani di riconversione generalizzati. Un altro ostacolo è costituito dalla sempre maggiore complessità delle soluzioni tecniche adottate per raggiungere gli obiettivi ambiziosi proposti dalle normative, complessità che si riflette sui costi e, soprattutto, richiede nuove consapevolezze all'utente. Una cattiva manutenzione e una guida disattenta possono in gran parte vanificare i risultati perseguiti a così caro prezzo. Si pensi che sono sufficienti due mancati avviamenti per mettere fuori uso una marmitta catalitica.
L'auto è un sistema complesso nel quale ogni intervento deve essere coerente con l'insieme delle componenti che lo costituiscono, pena la sua assoluta inefficacia. Qualunque soluzione motoristica non può prescindere dalla qualità dei carburanti. La generalizzazione dei sistemi di iniezione diretta common rail nei motori diesel ha consentito
grandi incrementi nelle prestazioni, ma ha anche evidenziato l'insufficiente qualità del gasolio disponibile alle pompe con eccessi di acqua capaci di mettere in crisi le pompe di iniezione. Allo stesso modo, sempre a sottolineare l'interdipendenza delle componenti del sistema, la crescita della quota di mercato delle vetture diesel, ormai prossima al 50% del totale, resa possibile dalla maggiore efficienza garantita dai motori a iniezione diretta, ha provocato, in combinazione con particolari condizioni atmosferiche, intollerabili emissioni di idrocarburi incombusti per i quali si rendono necessari filtri antiparticolato di derivazione industriale. Con l'auto non si può adottare la politica del 'punto e a capo'; l'evoluzione tecnica, da sola, non è del tutto risolutiva proprio perché alla sua progressiva applicazione si oppone il contemporaneo deterioramento del parco circolante. A tutto questo si aggiunga che il deinquinamento del motore a scoppio comporta, in prospettiva, una parziale rinuncia a quelle caratteristiche di funzionamento che sono alla base del suo successo, prima fra tutte una semplicità costruttiva che si traduce in facilità di gestione e riparazione. Oggi la componente elettronica pesa molto di più, in termini di costi, di quella meccanica e la coesistenza di tecnologie appartenenti a generazioni diverse innesca problemi di affidabilità di difficile gestione. Per di più a tanta elettronica di bordo non corrisponde un'analoga sofisticazione delle infrastrutture. Strade e autostrade sono ancora 'soggetti passivi' nel rapporto con l'auto mentre è solo con l'interazione tra le due componenti del sistema che si possono ottenere i migliori risultati, accelerando il flusso di traffico e diminuendo i consumi e il livello delle emissioni e la loro concentrazione.
Un'ulteriore evoluzione dell'auto convenzionale non può che allargare la forbice tra meccanica ed elettronica fino a intervenire, mutandola radicalmente, sull'immagine stessa dell'auto come la conosciamo. Il prototipo Volkswagen, 'un litro per 100 km', fortemente voluto da Ferdinand Piëch, ne è una dimostrazione: due posti in tandem per ridurre al limite la resistenza aerodinamica, un piccolo motore diesel da 8 cavalli, gestito dall'elettronica non più in funzione dei desideri del pilota ma di una logica computerizzata volta all'ottimizzazione dei consumi, e un peso inferiore ai 300 kg. Sono soluzioni, queste, improntate tutte alla razionalità, benché sia difficile immaginare politiche di marketing capaci di imporle al consumatore, inducendolo a rinunciare alla sua berlina da 1700 kg. Intanto negli Stati Uniti, che per primi alla fine degli anni Cinquanta avevano promosso programmi di sviluppo tecnologico per il controllo dell'inquinamento, riprende, sotto l'amministrazione Bush, la corsa verso la produzione di SUV (Sport utility vehicles) e pick-up dai consumi e dai livelli di emissione sempre più elevati. Messaggi contraddittori che rendono difficile interpretare la solidità dei programmi futuri, che pure ci sono, ma che rischiano di diventare pretesti utili solo a perpetuare scelte conservative.
