AUTOMOBILE (V, p. 555)
Normalmente l'automobile è mosso da motore a scoppio (gas di benzina) o a combustione (a nafta, a iniezione); ma vi sono automobili azionati a vapore (oggi quasi del tutto abbandonati) o ad elettricità, mediante accumulatori o a presa di corrente aerea (filoveicoli). Gl'inconvenienti dell'accumulatore elettrico hanno finora impedito la diffusione dell'automobile elettrico; per linee destinate al trasporto di persone in comune o di cose sta attualmente perfezionandosi la tecnica dei filoveicoli (v. tramvia: Filovia, XXXIV, p. 162). Quando si parla di automobile a benzina si intende quella in cui il motore è stato studiato per l'uso della benzina, ma è capace di funzionare bene, e forse anche meglio, con molti dei carburanti, miscelati o sintetici, che si fabbricano e che si adottano per ragioni o tecniche o economiche o logistiche o autarchiche (v. cabburanti, App.). È degno di rilievo che mentre i preparatori di carburanti hanno avuto per meta il migliore adattamento di questi ai motori che erano stati studiati per l'uso della benzina, i costruttori di automobili hanno cercato di adattare i loro motori alla più proficua utilizzazione dei varî carburanti succedanei della benzina, i quali posseggono doti particolari che ne consigliano o ne rendono indispensabile l'impiego.
Nell'automobilismo pesante si sono quasi generalmente adottati i motori a iniezione detti anche a ciclo Diesel per quanto il loro ciclo di funzionamento si allontana ormai da quello realizzato dal Diesel, per avvicinarsi al ciclo Beau de Rochas dei motori a scoppio: in essi si utilizzano la cosiddetta nafta, l'olio pesante o altri idrocarburi non facilmente evaporabili (v. carburanti, App.).
Autovettura. - E l'automobile destinato a circolare su strada anche a elevate velocità, per trasporto di poche persone.
La tecnica generale dell'autovettura ha seguito, durante l'ultimo periodo di tempo, due indirizzi alquanto diversi: quello americano, in ambiente dove le materie di consumo (carburanti, lubrificanti, gomma) hanno basso costo e di conseguenza le vetture possono avere notevole cilindrata; e quello europeo, in ambiente dove la pressione fiscale rende costose le materie predette e obbliga alla corresponsione di elevate tasse di circolazione, e dove quindi la tecnica si è specializzata nella costruzione della piccola vettura leggiera e veloce, che occorre azionare con motore ad alto regime.
Le due tecniche hanno tuttavia dovuto affrontare problemi comuni, come quelli delle accelerazioni medie di avviamento, delle decelerazioni di frenatura e tutto il complesso di questioni che sorgono dall'aumento delle velocità massime, come le perturbazioni dinamiche nella marcia del veicolo e la resistenza alla penetrazione nel mezzo (aria).
Le soluzioni date ai problemi tecnici inerenti alle alte velocità in aeronautica hanno posto in luce la necessità di diminuire, anche nell'automobile, la resistenza dell'aria, fattore negativo della velocità' e della economia di consumo. È noto che per procedere, ad esempio, in piano, un autoveicolo deve vincere oltre la resistenza al rotolamento, che è proporzionale al peso, anche la resistenza dell'aria, che cresce, almeno per le velocità automobilistiche, secondo íl quadrato della velocità: ne deriva che la resistenza totale che deve vincere il motore è costituita da due termini, uno proporzionale alla velocità, l'altro al cubo della velocità, e che quest'ultimo, dovuto appunto all'aria, ha una preponderante importanza nel totale della potenza necessaria per le forti andature. Si può infatti dimostrare che per far procedere un'autovettura a 60 km/ora occorrono 12 cav. mentre ne occorrono ben 60 per farla procedere a 120 km/ora. La tecnica automobilistica ha dovuto quindi ridurre quanto più possibile il coefficiente di forma (rapporto fra la resistenza che oppone un solido all'avanzamento nel mezzo e quella che opporrebbe la sua sezione normale alla direzione dell'avanzamento), curando con ogni scrupolo la profilatura aerodinamica delle vetture: questa necessità della profilatura ha condotto alle moderne linee delle autovetture (fig. 52).
Si è anche accentuata nella tecnica automobilistica una tendenza, già da anni manifestatasi, al raggruppamento degli organi meccanici in un complesso unico, sull'asse posteriore o su quello anteriore, dando luogo alle due soluzioni opposte del "motore posteriore" o della "trazione anteriore".
Il motore posteriore consente: a) di raggruppare tutti gli organi motori e propulsori in uno spazio molto ristretto, lasciando libero per la carrozzeria tutto lo spazio compreso fra i due assali, che poi è quello che offre ai viaggiatori le maggiori comodità; b) di dare alle ruote posteriori, destinate alla trazione, e quindi necessitanti aderenza, un carico pocu influenzato dal peso delle cose trasportate, e tendente ad aumentare in salíta, quando occorre appunto l'aderenza maggiore; c) di dare alla parte anteriore della carrozzeria una sagoma liberamente aerodinamica, pur garentendo un'ottima visibilità della strada. Esso presenta, per contro, alcuni inconvenienti, fra cui principalissimi le difficoltà di raffreddamento, la scarsa controllabilità del. motore e il pericolo che in caso di urto anteriore il gruppo motopropulsore rechi danno ai viaggiatori. La trazione anteriore invece implica anche il raggruppamento di alcuni importanti organi di sterzo, in quanto le ruote anteriori sono anche direttrici, ma assicura: a) una più facile e sicura inscrizione nelle curve, in quanto il treno posteriore è trascinato nella pista di quello anteriore, e non tende quindi a spingere tutta la macchina verso l'esterno della curva; b) una ripartizione dei carichi più conveniente e uniforme fra i due assali; c) una posizione del centro di pressione aerodinamica più arretrata, nella proiezione orizzontale, di quella del centro di gravità, con conseguente coppia stabilizzatrice di marcia in caso di scarto accidentale dalla traiettoria rettilinea; d) la possibilità di abbassare molto la cassa della carrozzeria, non più vincolata all'altezza da terra del differenziale; e) la possibilità di inviare in officina, per le revisioni periodiche, o per le riparazioni, il solo avantreno, lasciando in rimessa ed al riparo la carrozzeria. Essa presenta tuttavia inconvenienti come quello di dar luogo, in salita, a una diminuzione del peso aderente alle ruote motrici e comporta la presenza di un certo numero di giunti cardanici, che debbono essere del tipo omocinetico, per conservare agli alberi di trasmissione movimenti di rotazione uniformi anche sotto i più forti angoli di inclinazione delle ruote anteriori in condizione di svolta stretta.
Il motore a benzina per automobili. - E un motore a carburazione (v. motore, XXIII, p. 952); il carburante (v. carburanti, App.) viene utilizzato sotto la specie di aria carburata, cioè di una miscela di aria e vapori di carburante, preparata nel carburatore; ha, generalmente, cilindri verticali, allineati sul piano medio verticale del veicolo, con le camere di scoppio poste in alto e l'albero motore posto in basso (fig. 1).
Normalmente non si allineano meno di quattro cilindri, minimo indispensabile per ottenere un equilibramento sufficiente delle forze d'inerzia dovute alle masse dotate di moto alterno (fig. 4); né si allineano più di otto cilindri ad evitare che il complesso, risultando di eccessiva lunghezza, occupi troppo dello spazio disponibile su di un veicolo. Per vetture di carattere utilitario, cioè di spiccata semplicità e di basso costo, prevale il tipo a 4 cilindri, mentre per motori di potenza media prevale il motore a sei cilindri in linea (fig. 5); per potenze ragguardevoli agli otto cilindri in linea si preferiscono oggi gli otto cilindri a V largo (fig. 2) su due file di quattro cilindri ciascuna. L'angolo che formano i piani medî delle due file è caratteristico dei motori di tal genere e varia da 60° a 90° (caso della figura). Si costruiscono raramente motori per automobili a 12 o a 16 cilindri, sempre, in tal caso, a V su due file rispettivamente di 60 di 8 cilindri ciascuno; si costruiscono anche motori a V stretto, nei quali l'angolo fra i piani medî sopraddetti è di 100° ÷ 250, e dei quali sono prototipi i motori Lancia dei tipi Lambda ed Augusta (fig. 3) per i quattro cilindri e del tipo Astura per gli otto cilindri. Di norma si richiedono oggi motori corti, che occupino poco spazio, per ridurre la lunghezza delle vetture, con beneficio della loro stabilità e maneggevolezza; si sono adottati anche, a questo secondo scopo ed approfittando della linea assunta dalle carrozzerie, motori del tipo stellare, a cilindri fissi, simili a quelli usati in aviazione (fig. 6).
La cilindraia (volume generato dal complesso di tutti gli stantuffi in una loro corsa di aspirazione) varia attualmente da 500 cmc., per le vetturette utilitarie, a 2500 cmc. per vetture di potenza media, a 7000 ÷ 8000 cmc. per vetture di grande potenza: la tecnica dei motori ha insegnato ad ottenere potenze rilevanti anche con piccole e medie cilindrate (elevate potenze specifiche), onde la tendenza attuale è per l'abbandono delle grandi cilindrate.
I cilindri sono normalmente di ghisa dura fusi in un gruppo solo (monoblocco) per i tipi in linea o a V stretto, in due gruppi per i tipi a V aperto; all'esterno sono avvolti da un involucro d'acqua, che, convenientemente refrigerata durante il funzionamento del motore, ne assicura il raffreddamento entro i limiti riconosciuti ottimi dalla tecnica motoristica.
La distribuzione, cioè la realizzazione pratica delle varie fasi di funzionamento del ciclo (aspirazione, compressione, scoppio e scarico), è di norma ottenuta mediante valvole. Hanno avuto un periodo di fortuna le distribuzioni senza valvole, o con robinetti (tipo "avalve" della Fabbrica Itala) o con foderi scorrevoli secondo il brevetto Knigt: distribuzioni di tali tipi conferiscono al motore una silenziosità che con le valvole non è sempre facile ottenere ed assicurano rapidità di apertura e di chiusura delle luci di ammissione o di scarico proporzionali alla velocità di rotazione dell'albero motore.
Le valvole, che sono di acciaio specialissimo (al cromo-nichelio ed al silicio od anche di acciaio austenitico) in quanto debbono resistere alle alte temperature in giuoco, possono essere o disposte lateralmente al cilindro (fig. 7) o nel fondo di esso (valvole in testa; fig. 8) a seconda che si tratti di costruzione normale o spinta.
Il comando delle valvole si effettua mediante un albero a boccioli (detti anche alla francese cammes) che, per i motori a quattro tempi, gira con velocità metà di quella dell'albero motore, e che prende movimento da questo mediante ingranaggi ad imbocco diretto o in presa con apposita catena del tipo Galle o Wippermann. Questo albero ha ianti boccioli quante sono le valvole e può agire su di esse, al fine di farle aprire e mantenere aperte, in maniere diverse: se le valvole sono laterali ciascun bocciolo aziona una punteria, la quale, a sua volta, spinge sul gambo della valvola (fig. 7); se le valvole sono in testa, l'albero a boccioli può essere in basso e le punterie agiscono su di esse con l'interposizione di aste e di bilancieri (fig. 9); ovvero l'albero è collocato anch'esso in testa, e aziona le valvole direttamente (fig. 10, a) o mediante bilancieri (fig. 10, b). La chiusura delle valvole è, di norma, affidata a robuste molle di richiamo; non mancano però esempi di valvole la cui chiusura viene assicurata da dispositivi meccanici, che prendono il nome generico di comandi desmodromici.
