Autonomie sociali e locali
Indagare lo spazio delle autonomie sociali e locali permette di seguire le attuali innovazioni nello Stato costituzionale contemporaneo con particolare attenzione al rapporto tra pluralismo e decentramento, dinanzi a diversificate tendenze Stato-centriche e autonomistiche. Proprio nella relazione tra autonomie sociali e locali sembrano instaurarsi le possibilità di ripensamento di assetti istituzionali e giuridici più sensibili alle domande di solidarietà, convivenza e tutela della dignità umana, con un maggiore protagonismo di formazioni sociali intermedie e collettività locali.
SOMMARIO 1. La ricognizione 2. La focalizzazione 2.1. Le autonomie sociali 2.2 Le autonomie locali 2.3 Relazioni tra autonomie sociali e locali 3. I profili problematici
L’attenzione rivolta alle diverse forme delle autonomie sociali e locali è un prisma attraverso il quale poter seguire l’evoluzione e le tendenze dello Stato costituzionale contemporaneo, a partire dagli artt. 2 e 5 Cost. che qualificano il rapporto tra persona, autonomie sociali e locali come criteri guida nei princìpi fondamentali ordinanti l’assetto repubblicano. Soprattutto ora, dinanzi alla portata centralizzatrice del d.d.l. di revisione costituzionale adottato nel testo definitivo il 12 aprile 2016, riguardo al quale si rinvia all’analisi dei “profili problematici” contenuta nell’ultimo paragrafo di questo intervento.
In questo senso la scelta pluralistica del Costituente repubblicano è stata una delle principali innovazioni istituzionali, soprattutto riguardo le situazioni di libertà in favore delle formazioni sociali1. E la tensione costituzionale tra “pluralismo” e “decentramento” accompagna l’intera esperienza repubblicana italiana, partendo dalla necessità di superare l’angusto spazio previsto dal precedente ordinamento statutario, con la sua organizzazione autarchica degli enti locali limitati dentro il potere sovrano di uno Stato unitario che finirà per sacrificare anche gli spazi di libertà e autodeterminazione del singolo e delle società intermedie. Così la dottrina maggioritaria nella storia repubblicana articola la «distinzione tra “decentramento” e “pluralismo”: l’uno articolazione periferica dello Stato, l’altro risultante dagli impulsi spontaneistici della comunità sociale: tuttavia entrambi ritenuti dallo Stato rilevanti, pur nella diversità dei gradi e delle forme dei suoi interventi in relazione ai propri fini»2. Un altrettanto sensibile pensiero giuridico concepisce l’ordinamento costituzionale come un articolarsi multilivello di “formazioni sociali”, con la Repubblica a costituire «la massima formazione sociale, che permette a tutti i soggetti dell’ordinamento di svolgere la propria personalità individuale»3, legando “libertà attiva” e “partecipazione” del singolo in un assetto costituzionale nel quale l’autonomia territoriale è «momento essenziale dell’ordinamento repubblicano»4. Con ciò tessendo un legame interpretativo tra gli artt. 2 e 5 Cost. in stretta connessione con il principio democratico sancito all’art. 1 Cost., nel senso di un cittadino, come singolo e nelle sue dimensioni sociali, titolare di veri e propri poteri di partecipazione che dall’ente locale, inteso come dimensione istituzionale di autogoverno, incidono nei diversi livelli di governo e amministrazione.
Come è stato ricostruito è l’interpretazione delle “autonomie locali” intese come «comunità locali stanziate su un territorio»5 che ha permesso a dottrina e giurisprudenza costituzionale di affermare la visione comunitaria dell’autonomia territoriale dotata di poteri pubblici, nel senso di quel pluralismo istituzionale, politico-territoriale, che dal comune arriva allo Stato, in cui l’unità dell’ordinamento diviene nuova cultura costituzionale, insistendo più sul “coordinamento” che sulla “supremazia” di uno Stato sempre meno monolitico6. Mentre negli anni Novanta del Novecento si assisterà anche a un potenziamento delle autonomie funzionali, come università, camere di commercio e istituzioni scolastiche, nella trasformazione dei rapporti tra pluralismo sociale e i diversi livelli di governo7.