Sempre gli Stati Uniti, in particolare lo Stato della California, avevano avviato un piano per la progressiva diffusione di veicoli a inquinamento zero (ZEV, Zero emission vehicles), il cui pragmatismo non era il frutto di una miope affermazione di potere ma, piuttosto, il riflesso di un approccio realistico al tema. Con un prezzo del petrolio intorno ai 30 dollari al barile nessuna alternativa è economicamente proponibile; è inutile quindi fare affidamento su una innovazione spontanea che vada contro le leggi della domanda di mercato. I costruttori si sono quasi arresi, preferendo ammettere la loro incapacità a perseguire gli obiettivi proposti piuttosto che affrontare gli investimenti necessari, stornandoli da quelli previsti per i modelli convenzionali. Eppure qualche risultato è stato ottenuto con la definizione di veicoli 'ibridi' che interpretavano la trazione elettrica alla luce della tecnologia disponibile incrociandola con costi di produzione sostenibili e dando luogo a prodotti commerciali da parte di Honda e Toyota.
La trazione elettrica è certamente la soluzione più adatta all'auto del futuro. Dal punto di vista ecologico ha individualmente emissioni zero mentre l'inquinamento connesso alle modalità di produzione dell'energia è più facilmente controllabile, essendo questa localizzata. Nonostante la necessità di riciclare batterie ricche di acidi e metalli pesanti rappresenti un problema, i vantaggi sono innegabili: il valore della coppia motrice, inversamente proporzionale al numero dei giri, rende superfluo l'uso del cambio di velocità, la possibilità di utilizzare un motore, di dimensioni molto ridotte, per ogni ruota permette di realizzare trazioni integrali senza dover ricorrere a costose e ingombranti trasmissioni meccaniche, le caratteristiche di regolazione del motore elettrico si sposano in pieno con la finezza della gestione elettronica, evitando quel salto generazionale del quale soffre l'automobile moderna. La rete di distribuzione è capillare: basta una qualunque presa di corrente per fare il pieno.
Il problema nasce dal fatto che mentre un locomotore ferroviario si serve di una rete aerea per rifornirsi, l'auto deve immagazzinare l'elettricità che sarà successivamente utilizzata. Entra così in gioco la batteria e qui il gioco si ferma. Tutti i costruttori, spesso sfruttando consistenti incentivi governativi, si sono impegnati sul tema ma con scarso successo: autonomia ridotta a fronte di tempi di ricarica di alcune ore, prestazioni modeste e decrescenti in relazione alla progressiva diminuzione dello stato di carica, peso e costo del 'pacco' di batterie (fino al 50% del peso totale del veicolo), prezzi doppi e tripli rispetto ai corrispondenti modelli a benzina sono stati considerati una 'proposta indecente' per il mercato. Dal sostanziale fallimento dell'auto elettrica nasce l'auto ibrida. È il riconoscimento della validità della trazione elettrica e la presa di coscienza di come non possa essere risolto, almeno in tempi brevi, il problema rappresentato dalle batterie. È una soluzione di transizione basata sull'accoppiamento di due motori: uno termico, sottodimensionato e ottimizzato dal punto di vista delle emissioni grazie all'utilizzo in un intervallo di giri molto limitato, destinato a garantire la velocità costante del veicolo, e l'altro elettrico per far fronte alle accelerazioni. La separazione delle funzioni consente di finalizzare le caratteristiche dei propulsori. Le batterie vengono ricaricate dal motore a pistoni e in particolari condizioni, come la guida all'interno di centri storici, è possibile selezionare il solo funzionamento elettrico.
Honda e Toyota producono e commercializzano modelli ibridi, ma la complessità insita in una costruzione che prevede due motori, un pacco di batterie e un'elettronica in grado di integrarne il funzionamento costituisce un ostacolo insormontabile per una loro più ampia diffusione anche in presenza di incentivi all'acquisto che, negli Stati Uniti, superano i 2000 dollari. L'auto ibrida che accoppia un motore a pistoni e uno elettrico ben rappresenta il conflitto irrisolto tra queste due tecnologie e annuncia uno scontro dal quale nascerà l'auto del futuro che, comunque vada, sarà sotto il segno dell'idrogeno.
L'idrogeno può costituire, allo stesso tempo, un motore di innovazione in grado di spingere verso un futuro basato sulle celle a combustibile o un elisir di giovinezza capace di traghettare nel terzo millennio il motore a combustione interna.