Gli stantuffi (in gergo, pistoni) sono del tipo tuffante, di ghisa dolce o più comunemente, oggi, di lega leggiera di alluminio (elektron, bonhalite, ecc.): portano tre o più fasce elastiche (anelli od anche segmenti) di ghisa dolce (fig. 11) situate in apposite scanalature e destinate ad assicurare una sufficiente tenuta fra cilindro e stantuffo: una delle fasce ha la funzione di impedire che eccesso di olio passi dalla parte inferiore dello stantuffo alla superiore e sia poi combusto, o, peggio, espulso coi gas di scarico (fascia raschia-olio).
Nei motori con valvole laterali la camera di scoppio (spazio compreso fra lo stantuffo ed il fondo dei cilindri in posizione di punto morto superiore, alla fine della fase di compressione) ha conformazione speciale (fig.1) destinata a favorire la cosiddetta turbolenza dei gas durante la compressione e l'esplosione, sicchè questa ne risulti più rapida possibile: in ragione del numero dei giri dei moderni motori per automobile, è fondamentale che tali fenomeni avvengano rapidissimamente, ad evitare combustioni difettose o incomplete, e le conseguenti cadute del rendimento termodinamico del motore. Nel caso dei motori con valvole in testa, la camera di scoppio può assumere forma semisferica, ciò che, insieme con un conveniente collocamento della candela di accensione, garentisce ottima turbolenza e rapida esplosione, cioè, in definitiva, un ottimo rendimento del sistema.
Ha molta importanza il grado di compressione che è definito (v. motore, XXIII, p. 954) come il rapporto
fra il volume totale Vi di un cilindro e il volume V2 della relativa camera di scoppio, e che dovrebbe essere il più elevato possibile, crescendo con esso il rendimento termodinamico del motore: sarebbe facile ottenerlo, impicciolendo la camera di scoppio se a ciò non si opponesse il presentarsi dei fenomeni dell'autoaccensione (spontanea accensione della miscela durante la fase di compressione) e della detonazione (v. carburanti, App.), che possono turbare gravemente il funzionamento normale del motore, fino a impedirlo del tutto. In pratica il rapporto o grado di compressione K si aggira fra 5 ÷ 5,5; con carburanti speciali, contenenti prodotti cosiddetti antidetonanti, K può salire anche a 8, sempreché si adottino precauzioni speciali nella costruzione, nella conformazione delle camere di scoppio e nella disposizione delle valvole e delle candele (testate dei cilindri di leghe ottime conduttrici del calore, candele fredde, ecc.). Quando K è piuttosto elevato, si dice che il motore è spinto.
Sull'albero motore è montato sempre un volano, organo necessario ad ogni albero che sia connesso con elementi dotati di moto alterno; è noto che per la regolarizzazione assoluta di un moto periodico come quello dell'albero di un motore occorrerebbero volani di massa infinitamente grande: nella pratica peraltro ci si deve contentare di regolarizzazioni mediocri, per limitare il peso del volano ed il suo diametro, per evidenti ragioni di ingombro e di leggerezza. Nei motori a molti cilindri in linea viene anche montato, sull'altro estremo dell'albero, un secondo volano (fig. 5) di dimensioni minori e destinato a contribuire anch'esso alla regolarizzazione del movimento, ma soprattutto ad eliminarne le vibrazioni torsionali.
Si chiama genericamente regime di un motore il numero dei giri che il suo albero compie in un 1.
Il regime massimo varia per i moderni motori di automobile fra i 2000 ed i 5000 giri al 1′ quando si passa dalle applicazioni pesanti a quelle di carattere sportivo, mentre per vetture da corsa o da primato può salire anche ad 8000 giri al 1′; perché questi possano realizzarsi occorre che i gas in giuoco fra carburatore e tubo di scarico assumano movimenti rapidissimi (un motore che compie 4000 giri al 1′ deve aspirare miscela, comprimerla, incendiarla, far espandere i gas combusti, ed espellerli duemila volte al minuto, cioè in 1/33 di secondo). Si assicura un buon riempimento dei cilindri (buon rendimento volumetrico), anche agli alti regimi, mediante opportuno calettamento dei boccioli di distribuzione sul relativo albero, in modo da far avvenire l'apertura e la chiusura delle valvole nell'istante più opportuno in relazione agli spostamenti dei gas nell'interno dei condotti: si realizzano cosi i diagrammi di distribuzione (fig. 12): per motori veloci si adotta la distribuzione incrociata (l'apertura delle valvole di aspirazione avviene prima del punto molto superiore di aspirazione, e la chiusura di quella di scarico dopo il punto morto superiore di scarico) che si è dimostrata particolarmente favorevole ad assicurare, anche agli alti regimi, una buona alimentazione del motore, verificandosi, nel tempo in cui le due valvole sono contemporaneamente aperte, in prossimità del punto morto superiore, per il fenomeno Aktinson, una fase di lavaggio della camera di scoppio, la quale può per intero essere occupata dalla miscela carburata. Nei motori destinati a vetture sportive, da corsa o da primato si adotta la sovralimentazione, con l'uso di compressori, azionati, di solito, dai motori stessi, con trasmissione meccanica (fig. 13); in tal caso la miscela non viene aspirata dai cilindri, ma vi viene spinta a forza, dal compressore, anche e soprattutto agli elevati regimi.
È noto che il rendimento totale (da non confondere con la potenza) di un motore a benzina dipende dalla sua buona costruzione, in quanto è dato dal rapporto fra l'energia somministrata sotto forma di calore col carburante, e quella disponibile sotto forma di potenza motrice all'albero; esprime cioè la migliore o peggiore utilizzazione del carburante impiegato. Il rendimento totale si aggira di solito sul 27% ed è prodotto di due fattori, il rendimento organico (dipendente dall'accuratezza di esecuzione dei varî organi, o dagli accorgimenti adottati per ridurre le resistenze passive) che si agglra sul 90%, e il rendimento termodinamico (dipendente dalla buona utilizzazione del calore nello svolgimento del ciclo termico), che si aggira sul 30% (v. motore, XXIII, p. 951).
La potenza max. è misurata dal numero massimo dei cavalli-vapore ottenibili dal motore, e dipende dal numero e dalle dimensioni dei cilindri, dal regime dell'albero, dal grado di compressione, dalla buona carburazione, dal buon riempimento dei cilindri, dall'accuratezza della costruzione e della manutenzione, dall'efficienza del sistema di accensione. Non esiste una formula che fornisca esattamente la potenza massima di un motore a benzina, dipendendo essa da troppi elementi non tutti sempre valutabili: anche due motori costruiti in una stessa serie, e quindi verosimilmente identici, possono fornire potenze alquanto differenti. La determinazione effettiva della potenza di un motore a benzina si deve quindi fare coi soliti sistemi (freni dinamometrici).
Esistono peraltro molte formule razionali od empiriche che con maggiore o minore approssimazione forniscono la potenza di un motore, sulla base di alcuni suoi elementi costruttivi essenziali: in quelle che seguono, tutte per motori a 4 tempi, è da ritenere: d = diametro del cilindro in cm., c = corsa dello stantuffo in cm., V = cilindrata cmc., n = numero dei giri al 1′, N = numero dei cilindri, P - potenza espressa in cavalli: formula Rosselli: P = 4,2 VnN; formula A.C.F. (1909): P = 1,1 V0,9; formula A.C.I. (1920): P = 6,4 VnN; formula Richard: P = 0,017 d2 N; Formula Lumet: P = 0,028 d2 N; formula Variet: P = 0,033 d2,4 N.
La potenza specifica è il numero massimo dei cavalli vapore che un motore a benzina può dare per 1000 cmc. della sua cilindrata (potenza per un litro di cilindrata). In dipendenza dell'elevato numero dei giri, del buon rendimeuto volumetrico e dell'elevato rapporto di compressione i motori hanno oggi raggiunto potenze specifiche molto elevate (dai 6 ÷ 8 cav. per litro che si avevano nel 1908 si è passati al 25 cav. per litro nella Fiat tipo 108 Balilla, ai 100 ÷ 150 cav. per litro nei motori da primato).
La potenza massica (o massiva) di un motore è il rapporto fra il suo peso e la sua potenza max.; per effetto dell'aumento della potenza specifica, per l'impiego sempre più esteso di materiali leggieri e di alta resistenza, e per la possibilità odierna del calcolo accurato delle varie parti la potenza massica è discesa da 10 ÷ 13 kg. per cav. nel 1908 a 2 ÷ 3 kg. per cav. nel 1937. Si suole chiamare potenza normale di un motore quella che corrisponde al minor consumo specifico (consumo per cavallo-ora): essa si aggira sul 60 ÷ 65% della potenza max.; il regime corrispondente a tale potenza si dice economico, in quanto il consumo di carburante per cav.-ora, cioè il consumo specifico, risulta minimo.
La potenza fiscale è quella adottata nei diversi stati per imporre la tassazione automobilistica, che, per lo più, è ragguagliata appunto alla potenza.
Esistono formule diversissime per la determinazione della potenza fiscale; esse hanno la caratteristica comune di non contenere elementi opinabili o difficilmente determinabili; forniscono potenze diversissime per uno stesso motore, anche perché spesso i varî stati vogliono comprimere od agevolare fiscalmente l'automobilismo agendo sulle formule che pur hanno carattere tecnico, anziché, come sarebbe più logico, sulle aliquote che possono avere carattere politico.
La formula fiscale italiana (Lattanzi e Sirovich) per i motori a benzina è la seguente: P = 0,08782 V0,6541 • N (P = potenza in cavalli; V = cilindrata di un cilindro in cmc.; N - numero dei cilindri); essa fornisce potenze corrispondenti all'incirca alla potenza normale per motori comuni: non vi comparisce il numero dei giri dell'albero appunto perché non sorgano controversie nella determinazione della potenza fiscale, base di tassazione.
Il consumo di carburante che si aggirava sui 360 gr. per cav.-ora nel 1908, è oggi disceso a circa 230 grammi per cav.-ora, ciò che attesta del grado di perfezionamento raggiunto.
Carburazione. - Organo caratteristico del motore a benzina è il carburatore (v. motore, XXIII, p. 958).
I tipi di carburatori sono moltissimi, tutti intesi peraltro a realizzare ed a mantenere costante ed "ottimo" il titolo della miscela (rapporto fra i pesi del carburante e dell'aria) nelle più disparate condizioni di regime e di carico di un motore. In tutti i carburatori si ha, per il regime minimo (marcia a vuoto o lenta) del motore, un piccolo carburatore ausiliario, che dà una buona miscela anche quando nel tubo di aspirazione esiste una depressione molto lieve; inoltre, poiché i carburanti oggi in commercio hanno densità piuttosto elevate e bassi gradi di evaporabilità, quasi tutti i nuovi carburatori sono provvisti di uno speciale dispositivo di partenza a motore freddo (starter) che consiste di solito in un getto ausiliare la cui apertura, comandata od anche automatica, è destinata ad aumentare, all'avviamento, il titolo della miscela fornita dal piccolo carburatore della marcia a vuoto.