Gli anni Duemila hanno conosciuto un processo di costituzionalizzazione del principio di sussidiarietà nell’articolazione dei rapporti tra società e le diverse istituzioni territoriali di governo. La l. cost. 18.10.2001, n. 3, di riforma del titolo V, ha infatti introdotto all’art. 118 Cost., co. 1, Cost. il principio di sussidiarietà verticale/istituzionale nell’esercizio delle funzioni amministrative attribuite al Comune e l’intervento sussidiario (di aiuto, da subsidium) degli altri livelli delle istituzioni repubblicane, fino allo Stato, tenendo conto dei princìpi di differenziazione ed adeguatezza; quindi quello di sussidiarietà orizzontale/sociale (art. 118 Cost., co. 4, Cost.), con le istituzioni pubbliche che sostengono l’auto-organizzazione sociale per «attività di interesse generale». È stato un faticoso processo di nuova articolazione dei poteri pubblici e del ruolo della società civile all’interno di una possibile “Repubblica delle autonomie locali e sociali”, in cui l’influsso del principio di sussidiarietà giungeva anche dal contesto continentale, con il Trattato di Maastricht (1992) che aveva già introdotto tale principio (art. 5 TUE), come criterio regolatore dei rapporti tra Stato membro e UE.
L’ultimo quindicennio ha quindi conosciuto una sorta di cantiere istituzionale nel quale la distribuzione multilivello delle forme di governo, dal locale al continentale, ha intersecato il trasformarsi della società e la mobilità delle persone al tempo del paradigma policentrico della rete, più orizzontale ed aperto, rispetto a quello tradizionalmente gerarchico-piramidale dello Stato-nazione. Dal punto di vista delle relazioni sociali si parla infatti di una Network Society in cui le più flessibili, ma anche meno trasparenti, pratiche di governance e soft law si sostituiscono al rigido comando di government e hard law, coinvolgendo soggetti della società civile (a cominciare dai portatori di interesse, Stakeholder, oltre la tradizionale rappresentanza politica e sindacale) in quella lenta, ma apparentemente inesorabile, trasformazione del Welfare State del secondo Novecento in Welfare Society. Così la dicotomia Stato/società – e più specificamente regime delle istituzioni pubbliche/mercato privatistico – sembra scomporsi in partenariati pubblico-privati e nel consolidarsi di un Terzo settore, oltre la visione dualistica dei regimi giuridici e sociali privatistici e pubblicistici.
Proprio in questo senso, in tema di autonomie sociali, uno dei più importanti interventi normativi dell’anno appena trascorso ha riguardato l’adozione della l. 6.6.2016, n. 106 di Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale, 12 articoli che partono dalla definizione del Terzo settore come «il complesso degli enti privati costituiti con finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale che, senza scopo di lucro, promuovono e realizzano attività d’interesse generale» (art. 1). Si prosegue con lo stabilire princìpi e criteri direttivi generali dei successivi decreti legislativi delegati (art. 2), quindi quelli specifici in tema di «revisione della disciplina contenuta nel Codice civile in materia di associazioni e fondazioni» (art. 3), per proseguire con quelli riguardanti riordino e revisione della disciplina del Terzo settore e per l’adozione del codice del Terzo settore (art. 4), poi la definizione della delega per disciplinare le attività di volontariato, promozione sociale e mutuo soccorso (art. 5), fino alla disciplina normativa, sempre con delega, di impresa sociale (art. 6) e servizio civile universale (art. 8). Mentre l’art. 10 provvede ad istituire la «Fondazione Italia sociale», una fondazione di diritto privato con finalità pubbliche che per il 2016 ha ottenuto una «dotazione iniziale di un milione di euro, al cui finanziamento si è provveduto con corrispondente riduzione delle risorse che la legge di stabilità 2015 (legge n. 190/2014) ha destinato alla Riforma del Terzo settore».
I prossimi mesi saranno decisivi per la redazione dei decreti delegati di attuazione della riforma, da adottare entro i primi sei mesi del 2017.
È questo un banco di prova decisivo per comprendere come si evolverà il rapporto tra società ed istituzioni pubbliche in settori strategici per ripensare le garanzie e tutele dei sistemi di Welfare, anche alla luce di quella multilevel governance che ha caratterizzato la distribuzione sussidiaria dei poteri dal Comune all’Unione europea e che sembra da tempo entrata in crisi nel nostro ordinamento repubblicano.
Ottica sussidiaria tra i diversi livelli di governo introdotta in Italia con la già ricordata l. cost. n. 3/2001 che modificò l’art. 114 Cost. costituzionalizzando, come sostenne dottrina maggioritaria, un pluralismo istituzionale paritario articolato in Comuni, Provincie, Città metropolitane, Regioni e Stato: con una «sostanziale equiordinazione dei soggetti componenti la Repubblica … caratterizzati non già da una differenziazione gerarchica, bensì da una differenziazione funzionale», all’interno dell’«unità giuridica ed economica» dell’ordinamento repubblicano8. Come argomenterà la stessa Corte costituzionale (sent. 12.4.2002, n. 106) «le idee sulla democrazia, sulla sovranità popolare e sul principio autonomistico che erano presenti e attive sin dall’inizio dell’esperienza repubblicana» hanno «trovato oggi una positiva eco nella formulazione del nuovo art. 114 della Costituzione, nel quale gli enti territoriali autonomi sono collocati al fianco dello Stato come elementi costitutivi della Repubblica quasi a svelarne, in una formulazione sintetica, la comune derivazione dal principio democratico e dalla sovranità popolare».