Il motore a pistoni ha una grande elasticità dal punto di vista dell'utilizzo di carburanti diversi. Può funzionare, con i necessari accorgimenti, con polvere di carbone, gas di petrolio liquefatto e qualunque derivato del petrolio: dall'olio pesante alla benzina più raffinata. Anche l'idrogeno è perfettamente 'digeribile' da un motore convenzionale a ciclo otto. Il suo potere calorifico è molto simile a quello della benzina con il vantaggio che allo scarico troviamo solo dell'innocuo vapore d'acqua. Non per nulla le auto alimentate a metano (CH4) grazie proprio alla prevalenza di idrogeno sono classificate come ULEV (Ultra low emission vehicles) dalle normative californiane, costituendo così un'ottima opportunità di intervento immediato per limitare l'inquinamento.
L'uso dell'idrogeno in un motore convenzionale non presenta particolari problemi. Le caratteristiche di erogazione della potenza e della coppia rimangono inalterate. I vantaggi consistono nell'azzeramento delle emissioni nocive, nonché nel mantenimento dell'attuale impostazione meccanica dell'auto, ciò che evita costose riconversioni degli impianti di produzione e non crea discontinuità nei servizi di assistenza e riparazione e nel gusto dell'utente. L'ostacolo è costituito dallo stoccaggio. Se i carburanti convenzionali possono essere conservati in semplici ed economici contenitori di materiale metallico, o più frequentemente plastico, l'idrogeno, per essere conservato allo stato liquido, deve essere sottoposto a una pressione superiore alle 100 atmosfere e a una temperatura di -200 °C. Tali condizioni richiedono l'utilizzo di serbatoi sofisticati capaci di mantenere inalterate le condizioni di stoccaggio, a prezzo della richiesta di una grande quantità di energia anche a veicolo fermo. Anche lo stoccaggio a livello gassoso sembra poco praticabile: in questo caso le pressioni richieste per ottenere autonomie simili a quelle di un'auto tradizionale sono comprese tra 500 e 1000 atmosfere. È facile immaginare le conseguenze in caso di urto. Carlo Rubbia, premio Nobel per la fisica e commissario dell'ENEA (Ente per le nuove tecnologie, l'energia e l'ambiente), ha proposto recentemente una tecnologia di accumulo dell'idrogeno basata sugli idruri. Si tratta di utilizzare metalli, per esempio il magnesio, capaci di combinarsi con l'idrogeno dando luogo a composti (gli idruri) che poi, sottoposti a una sollecitazione elettrica o termica, lo rilascino. L'utilizzo dell'idrogeno implica comunque anche una completa ridefinizione dei sistemi di distribuzione con problemi di costi e di sicurezza.
Le celle a combustibile rappresentano invece la radicale soluzione al problema dell'inquinamento rendendo competitiva la trazione elettrica rispetto ai tradizionali propulsori a pistoni sul piano delle prestazioni, ma con rendimenti energetici almeno doppi e livelli di emissioni prossimi allo zero. Il principio di funzionamento è basato sull'inversione del processo di elettrolisi per il quale, facendo passare una corrente elettrica in acqua, se ne ottiene la scomposizione con emissione di ossigeno al catodo e di idrogeno all'anodo. Nelle celle a combustibile, invece, ossigeno e idrogeno si combinano per formare acqua ed energia elettrica. L'ossigeno necessario viene ricavato direttamente dall'atmosfera, mentre l'idrogeno può essere ottenuto attraverso la scomposizione della molecola di un carburante organico convenzionale il quale, dopo essere stato vaporizzato ad alta temperatura e filtrato tramite membrane mediante un processo di reforming, si scompone rilasciando idrogeno. In questo modo si ottiene un'auto elettrica che funziona a benzina, per cui non è più necessario stoccare a bordo il gas con tutti i problemi cui abbiamo accennato, compreso quello delle pesanti, poco efficaci batterie. Bisogna però osservare che il processo di reforming determina a sua volta un inquinamento da ossidi di azoto, zolfo e CO2, benché di livello relativamente basso, che può essere ulteriormente limitato con l'impiego di carburanti adeguati come il metanolo. Inoltre, considerazione tutt'altro che secondaria, questa soluzione neutralizza all'origine l'eventuale opposizione delle lobby petrolifere e sfrutta le reti di distribuzione esistenti.