Una buona regolazione automatica del titolo della miscela è indispensabile per assicurare un buon rendimento del motore: i carburatori moderni, avuto riguardo che nel carburatore tipico (fig. 14), composto solo del diffusore (tubo Venturi) e di spruzzatore unico, il titolo della miscela cresce con la depressione esistente nel diffusore e quindi, in definitiva, col regime del motore, vi provvedono in vari modi: a) mediante compensazione, come col tipo Zenith (v. motore, XXIII, p. 959), che oggi ha assunto l'aspetto della fig. 16, ed il cui spruzzatore principale è regolato per dare miscela giusta agli alti regimi, e quindi povera ai bassi regimi; onde abbisogna per questi ultimi di uno spruzzatore ausiliario (compensatore) che la arricchisca; b) mediante impoverimento, a valvola d'aria supplementare apribile automaticamente ai regimi elevati (fig. 15), oppure mediante frenatura del carburante, come nel tipo Solex (figura 17), in cui ai regimi elevati una parte dell'aria addotta al tubo Venturi va a disturbare l'uscita della benzina dallo spruzzatore, diminuendone così la portata e mantenendo la costanza del titolo.
Tutti i carburatori sono oggi provvisti di filtri per la benzina ad evitare l'ostruzione dei piccoli fori degli spruzzatori, nonché di filtri per l'aria, intesi ad impedire che le particelle solide in essa sospese, specie su percorsi polverosi, passino attraverso il carburatore nell'interno del cilindro e ne provochino la rapida usura. Il carburante può affluire al carburatore o per caduta, se il serbatoio è posto notevolmente più in alto di esso, o per pressione, che si eserciti con l'aria nell'interno del serbatoio, o per aspirazione, cioè approfittando della depressione che si verifica nel tubo di aspirazione del motore, o infine mediante speciali pompe a liquido; queste sono di due tipi principali: a comando meccanico (pompa A. C., figura 19) con membrana oscillante, mossa da un apposito eccentrico dell'albero di distribuzione; a comando elettrico (pompa Autopulse, figura 18) con polmone metallico, azionata per mezzo di un elettromagnete alimentato dalla batteria di bordo.
Accensione. - Un altro organo fondamentale del motore a carburazione è quello destinato all'accensione della miscela. La candela (fig. 20) viene alimentata con corrente ad alta tensione, che al momento opportuno determina, mediante una scintilla fra i suoi elettrodi, l'accensione della miscela compressa nella camera di scoppio.
Perché l'accensione si effettui occorre un certo tempo, sia pure molto breve, ma tutt'altro che trascurabile di fronte alla rapidità con cui si succedono le varie fasi nel cilindro; è necessario pertanto che la scintilla scocchi alquanto prima del punto morto di compressione, di modo che lo stantuffo lo abbia di poco superato quando la miscela è del tutto incendiata. Questo anticipo, di importanza enorme per il buon rendimento del motore, deve essere tanto maggiore quanto più elevato è il regime di questo, ma, al contrario, tanto minore quanto più la forma della camera di scoppio sia atta a favorire la rapida combustione della massa della miscela. Di solito l'anticipo non supera i 30° ÷ 35°. La scintilla può essere determinata da un complesso elettromagnetico detto magnete, il cui schema si può vedere nella fig. 21. Ricevendo movimento dall'albero motore direttamente o indirettamente, il magnete genera corrente alternata a bassa tensione (60 V) in un avvolgimento primario: se interrotta nell'istante voluto, da un apposito ruttore, questa induce, in un avvolgimento secondario, corrente alternata ad alta tensione (10.000 V) che si scarica a massa attraverso gli elettrodi della candela dando luogo alla scintilla destinata all'accensione.
Allo stesso scopo si adotta oggi il complesso detto spinterogeno (fig. 23) il cui schema risulta dalla fig. 22. Nel corpo di esso si colloca di solito un dispositivo di anticipo automatico, basato sulla forza centrifuga, e che fa aumentare l'angolo di anticipo in proporzione alla velocità di rotazione dell'alberino, e quindi dell'albero motore.
Lubrificazione. - Date le alte temperature che si verificano nell'interno dei cilindri (2000°), è necessario assicurare a questi una lubrificazione abbondante con olî minerali, non soggetti a bruciare o a decomporsi facilmente; anche tutte le altre parti del motore debbono essere abbondantemente lubrificate, in quanto soggette ad attriti notevoli, ed a strisciamenti di superficie a velocità elevate. I motori a benzina sono oggi provvisti del sistema di lubrificazione forzata (fig. 24) ottenuta per mezzo di una pompa di tipo rotativo (a ingranaggi) messa in azione dall'albero motore. La pompa spinge l'olio attraverso apposite tubazioni ai punti da lubrificarsi; un apposito manometro che può essere anche sostituito da un segnalatore ottico, dà al guidatore nozione dello stato di efficienza del sistema.
Refrigerazione. - Nell'interno dei cilindri de motore si sviluppa una forte quantità di calore, che solo in piccola parte viene trasformata in lavoro utile, parte viene eliminata insieme coi gas di scarico, e in parte trasmessa alle pareti dei cilindri. Ad evitare i dannosi effetti del riscaldamento che deriva da quest'ultima parte, le pareti stesse vengono refrigerate a mezzo di aria o a mezzo di acqua: con aria si raffeddavano i primi motori e si raffreddano tuttora quelli di piccola potenza da motocicletta. È da rilevare per altro che si ha oggi una spiccata ripresa del raffreddamento ad aria anche per motori d'automobile in ragione dei vantaggi di semplicità e di sicurezza che il sistema presenta. Le pareti esterne del cilindro portano in tal caso, ricavate o fissate, sottili alette entro le quali si insinua una corrente di aria fresca proveniente dalla marcia del veicolo o da un apposito ventilatore, o, dall'una e dall'altro insieme. Il raffreddamento ad acqua si realizza circondando i cilindri di una massa d'acqua che è in comunicazione con un radiatore; l'acqua, o a mezzo di una pompa centrifuga, o spontaneamente, per il noto principio del termosifone, circola di continuo, si riscalda intorno ai cilindri, e si raffredda nel radiatore (fig. 25) attraverso al quale viene convogliata una corrente d'aria a mezzo di un ventilatore.
Cambio dei rapporti (comunemente, ma impropriamente, chiamato cambio di velocità: p. 558). - La tecnica automobilistica non ha ancora saputo realizzare nessun altro cambio di rapporti progressivo dopo il vecchio cambio a frizione per dischi perpendicolari, che non ha subito alcun sensibile perfezionamento, e non ha quindi trovato che applicazioni sporadiche limitate alle piccolissime potenze. Sono stati tuttavia introdotti nei meccanismi del genere importanti perfezionamenti che è opportuno illustrare.
Il cambio dei rapporti di tipo classico ha i due gravi difetti della rumorosità degli ingranaggi in presa e della difficoltà d'imbocco frontale dei denti, difficoltà da cui deriva lo stridore che si produce quando, nelle manovre di cambio, il guidatore non è dotato della necessaria maestria. Si è quasi eliminato il primo con l'uso delle dentature elicoidali, le quali consentendo a varî denti di essere contemporaneamente in presa, eliminano gli urti fra i denti, causa vera e maggiore della rumorosità di trasmissione; ma poiché due ingranaggi così profilati, se scorrenti su guide rettilinee, non possono imboccare frontalmente, come si pratica nei cambî di tipo classico, si è dovuto ricorrere alla soluzione (fig. 26) di tenere permanentemente in presa gli ingranaggi del rapporto che si vuol rendere silenzioso (nel caso, del 30 rapporto) e di rendere solidale l'ingranaggio primario col rispettivo albero a mezzo di un manicotto scorrevole su questo e manovrato con la leva usuale; nella fig. 27 si ottiene l'imbocco frontale di ingranaggi a dentatura elicoidale facendoli atti a scorrere sull'albero primario su guide elicoidali anziché parallele, sempreché siano stati fissati convenientemente i passi delle due eliche dell'albero e dei denti.
Di solito, si rendono silenziosi due soli rapporti: cioè la cosiddetta presa diretta, che è silenziosa di per sè, in quanto non implica ingranaggi in trasmissione, e il rapporto immediatamente inferiore (il 3° rapporto se si tratta di cambio a 4 rapporti, o il 2° se si tratta di cambio a 3 rapporti) in quanto si ritiene che i rapporti ancor più bassi debbano venire usati in via di eccezione e si preferisce rinunziare alla silenziosità per conservare semplicità al complesso: non mancano però esempî di cambî silenziosi in tutti i rapporti.
Si è eliminato il secondo difetto, coi dispositivi sincronizzatori largamente adottati su tutti i cambî di recente cosiruzione, pur nelle differenti realizzazioni (brevetti Werner, Buich, Oakland, ecc.). Il cambio della fig. 28 a tre rapporti ha gl'ingranaggi del 2° rapporto e quelli in presa continua a dentatura elicoidale, ed è munito del sincronizzatore tipo Warner, che è dei più diffusi (fig. 29): gl'ingranaggi in presa continua e quelli del secondo rapporto (per un cambio a tre rapporti) portano coni maschi aa di piccolo diametro, e denti frontali eguali, a dentatura esterna bb di diametro notevolmente più grande di quello dei coni; sull'albero condotto, che è scanalato, può scorrere il corpo del sincronizzatore c formato da un manicotto che porta, da ogni lato, coni femmine dd, corrispondenti a quelli maschi suddetti, ed all'esterno porta una dentatura cilindrica uguale a quella dei pignoni bb. Nel piano medio del corpo del sincronizzatore vi sono dei fori, generalmente 6, in cui sono allogate sfere d'arresto s spinte verso l'esterno da molle m; all'esterno del corpo del sincronizzatore è montata una boccola e che ha una dentatura interna cilindrica, corrispondente a quella esterna del corpo e a quella frontale bb, ed una gola g per la forchetta di comando; nel piano medio di questa boccola la dentatura interna è tagliata e forma un incavo al quale si appoggiano le sfere d'arresto. Volendo dalla posizione neutra o di folle passare al secondo rapporto, si agisce sulla leva, la quale trascina la forchetta e quindi la boccola verso destra; ma la presenza delle sfere d'arresto obbliga anche il corpo del sincronizzatore a spostarsi verso destra finché il suo cono femmina d si innesta col con maschio a dell'ingranaggio del secondo rapporto: fra i due coni si sviluppa un attrito che tende a portare l'ingranaggio del secondo rapporto alla stessa velocità dell'albero condotto, dando luogo alla sincronizzazione. Ogni ulteriore movimento della forchetta verso destra trascina la boccola esterna, ma non il corpo centrale, fino all'innesto della dentatura frontale dell'ingranaggio del 2° rapporto.
Parallelamente al perfezionamento del cambio dei rapporti di tipo classico, i tecnici si sono dedicati a risolvere il problema del cambio con indirizzi nuovi, o per lo meno a riprendere tendenze e soluzioni già seguite in passato e poi abbandonate.
Dal cambio epicicloidale della vecchia Ford tipo T è derivato il cambio Wilson largamente adottato oggi nelle costruzioni inglesi anche di tipo corrente. Nella sua forma più semplice un cambio epicicloidale (fig. 30) è costituito da un ingranaggio (pignone) centrale fissato sull'albero motore (primario), da due satelliti sopportati da un disco solidale con l'albero mosso (secondario) e da un anello dentato internamente; se tutto l'insieme è bloccato, se cioè a mezzo di un innesto ad attrito o a denti, si rende solidale il primario col secondario, si ha la presa diretta, mentre se viene fermato l'anello, stringendolo, per esempio, con un freno a nastro, al girare del primario, girano i satelliti i quali comunicano al disco che li sopporta, e quindi al secondario, un movimento concordante a quello del primario, con un rapporto di riduzione di velocità dipendente dai diametri rispettivi dell'ingranaggio centrale e dei satelliti; per realizzare i quattro rapporti i dispositivi sono alquanto complessi e non facili a comprendersi senza un particolareggiato esame. Il freno a nastro si manovra con un dispositivo ingegnoso, che consente di ridurre l'organo di comando a una piccola leva posta sotto il volante di guida; il conducente non deve manovrare la leva al momento del bisogno, ma predisporre la manovra del cambiamento del rapporto in precedenza, salvo ad attuarla, con un leggiero colpo del pedale dell'innesto al momento in cui ciò si renda necessario: il cambio Wilson è pertanto del tipo preselettivo.