Eppure questo quadro faticosamente affermatosi con la revisione costituzionale del 2001 è stato progressivamente messo in crisi da interventi normativi e giurisprudenziali nel senso di una nuova centralizzazione di poteri e competenze. Dapprima sarà la stessa Corte costituzionale a tessere una lettura sistematica e “gerarchica” dell’intera riforma del titolo V, interpretando il riparto di competenze legislative stabilito dall’art. 117 Cost. alla luce di un’«attitudine ascensionale» del principio di sussidiarietà dell’art. 118 Cost., nel senso di attrarre verso l’alto dello Stato competenze amministrative e legislative, quando «l’istanza di esercizio unitario trascende anche l’ambito regionale», ipotecando con ciò una lettura “discendente” del principio di sussidiarietà9.
Quindi negli ultimi anni si è proceduto nel solco di quella che è stata definita come una «triste parabola dell’autonomia contabile degli enti territoriali» a cominciare dalla l. cost. 20.4.2012, n. 1 e dalla l. 24.12.2012, n. 243, su equilibrio di bilancio in Costituzione e sua attuazione normativa, con la definizione di «princìpi e prescrizioni che comprimono le potenzialità evolutive dell’art. 119 Cost. come introdotto da legge cost. n. 3/2001 ed appaiono suscettibili di svalutare l’autonomia finanziaria riconosciuta in Costituzione agli enti territoriali, e, quindi, di neutralizzare il sistema delle autonomie ivi definito»10. Fino al caso delle Province che con l. 7.4.2014, n. 56, cd. legge Delrio, sono divenute «enti territoriali di area vasta», a Costituzione ancora invariata, spingendo la Corte costituzionale (sent. 16.6.2016, n. 143) ad imporre divieti puntuali di specifiche voci di spesa per le Province delle Regioni a statuto ordinario, interpretando come «già avviato il procedimento di progressiva e graduale estinzione dell’ordinamento e della organizzazione delle Province».
Eppure a fianco di questo processo di nuova centralizzazione, su cui si tornerà a breve in sede di conclusioni, possono essere citati due casi che riguardano invece il presente e il futuro di possibili relazioni virtuose tra autonomie sociali e locali.
Il primo caso riguarda lo sviluppo che si è avuto negli ultimi anni riguardante le autonomie funzionali e il partenariato tra università ed enti locali, anche alla luce del ruolo delle fondazioni strumentali nella relazione tra enti territoriali, amministrazioni pubbliche, attività di ricerca e formazione delle università e loro portata innovativa sul territorio11. Con la possibilità di intessere legami virtuosi tra l’emergenza delle professioni digitali e di nuove forme di impresa collaborativa tramite piattaforme tecnologiche che mettano ulteriormente in connessione enti locali, imprese, cittadinanze e fondazioni, nell’ottica di una promozione e valorizzazione sociale della dimensione locale di vita delle persone e delle loro attività industriose, anche in chiave di ripensamento delle istituzioni di prossimità.
Proprio sotto questo profilo è utile citare il secondo esempio, riguardante il fatto che per la prima volta, nel 2016, sono stati previsti bandi regionali per assegnare fondi europei a freelance e partite iva, come previsto dalla legge di stabilità 2015, per stimolare lavoro indipendente e nuova impresa sociale. Valle d’Aosta, Lombardia, Trentino-Alto Adige, Friuli Venezia Giulia e Toscana hanno previsto bandi finalizzati all’auto-imprenditorialità, mentre Piemonte, Lazio, Campania e Puglia prevedono programmi per avviare startup e innovazione imprenditoriale con micro-credito (nel momento in cui si scrive le altre Regioni devono ancora adeguarsi).
Sono esempi virtuosi di un’attenzione dell’ente regionale a tutelare e sostenere le nuove forme del lavoro indipendente in un’economia in trasformazione, tra nuove professioni e forme di impresa che potrebbero svilupparsi nel senso di ecosistemi in relazione con enti locali, università e centri di ricerca, nell’emergere del lavoro della conoscenza come chiave di progresso culturale, sociale, ambientale ed economico dei diversi territori.