La cella a combustibile, dovuta all'intuizione di Sir William Grove che la ideò nel 1839, è rimasta poco più che una curiosità fino al 1960 quando trovò impiego nei programmi spaziali americani. Vetture con motori elettrici alimentati da celle a combustibile sono oggi sperimentate dai maggiori costruttori mondiali e la strada evolutiva intrapresa sembra ormai senza ritorno. Persiste, naturalmente, il problema dei costi, non tanto per gli specifici contenuti tecnologici della nuova soluzione quanto per l'inevitabile e scomodo confronto con le soluzioni convenzionali che beneficiano della produzione in larghissima serie. Occorre però rilevare che già oggi per prodotti di tipo artigianale è in atto un trend al ribasso e negli ultimi cinque anni si è passati da 3000 dollari per kW a meno di 500. L'utilizzo di questa nuova fonte di energia determinerà una rivoluzione anche formale dell'auto, paragonabile a quella che, nel 1910, ha portato alla realizzazione della Ford T. Nessuna componente uscirà indenne da una rivisitazione che si annuncia epocale. Il motore elettrico, grazie alle dimensioni ridotte rispetto alla potenza fornita, consentirà eccezionali riduzioni negli ingombri della meccanica a favore dello spazio destinato ai passeggeri. La compatibilità con l'elettronica di gestione favorirà risparmi energetici anche attraverso la riduzione degli assorbimenti di potenza dovuti alle caratteristiche dell'autotelaio. Sarà possibile ottenere l'effetto sterzante variando la velocità di rotazione delle ruote e non più intervenendo sulla deriva degli pneumatici anteriori, che comporta un inevitabile aumento della resistenza all'avanzamento. A tutto questo si aggiungano il recupero dell'energia dissipata in frenata e la possibilità dei motori elettrici di funzionare allo stesso tempo come fonte di coppia motrice e sensori di aderenza, dando luogo a sistemi di autoregolazione con caratteristiche di integrazione e continuità in grado di abbattere i tempi di risposta degli attuali ABS (Anti-lock braking systems) ed ESP (Enviromental software providers) basati su sistemi elettromeccanici.
Anche l'aerodinamica potrà trarre beneficio dall'impiego di motori elettrici che, al contrario di quelli a combustione interna, non richiedono radiatori e quindi fanno a meno di prese d'aria che incrementano notevolmente la resistenza all'avanzamento. La progressiva integrazione della meccanica, l'assenza di cambio di velocità e differenziale (nel caso dell'impiego di un motore per ogni ruota) e di generatori di corrente favoriranno riduzioni di peso consistenti. L'effetto combinato di tutti questi interventi, secondo l'agenzia americana EPA (Environmental protection agency), farà sì che nel 2010 una berlina di classe media potrà fare ben 80 miglia per gallone (circa 30 km per litro).
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Storia dell'automobile
L'avvento dell'automobile fu profetizzato nel 1250 da Ruggero Bacone nell'epistola De secretis operibus artis et naturae et de nullitate magiae (pubblicata ad Amburgo soltanto nel 1618): "Currus etiam possunt fieri ut sine animali moveantur cum impetu inaestimabili". Quella di Bacone fu una delle più antiche intuizioni teoriche sulla possibilità di costruire veicoli stradali a trazione meccanica, cioè azionati da un motore installato a bordo e dotati di organi meccanici per trasmettere il movimento a una o più ruote. Nel Codice Atlantico (miscellaneo 1483-1518) di Leonardo da Vinci compare un progetto di carro semovente, caratterizzato dalla presenza di uno sterzo, una specie di timone costituito da un'asta che congiunge una piccola ruota al bordo del carro facendolo piegare a destra e a sinistra. Questa e altre intuizioni teoriche non poterono essere realizzate per la mancanza di motori adatti. Dopo i primi esperimenti per la costruzione di motori utilizzanti il vapore