Su concetti analoghi si fonda il cambio De Normanzille (fig. 31) che si differenzia dal cambio Wilson essenzialmente perché il bloccaggio dei varî tamburi è ottenuto con freni a ganasce comandati idraulicamente (olio in pressione), sotto l'azione di una piccola leva posta sotto il volante di direzione. Questo cambio non è preselettivo, ma ha doti di praticità ed è di facile manutenzione.
Anche il cambio Cotal è del tipo epicicloidale realizzato con grande semplicità costruttiva (fig. 33); il bloccaggio dei varî gruppi, per ottenere i diversi rapporti, è ottenuto elettromagneticamente, mediante la corrente fornita dagli accumulatori; l'insieme risulta molto semplice e quindi economico; da notare che non è più necessaria la presenza di un innesto a frizione.
Il cambio Fleischel (fig. 34) ha struttura originale con ingranaggi sempre in presa ed accoppiamenti ottenuti mediante innesti conici; il comando può dirsi completamente automatico, sotto le due azioni della forza centrifuga e della coppia motrice; la prima delle quali è funzione della velocità dell'albero motore, e si estrinseca con un regolatore, mentre la seconda dipende da un dispositivo direttamente connesso con la valvola a farfalla del carburatore. La combinazione delle due azioni su di una leva determina un'ottima ed automatica scelta del momento in cui il meccanismo deve entrare in funzione per effettuare la manovra del cambio del rapporto.
Degno di menzione il cambio Mono-Drive (fig. 32) che agisce semiautomaticamente in ascesa (dal rapporto più basso al più alto) ed automaticamente in discesa; non esiste leva di comando o altro meccanismo analogo, né il pedale dell'innesto; la vettura col cambio Mono-Drive ha il solo pedale del freno e quello dell'acceleratore: abbandonando, al momento opportuno, il pedale dell'acceleratore si ha il passaggio dal 1° al 20 rapporto, e successivamente da questo al 3° rapporto.
La presenza di un cambio semiautomatico o meglio automatico, non ancora peraltro sufficientemente perfezionato, faciliterebbe enormemente la guida dell'automobile e renderebbe superfluo il pedale dell'innesto; per renderci conto dell'importanza pratica di un dispositivo del genere, basti pensare che un noto campione italiano del volante, nella Corsa delle Mille miglia (km. 1650), compiuta in 14 ore, alla media di 110 km/ora, ebbe a dichiarare di aver fatto uso del cambio dei rapporti circa 6 mila volte.
Nel campo dei cambî progressivi sono stati fatti varî tentativi di trasmissioni idrauliche a rapporto variabile, specialmente adatti per grandi potenze, e quindi per veicoli pesanti di carattere ferroviario; è peraltro da rilevare che l'applicazione di dispositivi del genere (i quali sono tutti affetti dall'inconveniente del rendimento piuttosto basso) all'automobilismo corrente, non si è per ora verificata.
L'innesto (p. 559). - Sono ormai del tutto scomparsi, nelle recenti costruzioni, gl'innesti a cono e quelli a dischi multipli metallici in bagno d'olio, mentre la tecnica ha sviluppato e perfezionato quelli impropriamente detti monodisco (fig. 35), costituiti da tre dischi, uno formato da una delle facce del volano motore, uno solidale con l'albero coassiale, o primario, del cambio dei rapporti, un terzo che è solidale col volano (controdisco): quando questo, mediante una molla, viene compresso contro il volano, il disco solidale con l'albero del cambio e rivestito di sostanze capaci di generare forte attrito e di sopportare le elevate temperature che si possono quivi sviluppare (Ferodo, Halo, Mintex, ecc.) viene trascinato in rotazione per attrito: il disco mosso è quindi uno solo, donde il nome del monodisco. Perché un innesto siffatto sia capace di trasmettere notevoli coppie motrici, la molla o le molle di accoppiamento debbono avere carico rilevante, ciò che finisce per rendere l'innesto troppo brusco all'avviamento e per affaticare il piede del guidatore: per ridurre questa fatica sono stati ideati apparecchi servo-innesti nei quali uno speciale meccanismo, che entra in funzione al momento opportuno, aiuta il guidatore nell'azione del piede sul pedale.
La casa americana Bendix, nota specialista di apparecchi del genere, ha lanciato da qualche anno l'innesto automatico, che agisce nel modo seguente: quando la farfalla del carburatore è chiusa (marcia a vuoto del motore), la depressione che si forma nel tubo di aspirazione è elevata e fa spostare lo stantuffo del cilindro b (fig. 36), che a sua volta provoca il disinnesto; abbassando il pedale dell'acceleratore la depressione del tubo di aspirazione diminuisce e l'innesto entra in azione.
Un innesto automatico si è realizzato sostituendo alla molla che spinge il controdisco un dispositivo centrifugo che provoca sul controdisco stesso una spinta in funzione della velocità dell'albero motore (tipo Newton: fig. 37).
Sono riunite in un solo meccanismo le doti dell'innesto a molla e dì quello centrifugo, adottando ancora una molla, ma di carico non troppo forte, per assicurare una certa aderenza iniziale fra i dischi, e introducendo un dispositivo del tipo centrifugo in aiuto della molla stessa ne risulta un complesso molto interessante (fig. 38) adottato dalla Ford, il cui motore normale 8 cilindri sviluppa oggi al freno ben 85 cav. e coppie motrici molto rilevanti.
Esistono anche meccanismi di innesto nei quali la forza di accoppiamento è data dall'olio sotto pressione; si rammenta che alcuni cambî di rapporti più recenti, del tipo Cotal, e derivati, non hanno più veri e proprî innesti, in quanto i meccanismi relativi comportano dispositivi ad attrito che compiono anche la funzione dell'innesto.
Nei cambî progressivi idraulici l'innesto non ha nessuna ragione di esistere.
La trasmissione finale (p. 560). - Le tendenze innovatrici della tecnica automobilistica hanno portato a notevoli cambiamenti nei dispositivi di trasmissione, rispetto a quelli della struttura classica e tradizionale dell'automobile; così si è cercato dapprima di raggruppare il cambio dei rapporti col differenziale; poi il motore con l'innesto e col cambio dei rapporti sull'anteriore della vettura, lasciando il differenziale sul posteriore e conservando, come organo volante di collegamento, l'albero di trasmissione con l'intermediario di uno o più giunti o sull'anteriore o sul posteriore della vettura, dando luogo alle due soluzioni tipiche del gruppo motopropulsore anteriore, che importa la trazione anteriore (fig. 40) e del gruppo motopropulsore posteriore, che comporta l'allogamento del motore sul posteriore della vettura (fig. 42).
Col raggruppamento del blocco motopropulsore con gli organi di trasmissione, questi hanno subito notevoli modificazioni: il differenziale non è più oscillante con le ruote e con l'assale posteriore, ma viene fissato al telaio, e si trova quindi sospeso; occorrono perciò due alberi snodati per trasmettere movimento alle ruote, e quindi, nel maggior numero dei casi, la presenza di varî giunti cardanici; non mancano tuttavia, nel raggruppamento posteriore, soluzioni che consentono la totale abolizione di giunti cardanici. Nel caso del raggruppamento anteriore, la trasmissione diventa alquanto complessa, perché in corrispondenza dei perni dei fusi a snodo occorrono per ogni albero dei giunti che consentano a questi di assumere inclinazioni notevoli in caso di svolta stretta; per assicurare in ogni caso, anche sotto forti angoli di sterzo, la trasmissione con moto non periodico (giunti omocinetici, fig. 41).
Le elevate accelerazioni che si esigono oggi negli automobili hanno posto in luce che talvolta la trazione su due solo ruote può essere deficiente, in quanto si verificano, in accelerazione, degli slittamenti: si affaccia cosi il problema della trazione sulle quattro ruote (trazione integrale), la quale comporta una notevole complicazione degli organi di trasmissione, tanto se il gruppo propulsore è anteriore, quanto se è posteriore. Per ora il problema non è posto che per le vetture da corsa o da primato (fig. 39), ma, come sempre avviene, finirà per passare poi nel campo della tecnica corrente. Si è anche iniziata la costruzione di autovetture di eccezione, provviste di due gruppi motopropulsori, uno anteriore e l'altro posteriore, accuratamente sincronizzati.
Le sospensioni. - L'aumento della velocità ha messo in luce i gravi difetti della classica sospensione a balestre longitudinali su due assali rigidi, derivata direttamente dalla trazione ippica. Con questa sospensione quando una ruota si solleva, p. es., per superare un ostacolo, si verificano, per effetto di azioni statiche e dinamiche in giuoco, importanti effetti che fanno deviare le due ruote direttrici, prima in un senso, poi in senso inverso, dando origine al fenomeno noto sotto il nome di shimmy che cimenta fortemente il meccanismo di guida e affatica il guidatore.
Si è praticamente eliminato l'inconveniente con la tecnica delle ruote indipendenti e con la soppressione degli assali non molleggiati: ne deriva una diminuzione delle masse non sospese e soprattutto si hanno ruote che, essendo collegate individualmente col telaio, possono seguire le asperità del suolo senza perdere il proprio orientamento e senza influire sull'orientamento e sul molleggio delle altre.
Nella sospensione Lancia Lambda (v. automobile, v, p. 564, figura 34) i fuselli delle ruote anteriori possono subire, rispetto al resto della vettura, spostamenti verticali indipendenti: il molleggio è affidato a molle a spirale cilindrica, contenute in appositi astucci a stantuffo che costituiscono anche efficaci apparecchi di smorzamento delle oscillazioni a liquido. La soluzione Mercedes-Benz, sempre per le ruote anteriori (fig. 44), a quadrilateri trasversali con elementi rigidi, ha originato la realizzazione successiva Chrysler (fig. 46) nella quale, con la scelta conveniente della lunghezza degli elementi stessi, si riesce ad assicurare per compromesso, il parallelismo dello spostamento della ruota e la costanza dello scartamento fra le ruote; realizzazioni diverse si sono avute con i tipi Fiat 1100 (fig. 47) e Fiat 500 (fig. 43) che ha alcuni elementi deformabili anziché rigidi, e con il tipo Dubonnet a parallelogrammi longitudinali, con le sue derivazioni Schoda, Pörche e Fiat 1500 (fig. 45).
Nel caso della disposizione classica del motore anteriore e del gruppo propulsore posteriore, la necessità della sospensione a ruote indipendenti per l'assale posteriore è poco sentita, onde i costruttori ne fanno a meno; nel caso invece della trazione anteriore, o del motore situato posteriormente, la soluzione delle ruote motrici indipendenti s'impone, in quanto tutto il gruppo motopropulsore deve essere sospeso anziché essere rigidamente connesso con un assale.