Proprio riguardo il ruolo delle autonomie locali rimangono aperti i nodi problematici più rilevanti, dinanzi alle già ricordate lente e inesorabili tendenze centralizzatrici. Da ultimo C. cost., 26.3.2015, n. 50 (con la quale sono state bocciate tutte le questioni di legittimità sollevate da quattro Regioni nei confronti della già ricordata l. n. 56/2014, legge Delrio) sembra ribadire un «neo-centralismo repubblicano di impronta statalistica»12. Tendenza recepita dal nuovo legislatore costituente nel d.d.l. costituzionale adottato nel testo definitivo il 12 aprile 2016, che propone anche una nuova «revisione del Titolo V della parte seconda della Costituzione», a quindici anni dalla precedente. Dinanzi a una innegabile necessità di razionalizzare il riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni questa riforma costituzionale propone una nuova centralizzazione della potestà normativa, assegnando alla competenza esclusiva statale 48 materie (rispetto alle 31 precedenti) e abolendo del tutto la potestà legislativa concorrente. Si tratta di un ritorno alla supremazia legislativa dello Stato, pur rimanendo intatta l’autonomia amministrativa di Regioni ed enti locali.
Per questo l’attualità giuridica, sociale e istituzionale ci pone ancora interrogativi non risolti tra tendenze e visioni Stato-centriche, accompagnate da vecchi e nuovi “sovranismi” statalisti, e progressiva frammentazione e diffusione dei poteri tra livelli di governo locali e aree economico-finanziarie globali. Lo spazio delle autonomie sociali e locali come momento di innovazione giuridica e istituzionale appare in parte sacrificato da questa doppia tendenza, mentre poteri poco trasparenti sembrano muoversi nei mercati finanziari e digitali, con il continuo pericolo che una malavita organizzata possa imporsi come vera “formazione sociale” transfrontaliera.
Se si volesse indicare un profilo da interrogare e seguire nel contesto italiano è proprio quello rintracciabile nelle piccole sperimentazioni possibili tra autonomie sociali e istituzionali (a partire da quelle locali) nel trattare temi come la democrazia di prossimità, la gestione condivisa dei beni comuni, la rigenerazione urbana, l’innovazione sociale, nuove forme di mutualismo e cooperazione. Buone pratiche che prendono piede in alcuni enti territoriali, interrogando la disponibilità di alcune amministrazioni locali e regionali, nel quadro di un più ampio, necessario, eppure ancora inadeguato, processo di ripensamento delle politiche pubbliche di sicurezza e inclusione sociale, all’altezza di quella “società del rischio” (per dirla con il compianto Ulrich Beck) che necessita di immaginare nuovi strumenti istituzionali di solidarietà e coesistenza pacifica, per la tutela della dignità umana. E in questo senso sarà probabilmente fondamentale seguire con la giusta attenzione il sopra ricordato percorso di attuazione della delega governativa sulla riforma del Terzo settore.
Note
1 Barbera, A., Art. 2, in Comm. Cost. Branca, I, Principi fondamentali, Bologna-Roma, 1975.
2 Mortati, C., Note introduttive ad uno studio sulle garanzie dei diritti dei singoli nelle formazioni sociali, in Scritti in onore di Salvatore Pugliatti, III, Milano, 1978, 1575.
3 Benvenuti, F., L’ordinamento repubblicano, Venezia, 1975 [I ed., 1961], 57.
4 Benvenuti, F., L’autonomia regionale, momento essenziale dell’ordinamento repubblicano, 1955, in Scritti giuridici, II, Articoli e altri scritti (1948-1959), Milano, 2006, 1265.
5 Bifulco, R., Art. 5, in Comm. Cost. Bifulco-Celotto-Olivetti, I, Torino, 2006, 144.
6 Griglio, E., Principio unitario e neo-policentrismo. Le esperienze italiana e spagnola a confronto, Padova, 2008, 413.
7 Poggi, A., Le autonomie funzionali «tra» sussidiarietà verticale e sussidiarietà orizzontale, Milano, 2001, 169, ss.
8 Caravita, B., La Costituzione dopo la Riforma del Titolo V. Stato, regioni, autonomie tra Repubblica e Unione europea, Torino, 2002, 34.
9 C. cost., 1.10.2003, n. 303.
10 Sambucci, L., La triste parabola dell’autonomia contabile degli enti territoriali: se la Corte costituzionale decide sugli stanziamenti di bilancio, in Federalismi.it, (15 giugno) 2016.
11 Cfr. la ricostruzione di S. Foà, S.-Ricciardo Calderaro, M., Il partenariato tra università ed enti locali: strumenti pattizi e modello fondazionale, in Federalismi.it, (24 febbraio) 2016.
12 La pone in modo interrogativo Salerno, G.M., La sentenza n. 50 del 2015: argomentazioni efficientistiche o neo-centralismo repubblicano di impronta statalistica?, in Federalismi.it, (8 aprile) 2015.