acqueo ottenuto in una caldaia - Giovanni Branca ideò nel 1629 un'automobile a vapore, che Isaac Newton realizzò solo nel 1680 - il primo vero mezzo di trasporto a propulsione autonoma fu presentato nel 1769 da un ingegnere militare francese, Nicolas-Joseph Cugnot, che realizzò un veicolo a tre ruote per il traino delle artiglierie, azionato da un motore a vapore. La presenza di un'enorme caldaia di rame davanti al veicolo ne rendeva la guida quasi impossibile e la prima volta che fu azionato il trattore andò a finire contro un muro e si disintegrò. Cugnot ne costruì nel 1770 una versione più grande, che poteva rimorchiare un carico di 5 t a una velocità di 5 km/h. La vettura però presentava un grave inconveniente: doveva essere arrestata ogni 12-15 minuti per alimentare la caldaia e attendere che si stabilisse una pressione sufficiente perché il vapore potesse agire sui cilindri. Altri tentativi furono compiuti in Inghilterra (J. Watt, W. Murdoch) e negli Stati Uniti (R. Furness, 1788; N. Read, 1790). Si deve all'inglese R. Trevithick la prima automobile a quattro ruote (1802) capace di marciare a 15 km/h in piano e a 6 km/h in forte pendenza. J. Griffith brevettò nel 1821 il primo autobus e fu istituito un pionieristico servizio pubblico per passeggeri. Nuovi miglioramenti introdotti nei motori a vapore, l'applicazione al veicolo di sospensioni a molle, l'adozione di un telaio con due ruote posteriori motrici, due anteriori portanti e una quinta direttrice davanti, portarono, specie per merito di W. Hancock, a una graduale estensione dei servizi pubblici di autobus che andarono avanti fino al 1839 quando, in seguito a un incidente mortale, sfruttato dalle concorrenti compagnie ferroviarie associate ai cocchieri, furono votate in Inghilterra leggi contro gli autoservizi. Nel frattempo, O. Pecquer in Francia aveva ideato (1828) il differenziale; C. Dietz aveva condotto tentativi (1835) per conferire una certa elasticità alle ruote motrici interponendo tra la corona e il cerchione un cuscinetto di feltro o di gomma. Nella seconda metà dell'Ottocento, abbandonati gli esperimenti sull'uso del vapore, i ricercatori si concentrarono sui combustibili fossili, derivati dal petrolio. A opera di E. Barsanti e F. Matteucci (1854) in Italia e di E. Lenoir in Francia (1860), nasceva il motore a gas alimentato, in seguito, da combustibile liquido (benzina, petrolio). Quindi il tedesco S. Marcus (1877) costruiva il motore a scoppio a quattro tempi, che G. Daimler, nel 1880, perfezionava e adattava all'impiego automobilistico. Il veronese E. Bernardi, nello stesso anno, costruiva un motore a benzina secondo il principio di Lenoir e, nel 1884, la prima automobile italiana, a triciclo. Non riscontrarono largo seguito, alla fine del 19° secolo, gli esperimenti di L. Serpollet, volti a favore della propulsione a vapore, e i tentativi condotti da M. Jeantaud, P. Pouchain e M. Park sulla propulsione elettrica ad accumulatori. Daimler, nel 1887, costruì il primo motore a benzina leggero e veloce, dal funzionamento sicuro e dalla regolazione assai semplice: due anni dopo, egli ottenne un motore con due cilindri a V agenti su un unico albero, dotato di tubi a incandescenza di platino per l'accensione, di distribuzione a valvole, di carburatore a gorgoglio d'aria, di raffreddamento con circolazione di acqua mossa da una pompa e raffreddata in un radiatore. Tra il 1890 e il 1892 nacque l'industria automobilistica americana con Henry Ford e il suo concetto di catena di montaggio e di produzione in serie, che consentiva di fabbricare parti perfettamente uguali e intercambiabili. Anche in Italia sorsero in questi anni le prime imprese automobilistiche: nel 1897 l'Isotta-Fraschini, due anni dopo la FIAT (Fabbrica italiana automobili Torino). Nel 1901 in Germania apparve la prima Mercedes, prototipo di tutte le vetture moderne.