Tutte le molle erano fino a qualche anno fa del classico tipo a balestra che ha il pregio della semplicità di costruzione e le doti preziosissime dell'autoregolazione e dell'autosmorzamento delle deformazioni, ma ha difetti varî: imperfetta utilizzazione del materiale, indefinibilità di taluni elementi che entrano in giuoco nella deformazione, incostanza di attrito tra le lame, ecc. Si è pensato di utilizzare il materiale elastico a torsione anziché a flessione e si sono così costruite le molle a spirale cilindrica e derivate, delle quali si fa oggi largo uso nelle sospensioni dell'automobile (Lancia, Mercedes 130, Fiat 1500), e che integrate da appositi smorzatori, costituiscono complessi elastici, semplici, leggeri e ben definibili; si è poi pensato di sfruttare la reazione a torsione di una sbarra rettilinea cilindrica di acciaio, la quale, costituendo un solido di uniforme resistenza, può assorbire, a parità di peso, un lavoro di deformazione molto superiore - circa il doppio - a quello assorbito da una molla a balestra. Si sono avute realizzazioni diverse: con barre longitudinali alla vettura o barre trasversali: la fig. 49 presenta barre longitudinali alle ruote posteriori, la fig. 48 mostra lo schema di sospensione con le 4 ruote indipendenti e molleggio tutto su barre longitudinali di torsione.
I freni (p. 563). - Negli ultimi tempi si sono diffusi i freni a trasmissione idraulica: il pedale del freno, anziché azionare una timoneria, spinge uno stantuffo che a mezzo di tubi spinge un liquido sotto pressione ai tamburi delle ruote, dove un semplice dispositivo a stantuffi provvede ad allargare le ganasce dei freni se si tratta di freni ad espansione, o a tirare i nastri se si tratta di freni a nastro.
Il dispositivo è molto semplice (fig. 50) ma occorrono nella realizzazione pratica alcuni organi delicati: il liquido deve avere proprietà speciali (minima variazione di viscosità anche a temperature diverse, incongelabilità, inaggressività verso i metalli e verso la gomma delle tubazioni flessibili e delle guarnizioni); esso è caratterizzato dall'esiguità di peso e d'ingombro e dalla preziosa caratteristica di produrre una pressione uniforme sulle superficie dei freni: donde una frenatura uniforme su tutte le ruote, ciò che è particolarmente importante per quelle anteriori. Poiché il rendimento di una trasmissione idraulica siffatta è altissimo, si può avere un'azione frenante molto elevata, tanto da rendersi inutili, per gli automobili di potenza e portata media, molti dei meccanismi servofrenanti e autofrenanti che erano stati introdotti.
L'efficienza della frenatura si può misurare dalla decelerazione δ; e poiché δ può dimostrare che questa è uguale al prodotto del coefficiente di attrito f per l'accelerazione dovuta alla gravità, cioè che δ = f • f, si può dedurre che, se fosse f = 1, i freni equivarrebbero, per lo sforzo frenante, a una salita perfettamente verticale sulla quale il veicolo venisse convogliato per il rallentamento: su tale salita verticale alla velocità di 80 km/ora la vettura dovrebbe salire 25 m. per arrestarsi, e a 100 km/ora oltre 40 m. In pratica il coefficiente f arriva a 0,9 nella migliore ipotesi, ma molto spesso scende, per esempio, per il legno bagnato, a 0,1. La lunghezza teorica di frenatura, per f = 0,8, a 40 km/ora, è di m. 7,93, e a 100 km/ora è di m. 50 circa. Per tener conto del riflesso personale del guidatore queste lunghezze debbono essere circa raddoppiate: onde si può affermare che, per marciare con una certa sicurezza a 100 km/ora, su strade in condizioni medie (f = 0,5) occorre avere dinnanzi almeno 100 metri di strada libera.
Direzione (p. 561). - I meccanismi di direzione hanno subito perfezionamenti intesi a migliorarne il rendimento organico e a sopperire alle sopravvenute esigenze; con le ruote indipendenti, non si possono rendere concordi i loro movimenti direzionali con una semplice barra di accoppiamento, la quale tenderebbe a ristabilire, fra le ruote direttrici, una nuova interdipendenza: il meccanismo di sterzo dovrebbe comandare oggi le ruote indipendentemente l'una dall'altra, e non dovrebbe subire nel suo funzionamento influenze dagli spostamenti delle ruote. È necessario aggiungere che i dispositivi finora escogitati sono ben lungi dal soddisfare a tali esigenze, onde la tecnica dovrà battere vie nuove non ancora ben definite.
Il telaio (p. 564). - Il classici telaio costruito in acciaio profilato ti stampato, o in tubi saldati sul modello del telaio di legno dei veicoli a trazione ippica aveva il compito di inquadrare i vari organi e di sopportare la carrozzeria, ma doveva o esigere che questa fosse deformabile, di derivare da essa una rigidezza che non aveva né poteva avere di per sé; il tentativo della carrozzeria tipo Weimann, a struttura deformabile, non ha avuto durevole successo per la scarsa durata e per i pericoli che presentava in caso di sinistro. Una soluzione intermedia è stata adottata dalla Chrysler con una carrozzeria assolutamente indeformabile (fig. 51) che, fissata saldamente al telaio classico, può formare con questo un tutto unico, e conferirgli la necessaria rigidità. La fabbrica Lancia ha abolito il telaio affidandone la funzione alla carrozzeria divenuta struttura resistente agli sforzi di flessione e di torsione: soluzione di per sé ottima, che ha doti di resistenza e di leggerezza difficilmente uguagliabili, ma che presenta l'inconveniente di rendere la linea della carrozzeria male adattabile ai mutevolissimi gusti estetici del pubblico.
L'adozione del gruppo motopropulsore anteriore cui sono giunti alcuni costruttori ha reso conveniente l'applicazione di una struttura portante tipo Lancia, cui si attaccano, con pochi bulloni, le ruote anteriori ed il gruppo motopropulsore: tale la Citroen 7 cav. (fig. 53); invece per il caso del gruppo motopropulsore posteriore, si adatta bene la struttura a trave centrale (Mercedes 130, fig. 42), soluzione che possiede requisiti di solidità, di rigidità, di compattezza, di leggerezza e di calcolabilità. La Fiat nel suo modello 1500 che pure conserva il gruppo motore anteriore e quello propulsore posteriore ne ha fatto un ottimo adattamento (fig. 54).
Carrozzeria (p. 566). - La tecnica della carrozzeria, pur dovendo seguire le mutevolezze dei gusti estetici del pubblico (fig. 52), tende costantemente e continuamente verso il razionalismo tecnico anche se questo impone talvolta sacrifici alla comodità dei viaggiatori. L'evoluzione si svolge sulle linee seguenti: a) con l'aumento della velocità il centro di gravità del sistema deve risultare collocato sempre più in basso: b) la necessità di buon molleggio consiglia di disporre tutti i sedili nello spazio compreso fra gli assi (centraggio); c) le leggi dell'aerodinamica impongono la profilatura penetrante ai fini della buona utilizzazione della potenza disponibile alle ruote motrici. Di conseguenza, perché la sezione meridiana della vettura rispondesse ai fini della resistenza alla penetrazione, tutta la carrozzeria è stata abbassata, ha preso la forma del pesce, o, meglio, del dirigibile (fig. 55), anche se talvolta, per ragioni di estetica, o perché l'esperienza ha dimostrato che l'aerodinamismo integrale alle velocità attuali dell'automobilismo pratico non ha importanza decisiva, si sono adottati alcuni temperamenti.
Circa la denominazione delle carrozzerie regna la massima incertezza e la più strana confusione. Si può tentare una classificazione riferendosi alla divisione fondamentale fra carrozzerie aperte e chiuse, ponendo nella categoria "aperte" le carrozzerie torpedo se a quattro o più posti, spyder se a due posti; talvolta alla denominazione i costruttori aggiungono la parola sport per indicare un sensibile abbandono delle doti della comodità, e una accentuazione delle caratteristiche sportive (abbassamento del centro di gravità, rannicchiamento dei passeggeri, abolizione di sporgenze superflue, alleggerimento delle strutture, ecc.).
Le carrozzerie di tipo chiuso, a seconda di alcune loro caratteristiche, prendono attualmente le denominazioni seguenti:
a) carrozzeria chiusa a quattro o più posti uguali, a 4 sportelli, posto di guida interna, 4 0 6 cristalli laterali: Berlina, Sedan, Conduite intérieure 4 portes (fig. 56);
b) carrozzeria chiusa a 4 posti uguali, a 2 sportelli, posto di guida interno, a 2 o a 4 cristalli laterali; Berlina a due porte; Coach, Brougham, Conduite intérieure 2 portes (fig. 57);
c) carrozzeria chiusa a due posti ampî e due ridotti, a 2 sportelli, a 2 0 anche a 4 cristalli laterali, di cui gli anteriori sono ampi, i posteriori di solito di dimensioni ridotte, con posto di guida interno: Coupé Royal (fig. 58);
d) carrozzeria chiusa a due posti, a due sportelli, a due luci: Coupé (fig. 59).
Tende oggi a diffondersi, per uso di coloro che, pur essendo amanti delle elevate velocità, non vogliono rinunciare ad alcuni pregi delle vetture chiuse, il Coupé Sport (fig. 60) che non differisce dal Coupé che per una accentuazione delle profilature penetranti.
Si hanno poi le carrozzerie di tipo trasformabile che possono cioè essere, a volontà, di tipo aperto o di tipo chiuso, e che prendono anche il nome generico di cabriolet cioè a tetto rovesciabile:
e) carrozzeria trasformabile a 4 o più posti, dei quali però solo i posteriori scopribili: Landò, Landau (fig. 61);
f) carrozzeria trasformabile a 4 o più posti completamente apribile: Cabriolet Royal (fig. 62);
g) carrozzeria trasformabile a 2 posti, completamente apribile: Cabriolet-Spyder (fig. 63).
Sapiente uso di lamierini d'acciaio speciale, sia per l'ossatura sia per i pannelli di rivestimento, consente la costruzione di carrozzerie completamente metalliche, notevolmente più leggiere delle corrispondenti con ossatura in legno e rivestimento d'alluminio, e con una resistenza ai traumi nettamente superiore. Un particolare interessante è quello dei cristalli di sicurezza, impropriamente detti infrangibili, destinati a evitare ai passeggeri i gravi danni del ferimento con le scheggie di vetro in caso di scontro: sono costituiti da tre strati diversi, uno mediano, di celluloide, molto trasparente e di piccolo spessore e due laterali, di cristallo, di medio spessore, e incollati al primo con mastice speciale e trasparentissimo; il complesso unico che ne risulta, denominato anche cristallo "triplex", possiede oltre al pregio di resistere bene agli urti di media entità, anche quello di non dar luogo, in caso di rottura, a scheggie isolate, in quanto queste rimangono incollate allo strato di celluloide. Più recentemente si sono diffusi i cristalli del tipo "Securit", "visRex", ecc., monostrati, i quali, sottoposti a speciale tempera, acquistano notevole resistenza meccanica ed elasticità; inoltre la presenza in essi di forti tensioni interne ne determina, in caso di rottura, lo sgranellamento, per nulla pericoloso (v. vetro, XXXV, p. 269). Si è recentemente lanciato un prodotto, il plexiglass, detto anche vetro organico, che ha aspetto simile al cristallo ma che è di natura paragonabile alla celluloide, senza averne gli inconvenienti: è trasparente anche in spessore rilevante, e si può sagomarlo in forme secondo le curve della carrozzeria; il plexiglass è infrangibile (v. vetro organico, XXXV, p. 275).
Autocarro.
Nome pienamente rappresentativo del veicolo, che è destinato al trasporto delle cose (merci, campionarî, valori, macchinarî, salme, acqua ed altri liquidi, ecc.) e che prende talvolta nei singoli casi nomi speciali (autobotte, autocarro-attrezzi, autocompressore, ecc.). In linea tecnica e generale un autocarro non differisce da un automobile che per il tipo dell'apparecchiatura con la quale si vogliano trasportare le cose: onde si hanno gli autocarri piani, quando, oltre ai posti disponibili per il personale di guida e di manovra, la carrozzeria è costituita da un pianale, o gli autocarri a sponde basse o alte quando la carrozzeria ha la forma tipica del carro, cioè di un cassone aperto superiormentc e fissato sopra il telaio del veicolo, o gli autofurgoni, quando la carrozzeria è costituita da un furgone chiuso.
Non è agevole compiere una classificazione degli autocarri anche perché non esistono demarcazioni nette fra i varî tipi; la legislazione italiana ne fa una distinzione tecnico-giuridica in base alla portata, chiamando di piccola portata quelli che l'hanno inferiore a 35 quintali e di grande portata tutti gli altri; ma si tratta di distinzione formale. Si costruiscono autocarri di peso e di portata minimi (autofurgone Fiat 500: tara q. 5,5, portata kg. 235, fig. 64) e autocarri di portata veramente rilevante (autocarro Fiat 634 N, tara q. 60, portata q. 80, fig. 65). Mentre però non esiste un limite inferiore al peso degli autocarri, la legislazione italiana ha posto un limite superiore al peso totale di un autocarro in relazione alla larghezza ed alla struttura delle nostre strade, e soprattutto alla consistenza delle opere d'arte (ponti, muri di sostegno, ecc.); tale limite è oggi di 180 q. per veicoli a sei ruote sempreché soddisfino a certi speciali requisiti strutturali e di gommatura. L'industria nazionale e la straniera producono inoltre autocarri capaci di portate anche molto rilevanti, i quali peraltro non possono circolare sulle strade italiane senza speciali autorizzazioni da accordarsi, volta per volta, dall'ente proprietario della strada.
Per l'automobilismo pesante o industriale si è fatto in passato molto uso di ruote rivestite di gomme piene le quali erano imposte dal tipo di manutenzione delle strade (macadam imbrecciato); ma il perfezionarsi della tecnica delle manutenzioni stradali e la necessità di aumentare le velocità del trasporto ha reso necessario, anche per i più pesanti autocarri, l'impiego dei pneumatici. In via del tutto transitoria si usano tuttora i cosiddetti semipneumatici, cioè cerchioni rivestiti di gomma che anziché essere piena, ha delle cavità interne, che dànno alla massa una cedevolezza, che pur essendo di gran lunga inferiore a quella del pneumatico, è nettamente superiore a quella della gomma piena. Allo stato attuale della tecnica e della legislazione, nell'interesse della conservazione dei manti bituminosi o asfaltici o cementizî delle strade, in molti paesi, come in Italia, è vietato del tutto l'uso delle gomme piene, a eccezione dei veicoli militari per i quali vigono norme speciali.
La prestazione degli autocarri è variabilissima da tipo a tipo: i piccoli sono essenzialmente costruiti sugli stessi complessi meccanici "classic" delle autovetture, ed hanno quindi le possibilità di queste; molti anzi derivano senz'altro dalla trasformazione di autoveiture, usate e deprezzate per cagioni di superamento tecnico o di decadimento di addobbi, in autocarri. Gli autocarri di media portata sono derivati dalle strutture delle autovetture a benzina di potenza corrispondente, con l'adattamento di apparecchiature destinate a irrobustire telaio, molle ed organi di guida e di propulsione, e introducendo le necessarie riduzioni nei rapporti di trasmissione. La loro portata varia da 12 a 35 q.; la potenza dei motori dai 15 ai 40 cav.; la velocità massima raggiunge i 60 km/ora. Gli autocarri di grande portata sono appositamente studiati e costruiti per i trasporti pesanti ed hanno strutture imponenti per potenza e robustezza. Nelle costruzioni europee, in ragione dell'alto prezzo a cui si vendono i carburanti tipo benzina, tutti gli autocarri pesanti moderni sono azionati con motori a iniezione, mentre nelle costruzioni americane si usa tuttora largamente il motore a benzina, che è più leggiero e meno costoso del primo, e la cui tecnica costruttiva ha raggiunto un più elevato grado di perfezione. La portata dei grossi autocarri varia dai 35 ai 100 q.; la potenza dei motori dai 50 ai 130 cav., la velocità massima raggiunge i 70 km. orarî. I motori hanno di norma forti cilindrate (5000 ÷ 15.000 cmc.), ripartite su qudttro, sei ed anche dodici cilindri, ed hanno una struttura di notevole complessità, come si può vedere dalle figg. 66, 68, 69.
Si costruiscono poi autocarri di struttura eccezionale, ai fini di conseguire elevate velocità come quello della fig. 70 che ha tre assi e due motori, uno anteriore e uno posteriore; o per consentire trasporti pesanti anche fuori strada, come il Mercedes Benz (fig. 82) a 4-assi tutti motori. si tratta peraltro di veicoli per i quali sono necessarie strade speciali, come sono, in Europa, le autostrade tedesche, costruite per scopi bellici, turistici, e commerciali.
In linea generale la struttura meccanica di un autocarro anche se di tipo pesante (grande portata) non differisce da quella di un automobile, a motore anteriore e gruppo motopropulsore posteriore; soltanto gli organi hanno dimensioni adeguate agli sforzi cui sono sottoposti ed alle potenze in giuoco. Degno di menzione è l'uso dei tre assi per gli autocarri di grande portata, cioè l'aggiunta di un secondo asse posteriore (fig. 71) il quale può essere motore o "ballerino" a seconda che sia destinato anch'eeso a trasmettere il movimento (fig. 84) o semplicemente portante. La trasmissione avviene ormai quasi esclusivamente per ingranaggi elicoidali oppure comporta una doppia riduzione sull'asse motore (fig. 85).
Speciale menzione deve farsi anche degli organi di frenatura per grossi autocarri, sia perché coi comuni sistemi di frenatura non riesce agevole frenare contemporaneamente ed in modo uniforme molte ruote, sia perché lo sforzo che può esercitare un uomo riesce insufficiente per esercitare la necessaria azione frenante sui grossi e veloci autoveicoli. Sono stati pertanto introdotti i servofreni, dispositivi piuttosto complessi mediante i quali l'azione frenante viene esercitata a semplice e lieve comando del guidatore, mediante l'aria compressa, o il vuoto o, più raramente, con dispositivi elettromagnetici. Nella fig. 86 è schematizzato il freno a vuoto del tipo Marelli-Westinghouse.
Per far sì che tutto o gran parte dello spazio disponibile sul telaio sia utilizzabile per le merci, nei grossi autocarri i motori si costruiscono con cilindri orizzontali (fig. 67) e collocati sotto al pavimento del complesso meccanico (fig. 72).
Ai fini dell'autarchia nazionale, nel settore dei carburanti, nei paesi, come l'Italia, privi o poveri di petrolio, si è dato impulso all'alimentazione degli autoveicoli industriali di media e grande portata, con gas di legna o di carbone di legna.
Un gassogeno viene installato a bordo dell'autocarro, generalmente di fianco (fig. 83); una volta avviata la gassificazione, il motore, con la sua aspirazione, la mantiene in attività: nell'interno dei cilindri viene immessa, invece della consueta miscela di aria e vapori di benzina (motore a carburazione), una miscela di aria e di gas povero o di gas d'acqua. In ragione dello scarso potere calorifico di questi gas la potenza sviluppata dai motori così alimentati, a parità di cilindrata, è molto minore di quella che si ottiene con l'alimentazione a benzina; onde i costruttori cercano di ripristinare la prestazione dell'autoveicolo con accorgimenti che consistono nell'aumento del rapporto di compressione della miscela nei cilindri e nell'aumento della cilindrata del motore.
I risultati ottenuti sono incoraggianti, e lasciano sperare che, con la realizzazione di ulteriori perfezionamenti, con una razionale utilizzazione degli autoveicoli così alimentati, sia possibile raggiungere i fini perseguiti (v. gassogeno, App.).
Sempre agli stessi fini si alimentano i motori con i gas naturali (metano) che sgorgano piuttosto abbondantemente anche in Italia e che occorre trasportare in bombole sistemate convenientemente sul telaio del complesso meccanico dell'autocarro (fig. 73).
Si ritiene di aggiungere che, sempre nell'automobilismo industriale, s'incontrano tuttora autocarri con motore a vapore (fig. 87) e autocarri elettrici ad accumulatori (fig. 74), questi ultimi specialmente adatti per strade pianeggianti e per trasporti lenti.
Autotreno.
In termine generico ha questo nome una colonna di veicoli tirati da un veicolo motore, circolanti sulle strade ordinarie. La difficoltà di far percorrere a tutti i veicoli trainati la stessa traiettoria del veicolo trattore anche nelle strade tortuose e l'impossibilità di dare al veicolo trattore la potenza necessaria a trascinare molti veicoli pesanti sulle pendenze stradali (dal 3 al 18%) hanno, di fatto, limitato il numero dei rimorchi e portato la legislazione dei varî stati ad ostacolarne la diffusione. La legge italiana non ammette, come norma, che l'uso di un solo rimorchio, onde con la dicitura "autotreno" si intende comunemente un complesso costituito da un autocarro (motore) e da un carro (rimorchio), collegati tra loro con organi che obblighino quest'ultimo a seguire il più possibile le orme del primo (fig. 88). Ai fini della pubblica incolumità le leggi dei varî stati impongono che gli autotreni siano dotati di freni continui, cioè che agiscano contemporaneamente a mezzo di trasmissione apposita e continua sui due o più veicoli, al comando del guidatore; ed automatici, cioè tali che, in caso di strappo degli organi di attacco, agiscano automaticamente sui rimorchi in modo da provocarne l'arresto; la legge italiana precisa inoltre che essi debbano essere a fluido (a liquido, ad aria compressa e a vuoto). La fig. 89 rappresenta lo schema del freno continuo Westinghouse ad aria compressa.
Autobus.
Dal greco αὐτός ("da sé") e dal latino omnibus (per tutti): automnibus, e contratto autobus (automobile per tutti). La capacità di trasporto di un automobile normale non supera i 6 ÷ 7 posti; per capacità superiori occorrono veicoli appositamente costruiti che, per essere adibiti al trasporto collettivo di passeggeri, hanno assunto il nome di autobus.
Si hanno autobus di piccola e grande capacità (minimo 8, massimo 100 ÷ 110 posti) e di piccola e grande prestazione. La parte strutturale di tali autoveicoli è la stessa descritta per gli autocarri, anzi molto spesso si applicano senz'altro sugli stessi complessi meccanici carrozzerie per il trasporto di persone; più organicamente, i complessi meccanici per autobus hanno telai ribassati, che consentono di tenere il piano di calpestio dei viaggiatori a m. 0,70 ÷ m. 1 da terra, senza che questi siano obbligati a faticose ascese o a pericolose discese di numerosi gradini; inoltre, quando gli autobus sono destinati a percorrere strade ben tracciate, e quando si voglia dare ai viaggiatori una buona abitabilità, i relativi telai si costruiscono di maggiore lunghezza di quelli degli autocarri e si aumenta corrispondentemente il passo (distanza degli assi) degli autoveicoli. Anche nei grossi autobus si rendono necessarî due assi posteriori che possono essere motori o semplicemente uno motore e uno portante. Sono anche necessarî i servofreni come quelli sopra accennati. Le potenze degli autobus sono paragonabili a quelle degli autocarri corrispondenti, mentre le velocità sono alquanto superiori.