Gli aspetti più innovativi dell'industria automobilistica americana stavano non solo nella produzione in serie ma anche nel puntare fin dall'inizio sul mercato di massa. Nel 1901 la Old Motor Works introdusse sul mercato una piccola vettura a due posti con un motore monocilindrico che, al prezzo di 650 dollari, fu venduta in 17.000 esemplari nel corso di cinque anni. Poi, dal 1905, la Ford modello T invase il mercato: lo slogan celeberrimo di Henry Ford ("non importa di che colore vogliate la vostra auto: l'avrete nera") riassumeva la filosofia dell'auto per tutti, a prezzi bassi e rigidamente standardizzata. Si cominciò parallelamente a sviluppare il settore sportivo: oltre alle gare automobilistiche si organizzarono i 'raid', viaggi lunghi e avventurosi in condizioni proibitive.
La Prima guerra mondiale costituì un impulso notevole su larga scala, allorché la velocità di spostamento delle truppe divenne fattore strategico e richiese grande quantità di mezzi. La guerra mobilitò tutte le risorse dell'industria automobilistica: vennero costruiti e impiegati, oltre alle normali vetture per gli spostamenti, autoblindo, trattrici, camion, carri armati, jeep e autoanfibio. La tecnica automobilistica raggiunse una fase di maturità. Si delinearono i due grandi modelli produttivi: quello europeo, fortemente caratterizzato per ogni casa costruttrice, e quello americano, tendenzialmente omogeneo e fondato su obiettivi quantitativi. Parallelamente diminuì l'influenza esercitata dall'auto da corsa sull'auto da turismo: se l'auto sportiva era stata per anni il propulsore dell'innovazione, ora divenne un settore a parte. Negli anni Trenta apparvero le prime utilitarie, la Balilla e la Topolino della FIAT, segno della nuova esigenza di mezzi maneggevoli, dai bassi consumi e dai costi contenuti, adatti al lavoro e allo svago. Si guadagnò una nuova consapevolezza dell'aerodinamica, necessaria alla realizzazione di vetture adatte all'uso quotidiano in città, e si affermò il principio architettonico tuttora alla base della maggior parte delle automobili: il motore collocato nella parte anteriore, i passeggeri al centro, il bagaglio e il carico nella parte posteriore. Lo scoppio della Seconda guerra mondiale causò una penuria di carburante, razionato per gli usi civili e destinato alle prioritarie esigenze belliche; si sperimentarono, più intensamente che nel passato, materiali sostitutivi come elettricità, gas illuminante o metano, gassogeno, benzina sintetica. Al termine del conflitto i mezzi militari rimasti inutilizzati, come le jeep, trovarono impieghi civili. In Europa l'industria automobilistica si riprese per assumere un vero e proprio ruolo di 'traino' alla più generale espansione dei consumi. Nel boom italiano degli anni Sessanta, l'utilitaria di massa, prima di tutto la '600', ebbe un ruolo propulsivo quasi superiore a quello della televisione e degli elettrodomestici. Per la prima volta, le considerazioni estetiche presero il sopravvento sulle innovazioni meccaniche: la ricerca nel campo del design delle vetture divenne più importante di quella sul motore. Alla fine degli anni Sessanta l'industria automobilistica giapponese si presentò agguerrita e fortemente competitiva sul mercato internazionale, portatrice di metodi di produzione innovativi e di prodotti nuovi, con utilitarie capaci di offrire un buon comfort e alte prestazioni. Nel 1973 la guerra arabo-israeliana determinò una grave crisi petrolifera e costrinse all'adozione di misure di 'austerità' automobilistica in molti paesi, tra cui l'Italia. Si sperimentarono nuovi sistemi di propulsione per far fronte al rischio di vedere esaurite le materie prime. Anche sul mercato americano si fece sentire il costo del carburante e si imposero per la prima volta le utilitarie, il che diede un vantaggio competitivo ulteriore all'industria giapponese e poi ai paesi asiatici emergenti.