Gli autobus, a seconda del loro impiego, sono del tipo gran turismo, destinati cioè ai lunghi viaggi, con posti tutti a sedere, possibilmente tutti fronte marcia, poltrone ampie, e soffici appoggi per la testa (fig. 90), soffitto spesso apribile, gabinetto di toletta (fig. 91); elevate velocità (anche 80 e più km/ora), sagome penetranti. Tipico esempio è l'autobus Mercedes-Benz (fig. 104) a due motori uno anteriore ed uno posteriore, capace di 100 km/ora, destinato alle autostrade tedesche.
Gli autobus interurbani e postali (fig. 76) sono destinati ai servizî automobilistici di piccolo e medio raggio (fino a 100 km.); essendo destinati a trasporti di carattere economico hanno motori relativamente piccoli e sono dotati di velocità moderate; i posti sono tutti a sedere; i sedili, a spazio limitato, hanno spalliere basse.
Gli autobus urbani sono destinati alle autolinee urbane e hanno notevole mole (fino alla sagoma limite: figg. 77 e 79); pur non essendo destinati a velocità elevate, hanno motori potenti destinati a rendere molto brevi i periodi di avviamento nelle frequentissime fermate degli autoservizî urbani; i posti sono a sedere solo in parte, mentre vengono lasciate disponibili ampie piattaforme per i viaggiatori in piedi. Nelle grandissime città gli autobus urbani sono costruiti a due piani, in modo che i passeggeri a lungo percorso possano prender posto nel piano superiore (fig. 105). Anche negli autobus urbani, allo scopo di guadagnare spazio disponibile per i passeggeri, si cerca di adottare motori a cilindri orizzontali, in modo da poterli collocare sotto il pavimento della carrozzeria (fig. 80).
Largo impiego di alimentazione a gassogeno si è fatto in Italia negli autobus, con adattamenti che sono riusciti particolarmente felici (figure 75 e 81). Anche per i trasporti collettivi si sono adottati complessi del tipo autotreno, i quali peraltro non trovano conveniente impiego che nelle linee pianeggianti (fig. 106).
Una speciale categoria di autobus è recentemente apparsa a far fronte a necessità emerse dall'estendersi delle reti filoviarie (v. tramvia: Filovia, XXXIV, p. 162). Si tratta degli autofilobus (figure 78 e 107), e cioè di autobus azionati da motore a iniezione (o anche a carburazione) e dotati di una trasmissione elettrica fra motore e motore, realizzata da una dinamo generatrice di corrente continua a 600 volt e da due motori elettrici a corrente continua azionanti le ruote. L'energia sviluppata dal motore eccita la dinamo la quale è capace di fornire l'energia elettrica ai motori, che azionano le ruote; con apposito combinatore elettrico e con i correnti meccanismi di regolazione del motore si può regolare la marcia del veicolo. Lo stesso autobus è poi dotato di una apparecchiatura elettrica di presa e di regolazione che consente di far marciare i motori elettrici, a motore termico inattivo, mediante la corrente derivata, con le solite aste dei filobus, d'una linea aerea bifilare a 600 volt. In sostanza si tratta di un veicolo capace di marciare comc filobus su strade attrezzate con linea aerea, e come semplice autobus nelle strade che ne sono prive. La tecnica dei veicoli del genere è appena agli inizî, ma fa intravvedere i più promettenti sviluppi, malgrado la loro struttura notevolmente pesante.
Sport (p. 576).
Con l'anno 1925 ebbe fine la formula internazionale che imponeva alle macchine da corsa una cilindrata massima di 2000 cmc.; in tale periodo il predominio dell'industria italiana era stato schiacciante, al punto da costringere tutte le industrie straniere, eccettuata la francese, ad abbandonare il campo della lotta. Subentrò la formula detta del "litro e mezzo", essendo appunto limitata a 1500 cmc. la cilindrata massima dei motori. L'industria italiana, paga dei risultati raggiunti nel periodo di validità della formula precedente, si astenne dalle corse di questa formula. Un grande sforzo venne compiuto dall'industria francese e da quella americana. Tutti i grandi prenî del biennio 1926-27 vennero vinti dalla Casa Delage, che dominò nelle corse europee, contrastata soltanto dalle altre case francesi Talbot e Bugatti. In America Miller e Duesemberg costruirono macchine da corsa di 1500 cmc., che ebbero nomi e denominazioni speciali, a seconda delle combinazioni commerciali che si assunsero l'onere della costruzione, o del nome dei piloti. Le vetture di questa formula in America furono tutte monoposto, e del resto anche Bugatti in Europa, nello stesso periodo, aveva costruito delle monoposto da 1100 cmc. Queste macchine da corsa americane avevano, tuttavia, caratteristiche tecniche e costruttive diverse da quelle europee, soprattutto in dipendenza del diverso impiego che in America e in Europa si doveva farne. Le gare americane svolgentisi su piste a catino comportavano, infatti, macchine soprattutto veloci; quelle europee, organizzate invece su circuiti prevalentemente stradali, imponevano la costruzione di macchine più complesse e più complete, con ottimi cambî di velocità, ottimi freni e doti più spiccate di robustezza generale. Anche la tecnica dei motori era diversa, soprattutto per quanto si riferiva ai sistemi di alimentazione e sovralimentazione: in America infatti si adottarono compressori centrifughi adatti ai regimi costanti dei motori; in Europa invece si preferirono i compressori volumetrici dovendosi, i motori, impiegare a regimi variabili. Si determinarono così due tipi di vetture abbastanza diversi: più veloci in senso assoluto quelle americane, meglio impiegabili e sostanzialmente più complete quelle europee. Le doti di maggiore velocità assoluta delle macchine americane consentirono che con esse si stabilissero alcuni primati internazionali di classe su lieve distanza, uno dei quali - quello del chilometro a lancio - resiste ancor oggi (1938) agli assalti, con le sue velocità di km. 263,943.
Alla formula del litro e mezzo fece seguito quella cosiddetta del consumo, che imponeva una dotazione massima di carburante. Tale formula venne praticamente disertata dall'industria, che non vi riconobbe gli estremi di una utilità tecnica, e dopo un anno di validità, durante il quale le sole case Bugatti e Peugeot si presentarono lle gare, ebbe inizio un periodo di incertezza come conseguenza della crisi che stava attraversando lo sport automobilistico internazionale per il disinteresse palese dell'industria verso le corse. Nel 1928 si fece una sola gara con macchine regolate da una formula ibrida che imponeva un peso compreso tra 550 e 750 kg. Soltanto nel 1931 si ritornò a una formula internazionale ben definita, quando si istituì cioè la cosiddetta formula libera, che non imponeva restrizioni di sorta, sia nel peso sia nella cilindrata. Sono di quel periodo i grandi premî sulla distanza di 10 ore che segnarono il ritorno vittorioso delle case italiane Alfa Romeo e Maserati. La casa Alfa Romeo, nel secondo anno di validità della formula, creò la ormai famosa "P3", più comunemente nota sotto la denominazione di "monoposto", e la casa Maserati costruì la sua "16 cilindri". Con questi due tipi di macchine l'industria italiana passò di trionfo in trionfo, fino ad assumere una supremazia assoluta, soprattutto per merito delle Alfa Romeo. Il miglior prodotto di questa formula libera, cioè la P3 Alfa Romeo, aveva un motore di 2654 cmc. a otto cilindri con compressore e un peso di 730 kg. Dal motore si ricavava una potenza di circa 210 cavalli. La velocità massima era di circa 250 km. all'ora. Con l'anno 1934 entrò in vigore la formula del peso massimo. Questa formula lasciava libertà di cilindrata, ma limitava il peso delle vetture a 750 kg. senza le gomme. Vi erano dei massimi anche per le dimensioni delle carrozzerie, che dovevano avere una larghezza minima di 850 mm. e un'altezza minima di 250 mm. al livello del posto di guida. L'industria germanica, da anni assente dalle gare, annunciò ufficialmente il proprio ritorno alla costruzione da corsa, presentando due tipi di macchina: la Mercedes e la Auto-Union. L'industria italiana era ancora rappresentata dalle Alfa Romeo e dalle Maserati. Praticamente nullo doveva considerarsi l'apporto delle altre industrie europee. Il ritorno delle case germaniche coincise, dopo un primo anno di supremazia italiana, con un progresso tecnico rilevantissimo, frutto di una grandiosa impostazione del problema costruttivo, che portò a una revisione generale di tutto il complesso della vettura da corsa. Fecero così la loro apparizione sulle macchine da corsa e sospensioni indipendenti, già esperimentate sulle vetture normali, che risolsero il problema della stabilità alle alte velocità per le enormemente migliorate condizioni di lavoro dei telai, non più sottoposti ai sobbalzi derivanti dalle asperità del terreno. E in virtù dei ritrovati di una metallurgia progreditissima si ridussero a cifre bassissime i pesi dei variorgani. Al punto che entro un limite di peso relativamente basso, quale quello imposto dalla formula, si riuscì a impiegare motori di cilindrata superante i 6000 cmc. con potenze superiori a 500 cavalli e un rapporto generale fra peso e potenza, a macchine complete di gomme, carburante e olio, e con pilota a bordo, inferiore a 2,200 kg. per cavallo. La velocità massima delle vetture costruite secondo questa formula passò da 250 km. all'ora a 350 km. all'ora, con rischio assai minore per i piloti, che potevano contare su doti di stabilità veramente eccezionali in dipendenza appunto della sospensione indipendente integrale. Il miglior risultato complessivo, dopo i quattro anni di validità di questa formula (1934-37), è comunemente attribuito alla casa Mercedes. All'altra casa germanica Auto Union spetta tuttavia il vanto di avere creato la vettura costruttivamente più originale, con motore posteriore, e la vettura complessivamente più veloce in senso assoluto, come dimostrarono i primati del pilota F. Rosemeyer sulle autostrade germaniche, il più brillante dei quali fu quello sul chilometro con partenza lanciata coperto in 8″ e 86 centesimi, corrispondenti a una velocità media di km. 406,3. Tale velocità apparve ancor più significativa dal confronto diretto con i varî tentativi di primato assoluto mondiale di velocità effettuati in varie riprese dall'inglese M. Campbell, che nel 1932, ad esempio, per raggiungere una velocità di 384 km. all'ora, si servì di una vettura specialmente creata (Bluebird) e dotata di un motore della potenza complessiva di 2230 cavalli. Sulla macchina di Rosemeyer era montato, invece, un motore di appena 6008,31 cmc. sviluppante 600 cavalli. Il primato mondiale assoluto è stato stabilito il 23 settembre 1938 da G. Eyston sulla pista naturale delle saline di Bonneville (Utah) con una velocità nelle due prove regolamentari, di km. 575,35 allora (velocità massima km/ora 577,06). La macchina (Thunderbolt), che ha permesso di raggiungere tali velocità, misura metri 10,20 × 2,50, che ha motori d'aviazione di 12 cilindri, della cilindrata di litri 36 e mezzo, sovralimentati con compressore (potenza complessiva 4600 cavalli); il telaio è munito di sei ruote, quattro direttrici e due gemelle motrici a sospensione indipendente.
Ad ogni modo, e pur se notevolmente inferiore al limite mondiale, il primato sportivo delle vetture tedesche, più sopra accennato, dà una idea dei progressi che si sono realizzati adottando la formula del peso massimo.
Legislazione (p. 578).
Il codice stradale. - Il testo unico di norme per la tutela delle strade e per la circolazione, promulgato mediante r. decr. 8 dicembre 1933, n. 1740, costituisce il codice stradale ora vigente. Il nuovo testo unico ha fuso nella categoria dei motocicli le motoleggiere; ha esonerato i motocicli dall'obbligo della licenza di circolazione che è stata sostituita da un documento (autorizzazione alla circolazione) avente fini essenzialmente fiscali; ha abolito, per la guida dei motocicli, l'obbligo della patente. Con successivo provvedimento (r. decreto-legge 5 luglio 1934, n. 1291) venne imposto l'obbligo, per le automobili, di essere muniti, oltre che della targa posteriore, anche di una targa di individuazione anteriore, di tipo ufficiale. Con altro provvedimento (r. decr.-legge 17 gennaio 1935, n. 423) è stata data facoltà ai comuni di emanare disposizioni per vietare o limitare, nell'interno degli abitati, di giorno e di notte, l'uso delle segnalazioni acustiche. Con decreti ministeriali 30 maggio e 1° giugno 1936 sono state determinate le caratteristiche e le modalità di applicazione degli apparecchi di segnalazione visiva per gli autoveicoli e dei dispositivi meccanici per le segnalazioni stradali. Con altro decreto ministeriale del 5 novembre 1936 è stato disciplinato l'uso dei cartelli indicatori stradali e delle segnalazioni semaforiche. Infine, con r. decr.-legge 14 luglio 1937, n. 1809, è stata creata una nuova categoria di autoveicoli, i motocarri (autoveicoli a tre ruote, per trasporto merci, di portata superiore a 350 kg.), per la circolazione dei quali occorre apposita licenza e per la cui guida il conducente deve essere munito di apposita patente.
Tasse di circolazione. - Il regime della tassa di circolazione automobilistica, regolato dalla legge fondamentale 30 dicembre 1923, n. 3283, ha subito di recente notevoli modificazioni. Nell'intento di agevolare l'uso degli autoveicoli è stato stabilito: a) che la tassa di circolazione, per qualunque autoveicolo che vi sia soggetto, è dovuta in ragione di tanti dodicesimi della tassa annuale quanti sono i rimanenti mesi dell'anno solare a decorrere dal momento del pagamento, compreso il mese nel quale l'autoveicolo è messo in circolazione (r. decr.-legge 26 settembre 1933, n. 1237); b) che, limitatamente agli autoveicoli adibiti a trasporto di persone, la tassa di circolazione può essere pagata ratealmente, per successivi periodi di 4 mesi a decorrere da quello dell'entrata in circolazione, nonché per l'eventuale restante frazione dell'ultimo quadrimestre (r. decr. legge 26 settembre 1933 n. 1237); c) che, quando ricorrano determinate condizioni, limitatamente a due autovetture, di proprietà di una stessa persona o ditta, è ammessa la circolazione alternativa dell'una o dell'altra, mediante il pagamento della sola tassa di circolazione dovuta per l'autovettura di potenza tassabile maggiore (decr.-legge 3 dicembre 1934, n. 1948); d) che, per gli autoveicoli adibiti a trasporto di persone non si applica ulteriore aumento di tassa, in base alla tariffa proporzionale alla potenza, oltre i 30 cavalli di potenza tassabile (decr.-legge 20 giugno 1935, n. 1048); e) che tutti gli autoveicoli nuovi di fabbrica, adibiti al trasporto di persone, godono dell'esenzione della tassa di circolazione per un periodo di 12 mesi, compreso quello dell'entrata in circolazione (decr. legge 20 giugno 1935, n. 1048).
Per favorire la diffusione di determinate specie d'autoveicoli: a) è stata concessa l'esenzione dalla tassa di circolazione per un periodo di 3 anni ad alcuni tipi d'autoveicoli pesanti (legge 30 maggio 1932, n. 759); b) è stata accordata l'esenzione dalla tassa di circolazione per un periodo di 5 anni agli autoveicoli a gassogeno (decr.-legge 5 luglio 1934, n. 1445).
Mediante r. decr.-legge 29 luglio 1938, n. 1121, l'automobilismo industriale (autocarri, motocarri, motofurgoncini, rimorchi trainati da autoveicoli) è stato sottoposto ad un nuovo regime tributario, con l'applicazione di una tassa unica di circolazione, sostituita dalla tassa di circolazione già regolata col r. decr. 30 dicembre 1923, n. 3283, per gli autocarri, motocarri e motofurgoncini; della tassa fissa e della sopratassa erariale sui rimorchi, già regolate coi decr.-legge 29 dicembre 1927, n.2446, e 28 novembre 1933, n. 1549; del contributo di utenza stradale di cui agli articoli 225-235 del testo unico 14 settembre 1931, n. 1175, per la finanza locale. La nuova tassa unica, con effetto dal 1° gennaio 1939, è dovuta in ragione di anno solare ed è corrisposta in ragione di ogni quintale di portata utile, nella misura risultante dalla tabella allegata allo stesso decr.-legge 29 luglio 1938. Il pagamento può essere effettuato in rate quadrimestrali anticipate, computabili dal 1° gennaio di ciascun anno.
Alla nuova tassa sono estese le esenzioni previste nel r. decr. 30 dicembre 1923, n. 3293. Sono inoltre ammesse: l'esenzione completa dalla tassa per un periodo di un anno per gli autoveicoli rimorchi costruiti con le caratteristiche previstc nel r. decr.-legge 14 luglio 1937, n. 1809; l'esenzione completa dalla tassa per un periodo di 5 anni per gli autocarri nuovi, di fabbrica italiana, appositamente costruiti per il funzionamento esclusivo a gassogeno.
Speciali norme regolano il caso in cui concorrano i benefici accordati dalla nuova legge con benefici analoghi accordati da leggi precedenti.
Mediante lo stesso decr.-legge 27 luglio 1935, n. 1121, è stata modificata la tassa sui trasporti di cose con autoveicoli e rimorchi, istituita con la legge 2 dicembre 1935, n. 2097. Il contributo è unificato in ragione di cent. 1 per ogni quintale-chilometro, per i trasporti in proprio e per conto di terzi. La tassa è dovuta da chi esegue il trasporto e nel caso che questo si effettui per conto di terzi il vettore ha diritto alla rivalsa della tassa verso il committente. La tassa è corrisposto, secondo i casi, mediante applicazione di apposite marche da bollo sulle bollette di trasporto che devono scortare il carico o mediante postagiri).
Particolari esenzioni sono concesse in rapporto all'ambito territoriale dei trasporti (in uno stesso comune); alla loro natura (trasporti agricoli per conto proprio nella normale attività di un'azienda rurale e nell'ambito della provincia; trasporti in collegamento fra il comune e la stazione ferroviaria viciniori); al soggetto del trasporto o al proprietario dell'autoveicolo (amministrazioni dello stato; corpi armati; servizio di assistenza incendî); alla accessorietà del trasporto di cose, quando sia eseguito con autovetture o motocarrozzette adibite al trasporto di persone; infine, in rapporto alla portata del veicolo (autoveicoli e rimorchi, motocarrozzette e motofurgoncini con una portata non superiore 350 kg.), ecc.
Servizî pubblici. - Notevole sviluppo hanno assunto gli autoservizî pubblici di gran turismo aventi la finalità di valorizzare le bellezze naturali e artistiche dell'Italia. Essi sono disciplinati da disposizioni emanate dal Ministero delle comunicazioni. Le linee di gran turismo, alla fine del 1937 avevano raggiunto una lunghezza di km. 43.501.
Letteratura giuridica sull'automobile. - La rivista La giustizia automobilistica ha cessato le sue pubblicazioni con il 31 dicembre 1937 ed è stata sostituita dalla Rassegna giuridica della circolazione stradale (nuova serie della G.A.) edita dal Reale Automobile Club d'Italia.
Legislazione straniera. - Con r. decr. legge 6 gennaio 1928, n. 1622, sono state rese esecutorie in Italia le convenzioni internazionali per la circolazione automobilistica e per la circolazione stradale, stipulate a Parigi il 24 aprile 1926. Con legge 15 giugno 1933, n. 866, sono stati resi esecutorî in Italia gli accordi internazionali stipulati in Ginevra il 28-30 marzo 1931, concernenti l'unificazione delle segnalazioni stradali e il regime fiscale degli automobilisti stranieri. In Germania non esistono limiti di velocità; nel Belgio, soltanto nei centri abitati, è fissato un limite di 35 km. all'ora; in Inghilterra, nei centri urbani, è fissato un limite di velocità di 30 miglia all'ora per i veicoli privati. A disciplinare la circolazione automobilistica in Svizzera è intervenuta la legge federale del 15 marzo 1932. Dal 1° gennaio 1938 sono in vigore in Grermania nuove disposizioni sulle licenze e patenti per gli autoveicoli e sulla circolazione, approvate il 13 dicembre 1937 e successivamente estese ai territorî austriaci, annessi al Reich.
L'assicurazione obbligatoria degli autoveicoli contro i rischi della responsabilità civile è attualmente in vigore nei seguenti paesi: Cecoslovacchia (legge 26 marzo 1935), Danimarca (legge 1° luglio 1927), Finlandia (regolamento 5 maggio 1925), Inghilterra (Road Traffic Act 1930, 1934), Lussemburgo (legge 10 giugno 1932), Norvegia (legge 20 febbraio 1926), Svezia (legge 10 maggio 1929), Svizzera (legge 15 marzo 1932). È anche in vigore in alcuni paesi non europei, quali il Massachusset (legge 1° gennaio 1927) e la Nuova Zelanda (legge 30 marzo 1929).
L'automobilismo militare (p. 581).
L'impiego sempre crescente dei mezzi a trazione meccanica ha reso necessaria la riunione di tutti gli automezzi e del personale in cui un corpo automobilistico fondato nel 1935 con r. decr. n. 2171. Il corpo automobilistico trasporta sino alle zone più avanzate uomini e mezzi, integrando o sostituendo la ferrovia. I soldati automobilistici sono armati di moschetto e pistola e gli autocarri vengono dotati di mitragliatrici quando esista minaccia nemica lungo le vie da percorrere.
Il corpo automobilistico è alle dirette dipendenze dell'Ispettorato della motorizzazione; il comando è affidato ad un generale di brigata. Tale corpo comprende 13 centri automobilistici, 1 per corpo d'armata, più reparti automobilistici di entità varia dislocati nelle colonie e nell'impero. Formano i quadri del corpo automobilistico ufficiali provenienti dalle varie armi in possesso della relativa patente.
I militari di truppa sono scelti fra le reclute di professione autisti e che esercitavano mestieri affini. La divisa si contraddistingue per il colletto di color azzurro con fiamme nere.
Gli stabilimenti automobilistici dell'esercito, istituiti in dipendenza della legge 17 aprile 1930, n. 458, nel 1935, vennero così definiti: 1 officina automobilistica R. Esercito, 1 sezione staccata dell'officina e 1 ufficio autonomo degli approvvigionamenti automobilistici.