Superato anche il secondo shock petrolifero dei primi anni Ottanta, l'industria automobilistica si riprese proponendo nuovi modelli produttivi, ma anche nuovi prodotti, diversi dal passato nelle forme (il monovolume, le auto tondeggianti), nei colori e nel profluvio di optional, legati anche allo sviluppo dell'elettronica. Nel corso degli anni Novanta, l'evoluzione tecnologica in campo automobilistico ha riguardato soprattutto l'aumento della sicurezza e la difesa dall'inquinamento. È stato inoltre generalizzato l'uso di sistemi per ridurre i consumi e per aumentare il comfort di marcia, mentre uno sviluppo sempre più ampio hanno trovato i dispositivi di tipo elettronico. Nel settore dei sistemi produttivi si è ulteriormente diffusa la robotizzazione già avviata negli anni Settanta. Per quanto riguarda il sistema costruttore-fornitori, le fabbriche che eseguono l'assemblaggio producono all'interno, mediamente, il 30% del valore del prodotto finale, mentre il restante 70% è costituito da componenti acquistati da fornitori; pertanto la competitività di ogni fabbrica riguarda non solo la concezione tecnologica dei processi interni, ma anche l'integrazione con tutto il delicato sistema di fornitori. Complessivamente, nel corso dell'ultimo decennio del 20° secolo la produzione mondiale di automobili ha mostrato una certa vitalità essendo aumentata, dal 1990, del 15,7%. Le notevoli modifiche registrate in termini numerici sono da riferirsi anche ai progressivi cambiamenti nella distribuzione della domanda. Nei paesi a economia avanzata la produzione si è sostanzialmente stabilizzata: in Europa, Giappone, Canada e Stati Uniti, in conseguenza della bassa congiuntura e del ristagno economico, la produzione annua è rimasta inalterata. Nei paesi ex sovietici la produzione annua è scesa da 1,5 milioni negli anni Ottanta a meno di 1 milione negli anni Novanta. Invece, la produzione automobilistica ha avuto una forte espansione nei paesi in via di sviluppo, tra cui si segnala soprattutto la Corea del Sud, che è passata da alcune centinaia di migliaia di automobili negli anni Ottanta a 2 milioni di unità nel 1995. Sensibili passi in avanti sono stati realizzati da Messico, Brasile, Unione Indiana e Cina.
Per quanto riguarda le norme giuridiche relative alle autovetture, negli anni Sessanta vennero approvati i primi obblighi legati alla sicurezza e si stabilirono i limiti di velocità, come la tutela per l'incolumità di automobilisti e pedoni. In Italia, la normativa in tema di circolazione degli autoveicoli è in continua evoluzione per la necessità di renderla più aderente alle esigenze di sicurezza stradale, tutela ambientale e fluidità della circolazione e di armonizzarla con le norme comunitarie e con quelle derivanti da accordi internazionali. La legge 22 marzo 2001 nr. 85 ha concesso al governo la delega per l'emanazione di un decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive del codice della strada e della legislazione relativa alla motorizzazione e alla circolazione stradale. Per quanto riguarda la prevenzione dell'inquinamento, sono state via via introdotte disposizioni sempre più severe, conformemente alle direttive della Comunità Europea, per ridurre l'emissione di gas nocivi prodotti dai motori. Dal 2001 gli autoveicoli di nuova immatricolazione devono risultare conformi alle ulteriori prescrizioni dettate dalla direttiva 98/77 CE ('Euro 3'). Dal 2005, per gli autoveicoli di nuova omologazione, è stata prevista una normativa ancora più rigorosa ('Euro 4'), che dal 2006 si applicherà a quelli di nuova immatricolazione. Sotto il profilo della sicurezza, vanno segnalati le norme sulla revisione generale periodica degli autoveicoli (art. 80 del codice stradale) e l'obbligo per il conducente e i passeggeri di usare le cinture di sicurezza e sistemi di ritenuta (art. 172 codice stradale).
Le stesse targhe delle automobili hanno subito nel corso degli anni un'evoluzione 'morfologica' che ha dovuto tenere conto del crescente numero di autoveicoli in circolazione. Le prime avevano il nome della provincia scritto per intero e i numeri occupavano un piccolo spazio. Fino al 1905, infatti, nessuno pensava che le auto potessero diventare così diffuse da necessitare di numeri più lunghi. Dal 1905 al 1927 le province vennero indicate da un numero (come avviene oggi in Francia) scritto in rosso: per es. Milano aveva il 28 e Roma il 55 (da segnalare Pola con il 70, Fiume con il 76 e Zara con il 75). Dal 1927 al 1994 le targhe italiane rimasero più o meno invariate: sigla della provincia più numerazione. Dal 1994 sono sparite le sigle delle province (successivamente reinserite in caratteri piccoli su una striscia azzurra) e la numerazione è stata modificata.